musical

Se dobbiamo semplificare al massimo, il musical è uno spettacolo composto di canto, danza e recitazione e interpretato da attori, cantanti e ballerini: talvolta le tre qualifiche riunite in una sola persona, talvolta ad indicare tre gruppi diversi; m. è un aggettivo. È, quando definisce uno spettacolo, l’abbreviazione di un musical comedy (commedia musicale) e questo sarebbe il modo corretto di indicarlo, vuoi in inglese vuoi in italiano. Ma la parola m., ormai, si è spinta oltre e viene usata per indicare il musical drama (dramma musicale), come lo splendido The Cradle Will Rock di Marc Blitzstein, per esempio; oppure qualcosa che andrebbe più correttamente definito come operetta, come Rosalie di Cole Porter. In tempi più recenti la definizione m. è passata a indicare anche la cosidetta opera rock, come Jesus Christ Superstar , e altri altri succedanei sia di Andrew Lloyd Webber che della copppia Boublil & Schönberg, sicché il purista del m. (o almeno della coretta definizione di m.) rabbrividisce quando sente citare le opere di questi autori come `unici’ esempi di m. Comunque, ormai, la definizione si è abbastanza allargata alle varie forme di spettacolo che sono all’origine del musical stesso.

Se è corretto affermare che l’origine storica del musical è quel mitico The Black Crook andato in scena il 12 settembre 1866 al Niblo’s Garden Theatre (per la cronaca lo spettacolo durava cinque ore e mezza!) e nata per caso dall’unione fra una compagnia di ballo e canto importata dall’Europa e rimasta senza teatro, con una compagnia di prosa alle prese con una messa in scena assai più costosa del previsto, bisogna comunque e continuamente ricordare le origini di spettacolo popolare che ha il musical E qui popolare non ha affatto la connotazione di `volgare’ o `basso’. No, popolare nel senso di rivolgersi alla massa del pubblico, a un pubblico molto variegato che doveva poter seguire lo spettacolo come il vaudeville (corrispondente al nostro varietà). Proprio negli Usa si riuniva un vasto, seppure non ricco di denaro, pubblico potenziale formato di gente che aveva in comune una grande caratteristica: appartenendo alle etnie più diverse, essendo formato di immigrati in Usa, facilmente non parlava bene (o affatto) e non intendeva bene (o affatto) la lingua franca della nazione: cioè l’inglese. Il musical dunque, supera lo spezzettamento del varietà, lega il pubblico all’interesse per una storia (che traspare chiaramente nello spettacolo) e lo affascina con lo stesso tipo di emozione circense che lo aveva colpito nel vaudeville: la bravura degli atleti, la grazia delle ballerine, la capacità nel canto, e così via. E proprio come nell’Europa del melodramma l’entusiasmo del pubblico e la generosità dei mecenati avevano concorso a un moltiplicarsi di opere (di Opere), anche a New York, a Broadway, nasce una tradizione che si diffonde a macchia d’olio, che porterà gli spettacoli fuori dai confini di Manhattan e in giro per le grandi e le piccole città degli Usa; e già negli anni ’20 certi spettacoli di Broadway cominciano a raggiungere i teatri del West End a Londra e magari, ma più tardi, altre città in Europa.

Ancora più tardi, il musical, figlio e nipote di forme teatrali nate in Europa, ai paesi non anglofoni in Europa sta tornando; vuoi tradotto nelle rispettive lingue, vuoi `sopratitolato’ (come l’opera lirica al Metropolitan di New York) vuoi affidandosi, come alle origini del genere, a quella capacità stessa dello spettacolo di rendersi comprensibile al pubblico per la sua forma peculiare. Inutile dire che la diffusione del musical attraverso le versioni che ne ha fornito il cinema di Holliywood, ha contribuito alla maggiore conoscenza e popolarità di questo genere. Una distinzione comunque va fatta quando si parla di musical: è quella tra il classico backstage musical (musical fra o dietro le quinte), un tipo di spettacolo che racconta se stesso mettendo in scena la messa in scena di uno spettacolo o qualunque altro pretesto affine: vedi l’esempio altissimo di The Band Wagon ( Spettacolo di varietà si chiamava il film che ne fu tratto nel 1953) e il musical di tipo narrativo, quando questa peculiare forma di spettacolo viene scelta per raccontare o tradurre una storia, che può essere tratta da un romanzo, un ciclo storico o addirittura una commedia, come, per esempio Man of La Mancha , Camelot o Hello, Dolly!

Lloyd Webber

Figlio di un compositore e di una pianista e fratello di Julian Lloyd W., affermato violoncellista e compositore, Andrew Lloyd Webber, precoce talento musicale, compie studi di architettura e di storia a Oxford; qui conosce Tim Rice, che sarà poi l’autore di molti libretti dei suoi musical. Dopo aver frequentato il Royal College of Music, compone su versi di Rice diverse canzoni e nel 1968 affronta il teatro musicale con un’opera-pop in forma di oratorio (Joseph and his Amazing Technicolour Dreamcoat), imperniata sulle vicende di Giuseppe, figlio di Giacobbe, esule in Egitto al servizio del faraone; l’opera sarà ripresa e rimaneggiata in anni più recenti. Il primo successo mondiale dei due amici è Jesus Christ Superstar , ‘opera-rock’ rappresentata per la prima volta nel 1971 al Mark Hellinger Theatre di New York, dove totalizza settecentoundici rappresentazioni, più di tremilatrecento repliche a Londra e altre in diversi paesi del mondo. È il primo trionfo, che assicurerà a Webber la fama, guadagni favolosi e la nomina a baronetto; fra l’altro sarà il primo musicista a quotare in borsa le azioni della società appositamente costituita per lo sfruttamento commerciale dei suoi lavori. Jesus Christ Superstar, originato da un disco rock, mette in scena la Passione di Cristo in maniera giovanilistica e scanzonata, ricorrendo per la musica agli stili più diversi (non soltanto al pop-rock), in una mescolanza molto abile e con risultati interessanti, tutti affidati al canto e alla danza. Tra le canzoni più note: “Heaven in Their Minds”, “I Don’t Know How to Love Him”, “Hosanna”, “King Herod’s Song”, “Superstar”.

Jeeves, del 1975, è un musical sul personaggio dell’impeccabile maggiordomo creato da P.G. Wodehouse, su libretto di Alan Ayckbourn; le accoglienze sono tiepide. Torna il successo su larga scala con Evita (1978), basato sulla biografia di Eva Perón, consorte del presidente argentino in bilico tra populismo e totalitarismo. Presentato con la regia di Hal Prince, protagonista Patty Lupone, Evita vanta alcuni motivi diventati famosi come “Requiem for Evita” e “Don’t Cry for me, Argentina”. Per Cats (1981) lo stesso Webber scrive testo e versi, oltre la musica, adattando il poemetto Old Possum’s Book of Practical Cats di T.S. Eliot, imperniato attorno a un gatto che, alla fine della notte, verrà scelto per salire nel paradiso dei felini. Giudicato il musical più fantasioso mai approdato sui palcoscenici di Broadway (fastosa la messinscena di Trevor Nunn, direttore della Royal Shakespeare Company), Cats è un altro grande successo. Dopo Song and Dance (1982) è la volta di Requiem (1985), oratorio-pop presentato a New York con la direzione d’orchestra di Lorin Maazel. Dello stesso anno è Starlight Express , storia di treni di diverso tipo e di diversa nazionalità in gara fra loro, su testo di Richard Stilgoe: in una costosissima messinscena, che sfrutta ampiamente la tecnologia, i treni sono `interpretati’ da attori rivestiti di metallo e dotati di pattini a rotelle; si impone, tra i numeri musicali, “Only He”.

Effetti scenici ancora più strepitosi vengono offerti in Phantom of the Opera ( Phantom negli Usa), del 1986, dal romanzo di Gaston Ledoux, sul musicista sfigurato che si aggira nei meandri dell’Opéra; più vicino all’opera lirica che al rock, lo spettacolo (regia di Hal Prince) conquista i più. Meno felicemente sono accolti i successivi Chess, Time (entrambi su testi di T. Rice) e Aspects of Love , del 1989, tratto da un libro di David Garnett, storia d’amore fra un diciassettenne e un’attrice di ventidue anni: le canzoni più riuscite sono “Love Change Everything” e “The Very First”. A parte Tell Me On Sunday , l’ultimo musical di vasto successo – sia pure discusso da alcuni critici – è Sunset Boulevard (1993), tratto da Christopher Hampton (versi di Don Black) dall’omonimo film del 1950 diretto da Billy Wilder (Viale del tramonto), sulla sorte malinconica di una ex attrice di Hollywood che non si rassegna all’inattività; il ruolo che nel film era di Gloria Swanson viene affidato sulla scena a Patty Lupone (regia di Trevor Nunn). Produttore di commedie altrui, compositore di canzoni e di motivi di circostanza (come per un campionato di calcio), W. compone anche per il cinema (Gumshoe di S. Frears, 1972; Dossier Odessa di R. Neame, 1974). Inoltre segue la trasposizione su pellicola dei suoi musical Jesus Christ Superstar (1973; regia di Norman Jewison, direzione musicale di André Previn) e Evita (1996; regia di Alan Parker, con Madonna protagonista); in questa occasione, alla partitura del musical aggiunge una canzone nuova, “You Must Love Me”, cui viene attribuito l’Oscar 1996 per la migliore canzone. Innovatore del teatro musicale britannico, Webber è un artista scaltro oltre che dotato, capace di fondere la musica pop con le ballate e il romanticismo dei tempi passati in esiti melodici e ritmici di facile presa, tra l’ispirazione autentica, il kitsch e il post-moderno. Raggiunge la popolarità più vasta – e la posizione finanziaria più vistosa – di tutti i musicisti del nostro tempo, lasciando comunque un segno personale e marcato nel panorama dello spettacolo musicale contemporaneo.