MCHAT

MCHAT (Moskovskij Chudozestvennyj Akademiceskij Teatr, Teatro Accademico d’Arte) è il teatro fondato a Mosca nel 1898 da Stanislavskij e Nemirovic-Dancenko, tuttora esistente. Dopo uno storico incontro, avvenuto il 21 giugno 1897, il drammaturgo e pedagogo Vladimir Nemirovic-Dancenko e l’attore e regista Konstantin Stanislavskij decidono di fondare insieme un nuovo teatro su basi completamente diverse da quelle consolidate nei teatri del tempo: il Teatro d’Arte è uno dei primi tentativi di rinnovamento delle strutture in senso moderno nella storia del teatro europeo. Stanislavskij e Nemirovic-Dancenko decidono di rivoluzionare non solo la routine della messinscena (introducono lunghi periodi di prove, scene e costumi appositamente preparati per ogni singolo spettacolo, collaborazione costante con scenografi, sarti, tecnici, trovarobe, con la ferma volontà di creare un collettivo affiatato e duraturo, aboliscono la distinzione tra attori di maggior o minor importanza, le serate d’onore, le musiche d’intrattenimento all’inizio e negli intervalli, i ringraziamenti ad ogni atto), ma di dare un ruolo determinante a due figure fino allora sottovalutate: il regista (che assume fin dall’inizio un peso determinante nella preparazione dello spettacolo, grazie anche alla decisione di Stanislavskij di preparare indicazioni di regia scritte per ogni battuta del testo, in modo da evitare ogni approssimazione) e il direttore del repertorio (Nemirovic-Dancenko, scrittore e amico di scrittori, imposta il repertorio su autori contemporanei di forte presa sul pubblico, come Cechov e Gor’kij). Vorrebbero anche fare un teatro `popolare’, ossia aprirlo a un pubblico il più ampio possibile ma questo viene loro vietato dalle autorità, che temono un indirizzo politico troppo liberale. La compagnia è composta da allievi della scuola teatrale dove insegna Nemirovic-Dancenko e da colleghi della compagnia in cui già lavora Stanislavskij; come sede viene scelto il vecchio edificio del teatro Ermitaz (solo nel 1902, con l’aiuto finanziario del mecenate Mamontov, verrà costruita dal famoso architetto Sechtel’ una nuova sede, dotata di attrezzature all’avanguardia per quei tempi e tuttora in funzione).

Lo spettacolo inaugurale è Lo zar Fedor Ioannovic di Tolstoj (14 ottobre 1898), che suscita grande interesse per la forza dell’interpretazione, la ricchezza di scene e costumi, la precisione naturalistica dell’insieme. Pochi mesi dopo la drammaturgia contemporanea trionfa con Il gabbiano di Cechov: il pubblico scopre un nuovo modo di recitare, interiore, intenso, che lo coinvolge e lo stimola. Fino al 1905 il Teatro d’Arte diventa un punto di ritrovo dell’intelligencija progressista, che si riconosce nelle scelte di repertorio e nell’impostazione degli spettacoli: diventano autentici eventi non solo i nuovi testi di Cechov (Zio Vanja , 1899; Tre sorelle , 1901; Il giardino dei ciliegi , 1904), ma gli aggressivi drammi del giovane Gor’kij, scoperto e incoraggiato da Nemirovic-Dancenko (Piccoli borghesi e Bassifondi , entrambi del 1902, I figli del sole 1905) e del vecchio ma ancora battagliero Tolstoj (La potenza delle tenebre 1902). Accanto ai compatrioti, due contemporanei ormai consacrati: Hauptmann (La campana sommersa , 1898; Il carrettiere Henschel e Anime solitarie , 1899; Michael Kramer 1901) e Ibsen (Hedda Gabler 1899, Quando noi morti ci destiamo e Un nemico del popolo , 1900; L’anitra selvatica , 1901; Le colonne della società , 1903; Spettri , 1905; Brand in occasione della morte dell’autore nel 1906). A partire dal 1905 Gor’kij si allontana per contrasti ideologici e il teatro si apre allo stile `convenzionale’ e alla drammaturgia simbolista (Maeterlinck con I ciechi , 1904, L’uccellino azzurro , 1908; Hamsun con Il dramma della vita , 1907; Andreev con La vita dell’uomo , 1907; Anatema , 1909; Ekaterina Ivanova , 1912; Il pensiero 1914) e a un regista lontano dalla tradizione realista come Gordon Craig (Amleto di Shakespeare nel 1910, regia in collaborazione con Stanislavskij). Ma ben presto i due direttori si rendono conto che la vera vocazione del teatro sta nella ricerca approfondita di un rigoroso realismo psicologico: lo conferma il ritorno ai classici, con alcuni spettacoli riuscitissimi (Boris Godunov di Puškin, 1907; Un mese in campagna , 1909, e Pane altrui , 1912, di Turgenev, I fratelli Karamazov , 1910; Nikolaj Stavrogin (I demoni) , 1913, e Il villaggio di Stepancikovo , 1917, da Dostoevskij, Anche il più saggio ci casca di Ostrovskij, 1910; Il malato immaginario di Molière, 1913; La locandiera di Goldoni, 1914).

Tuttavia Stanislavskij, sempre in cerca di verifiche e di nuove prospettive, apre nel 1912 il 1 Studio (a cui pochi anni dopo si aggiungeranno il 2 e il 3 ), dove con giovani collaboratori e attori, sperimenta tecniche registiche diverse da quelle ormai consolidate nel teatro. La rivoluzione d’Ottobre coglie di sorpresa il teatro, considerato sino al 1917 una tra le più riuscite istituzioni della borghesia progressista: Stanislavskij e Nemirovic-Dancenko accettano il nuovo regime ma non riescono ad adattare alla nuova situazione politica e culturale il repertorio. Per alcuni anni il teatro attraversa un periodo di crisi: attaccato dalla critica militante, deriso dalle avanguardie, continua senza mutamenti con il suo tradizionale repertorio. Nel 1922-24, dopo due nuove regie di scarso successo (Caino di Byron, 1920 e Il revisore di Gogol’, 1921) Stanislavskij compie, con parte della compagnia, una trionfale tournée in Europa e America portando i maggiori successi prerivoluzionari ma aumentando il prestigio del teatro. Al ritorno, con cautela (non firma gli spettacoli, li fa dirigere da giovani registi con la sua supervisione), Stanislavskij si apre al repertorio sovietico con uno spettacolo che ottiene grande successo e viene definito « Il gabbiano della nuova era»: I giorni dei Turbin di Bulgakov (1926). Seguono Il treno blindato 14-69 di Visnevskij (1927), I dissipatori e La quadratura del cerchio di Kataev (1928), Untilovsk di Leonov (1928), Il blocco di V. Ivanov (1929), La paura di Afinogenov (1931), Il pane di Kirson (1931), Ljubov’ Jarovaja di Trenev (1936), La terra di Virta (1937). Contemporaneamente continuano le messinscene di classici, certamente più riuscite rispetto a quelle degli autori sovietici: Il matrimonio di Figaro di Beaumarchais (1927), Anime morte da Gogol (1932), che sono le due ultime grandi regie di Stanislavskij, L’uragano di Ostrovskij (1934), Tra la gente (1933), Egor Bulycov e altri (1934) e Nemici (1935) di Gor’kij, riavvicinatosi al teatro dopo molti anni grazie agli sforzi di Nemirovic-Dancenko, Resurrezione (1930) e Anna Karenina (1937) da Tolstoj, Che disgrazia l’ingegno di Griboedov (1938) e Tre sorelle di Cechov (1940), tutte regie esemplari di Nemirovic-Dancenko, che rimane, dopo la scomparsa di Stanislavskij nel 1938, a capo del teatro fino alla morte nel 1943.

Durante la guerra il teatro viene evacuato a Saratov, dove continua l’attività mettendo in scena opere di carattere propagandistico ( Il fronte di Kornejcuk, 1942; Gente russa di Simonov, 1943; Gli ufficiali della flotta di Kron, 1945). Nel dopoguerra il teatro attraversa un periodo di crisi dovuto alla scomparsa dei due direttori e alla difficoltà, nel periodo più duro della dittatura staliniana, di operare valide scelte di repertorio. Tra gli allievi di Stanislavskij e Nemirovic-Dancenko, si distinguono I. Sudakov, N. Gorcakov, M. Kedrov, V. Stanicyn, B. Livanov, V. Bogomolov, che collaborano sia alle regie sia alla direzione artistica. Nei grigi anni ’50 continuano sia le messinscene di autori sovietici ( Giorni e notti di Simonov, 1947) sia le riprese di classici ( Zio Vanja di Cechov, 1947 e I frutti dell’istruzione di Tolstoj, 1951, due interessanti regie di Kedrov). Dopo la morte di Stalin, nel periodo del cosiddetto `disgelo’, c’è qualche segno di maggior coraggio nelle scelte di nuovi testi (La carrozza d’oro di Leonov, 1957; Fiori vivi di Pogodin, 1961; Gli amici e gli anni di Zorin, 1963). Si torna ai classici con entusiasmo (Maria Stuarda di Schiller, 1957; Racconto d’inverno di Shakespeare, 1958; I fratelli Karamazov , 1960). Nel 1970 diventa direttore del teatro Oleg Efremov, attore e regista, fondatore nel 1956 del Teatro Sovremennik, il più innovatore tra i teatri moscoviti poststaliniani. Negli anni ’70 e ’80 il repertorio del teatro si apre ad autori occidentali finora mai rappresentati in Urss (Shaw, Ionesco, Anouilh, Miller, Kilty) oltre a proseguire stimolanti riprese di classici (Cechov, Gor’kij, con qualche ricostruzione `storica’ di spettacoli dell’inizio secolo come L’uccellino azzurro di Maeterlinck) e interessanti proposte di autori russi delle ultime generazioni (A. Galin, L.S. Petruševskaja, M.M. Rošcin). A metà degli anni ’80 viene costruita una nuova grande sala dedicata a Gor’kij: così, a partire dal 1987, il teatro ha due sedi, quella storica dedicata a Cechov (di cui resta direttore Efremov) e la nuova (affidata all’attrice Tat’jana Doronina).