Taylor

Paul Taylor studia pittura e pratica l’atletica e il nuoto, formandosi intanto alla danza con Graham, Humphrey, Limón, Tudor e Craske. Si esibisce nelle compagnie di Merce Cunningham (1953-1954) e Martha Graham (1958-1962), creando nel 1957 il suo primo recital di `anti-danza’, improntato a quella vena lieve che caratterizzerà spesso i suoi lavori ginnici e pieni di energia, facendone in questo senso un caposcuola. Duet (1957, musica di Cage), Three Epitaphs (1959) e Aureole (1962), ripreso poi da varie compagnie, anche di base classica, evidenziano il suo gusto per corpi robusti, forti, estremamente dinamici, e insieme il lirismo nell’ispirazione. In Big Bertha (1971) affronta con l’arma del sarcasmo i rapporti incandescenti di un tipico nucleo familiare americano. Esplanade, uno dei suoi balletti più noti (1975), composto di semplici camminate e salti in crescendo, sviluppa la struttura della coreografia, ponendola a stretto confronto con la musica di Bach.

Kloven Kingdom (1976) si rifà alla parte animale e nascosta dell’uomo con spirito tagliente, mentre la sua versione del Sacre du PrintempsThe Rehearsal (1980), con gangster, poliziotti e ballerini in sala prove, è stata danzata anche dal MaggioDanza fiorentino (1994). Tra i suoi titoli più famosi: Arden Court (1981), Rosas (1985), A Musical Offering (1986), Field of Grass (1993). È autore di un’autobiografia, Private Domain (1987), che porta lo stesso titolo di un suo balletto (1969), nato come seguito di un primo lavoro, Public Domain (1967). Tra i suoi danzatori, Daniel Ezralow e David Parsons ne seguono l’esempio, creando una danza basata sul gioco muscolare e plastico, di tono ironico e leggero.

TIM

Il TIM (Teatr Imeni Mejerchol’da, Teatro Mejerchol’d) venne teatro fondato e diretto dal regista Mejerchol’d dal 1920 al 1938. Nasce come Teatro RSFSR 1 nel 1920 con due spettacoli in cui il regista dichiara apertamente la sua adesione incondizionata alla Rivoluzione d’ottobre (Albe di Verhaeren, 1920 e la seconda edizione di Mistero-Buffo di Majakovskij, 1921); nel 1922 diventa Teatro del GITIS con uno spettacolo sperimentale che utilizza le nuove ricerche mejerchol’diane sull’attore (la ‘biomeccanica’) e una scenografia costruttivista, Il magnifico cornuto di Crommelynck (1922); nel 1923 diventa Teatro Mejerchol’d, dove il regista continua, senza soluzione di continuità, con la stessa compagnia e con gli stessi collaboratori, il programma ‘Ottobre teatrale’ (da lui proclamato nel 1920) dove si dichiara sostenitore di un drastico rinnovamento in ogni campo dell’attività teatrale. Dimostra tale volontà proseguendo le ricerche su testi di giovani autori sovietici (che spesso sollecita alla scrittura e con cui collabora alla messa a punto di testi non sempre letterariamente soddisfacenti), attuando messiscene rivoluzionarie dal punto di vista sia delle soluzioni registiche (gestualità, rapporto attore-spazio, musiche e ritmo dello spettacolo) sia della scenografia d’avanguardia (La terra in subbuglio di Martinet e Tret’jakov, 1923; D.E. di Podgaeckij, 1924; Il maestro Bubus di Fajko, 1925; Komandarm 2 di Selvinskij, 1929; La cimice , 1929 e Il bagno di Majakovskij, 1930; L’ultimo decisivo di Višnevskij, L’elenco delle benemerenze di Oleša, 1931; L’introduzione di German 1933).

Contemporaneamente prosegue l’indagine sui classici, cercando di farne affiorare dimensioni inaspettatamente contemporanee con riletture personalissime, dove riferimenti all’attualità politica si mescolano a sottolineature grottesche o a soluzioni spiazzanti (La foresta di Ostrovskij, 1924; Il revisore di Gogol’, 1926; Che disgrazia l’ingegno di Griboedov, 1928; Le nozze di Krecinskij di Suchovo-Kobylin, 1933; La signora dalle camelie di Dumas, 1934; 33 svenimenti , spettacolo di atti unici di Cechov, 1935). A partire dal 1934, con l’irrigidirsi delle posizioni governative in campo culturale e con il rafforzarsi della dittatura staliniana, nemica di ogni avanguardia e di ogni sperimentalismo, il teatro viene regolarmente attaccato dalla critica ufficiale, accusato di `formalismo’, di atteggiamenti antirealistici, di deviazone ideologica. Molti spettacoli, messi in prova (Boris Godunov di Puškin, Voglio un bambino di Tret’jakov), vengono vietati dalla censura, il progetto di un nuovo edificio, con soluzioni innovative sia per la struttura del palcoscenico sia per la disposizione della platea, viene bloccato già in fase di realizzazione: nel 1938 il teatro viene chiuso, Mejerchol’d arrestato l’anno successivo e fucilato.

Topor

Pittore, disegnatore satirico (ha collaborato alla rivista “Hara-Kiri” e ha pubblicato Les Masochistes ), scrittore di romanzi (Le Locataire e Joko fête son anniversaire ) e di pièce teatrali (Vinci avait raison, messo in scena nel 1985 ai Kammerspiele di Monaco col titolo `Leonardo hat’s gewusst’) e scenografo fra i più originali della seconda metà del secolo, Roland Topor fonda, con Arrabal e Jodorowski, il gruppo neo-surrealista Théâtre Panique. Nel 1972 ottiene un premio speciale al festival di Cannes per Il pianeta selvaggio con René Laloux. La sua prima esperienza come scenografo e costumista risale invece alla creazione dell’opera Le grand Macabre che György Ligeti ha tratto dal testo di Ghelderode (Bologna 1978, regia di Giorgio Pressburger). Prosegue l’esperienza con Les mamelles de Tirésias di Poulenc (1986, Opéra di Lille); Antonio e Cleopatra (Kassel 1989); Tom Johnson, 200 ans , da un’idea di Esther Ferrer (Avignone 1989, coreografia di Giovanna Menegari); Il flauto magico (Essen 1990); Ubu roi , di cui Topor è stato anche regista (Théâtre National de Chaillot, 1992). Qui l’artista francese sottrae lo spettacolo di Jarry alla convenzionale fissità delle marionette grazie al ricorso a strani mutanti. L’essenzialità del tratto, che secondo lo stesso Topor racchiude «il massimo dell’intenzione nel minimo della materia», unita a una violenta forza espressiva che sfrutta la farsa e che talvolta sfiora la pornografia (se non la scatologia), conferiscono al suo stile narrativo un’incisività che va a toccare le più profonde e archetipiche corde dell’immaginario.

Tardieu

Jean Tardieu comincia a lavorare, nel 1944, per la radio francese e questa esperienza, congiunta alla sua attività di poeta, indirizzano la sua predilezione verso un teatro centrato sulla parola, costituito da pièce molto brevi, quasi degli sketch. Nel 1951 Michel de Ré rappresenta due suoi lavori: Oswald et Zénaïde e C e que parler veut dire . Nel 1952, Sylvain Dhomme mette in scena Les Amants du métro . Nel 1956 la compagnia di Jacques Poliéri allestisce Les temps du verbe e Une voix sans personne , in cui si narra di un uomo che, dopo la morte della moglie e del figlio in un incidente, decide di vivere nel passato, parlando esclusivamente all’imperfetto. Il teatro di T. sperimenta nuove forme di espressione, analizzando la struttura della comunicazione verbale e stravolgendola con i suoi giochi di parole. Egli cerca inoltre di modulare la parola in analogia con la musica, creando dei poemi sinfonici: La sonate et les trois messieurs, Rythme à trois temps e L’Abc de notre vie (1959). In quest’ultima pièce un personaggio, che rappresenta l’uomo comune, replica a un coro parlato, che assume il ruolo dell’orchestra. Tra i suoi lavori successivi citiamo: Six pièces en un acte (1968), Obscurité du jour (1977), L’archipel sans nom (1983), Margeries (1986), On vient chercher Monsieur Jean (1990).

Trettré,

I Trettré iniziano alla fine degli anni ’70 nel cabaret – girando per i locali notturni e le discoteche della penisola – e approdano presto alla tv. Durante la gavetta hanno modo di riprendere e `riverniciare’ gli schemi dell’avanspettacolo, ma non sempre sono all’altezza. Partecipano nel 1980 ai programmi di Raitre Il barattolo , Lo scatolone e Il ponte sulla manica. La notorietà arriva nel 1983 con la partecipazione alla trasmissione Drive in (1983-1985). Nel 1986 approdano a Retequattro con Un fantastico tragico venerdì e Che piacere averti qui. Nel 1989 sono gli interpreti della sit-com I-taliani , scritta dallo stesso Setaro e da Lorenzo Beccati. Nel 1991 i tre sono al Tg delle vacanze di Retequattro e partecipano al Festival della canzone demenziale Sanscemo. Dal 1992 al 1994 partecipano a Buona domenica . Nel 1995 il trio è nel varietà Caro bebè . Lo stesso anno recitano in teatro nello spettacolo Avviso ritardo treno proveniente da…

Tumiati

Gualtiero Tumiati si laureò in giurisprudenza ma abbandonò la carriera forense per dedicarsi al teatro. Debuttò nel 1906 come `generico’ nella compagnia De Sanctis, anagrammando il nome in Ugo Mautti Altieri. Il successo arrivò due anni dopo, quando, con la compagnia dei Grandi Spettacoli si impose nei Napoletani di Cossa e ne La maschera di Bruto di Benelli. Fu attore dalle affascinanti sonorità vocali e di elegante presenza. Con sua moglie, Beryl Hight T., pittrice e scenografa, fondò nel 1924 a Milano un teatro d’avanguardia che chiamò Sala Azzurra. Per il Teatro Greco di Siracusa curò la regia e fu interprete applaudito di una serie di spettacoli tra il 1927 e il 1928 (Le nuvole di Aristofane, Il ciclope e Medea di Euripide, Antigone di Sofocle). A Taormina fu protagonista, invece, del Giulio Cesare di Corradini (1928), del Miles gloriosus di Plauto (1929), mentre alle Terme di Caracalla diresse Oreste di Alfieri (1929). Veri e propri trionfi furono nel 1931 L’annuncio a Maria di Claudel e nel 1938 Adelchi di Manzoni, presentato al Lirico di Milano. Dopo la seconda guerra mondiale rivolse la sua attenzione soprattutto al cinema, riservando al teatro l’interpretazione di ruoli secondari. Per il grande schermo vanno ricordate le partecipazioni a Malombra diretto da Soldati (1942) e a Il Cristo proibito di Malaparte (1951). Fu costretto dalla cecità a ritirarsi dalle scene nel 1958, ma ciò non gli impedì di interpretare, nel 1969 a novantatrè anni, il ruolo di Tiresia dell’Edipo re di Sofocle alla Scala. T. diresse anche l’Accademia nazionale d’arte drammatica (1936) e l’Accademia dei Filodrammatici di Milano (1940).

Tedeschi

Gianrico Tedeschi debutta nel 1947, sotto la guida di Giorgio Strehler, in Sotto i ponti di New York di Maxwell Anderson. Si diploma all’Accademia nazionale d’arte drammatica di Roma e nel 1950 entra nella compagnia Cervi-Pagnani dove interpreta con successo Quel signore che venne a pranzo di George Kaufman e Moss Hart e Harvey di Mary Chase, diretti entrambi da Alessandro Brissoni. L’incontro con Luchino Visconti, nel 1952, rappresenta una svolta significativa per l’esperienza professionale di Tedeschi che, sotto la guida del regista, interpreta il ruolo di Kulygin in Tre sorelle di Cechov e recita nella celebre e tanto discussa edizione de La locandiera di Goldoni.

Dopo aver interpretato La vedova scaltra di Goldoni, proposta da Strehler alla Biennale di Venezia del 1953, e La dodicesima notte di Shakespeare diretta da Costa e Renato Castellani, approda alla compagnia dello Stabile di Genova (Anfitrione di Plauto diretto da Mario Ferrero; Ondina di Jean Giraudoux realizzato da Edmo Fenoglio). Ormai forte dell’esperienza acquisita, nella seconda metà degli anni ’50, Tedeschi si misura con generi diversi passando dal teatro di rivista e dalla commedia musicale, dove ottiene i maggiori riconoscimenti del pubblico e della critica, al teatro francese ottocentesco e d’avanguardia (I capricci di Marianna di Alfred de Musset; Amedeo o Come sbarazzarsene di Eugène Ionesco diretti da Luciano Mondolfo). Per la regia di Strehler, nel 1961, interpreta il ruolo di Pantalone nell’ Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, prendendo parte alla tournée in Russia e negli Usa.

Nel 1963 impersona il professor Higgins nella commedia musicale My Fair Lady di Alan Jay Lerner diretta da Sven Aage Larsen; quindi, sotto la guida di Giuseppe Patroni Griffi recita ne La governante di V. Brancati (1965) ed è protagonista di Io, l’erede di E. De Filippo (1968). Nel 1973 Strehler lo chiama al Piccolo Teatro per interpretare il ruolo di Peachum ne L’opera da tre soldi di Brecht e nel 1976 recita nell’ Antonio von Elba di Mainardi diretto da Mondolfo. Il 1980 segna l’inizio della felice intesa artistica con L. Squarzina per la regia del quale interpreta Casa Cuorinfranto di Shaw (1980), Il Cardinal Lambertini di Alfredo Testoni (1981), Timone d’Atene di Shakespeare (1982), La rigenerazione di Italo Svevo (1986), Tutto per bene di Pirandello (1989).

Il 1990 lo vede nuovamente interprete di La rigenerazione di Svevo diretto da M. Bernardini, l’anno dopo recita nella commedia Plaza Suite di Neil Simon realizzata da G. Solari; nel 1992 interpreta Il maggiore Barbara di G. B. Shaw per la regia di M. Bernardi, quindi nel 1995 è diretto da L. De Fusco ne Il piacere dell’onestà . È ancora presente sulle scene nel 1998 con Il riformatore del mondo di T. Bernhard diretto da P. Maccarinelli.

Tarantino

Quello di Antonio Tarantino è un caso più unico che raro nel teatro italiano. Bolzanino di nascita ma torinese d’adozione, Tarantino sin dall’infanzia si dedica alla pittura. Il suo nome appare di prepotenza all’attenzione del mondo teatrale quando nel 1993 conquista, con verdetto unanime, il premio Riccione Ater per il teatro con i suoi due testi Stabat mater e La passione secondo Giovanni. La stagione seguente il monologo Stabat mater viene messo in scena da Chérif e interpretato da un’ispirata Piera Degli Esposti. Lo spettacolo, le cui scene sono curate da A. Pomodoro, diventa un caso nazionale: la scrittura del cinquantaseienne `esordiente’ drammaturgo viene paragonata a quella di Testori e suscita un entusiasmo raramente riscontrato nella critica italiana.

L’anno seguente, Chérif allestisce anche La passione secondo Giovanni ; questa volta gli interpreti sono E. Bonucci e A. Piovanelli. Il giudizio è ancora una volta più che lusinghiero. Questi lavori sono le prime due parti di quella che l’autore definisce la sua «tetralogia della cura», un progetto che, partendo dalla suggestione evangelica, arriva alla rivisitazione dei grandi miti tragici di Antigone e Medea, miti che l’autore considera sommersi nelle oscure profondità di quel subconscio collettivo che per gli europei è il mondo antico. Nel 1995, sempre Chérif cura la regia di un terzo testo di Tarantino, Vespro della Beata Vergine, interpretato da un inedito Lino Banfi che conquista critica e pubblico con un’interpretazione magistrale. L’ultimo lavoro andato in scena è Lustrini (1997) con Paolo Bonacelli e Massimo Foschi, con l’immancabile regia di Chérif: storia di due anime perse (Lustrini e Cavagna) che instaurano un soffocante e rozzo rapporto amoroso che, più che basato sul godimento dei corpi, si nutre solo di impetuose e impronunciabili esclamazioni.

Tallchief

Studia con Nijinska e Lichine, entra poi nel Ballet Theatre (1944-1946), nell’Original Ballet Russe (1946-1947) e nel Gran Ballet du Marquis de Cuevas (fino al 1957), dove interpreta ruoli principali in Annabel Lee , Il prigioniero del Caucaso , L’Ange gris , Idylle e Romeo e Giulietta , coreografati dal marito George Skibine. Étoile dell’Opéra di Parigi (1957-62), è protagonista di Concerto, Conte Cruel e Pastorale di Skibine. Danza poi in Ariadne di Ailey con l’Harkness Ballet. Direttrice della School of Chicago Ballet, è erede del grande patrimonio innovativo del balletto europeo del Novecento.

Tragelehn

Allievo di Brecht e di H. Weigel al Berliner Ensemble, Bernd Tragelehn studia all’Akademie der Künste della Rdt. Quindi lavora come regista indipendente e traduttore di testi teatrali (soprattutto Shakespeare). Tra le sue prime regie vanno ricordate quella di L’eccezione e la regola (1957) a Wittenberg; di Die Korrektur (1959) di H. Müller e di Die Umsiedlerin oder Das Leben auf dem Lande (1961), le cui rappresentazioni vengono interrotte dalla censura politica. Dal 1972 al 1975 realizza messe in scena al Berliner Ensemble in collaborazione con E. Schleef: Katzgraben di E. Strittmatters, Risveglio di primavera di Wedekind, La signorina Julie di Strindberg. Anche in quest’ultimo caso lo spettacolo, dopo dieci rappresentazioni, viene sospeso provocando violente polemiche di natura politica; da allora smette di realizzare regie nella Rdt. Nel 1979 debutta con successo sulle scene della Germania occidentale, a Bochum, con Misura per misura.

Nel 1980 viene assunto come regista stabile allo Schauspiel di Francoforte dove dirige il Tartufo di Molière, ma viene licenziato l’anno seguente in seguito a un’occupazione del teatro da parte di simpatizzanti della Raf. Negli anni ’80 realizza alcune impressionanti regie di testi di Müller tra cui Quartett (1982) a Bochum, Macbeth (1983) a Düsseldorf, Filottete (1984) a Monaco. Nel 1986 è chiamato a lavorare allo Schauspielhaus di Bochum da F.P. Steckel ma si licenzia dopo pochi mesi. Nel 1987 è assunto da V. Canaris come direttore artistico allo Schauspielhaus di Düsseldorf. Tra le altre messe in scena vi realizza La tempesta in una propria traduzione. Nel 1989 torna a Berlino dove rappresenta ancora testi di Müller quali Germania morte a Berlino (1990) alla Freie Volksbühne e Vita di Gundling Federico di Prussia Sonno sogno urlo di Lessing (1991) al Maxim Gor’kij Theater. Nel 1990, assieme a Schleef, gli viene conferito il premio Fritz Kortner. Nel 1997 ha messo in scena, con la collaborazione del drammaturgo S. Schnabel e l’interpretazione di J. Bierbichler nel ruolo di protagonista, Vita di Galilei al Berliner Ensemble.

Teatro Libero

Fondato nel 1968 da Benno Mazzone (ancora attuale direttore artistico), docente dal 1992 di Storia del teatro e dello spettacolo presso l’Università del capoluogo siciliano. Nato sulle ceneri dell’esperienza del Centro universitario teatrale, Teatro dei 172, di cui lo stesso Mazzone è stato direttore dal 1965 al ’68, si è ben presto trasformato in compagnia di ricerca. La prima stagione del Teatro Libero si inaugura con il provocatorio Insulti al pubblico di Peter Handke (1969), spettacolo firmato da B. Mazzone che sin dagli inizi dell’attività esplicitò l’intento dissacratorio, nei confronti del teatro convenzionale, di rompere gli schemi del teatro borghese e di cancellare il confine tra palcoscenico e platea.

La prima sede del teatro fu una soffitta di due stanze in via Orsini, laboratorio del primo spettacolo che di lì a poco sarebbe stato presentato nei vecchi locali del Goethe Institut di via Libertà. Un anno dopo, come diretta espressione del Teatro Libero, nasce il Festival Incontroazione (1970), rassegna annuale (fino a oggi) e vetrina del teatro di ricerca contemporaneo. Nel 1977 il Teatro Libero cessò di essere una struttura di studenti-attori e si diede un assetto professionale a tutti gli effetti, mettendo in scena Itinerario numero 15, uno spettacolo che utilizzava tutti i punti dello spazio, dall’ingresso alla cucina dell’ex mensa della Casa dello studente messa a disposizione dall’università palermitana. La maggior parte delle produzioni del Teatro Libero reca la firma di B. Mazzone. Tra le più significative si ricordano Pretesto per una esposizione (1970), Ubu re di A. Jarry (1974), Nozze piccolo borghesi di Brecht (1975), Donne in amore di Pam Gems (1991), Le notti bianche da Dostoevskij di Ludwik Flaszen (1991), El salvator di Rafael Lima (1996). L’ultima produzione del 1998 che ha varato la trentesima stagione è Turbinio d’acciaio con la regia di Mazzone.

Theatre Guild

Theatre Guild è un’organizzazione produttiva statunitense fondata nel 1919 da un gruppo di persone reduci in buona parte dall’esperienza dei Washington Square Players, che negli anni precedenti avevano presentato in una piccola sala atti unici americani. Erano fra loro Lawrence Langner e Theresa Helburn, che ne assunsero in pratica la direzione, nonché il regista P. Moeller, lo scenografo L. Simonson e l’attrice H. Westley. L’intento era di presentare a Broadway (e poi in tutto il paese) opere culturalmente significative in edizioni accurate, per un pubblico composto in massima parte di abbonati.

Dal 1925 dispose a New York di un proprio teatro. Ebbe il merito di far conoscere, soprattutto negli anni ’20, un repertorio impegnativo in spettacoli che costituivano un’alternativa alla programmazione delle sale commerciali. Oltre a molte prime mondiali di Shaw e di O’Neill, e a un buon numero di novità di autori americani, entrarono allora nei suoi cartelloni drammaturghi relativamente difficili come Kaiser, Toller e Capek. Culturalmente meno significativi furono i decenni successivi, caratterizzati soprattutto da grandi successi di pubblico, come le commedie interpretate dalla coppia Lunt-Fontanne, o certi musical rimasti famosi quali Porgy and Bess e Oklahoma!.

Taiuti

Tonino Taiuti si avvicina al teatro coinvolto da Antonio Neiwiller: da lui diretto e per la Cooperativa Teatro dei Mutamenti di Napoli debutta come attore nel 1978, nel doppio ruolo di Pulcinella e Margherita in Don Fausto di A. Petito, al quale seguono nel 1979 Anemic Cinema (regia A. Neiwiller) e Kabarett da K. Valentin (regia R. Carpentieri). Negli anni ’80 forma con Silvio Orlando `La coppia comica’: insieme sono autori, interpreti e registi degli spettacoli La stanza (1981), Due uomini e un armadio (1983). Nel 1985 prende parte a Ragazze sole con qualche esperienza , testo di E. Moscato, regia M. Santella, nel 1986 a Eldorado , regia G. Salvatores, al Teatro dell’Elfo di Milano; nel 1991 è tra i protagonisti di Il giardino delle delizie di G. Barberio Corsetti.

Attore comico di sottile e raffinata ironia, legato all’esperienza di Teatri Uniti, è tra i protagonisti della nuova scena napoletana partecipando agli spettacoli più significativi, numerosi dei quali destinati a lunghe tournée europee: Coltelli nel cuore da B. Brecht, regia M. Martone (Falso Movimento, 1987), Partitura di E. Moscato, regia T. Servillo (1988), Rasoi di E. Moscato, coregia M. Martone e T. Servillo, dove interpreta il memorabile vagabondo cieco (Teatri Uniti, 1991), Zingari di R. Viviani, regia di T. Servillo (Teatri Uniti, 1993), il varietà musicale Soirée Viviani , regia P. Scialò (1995). Nel 1997 è Felice Sciosciammocca in Il medico dei pazzi di Scarpetta, regia L. Angiulli, quindi è a fianco al cantante Nino D’Angelo nel suo Core pazzo . Come `one man show’ scrive, interpreta e dirige se stesso in spettacoli memori della grande lezione della tradizione (attoriale e di scrittura) napoletana, e con ampi riferimenti alla musica jazz: Sorsi di passione (1986), Squame giù e I am black (1987), Song nero (Teatro Nuovo, 1989), Natura morta (regia R. Carpentieri, 1989), Scugnizzo d’Oriente con il trio Jazz Mediteranée (1990, Festival di Polverigi), Duet e Riso frizzante (1998). Sue le regie degli spettacoli firmati da A. Fiore Zero (1987-88) e Tycoon zero (1989). Per l’attività di attore nel 1987 vince il Premio Teatro Gennaro Vitiello. Partecipa ai film Morte di un matematico napoletano (1992) e Rasoi (1993) di M. Martone, Sud di G. Salvatores (1993), Pianese Nunzio 14 anni a maggio di A. Capuano (1995), I vesuviani (protagonista dell’episodio Sofialoren di A. Capuano, 1997) Polvere di Napoli di A. Capuano (1997), Mare largo di Visentini Orgnani (1998).

Tognella

Armando Russo Tognella inizia la sua carriera artistica con i Legnanesi nel 1970-71 e debutta nel 1975 come cabarettista al Refettorio, in coppia con Alberto Rossetti. Successivamente il suo esordio in televisione, con Lino Patruno e Nanni Svampa in “Una bella domenica di settembre a…” di G. Molinari. Nel 1977, dopo l’esperienza televisiva, continua a fare cabaret al Derby Club di Milano. Dal 1978 inizia a lavorare in teatro debuttando all’Odeon di Milano con L’è tuta na guera a cui segue nel 1979 Tognella si sposa di E. Contavalli. Dal 1980 smette di fare teatro e continua a portare i suoi spettacoli di cabaret per tutta la Lombardia.

Trailine

Ha studiato con Sedova ed Egorova. Nel 1946 ha debuttato con il Nouveau Ballet de Monte-Carlo dove si trovava anche il fratello Boris. In seguito si è esibita con i Ballets des Champs-Elysées, nella compagnia di J. Charrat e con Milloss e Miskovitch. Ha avuto anche interessanti esperienze con Béjart (protagonista di Haut-Voltage , 1956). Lasciata la carriera di danzatrice, ha svolto mansioni organizzative al Ballet de Nancy, all’Opéra di Parigi e all’Opéra di Nizza.

Tarascio

Enzo Tarascio approda al Piccolo di Milano nel 1951, dove comincia una lunga collaborazione che lo porterà a recitare in numerosi spettacoli tra i quali L’oro matto (1951) di Giovaninetti, La giara (1954) di Pirandello, Il giardino dei ciliegi di Cechov (1955), L’anima buona di Sezuan di Brecht e Platonov e gli altri (1959) di Cechov. Dopo aver interpretato testi di autori classici e contemporanei come Squarzina, Genet, Bertolazzi e Brecht nel 1974 sostituisce Matteuzzi nel ruolo di Balanzone nell’ Arlecchino servitore di due padroni con la regia di Strehler. Pur inizialmente non sentendosi portato per un personaggio del genere in breve diverrà per lui una seconda pelle, tanto che lo ricoprirà ininterrottamente fino al 1988 nei vari allestimenti andati in scena. Fra gli ultimi spettacoli al Piccolo di Milano I giganti della montagna e Come tu mi vuoi di Pirandello.

Tallchief

Sorella di Marjorie T., studia con Nijinska, Lichine e alla School of American Ballet. Entra nei Ballets Russes de Monte-Carlo (1942-1947), dove interpreta ruoli principali in Danses Concertantes (1944) e Night Shadow (1946) di Balanchine, suo marito dal 1946 al 1952, che segue poi all’Opéra di Parigi, dove interpreta i suoi Serenade , Apollon Musagète e Baiser de la Fée . In seguito fa parte della Ballet Society, poi New York City Ballet, dove spicca nelle creazioni balanchiniane, Symphonie Concertante , Oiseau de Feu , Bourrée Fantasque , Caracole , Scotch Symphony , Pas de Deux, Allegro brillante , Gounod Symphony , Sylvia pas de deux , Il lago dei cigni , Schiaccianoci . Fondatrice e direttrice del Chicago City Ballet, è ballerina di tecnica superlativa e di stile balanchiniano per eccellenza.

trasformista

Il trasformista è un artista di varietà specializzato in cambi di costumi spettacolari per la rapidità e l’abilità di passare da una caratterizzazione teatrale ad un’altra. Il trasformista mondialmente più celebre del Novecento è l’italiano Leopoldo Fregoli. Quasi altrettanta popolarità ha conquistato oggi Arturo Brachetti. Esiste poi il t. di circo, le cui tecniche sono pensate per lo spazio circolare ma escludono le caratterizzazioni di personaggi basandosi solo sul gioco dei costumi. Si è sviluppato nella tradizione russa e ha come maggiori esponenti il Duo Sudartchikovi.

Thole

Figlio del grande illustratore Karel T., si diplomò all’Accademia dei Filodrammatici di Milano. Nonostante la sua formazione classica, fu al Derby che trovò il proprio pubblico con il famosissimo personaggio dell’omosessuale. La sua frase «mio padre voleva un maschietto, mia madre una femminuccia: sono nato io e li ho accontentati tutti e due» fece infatti il giro di tutt’Italia, raggiungendo la più ampia popolarità in tv, con Drive in (1984). Autore dei propri spettacoli, sempre sul filo dell’ironia e della satira di costume, l’artista si dedicò negli ultimi anni al teatro più impegnato, di cui si ricorda Madonna cantò la marsigliese , un divertito ritratto delle donne più famose della storia e della cultura.

Tranquilli

Diplomatosi all’Accademia Sharoff, Silvano Tranquilli comincia subito a collaborare con alcune delle più grandi compagnie italiane, recitando a fianco di S. Randone e V. Gassman. Nel 1959 esordisce in televisione dove parteciperà a più di cento sceneggiati, rimanendo nella memoria soprattutto per la sua interpretazione della figura del prete autorevole in I ragazzi di padre Tobia (1968). Ultimamente era ritornato al teatro nella compagnia dello Stabile del Giallo di Roma con cui ha lavorato in Delitto perfetto di N.J. Crisp (1994). Tra le sue partecipazioni cinematografiche ricordiamo I girasoli (1969) di V. De Sica e Amore mio aiutami di A. Sordi con M. Vitti (1969).

Terzo Teatro

Pubblicato nel 1976 in “International Theatre Information” (Unesco), Terzo Teatro è un documento scritto da Eugenio Barba in occasione dell’Incontro internazionale di ricerca teatrale (Bitef / Teatro delle nazioni, Belgrado). Lo scritto assume valenza di manifesto di un teatro etico e vocazionale proposto da gruppi che vivono la marginalità e che non si ricollegano al teatro di tradizione, tanto meno a quello dell’avanguardia.

Scrive Barba: «Esiste, in molti Paesi del mondo, un arcipelago teatrale che si è formato in questi ultimi anni, pressoché ignorato, sul quale poco o nulla si riflette, per il quale non si organizzano festival né si scrivono recensioni. Esso sembra costituire l’estremità anonima dei teatri che il mondo della cultura riconosce (…) Il Terzo Teatro vive ai margini, spesso fuori o alla periferia dei centri e delle capitali della cultura, un teatro di persone che si definiscono attori, registi, uomini di teatro, quasi sempre senza essere passati per le scuole tradizionali di formazione o per il tradizionale apprendistato teatrale, e che quindi non vengono neppure riconosciuti come professionisti. Ma non sono dilettanti. L’intero giorno è per loro marcato dall’esperienza teatrale, a volte attraverso ciò che chiamo il training, o attraverso spettacoli che debbono lottare per trovare il loro pubblico Isole senza contatto l’una con l’altra, in tutta Europa, in America del Sud, in America del Nord, in Australia, in Giappone, dei giovani si riuniscono e formano dei gruppi teatrali che si ostinano a resistere Diversi uomini, in diverse parti del mondo, sperimentano il teatro come un ponte – sempre minacciato – fra l’affermazione dei propri bisogni personali e l’esigenza di contagiare con essi la realtà che li circonda Non si può sognare soltanto al futuro, attendendo un mutamento totale che sembra allontanarsi a ogni passo che facciamo, e che intanto lascia tutti gli alibi, i compromessi, l’impotenza dell’attesa. Si desidera che subito una nuova cellula si formi, ma non ci si vuole isolare in essa. Questo paradosso è il Terzo Teatro: immergersi, come gruppo, nel cerchio della finzione per trovare il coraggio di non fingere».

Trokadero de Monte-Carlo,

Les Ballets Trokadero de Monte-Carlo, nota originariamente come Trockadero Gloxinia Ballet Company, composta di soli uomini che danzano con punte e tutù, ottiene grande successo interpretando con autoironia e virtuosismo un repertorio che spazia dagli estratti dei classici ottocenteschi ( Grand pas classique , Cigno nero , Paquita ) ai brani neoclassici nello stile di Balanchine, fino alle danze ispirate a Martha Graham. La compagnia debutta in Europa nel 1975 e al festival di Spoleto nel 1980.

Trefilova

Diplomatasi presso l’Istituto coreografico di Pietroburgo Vera Aleksandrovna Trefilova ha danzato al Teatro Marijnskij dal 1894 al 1917. Ha interpretato Le halte de Cavalerie, Coppélia, Graziella. Rappresentate dell’accademismo russo, la sua danza, di grande musicalità, si è distinta per l’espressività soprattutto nell’adagio, morbidezza del movimento, perfezione scultorea delle attitudes e delle arabesque. L’armoniosità e il lirismo l’hanno resa interprete ideale de Il lago dei cigni, La bella addormentata, La najade e il pescatore , Il tulipano di Harlem, Don Chisciotte . Nel 1917 ha lasciato la Russia e si è stabilita a Parigi dove ha aperto una scuola (fra le sue allieve Nina Vyroubova). L’ultima apparizione in scena è stata La bella addormentata allestita da Diaghilev a Londra nel 1921 col titolo di The Sleeping Princesse.

Toffolo

Dopo studi musicali e una esperienza radiofonica, Lino Toffolo debutta in teatro con Baseggio. Da Venezia di trasferisce a Milano e inizia a lavorare al Derby (1963) – accanto ai cabarettisti storici Franco Nebbia, Jannacci, e Bruno Lauzi – dove nascono le sue macchiette, tra le quali l’ubriaco che canta Oh Nina , diventerà molto famosa in seguito, oltre alle altre sue canzoni in dialetto veneziano: Le carrozzelle, I chiericheti, la cafetiera, Gastù mai pensà. Nel 1968 incomincia la sua carriera cinematografica ne La chimera di L. Wertmüller, seguiranno poi altri ventiquattro titoli, molti dei quali con la regia di Samperi. È con Mastroianni in Culastrisce nobile veneziano. È con Gasmann in Brancaleone alle crociate di Monicelli. Lavora anche con Risi. Dopo una pausa torna in veste di attore teatrale e porta in scena un collage di testi di Goldoni, poi è protagonista in Sior Toni Bellagrazia (1993) e nel prologo de La moscheta (1998) di Ruzante con la regia di De Bosio. È il carceriere ne Il pipistrello di Strauss (1997) e voce recitante in Pierino e il lupo di Prokovief e nell’ Histoire du soldat di Stravinskij. Per il teatro ha scritto: Gelati caldi e Fisimat; ha pubblicato due libri: A remengo e A gratis. Ha svolto anche una intensa attività televisiva come conduttore.

Testori

Giovanni Testori inizia la sua attività come critico d’arte (si era laureato alla Cattolica, con una tesi sul surrealismo, nel 1947) e come scrittore di racconti. Il debutto teatrale avviene nel 1948, al Teatro della Basilica di Milano, con Caterina di Dio, interpretato da Franca Valeri, regia di Enrico D’Alessandro. Nel 1949 scrive Tentazione nel convento, il cui dattiloscritto, arrivato ad Andrée Ruth Shammah, nel 1993, viene realizzato da Rosa Di Lucia. Nel 1954 pubblica Il Dio di Roserio e, nel 1958, Il ponte della Ghisolfa. Nel 1960, Castellani compra i diritti della Gilda del Mac Mahon e progetta di realizzarne un film con Sofia Loren. Nello stesso anno vanno in scena: al Piccolo Teatro di Milano La Maria Brasca , con Franca Valeri e regia di Mario Missiroli; al Teatro Eliseo di Roma L’Arialda, con Rina Morelli, Paolo Stoppa, Lucilla Morlacchi e regia di Luchino Visconti (i due testi verranno ripresi dalla Shammah: Arialda nel 1976 e Maria Brasca nel 1992 con Luisa Rossi e Adriana Asti nei ruoli di protagonista).

Nel 1961 la censura blocca a Milano l’Arialda, creando un vero e proprio `scandalo’. Nel 1967, al Teatro Bonci di Cesena, la Compagnia Brignone-Fortunato-Fantoni realizza la Monaca di Monza, regia di Visconti, che ebbe forti dissidi con l’autore. Il 1969 è l’anno dell’ Erodiade, scritta per Valentina Cortese, ma che sarà realizzata – totalmente riveduta – con la regia dell’autore (in collaborazione con Emanuele Banterle) nel 1984, con Adriana Innocenti protagonista. Nel 1972 avviene l’incontro con Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah, per i quali scrive l’ Ambleto che inaugurerà il Pier Lombardo (16 gennaio 1973), al quale farà seguire il Macbetto (1974) e l’Edipus (1977). La Trilogia degli Scarozzanti ebbe un esito trionfale.

Nel 1978 scrive, per Renzo Ricci, Conversazione con la morte, che sarà invece letta dall’autore, al Salone Pier Lombardo, per la scomparsa del grande attore. Con la Compagnia dell’Arca, nel 1979, va in scena Interrogatorio a Maria , nella Chiesa di S. Stefano a Milano, con la regia di Emanuele Banterle; successivamente viene rappresentata a Castelgandolfo, con Giovanni Paolo II ospite d’eccezione. Nel 1981 va in scena Factum est, con Andrea Soffiantini, regia di Emanuele Banterle. Nel 1983 Testori costituisce la Compagnia degli Incamminati, con la quale realizza: Post Hamlet al Teatro di Porta Romana. L’anno successivo, con Franco Parenti, Lucilla Morlacchi e la regia della Shammah, va in scena I promessi sposi alla prova (ripresa nel 1993, con Gianrico Tedeschi e Marianella Laszlo).

Nel 1985 riceve il premio Renato Simoni `Una vita per il teatro’; nel 1986 viene rappresentato al Porta Romana Confiteor, protagonista Franco Branciaroli, per il quale Testori scriverà anche: In exitu (1988, Teatro della Pergola), Verbò (1989, Piccolo Teatro di Milano, in cui Testori debutta come attore), Sfaust (1990, Teatro Nazionale di Milano). I tre testi sono anche noti come la Branciatrilogia . Nel 1991 va in scena, al Teatro Goldoni di Venezia, Sdisorè, prodotto dagli Incamminati, con Franco Branciaroli e con la regia dell’autore in collaborazione con Emanuele Banterle. Nel 1992 pubblica Gli angeli dello sterminio, a cui seguiranno i Tre lai (Cleopatràs, Erodiàs, Mater Strangosciàs), che verranno realizzati da Adriana Innocenti, all’Umanitaria di Milano; Cleopatràs verrà ripreso dalla Compagnia I Magazzini (1996), con la regia di Tiezzi e l’interpretazione di Sandro Lombardi, che, nel 1994, aveva riproposto l’Edipus.

Nel 1998, a cinque anni dalla morte, Franco Branciaroli ed Emanuele Banterle realizzano, sulla scena del Franco Parenti, un montaggio drammaturgico di suoi testi, curato da Giovanni Agosti, con la regia di Banterle; Andrée Ruth Shammah, invece, sotto il Ponte della Ghisolfa, cura una riduzione di La Gilda del Mac Mahon, con Franca Valeri, Maddalena Crippa e la partecipazione dei Legnanesi. La drammaturgia di Testori costituisce uno dei momenti più alti del teatro italiano del secondo Novecento, la cui matrice ideologica è, forse, da ricercare in un saggio apparso nel giugno del 1968 in “Paragone” (n. 219): Il ventre del teatro. Come sceneggiatore cinematografico firma la sceneggiatura di Bubù , con la regia di Bolognini, scrive una sceneggiatura dell’ Amleto (il film, però, non sarà mai realizzato) e un soggetto originale: L’altra stagione che non avrà seguito.

Ha scritto Giovanni Raboni: «Nessuno è stato tanto fecondo nel reinventarsi e feroce nel ripudiarsi, tanto incapace, incapace sino alla prodigalità, sino allo sperpero, di ripetersi, di mettersi a profitto, di capitalizzarsi». Sono parole chiare che sottolineano il carattere sperimentale della drammaturgia di Testori che, pur tra antinomie e contraddizioni, viene anche evidenziato dalla presenza ossessiva del corpo, portato sulla scena, in tutta la sua carica fisiologica, ma anche drammaturgica; nel senso che l’uso del corpo si trasforma in azione. Il suo teatro, quindi, appare come un viaggio dentro il corpo, quasi un viaggio monomaniaco, segnato, o meglio, scandito dal tempo: quello degli anni ’60 (Maria Brasca, Arialda); quello degli anni ’70 (la trilogia maledetta: Ambleto, Macbetto, Edipus ); quello della conversione (Factum est, L’interrogatorio a Maria); quello del disfacimento (Sfaust). È un corpo che si mostra in tutta la sua prodigalità, che si innalza e si abbassa e che non rinuncia mai al ventre, quello del teatro. In questo senso, viene da pensare ad Artaud, a Grotowski, con i quali la drammaturgia di Testori ha sicuri punti di contatto.

Tovstonogov

Tra gli spettacoli che vi allestisce ricordiamo: L’ufficiale di marina di A. Kron (1945) e La locandiera di Goldoni (1946). Dal 1946 al 1949 è a Mosca : Come fu temprato l’acciaio di N. Ostrovskij (1947); A proposito dei compagni di V. Mass e M. Tchervinski (1948) e Da qualche parte in Siberia di I. Irocnikova (1949); nel 1950 si trasferisce a Leningrado, dove nel 1956 assume la direzione del Teatro Gor’kij, carica che mantiene fino alla morte. Tovstonogov intende innanzitutto mettere in scena la realtà sociale del suo paese, per riuscirvi privilegia i testi della tradizione teatrale russa, di cui si dimostra il continuatore più rappresentativo: La tragedia ottimista di V. Vinševskij (1955); Umiliati e offesi (1956) e L’idiota (1957), da Dostoevskij; Tre sorelle di Cechov (1965); L’ispettore generale di Gogol’ (1972); Giochi crudeli di A. Arbuzov (1978); Zio Vanja di Cechov (1982, rappresentato nel 1987 a Princeton, negli Usa); L’albergo dei poveri di Gor’kij (1987). Ma il regista ritrova i temi a lui cari anche nella contemporanea produzione straniera, che contribuisce a far conoscere al pubblico russo ( La volpe e l’uva di G. Figueredo, 1957; Ricordo di due lunedì di A. Miller, 1960; Uomini e topi di Steinbeck, 1966).

Torino, Teatro Stabile di

Il Teatro Stabile di Torino è nato nel 1955, ebbe fra i suoi fondatori l’attore Nico Pepe. Inizialmente denominato Piccolo Teatro della città di Torino, assunse l’attuale intestazione nel 1957. Gl’innamorati di Goldoni, per la regia di Anna Maria Rimoaldi (Teatro Gobetti, 3 novembre 1955), è lo spettacolo inagurale del teatro. Alla direzione di Nico Pepe (1955-57), successe quella di Gianfranco De Bosio (1957-68; affiancato da Fulvio Fo negli anni 1959-64, e da Nuccio Messina negli anni 1964-68), contraddistinta da un’attenzione particolare per il filone popolare e soprattutto da una significativa riscoperta e riproposta di Ruzante ( La moscheta , Teatro Gobetti 1960; Anconitana – Bilora, Teatro Carignano 1965; I Dialoghi , Kiev, Casa della Cultura 1966, ripreso in un’edizione rinnovata al Carignano nel 1967, tutti con la regia dello stesso De Bosio). A De Bosio si deve anche il primo Brecht prodotto dallo stabile: nel 1961, in occasione delle celebrazioni per il centenario dell’unificazione nazionale, il regista mette in scena La resistibile ascesa di Arturo Ui (Teatro Carignano 1961, fra gli interpreti Renzo Giovampietro e Franco Parenti, nei panni di Arturo Ui).

Dopo la direzione collegiale che ha guidato il teatro dal 1968 al 1972, segue la direzione artistica di Franco Enriquez (1971-72), destinata ad essere ricordata per la singolare messa in scena di Isabella comica gelosa, interpretata da Valeria Moriconi (Vicenza, Teatro Olimpico, 1971). Le linee della ricerca artistica di Aldo Trionfo che dirige il teatro dal 1972 al ’76, aprono un periodo di forti polemiche: dal contrasto di luci e colori di Peer Gynt di Ibsen (Asti, Teatro Alfieri 1962), alla messa in scena di Gesù , adattamento della sceneggiatura di Dreyer, con l’interpretazione di Franco Branciaroli (Teatro Regio, 1974), sino all’inconsueta lettura dell’ Elettra di Sofocle (Teatro Gobetti, 1974), il regista suscita fra interesse e polemica il clamore del pubblico. Gli succede alla guida del teatro Mario Missiroli, proveniente da un periodo di forti sperimentazioni espressive. Dopo il successo di Zio Vanja di Cechov (Teatro Carignano, 1977), Missiroli si distingue per l’attenzione verso drammaturgie ancora poco visitate, come quella di Strindberg ( Verso Damasco , Prato, Teatro Metastasio 1978, con Glauco Mauri e Annamaria Guarnieri), e di Genet ( Les bonnes , Teatro Carignano, con Adriana Asti, Manuela Kustermann e Copi). Con i I giganti della montagna di Pirandello (Teatro Carignano 1979), raggiunge una delle prove più significative della sua regia.

Dal 1985 al ’90 è Ugo Gregoretti a dirigere il Teatro (I figli di Iorio , di P.B. Bertoli, con intersezioni da D’Annunzio e Scarpetta, Teatro Carignano 1985; Il critico di Sheridan 1987; Le miserie `d monssù Travet , di V. Bersezio, Benevento, Teatro Comunale, 1987), gli succede Luca Ronconi la cui collaborazione con lo stabile risale alla messa in scena di Riccardo III di Shakespeare (Teatro Alfieri 1968). Fra gli esiti maggiori della sua direzione, le regie di Mirra di Alfieri (Teatro Carignano 1988), Besucher di Botho Strauss (Roma, Teatro Eliseo 1989), Gli ultimi giorni dell’umanità di K. Kraus, allestito nell’ex Sala Presse del Lingotto (1990), Strano Interludio di O’Neill (Teatro Carignano 1991), L’uomo difficile di Hofmannsthal, Affabulazione , Pilade e Calderón di Pasolini (1992-93) e L’affare Makropulos di Capek (Teatro Carignano 1994). Dall’aprile del 1994 la direzione dello stabile è stata assunta da Guido Davico Bonino (fra le produzioni si ricordano: La scuola delle mogli di Molière, Il giardino dei ciliegi di Cechov, con la regia di G. Lavia, La serra , diretto e interpretato da C. Cecchi, e Riccardo II sempre per la regia di Lavia). Attuale direttore è Gabriele Lavia, che nella stagione 1997-98 ha interpretato e diretto Commedia senza titolo di Cechov, e Scene da un matrimonio di Bergman.

Togni

Fondato nel 1872 da Aristide Togni, il circo Togni è l’unico in Italia a mantenere elevati livelli di qualità per cinque generazioni, pur sdoppiandosi in numerose imprese. Aristide nel 1880 sposa Teresa Bianchi e ha 8 figli, 4 dei quali, Riccardo, Ercole, Ugo e Ferdinando formano il complesso che viene proclamato Circo nazionale negli anni ’30 dal regime fascista, e nel dopoguerra si divide in tre principali nuclei: il circo di Cesare Togni (1924) attivo fino al 1992, il Circo Americano a tre piste diretto da Enis T. (1933) (negli anni ’60 intitolato anche Williams ed Heros), ed il circo Darix Togni divenuto nel 1991 Florilegio. Alla quinta generazione, i Togni continuano a distinguersi, oltre che come eccellenti imprenditori capaci di tournée mondiali, come artisti: in particolare trapezisti, cavallerizzi, addestratori di belve ed elefanti, clowns. Tra i più celebri dei Togni, oltre a Darix e Flavio: negli anni ’30 Ercole (1884-1959), pioniere dell’industria circense italiana e poi co-fondatore dell’Agis; Ferdinando (1899-1990), negli anni ’40 addestratore di cavalli (tradizione seguita dai figli Bruno, Enis, Willy, Adriana); il già citato Cesare, col fratello Oscar direttore di circhi a tre piste negli anni ’50 e ’60; negli anni ’90 Livio; i fratelli Holer (noto stuntman) e Divier (il maggior impresario italiano di teatri tenda).

Torriani Evangelisti

Assistente di Micha Van Hoecke dal 1986 al 1988, debutta nella coreografia nel 1991 con Méfiez-vous des morceaux choisis (primo premio al Concorso internazionale città di Cagliari). Dal 1993 avvia un progetto sulla poetica di Antonio Tabucchi, creando Arebours, Chevalier de Pas (1994) e con Marinella Salerno Interni-Reves (1995) e Progetto per Sheherazade (1996). Nel 1997 firma un assolo per Luciana Savignano.

Thesmar

Ha intrapreso i primi studi di danza classica a L’Avana, dove il padre era diplomatico; poi, sotto la guida di S. Schwarz, ha seguito corsi regolari al Conservatorio di Parigi. Non ancora diciottenne, ha debuttato nella compagnia del Marchese De Cuevas, diventando presto solista. L’incontro, nella stessa formazione, con R. Nureyev valse ad aprirle una luminosa carriera che la portò anche tra le file del New York City Ballet. Danzatrice di rara eleganza e dallo stile infallibile, ha saputo farsi apprezzare per grazia e leggerezza nei grandi ruoli classici. Accanto a Nureyev è stata anche protagonista in Marco Spada , celebre balletto ottocentesco ricostruito dal marito, il coreografo P. Lacotte. Archetipo della ballerina romantica, si è distinta anche come preziosa interprete balanchiniana.

tragedia

Nel 1911 l’esercito italiano organizza la sua prima spedizione aerobellica contro l’esercito turco sul fronte libico: l’evento fu a lungo preparato e lungamente commentato sui giornali dell’epoca. Nello stesso anno Ettore Petrolini debuttò con la celebre parodia dell’Amleto scritta in coppia con il poeta Libero Bovio, rischiando l’arresto con l’accusa di vilipendio alle patrie lettere (l’Amleto originale era stato attribuito dai gendarmi presenti in sala a Vittorio Alfieri). In questa singolare ma non casuale coincidenza si condensa il rapporto del secolo Ventesimo con la tragedia teatrale. Tutto il Novecento è segnato da una relazione che si potrebbe definire ‘industriale’ con la morte e con la tragedia: la crudezza dei conflitti bellici internazionali (che hanno appunto il loro prologo con la guerra italo-turca), il regime fascista, nazista e stalinista, le guerre coloniali e, infine, il diffondersi, sul finire del secolo, del cosiddetto principio della ‘pulizia etnica’ hanno imposto al mondo occidentale un radicale ripensamento del valore di ciò che era considerato `tragico’ nella tradizione culturale e teatrale dalle epoche greca e romana fino a tutto il secolo Diciannovesimo.

In buona sostanza si può riassumere il senso tragico tradizionale nella contrapposizione fra un individuo e un’entità sociale, divina o spirituale collettiva. Da Eschilo a Shakespeare a Manzoni la tragedia assume stilisticamente i connotati di questo conflitto in cui, almeno da un lato, l’elemento individuale è assolutamente indispensabile. La storia sociale del Novecento consta sostanzialmente nell’impossibilità di questo conflitto: il ruolo dell’individuo, le specificità che ne fanno qualcosa di unico e irripetibile sono negati dalla riproducibilità industriale della morte di fronte alla quale non si è esseri individuali ma numeri di una massa più o meno indistinta. La coscienza o la percezione di questa mutata realtà è ciò che caratterizza e segna profondamente la sopravvivenza del senso tragico, a teatro, nel Novecento. Essa, infatti, avviene soprattutto attraverso la rielaborazione di tragedie classiche: vuoi sotto forma parodistica vuoi sotto forma di riscrittura tout-court.

Il caso del processo intentato da Gabriele D’Annunzio contro Eduardo Scarpetta, autore di una parodia della Figlia di Iorio, rappresenta il primo sintomo di una situazione nuova e inedita sulla quale si apre il Novecento. L’ Amleto di Petrolini-Bovio è invece il segno dell’avvenuto cambiamento e l’esempio più significativo di tutto quanto accadde dopo. Petrolini, irridendo le `disgrazie’ del principe danese, irride tanto la pochezza del dubbio di un uomo di fronte ai tormenti di una società intera, quanto l’abitudine del teatro tradizionale di rappresentare Amleto come l’eroe irraggiungibile di un conflitto immenso. Mentre nella realtà Amleto veniva percepito dal pubblico come un ometto turbato da un dubbio da due soldi: com’è possibile rovinarsi la vita chiedendosi se è lecito uccidere un patrigno se con una bomba aerea o un cannone ben puntato si può eliminare un’intera comunità di patrigni? La parodia shakespeariana di Petrolini va nel solco, assai fecondo del Novecento, aperto da Ubu re di Jarry e perseguito poi da Ionesco nel suo Macbeth e portato alle estreme conseguenze da Beckett con Catastrofe, la più alta tragedia autenticamente novecentesca e, contemporaneamente, la più terribile parodia della tragedia classica.

L’altro fenomeno, quello delle riscritture dei classici, si offre come maggiormente interlocutorio nei confronti della tradizione: da Anouilh a Testori, molti autori teatrali del Novecento si sono interrogati sulla possibilità di dare nuove vitalità e attualità al conflitto individuo/entità superiore. Ma, in ogni caso, si tratta di domande e risposte sommamente (quando non esclusivamente) legate alla contemporaneità che le produsse. Analogo rilievo andrebbe fatto a quanti tentarono di riprodurre senza particolari aggiornamenti i meccanismi della tragedia classica (T.S. Eliot); o, ancora, a quanti pensarono di contestualizzare all’interno delle vicende della seconda guerra mondiale il tradizionale conflitto (Sartre o Fabbri). Solo a Samuel Beckett può essere attribuito il merito di aver tentato un superamento consapevole della classicità mediante l’invenzione del `tragicomico’, ossia di un effetto contrastante, tragico e comico allo stesso tempo, prodotto dalla rappresentazione di tragedie individuali comicamente piccole (`relative’) se riferite alla complessità del mondo.

Tambone

Dopo gli studi alla scuola della Scala e all’Istituto coreografico di Mosca entra nel corpo di ballo milanese nel 1982, diventandone primo ballerino nel 1984. Danzatore brillante, si distingue in ruoli di mezzocarattere nei classici ottocenteschi ( Coppélia ) e nei balletti narrativi del Novecento (Mercuzio in Romeo e Giulietta di John Cranko, Lescaut in L’histoire de Manon di Kenneth MacMillan). Dal 1994 è anche insegnante della Scuola di ballo della Scala.

travesti

Il travesti è disciplina del varietà che consiste nell’interpretazione in abiti femminili da parte di artisti uomini, di numeri di danza, canto o arte varia. Il travesti classico generalmente non è un numero volgare o grottesco, ma si basa sull’eleganza dei costumi e della gestualità, tanto che spesso l’attrazione maggiore sta nel dubbio sul reale sesso dell’artista. Il più celebre travesti del secolo è probabilmente il trapezista Barbette, adorato da Jean Cocteau. Oggi tale arte è conservata soprattutto dall’italiano Arturo Brachetti. Il travesti ha particolare popolarità nei varietà tedeschi.

tip tap

Il tip tap è una forma di danza popolare spontanea, in seguito teatralizzata, con una doppia derivazione, bianca (dalla danza degli zoccoli di legno irlandese e inglese) e nera (dai ritmi dei balli percussivi di origine africana). È praticata con speciali scarpe dotate di rinforzi metallici sotto le punte e i tacchi per amplificare la sonorità dei passi battuti sul pavimento. Dagli artisti afroamericani del Minstrel Show di fine Ottocento ai divi hollywoodiani del cinema musicale come Ginger Rogers, Fred Astaire e Gene Kelly, si è evoluto in numerose e diversificate forme spettacolari, fino a emigrare anche in Australia, con i Tap Dogs che lo propongono in un contesto metalmeccanico da officina industriale urbana.

Tap Dogs

Scarponi chiodati, t-shirt e look da maschio metallurgico, i sei hanno messo in scena uno spettacolo di settantacinque minuti che coniuga la tap dance con acrobazie post-industriali, utilizzando sbarre d’acciaio, frese da operaio e piattaforme mobili. Lo spettacolo, creato dall’australiano Dein Perry e dallo scenografo e regista Nigel Triffit su musiche di Andrew Wilke, ha debuttato a Sydney nel 1995 e da allora gira il mondo in tournée e con tre compagnie itineranti: Dein Perry guida il cast australiano in Nord America, il fratello Sheldon guida un altro cast in Australia e Asia, mentre Paul Robinson è il responsabile del cast inglese in Europa.

Tcherina

Ludmila Tcherina si forma a Parigi con Préobrajenska e Blanche d’Alessandri e, dopo essersi esibita in alcuni spettacoli e concerti di danza, debutta con Lifar nel suo Romeo e Giulietta a Parigi (1942). Si perfeziona con Kniaseff e successivamente entra all’Opéra di Marsiglia come prima ballerina (Romeo e Giulietta, Mephisto valse in coppia con il marito Edmond Audran). Danza con i Nouveaux Ballets de Monte-Carlo e con i Ballets des Champs-Elysées (Forains di Petit). Dal 1948, con l’interpretazione cinematografica di Scarpette rosse , alterna l’attività di ballerina a quella di attrice. Danza in Giselle , La morte del cigno (entrambi alla Scala, 1954-55) e in Le martyre de Saint Sébastien di Sparemblek. Nel 1958 forma una sua compagnia (tra i successi del repertorio: Les amants de Teruel, Feu aux poudres) e nel 1961 è nel Ballet du XXème siècle in Gala di Dalí-Béjart. Tra le interpretazioni cinematografiche ricordiamo I racconti di Hoffmannn (1951), Oh, Rosalinda! (1955).

Toller

Figlio di un commerciante, Ernst Toller studia diritto a Grenoble e nel 1914 torna in Germania per andare volontario in guerra, ma nel 1916 diviene antibellicista. Dimesso dall’esercito a causa di una ferita, si dedica agli studi a Monaco e a Heidelberg. Prende parte alla rivoluzione di novembre a Monaco e ricopre un ruolo importante nel movimento spartachista che porta alla costituzione della Repubblica bavarese dei Consigli nel 1919. Dopo la sconfitta Toller, sostenitore dell’idea di una ‘rivoluzione dell’amore’ e della non violenza, viene condannato a cinque anni di reclusione. Dopo il suo rilascio si reca a Berlino e collabora con la Weltbühne. Nel 1933, all’avvento del nazismo, emigra attraverso la Svizzera, la Francia e l’Inghilterrra negli Usa. La sensazione di fallimento dei suoi ideali di non violenza lo conduce alla depressione, alla rassegnazione e infine al suicidio.

Il suo primo dramma, La svolta (Die Wandlung 1919), testimonia la sua crisi esistenziale, ma vi si riscontra ancora l’apertura alla speranza in un futuro di fraternità tra gli uomini e l’utopia di una società dove le differenze tra le classi sociali verranno superate. Nelle opere scritte in seguito (Uomo massa, Masse-Mensch, 1921; I distruttori di macchine, Die Maschinenstürmer, 1922), la visione del mondo è improntata a un maggiore pessimismo e l’orizzonte storico appare oscurato dall’ombra del fallimento degli ideali. Anche Oplà, noi viviamo! (Opplà, wir leben!), scritto nel 1927 e messo in scena con la regia di E. Piscator, è caratterizzata dallo stesso clima di caduta delle illusioni. L’ultima opera, Il pastore Hall (Pastor Hall), scritta nel 1939, tocca il tema delle persecuzioni naziste. La lingua teatrale di Toller è un esempio significativo della tendenza all’esasperazione propria dello stile espressionista. Altri drammi meno noti che vanno tuttavia ricordati sono: Wotan scatenato (Der entfesselte Wotan, 1923), Risveglio (Erwachen, 1924), Miracolo in America (Wunder in Amerika, 1931), La dea cieca (Die blinde Göttin 1933) e No more peace del 1937.

Trieste

Autore di alcune opere teatrali, Leopoldo Trieste si afferma in palcoscenico e soprattutto al cinema come caratterista di talento. Il suo esordio come commediografo è più che brillante. Dopo una laurea in lettere e il premio Corsi, scrive Una notte ai Quattro di picche e poi Nascere un uomo . Nel 1941 si iscrive al Centro sperimentale di cinematografia e intanto vede la luce Ulisse Moser , scritto per il teatro. Seguono Il lago , Racconto d’amore e Trio a solo . Con Frontiera cambia decisamente genere e debutta al Quirino di Roma nel primo dopoguerra. I temi sono quelli del conflitto, e incontrano il favore di un pubblico sceltissimo che comprende D’Amico, Pandolfi, Costa, Fiocco, Bontempelli e Piovene. Bontempelli parla allora della «nascita di un giovane poeta drammatico». Trieste scrive poi Cronaca, la prima opera sull’olocausto. Con N.N. debutta al Teatro delle Arti di Roma e al Piccolo di Milano, a soli ventotto anni. Ma presto i suoi soggetti teatrali vengono adottati dal grande schermo che si appropria definitivamente del suo talento.

Tsinguirides

Studia danza classica alla Scuola del balletto di Stoccarda ed entra nell’omonima compagnia nel 1947, diventando solista nel 1955 e lavorando nelle maggiori produzioni allestite da Nicholas Beriozoff. Negli stessi anni studia coreologia a Londra, diplomandosi nel 1966 presso il Rudolf Benesh Institut of Choreology e ottenendovi una borsa di studio nel 1973. Coreologa del Balletto di Stoccarda, riallestisce tutti i balletti di John Cranko per la compagnia tedesca e per le più importanti compagnie di ballo internazionali.

Tiezzi

Nel 1977 Federico Tiezzi si laurea a Firenze in storia dell’arte. Con Sandro Lombardi e Marion D’Amburgo, fonda Il Carrozzone (noto successivamente come Magazzini criminali e poi, semplicemente, I  Magazzini) che debutta nel 1972 con Morte di Francesco . L’anno dopo, al primo Festival Nuove Tendenze, a Salerno, dirige La donna stanca incontra il sole con cui il gruppo è salutato come esponente di punta dell’avanguardia italiana. Alla poetica `concettuale’ della seconda metà degli anni ’70 vanno rincondotti Presagi del vampiro, Vedute di Porto Said, Studi per ambiente e Punto di rottura, spettacoli-manifesto del lavoro sul linguaggio drammaturgico che darà la notorietà al gruppo in tutta Europa.

Al 1981, dopo l’allestimento di Ins Null (allo stadio olimpico di Monaco, con Hanna Schygulla), risale l’incontro con Fassbinder che filmerà Ebdòmero (spettacolo del ’79, tratto dal romanzo di Giorgio De Chirico) e Crollo nervoso (1980), due degli allestimenti che, insieme a Sulla strada (libera rilettura di Kerouac, Biennale Teatro, 1982) segnano la definitiva consacrazione del gruppo a livello internazionale. Con Genet a Tangeri , Ritratto dell’attore da giovane e Vita immaginaria di Paolo Uccello, tutti allestiti tra il 1984 e il 1985, Tiezzi mette a punto la teoria e la pratica del teatro di poesia che connoterà la produzione artistica del gruppo dalla seconda metà degli anni ’80 in poi. Alla parabola del `teatro di poesia’ appartengono la prima mondiale del Come è di Beckett (premio Ubu per la miglior regia nel 1987) su drammaturgia di Franco Quadri, l’Artaud realizzato lo stesso anno a Kassel, l’Hamletmachine e Medeamaterial di Heiner Müller del 1988.

Nel 1989, torna a Beckett e firma l‘Aspettando Godot prodotto dallo Stabile di Palermo. Intanto dirige un laboratorio di formazione per attori al Metastasio di Prato, lavorando sulla Divina commedia . Tra il 1989 e il 1991, mette in scena le tre cantiche affidandone la rielaborazione drammaturgica a Edoardo Sanguineti (Commedia dell’Inferno), Mario Luzi (Il Purgatorio – La notte lava la mente ) e Giovanni Giudici (Il Paradiso – perché mi vinse il lume d’esta stella ). Nel ’90 riallestisce Hamletmachine per il Teatro Taganka di Mosca e il Tokyo Theatre Festival. Premio Ubu per la miglior regia con Edipus di Giovanni Testori (autore rivisitato in seguito anche con Cleopatràs , con Sandro Lombardi), nel ’91 firma la regia di Adelchi del Manzoni e, su drammaturgia di Nico Garrone, della verghiana Nedda per il Teatro di Roma, prima di allestire il beckettiano Finale di partita per il Centro teatrale bresciano.

Da sempre affascinato anche dal teatro musicale, lavora con Brian Eno, Jon Hassel, Giancarlo Cardini e Salvatore Sciarrino. Nel ’91 esordisce nella lirica con la Norma (al Petruzzelli di Bari), cui fa seguito il Barbiere di Siviglia (1993, per i teatri di Messina e Treviso, ripreso nel 1995 alla Fenice di Venezia). Del 1995 è la regia di Carmen (Comunale di Bologna) e Felicità turbate, testo di Luzi con musiche di Giacomo Manzoni. Prima del più recente Scene d’ Amleto e del Dido and Aeneas di Purcell ha realizzato Madama Butterfly di Puccini per il Vittorio Emanuele di Messina.

Tamberlani

Figlio d’arte, dopo aver recitato con il padre, Carlo Tamberlani nel primo dopoguerra lavora con diversi gruppi prima di entrare nella compagnia di Starace-Sainati, di cui assumerà la direzione con il fratello Nando. Attraverso altre esperienze arriva nel 1933-34 a lavorare con la Palmer e a interpretare: Ippolito di Euripide (Vicenza 1934), Agamennone di Eschilo e Ifigenia in Aulide di Euripide (1934). Nel 1935 è con Cele Abba in Coriolano e in Giulio Cesare di Shakespeare. Nel 1936 intraprende una ventennale carriera di insegnante di recitazione all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’. Nel frattempo lo si ricorda nell’ Edipo a Colono di Sofocle (1946), in Rosalinda (Come vi piace) di Shakespeare (regia di Visconti, 1948) e in Corruzione a Palazzo di Giustizia di Betti (1949). Dopo aver diretto in Spagna il Teatro Stabile di Barcellona (1950-52), torna sulle scene in allestimenti come Racconto d’inverno di Shakespeare (1954), L’albergo dei poveri di Gor’kij (1954), Il gran teatro del mondo di Calderón (1955), Coriolano di Shakespeare (1946). In Sicilia, a cavallo degli anni ’60, sarà interprete di Le baccanti di Euripide (Teatro greco di Tindari, 1959), Tutto per bene di Pirandello e Una luna per i bastardi di O’Neill (Palermo 1961). Lo si ricorda anche come interprete di numerosi film anche se di scarso rilievo artistico.