Bussotti

Osserva Roland Barthes che un manoscritto di Silvano Bussotti è già un’opera d’arte totale: in lui il teatro (il concerto) comincia a germinare fin dall’apparato iconografico che ha il compito di trasmetterne il programma. Per Silvano Bussotti l’opera musicale scritta, ben lungi dall’esaurirsi nelle potenzialità di un prodotto, è infatti un momento di un’ operazione sinestetica, insieme acustica, visiva e gestuale, che prelude ai sinuosi labirinti del suo teatro. Compositore, regista, scenografo e costumista tra i più originali comparsi sulla scena dell’avanguardia italiana negli ultimi decenni, Silvano Bussotti ha sempre coltivato un proprio mondo musicale di concentrata intensità autobiografica, nutrito di ossessioni, desideri e pulsioni sensuali debordanti – una visione liberatoria ed estetizzante dell’erotismo campeggia al centro di tutto il suo progetto artistico – che deflagrano spazialmente a partire dal suo segno grafico. Gli spartiti di due dei Five Piano Pieces for David Tudor (1959), ad esempio, saranno materiali per i siparietti di Oggetto amato (1975), `mitologie danzate’ con coreografia di Amedeo Amodio; mentre la gestualità dei Tableaux vivants per due pianoforti (1964) funge da cartone preparatorio per il `mistero da camera’ La passion selon Sade (1965); o ancora, le pianistiche Novelletta (1973) e Brillante (1975) verranno poi rielaborate in versione ballettistica. Nella Passion , in particolare, Silvano Bussotti attinge forse al più alto livello del suo sperimentalismo, nell’assoluta ambivalenza dei ruoli di esecutori e attori, nel continuo trascolorare delle azioni dall’esecuzione strumentale alla finzione scenica o all’happening vero e proprio.

A partire dagli anni ’70 la fucina del `Bussottioperaballet’, sigla sotto la quale il compositore ama far rientrare ogni suo lavoro teatrale, ha prodotto circa venti titoli tra opere (delle quali ricordiamo Lorenzaccio, 1972, Nottetempo, 1976, L’ispirazione, 1988) e balletti. Quest’ultimo versante è particolarmente ricco; spiccano Raramente (Biennale di Venezia 1971, coreografia di Aurelio Milloss), Le bal Miró (1981, coreografia di Joseph Russillo, scene e costumi di Miró), Cristallo di rocca (Scala 1983) e Nuit de faune (1990-91), denominato ‘concerti con figure’. Già direttore di La Fenice di Venezia (1976-77) e della Biennale Musica (1991-93), sin dagli anni ’60 Silvano Bussotti ha affiancato all’impegno per le regie, le scene e i costumi di quasi tutti i propri spettacoli, un’assidua presenza nel campo della musica di scena (da Beckett a Hofmannsthal, alcune collaborazioni con Carmelo Bene) e soprattutto della regia, sia per balletti d’altri autori sia per il teatro d’opera (dal 1974 in poi, per le scene e i costumi si è avvalso in prevalenza della collaborazione di Tono Zancanaro). Anche quest’ultima e non secondaria branca della sua attività appartiene e si fonde con il ridondante gusto figurativo del suo teatro. Se la sua musica è pervasa da una poetica che elegge il frammento prezioso e la citazione dotta a sistema, analogamente l’invenzione visiva attinge ai toni del fantastico e del fiabesco per contagiarli con un’ostentazione compiaciuta di sfarzo ed eccessività che gioca a sfiorare il kitsch, ma che definire `barocca’ sarebbe limitativo. L’intento di B. è invece quello di riguadagnare al proprio narcisistico quanto nobile gesto, in una lucidità che si direbbe quasi ‘neo-rinascimentale’ nei suoi momenti migliori, la perduta pienezza interdisciplinare e totale del fare artistico.