Remondi

Claudio Remondi (Roma, 1927, Roma 2013) e Riccardo Caporossi (Roma 1946). Insieme da oltre ventisette anni, lavorano per la realizzazione di spettacoli nei quali partecipano anche come attori. La loro poetica si basa su una comunicazione del gesto, attraverso la quale la parola diviene immagine. L’uso ingegnoso di macchine e la ricerca espressiva dei materiali poveri sono la cifra caratteristica del loro lavoro. Provenienti da retroterra artistici differenti (dal teatro tradizionale R.; da studi figurativi e architettonici C.), i due attori hanno fuso queste diverse formazioni affermando un loro proprio e autonomo linguaggio lirico-espressivo. Dal 1972 sono i direttori responsabili della Compagnia Club Teatro con sede a Roma con la quale svolgono una continua e coerente attività. Hanno rappresentato i loro spettacoli oltre che in Italia anche in programmazioni e festival internazionali. Hanno inoltre collaborato con istituzioni accademiche italiane, trasmettendo il loro modo di far teatro e sviluppando progetti di laboratorio rivolti a giovani attori con i quali hanno realizzato spettacoli in qualità di registi e attori.

Di rara e suggestiva bellezza visiva, gli spettacoli dei due artisti romani si configurano come sofferta riflessione della condizione esistenziale, in cui la levità del gesto e la grammatica di parole non dette, che rimandano a figure beckettiane, si dilatano in immagini soffuse di intensa poesia chapliniana. Una particolare proposta drammaturgica contemporanea consolidata da una singolare scrittura scenica che ha dato vita a spettacoli che difficilmente saranno dimenticati: Sacco (1973), Richiamo (1975), Teatro (1982), Bosco, Spera, Rem & Cap, Quelli che restano, Mondo nuovo . Con Senza fine (1984) C. dà inizio a un lavoro autonomo senza il partner di sempre, che evoca e fa vivere comunque nello spettacolo, come suo alter ego. Sulla scena i vestiti di Rem sono dispiegati su una seggiola e poi indossati dall’attore protagonista. Storia sospesa tra il futuro e la realtà quotidiana, Senza fine , racconta la storia di un uomo solo che in un giorno del futuro riceve e accumula notizie dal mondo mediante un personaggio fittizio, inviato speciale dalle sue stesse sembianze. Lo spettacolo coinvolge di persona lo stesso Caporossi, comunicatore con un altro da se (Rem) spiato in video, in un rapporto di desolante solitudine, destinata a confrontarsi con un mondo virtuale dove non esiste più alcuna sensibilità umana. Anche in questa performance i riferimenti all’amato Beckett non mancano, così come quelli a Chaplin e ai musici ambulanti, con fisarmonica e smorfie di riso che tanto ricordano quelli surreali di Fellini.

Con Romitori (1996) la collaudata coppia ritorna in scena insieme, per raccontare con appassionata intimità la storia di due personaggi, Rem & Cap, che si allontanano dalla confusione del mondo, consapevoli di attraversare una solitudine senza fine, verso una zona marginale o nel cosiddetto `deserto ardente’, luogo infestato da fiere e demoni. Tra un’ironia e una comicità che talvolta scivola nel grottesco, i due omini si confessano le loro tentazioni. Al loro fianco, costantemente, due figure come angeli custodi che assistono ai loro vaneggiamenti. Nel palcoscenico nudo che rimanda un’immagine di illimitata serenità, mondo dell’intima contemplazione, le parole strappate al silenzio del romitaggio dei protagonisti, sono soffocate tra frastuono di lontane valanghe e metamorfosi di suoni. Uno spettacolo quasi metafisico che rapisce l’attenzione e conduce in altri mondi. Come sempre in ogni rappresentazione, Caporossi ha curato la scenografia creando una serie di disegni, grafici, story board , parte costitutiva fondamentale della loro scrittura per immagini. C. inoltre negli ultimi anni ha realizzato autonomamente dei laboratori con giovani allievi: da Purgatorio condotto nel 1994-95 con un gruppo di ragazzi delle medie superiori di Modena a Intervallo, realizzato nell’edizione 1997 di Teatro di Frontiera, fino ai più recenti Cento, il cavaliere del sogno (1998) e Atti per nulla (1998), una riflessione sulla nascita dell’uomo e sul dubbio dell’inutilità del vivere.

Claudio Remondi muore a Roma il 15 febbraio 2013. Negli utlimi anni si era ritirato dalle scene a causa di una malattia invalidante, senza tuttavia abbandonare idealmente il lavoro del collega Riccardo Caporossi, che prosegue nell’attività registica, interpretativa e nella formazione di nuove leve di attori e sperimentatori.