Colizzi

Pino Colizzi inizia la carriera, diciassettenne, a Bari in una compagnia di operette. Poi studia all’Accademia d’arte drammatica di Roma, dove si diploma. Subito dopo viene scritturato dalla compagnia di Visconti per piccoli ruoli in Uno sguardo dal ponte di A. Miller e Figli d’arte di D. Fabbri. Nel 1984 interpreta Così è (se vi pare) diretto da Zeffirelli, con il quale era stato anche in Romeo e Giulietta e La lupa di Verga; è del 1996, con la regia di E. Coltorti, La dodicesima notte (Malvolio) a fianco di Renzo Montagnani. Grandissimo doppiatore, ha il suo momento di gloria quando doppia Robert Powell dando voce italiana al Gesù di Zeffirelli. In televisione, dopo essere stato il protagonista dello sceneggiato Tom Jones , è stato Vronskij in Anna Karenina e poi interprete di primo piano in L’assedio, Così è (se vi pare), Dei miei bollenti spiriti e La piovra .

Sportelli

Figlio d’arte, Franco Sportelli si formò nell’ambiente della sceneggiata e del cabaret, e a Napoli recitò per un lungo periodo nella Scarpettiana di Eduardo De Filippo. Nel 1960, dopo alcuni anni di inattività, venne riscoperto da Giorgio Strehler sotto la cui direzione recitò in Schweyk nella seconda guerra mondiale di Brecht (1961), interpretando Baloun, personaggio attanagliato da fame atavica, al quale Sportelli dona la verve propria del partenopeo Pulcinella. Nel 1963 partecipa a I burosauri di S. Ambrogi, nella parte di un travet sottomesso e umiliato e, dopo aver lavorato con G. Patroni Griffi nella sua riduzione del testo di Viviani Napoli notte e giorno , interpreta in maniera esemplare la patetica figura dell’attore di sceneggiate napoletane in Ma cos’è questa crisi (1965). A questo spettacolo resta maggiormente legato il suo ricordo, per la capacità di svolgere con ironia e grande senso della misura un ruolo che era molto legato alla sua storia personale. Oltre alla partecipazione televisiva in Il cappello del prete, sono da segnalare le sue interpretazioni nei film I giorni contati di Elio Petri (1962) e Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy (1962).

Mauriac

Appartiene alla linea degli scrittori cattolici, nei suoi romanzi, tutti più o meno incentrati nella provincia e campagna francese, è il tema delle passioni e della colpa a muovere l’azione ( Nodo di vipere , 1925; Thérèse Desqueyroux , 1927; Gli angeli neri , 1936). Nel 1952 ha ricevuto il Nobel. Nel teatro esordisce con Montefigue (1907), accolto con molto favore dalla critica. Nel 1937 scrive Asmodeo (Asmodée), opera difficile, incentrata sulla figura di un seminarista, che impone con successo la sua rigida morale giansenista a una giovane vedova, mosso unicamente dal desiderio di dominare e possederne l’anima. L’opera suscitò reazioni discordanti da parte del pubblico e della critica. Il linguaggio forte utilizzato, la maestria nella costruzione della complessa psicologia del personaggio, ne fanno un’opera di indubbio interesse. L’indagine sull’animo umano, sondato fino nel profondo delle passioni che lo muovono «al di là e a dispetto delle parole», i rapporti umani con le loro modalità e le loro anomalie, le tensioni dell’anima alle prese con i problemi del male, della grazia e della salvazione sono fra i temi più cari a M. anche nei lavori successivi, come Amarsi male (Mal aimés, 1945), Passaggio del diavolo (Le passage du Malin, 1947), Il fuoco sulla terra (Le feu sur la terre, 1950). È autore anche di saggi e di biografie, tra cui la celebre Vita di Gesù (1936).

Olivier

Laurence Olivier affrontò i primi ruoli shakespeariani (fra gli altri la Caterina di una Bisbetica domata presentata anche a Stratford) quando andava ancora a scuola, e iniziò la carriera professionale nel 1924, affascinando il pubblico in drammi e commedie di consumo (soprattutto in Vite private di Coward). Ma nel 1935 tornò a Shakespeare, l’autore cui rimase legato per tutta la carriera, con un memorabile Romeo e Giulietta in cui si alternava con J. Gielgud nei ruoli di Romeo e Mercuzio. Nel frattempo aveva già iniziato una fortunata carriera cinematografica, in patria e a Hollywood, che proseguì per tutta la vita, con frequenti ritorni alle scene. Dal 1937 al 1938 recitò per la prima volta all’Old Vic, affrontando personaggi come Amleto (che portò anche a Elsinore), Enrico V, Macbeth, Iago e Coriolano; nel 1940 riprese Romeo e Giulietta accanto alla seconda moglie, Vivien Leigh; dal 1944 al 1946 tornò all’Old Vic come condirettore, insieme a R. Richardson e al regista J. Burrell, in stagioni che passarono alla storia come il punto più alto della recitazione inglese del ventesimo secolo, e aggiunse al suo repertorio Riccardo III , Re Lear , Hotspur di Enrico IV , nonché Edipo e l’Astrov di Zio Vanja che avrebbe ripreso anche in seguito; nel 1951 interpretò, ancora con la Leigh, Antonio e Cleopatra e il Cesare e Cleopatra di Shaw; nel 1955 apparve a Stratford come Malvolio, Macbeth e Titus Andronicus. Nel frattempo aveva diretto, oltre ai suoi tre famosi film shakespeariani, spettacoli nei teatri di Londra e New York.

Poi nel 1958 la svolta, che sorprese i suoi fans e ravvivò il suo declinante interesse per il teatro: decise infatti di interpretare al Royal Court, allora il teatro più giovane di Londra, The Entertainer di J. Osborne, rivelando doti inattese di attore comico e di istrione da sale di varietà; affrontò poi Ionesco, facendosi dirigere da O. Welles ne Il Rinoceronte (1960). Nel 1963 fu nominato direttore dell’appena costituito National Theatre e, nel decennio in cui conservò questa carica, aggiunse alla sua impressionante galleria di interpretazioni memorabili Otello, Shylock e i protagonisti di Danza di morte di Strindberg e di Lungo viaggio verso la notte di O’Neill. Tornato alla libera professione, intepretò con la regia di Zeffirelli Sabato, domenica e lunedì di Eduardo accanto alla terza moglie J. Plowright, che diresse qualche anno dopo in Filumena Marturano . Sir dal 1947, Lord dal 1970, fu riconosciuto anche ufficialmente come il massimo attore del suo tempo, specie in quei ruoli shakespeariani che richiedevano presenza fisica, vigore, e capacità di misurarsi con i propri demoni. Pubblicò un volume di memorie e un libro d’appunti sulla recitazione.

Prosperi

Figlio del critico e autore Giorgio, Mario Prosperi è tra i fondatori del Centro universitario teatrale di Roma, con Proietti, Calenda, Gazzolo e De Berardinis. Traduttore, adattatore per il teatro e la televisione, P. inizia l’attività registica con Il tubo e il cubo di A. Frassinetti (1967, Teatro Valle), e, nel 1968 collabora al Teatro Club di G. Guerrieri. L’anno successivo R. Giovanpietro mette in scena il suo Persecuzione e morte di Girolamo Savonarola , presentato alla Biennale di Venezia. Nel 1974 P. inaugura lo spazio de “Il politecnico” di Roma (di cui dirige la sezione teatro) con il suo Il dottor Franz Fanon psichiatra in Algeria . Nel 1979 per l’Istituto nazionale del dramma antico traduce e mette in scena La donna di Samo di Menandro, più volte ripreso in Italia e all’estero. Autore prolifico e interprete appassionato, si ricordano, tra le altre produzioni che lo vedono autore, regista e attore, Il presidente (1980), Nadia e Gaspare (82), La figlia di Augusto (83), Produzione De Cerasis (84), La mamma di Nerone (86), Quo vadis? (87), Eloisa e il suo maestro (94), Le jeu de Saint Nicolas (95). Studioso attento, Prosperi, collabora con “Il tempo” dal 1976 al 1985 e tiene seminari di drammaturgia.

Marini

L’attività di Giorgio Marini, caratterizzata dalla stretta collaborazione con personalità del mondo letterario e musicale, si muove attraverso l’interazione tra discipline artistiche diverse. Così, i primi spettacoli come Teologi di Borges (1969), Angelo custode di Fleur Jaeggy (1972), Impuro folle di R. Calasso (1974) e Un tram chiamato Thalulah della Jaeggy (1975), sono tutte elaborazioni personali di testi letterari. Tra il 1976 e il 1980 si dedica al teatro dell’opera come librettista, scrivendo Aspern (1978) e Cailles en sarcophage (1979) con il compositore S. Sciarrino. Queste esperienze lo portano a sperimentare strutture spettacolari articolate, evidenti soprattutto in Doppio sogno di Schnitzler (1981), Diluvio a Nordernej su testi di K. Blixen (1984), Fanatici di Musil (1986), Zoo o lettere di non amore da V. Sklovskij (1991). Si ricordano ancora le messe in scena di Il gran teatro del mondo di Calderón de la Barca, Il bagno di Diana da P. Klossowski (1988), La coltivazione degli alberi di Natale (1989) da tre Ariel poems di Eliot e Riunione di famiglia (1992) sempre di Eliot. Ritorna a dedicarsi alla regia lirica nel decennio 1980-90, collaborando con il Teatro La Fenice di Venezia all’allestimento di Butterfly di Puccini (1983), Rake’s Progress di Stravinskij (1985) e Lulu di Berg (1990). Dal 1989 tiene corsi di recitazione presso l’Università Cattolica, la Scuola d’arte drammatica `P. Grassi’ e l’Accademia d’arte drammatica `S. d’Amico’, i cui saggi conclusivi, come ad esempio Judit (1991) di F. Della Valle e Le danze (1992) su testi di Djuna Barnes e Gertrude Stein, si sono rivelati ottimi esperimenti scenici.

Sambin

Diplomatosi in musica elettronica nel 1975 al Conservatorio `Benedetto Marcello’ di Venezia, Michele Sambin indirizza subito il suo interesse verso l’incontro tra le varie arti (musica, video, fotografia, pittura, teatro) che si esemplifica già nei suoi primi lavori per la Galleria d’arte moderna di Bologna ( Autoritratto per quattro camere , 1977) e per la Biennale (Looking for liftening – opera video , 1978); nello stesso anno è presente al Palazzo Reale di Milano con la performance Il tempo consuma nell’ambito della manifestazione `Le camere Incantate’. Nel 1980 con Pierangela Allegro e Laurent Dupont, fonda il Tam Teatro Musica di cui cura la maggior parte delle regie e degli interventi musicali sempre attento a tutti gli stimoli provenienti dalle nuove tecnologie ma anche fortemente legato alle suggestioni della tradizione ha anche firmato nel 1995 la regia dell’operina 1995… 2995… 3695 di Marco Stroppa, presentato al Teatro Comunale di Firenze.

Kochno

Trasferitosi giovanissimo a Parigi (1920) Boris Kochno vi conobbe Diaghilev, di cui diventò amico e segretario. Profondo conoscitore del mondo artistico e in particolare musicale, fu impiegato dal grande impresario (che ne apprezzava anche la sensibilità poetica) soprattutto come librettista; in tale veste diede importanti contributi a lavori come Les fâcheux (1924) , Zéphire et Flore (1925) , Les matelots (1925) , La chatte (1927) , Le bal (1929) e Le fils prodigue (1929), oltre al libretto per l’opera buffa di Stravinskij, Mavra (1923) . La sua importanza tuttavia nella storia del balletto del Novecento va ben al di là di quella di soggettista; le intuizioni e i suggerimenti di K. ebbero a influenzare, ammodernandone la concezione, l’ultima fase dei Ballets Russes. Considerato il delfino di Diaghilev (al quale fu accanto a Venezia, nel 1929, al momento della morte), ebbe il rimpianto di non essere riuscito a portare avanti l’impresa dell’illustre `patron’, incapace di tenere uniti i suoi invidiabili ballerini dopo la sua scomparsa. Negli anni ’30 e in quelli successivi riuscirà comunque a collaborare con il mondo del balletto, firmando nuovi libretti quali Cotillon e Jeux d’enfants (Ballets Russes de Monte-Carlo, 1932) e fornendo la sua collaborazione a Balanchine per i Ballets 1933; successivamente assumerà la direzione artistica dei Ballets des Champs-Elysées, sin dalla loro fondazione. Per tutto il dopoguerra e fino alla morte, K. continuerà a essere una delle più eminenti e apprezzate autorità in materia di balletto. Dalla sua penna sono usciti anche due libri di grande rilevanza storica: Le ballet (1954) e Diaghilev et les Ballets Russes (1970).

Howard

Stainer; Londra 1893 – Golfo di Biscaglia 1943), attore e regista inglese. Interprete perfetto in parti che non richiedano né particolari doti fisiche né uno speciale magnetismo, deve la sua fama a ruoli tipici del repertorio romantico: il poeta idealista di La foresta pietrificata (The Petrified Forest, 1935), l’aristocratico inglese che salva la vita ad altri nobili durante il Terrore de La primula rossa (The Scarlet Pimper, 1934), lo studente sedotto dalla cameriera di Schiavo d’amore (Of Human Bondage, 1934), il mite Ashley di Via col vento (Gone with the Wind, 1939). Attore capace di penetrare nella psicologia dei personaggi, H. è stato anche regista di sicuro mestiere in molte opere da lui interpretate. Tra gli esempi di questo doppio ruolo, il celebre Amleto del 1936 e, per il cinema, Pigmalione (Pygmalion, 1938, dalla commedia di G.B. Shaw; regia in collaborazione con A. Asquith), La primula Smith (Pimpernel Smith, 1941), Il primo dei pochi (The First of the Few, 1942). La morte tragica e prematura di H.(il suo aereo venne abbattuto dai tedeschi nel 1943) ha coronato la sua fama di un alone mitico, degno delle migliori interpretazioni di Londra, Broadway e Hollywood.

Benassi

Abbandonati gli studi di violoncello, Domenico Benassi debuttò giovanissimo nella compagnia di Gualtiero Tumiati, per poi essere scritturato dalla Carini-Gentilli. Decisivo fu il suo incontro con Eleonora Duse, con la quale fu Osvaldo negli Spettri di Ibsen e Leonardo ne La città morta di D’Annunzio durante la fatale tournée americana del 1924. Attor giovane con Irma e Emma Gramatica, fu poi accanto a Rina Morelli, Laura Carli, Diana Torrieri, Evi Maltagliati, Elena Zareschi in testi che svariavano da Dumas a Pirandello, da Forzano a O’Neill, da Gozzi a Sartre. Attore estroso e poliedrico, con qualcosa del keaniano genio e sregolatezza, era capace di una replica annoiata all’indomani di un’interpretazione sublime; di cimentarsi con i classici senza precludersi al nuovo; di simulare improvvisazione dietro una preparazione meticolosa, spinta fino a esasperazioni maniacali. Alla costante ricerca di sempre più affinati mezzi espressivi abbinò il contraddittorio risvolto di qualche concessione compiaciuta alla risonanza mattatoriale, soprattutto quando non dovette misurarsi con registi del rigore di Copeau, Simoni, Salvini, Visconti, Costa. Nella sua quasi cinquantennale vicenda di palcoscenico – accompagnata da qualche esperienza cinematografica – si confrontò con centinaia di autori, prediligendo Molière, D’Annunzio, Cechov, Pirandello, O’Neill, ma conseguì forse i massimi traguardi sul versante shakespeariano, dove fu un anticonformistico Amleto, un indimenticabile Shylock nel Mercante di Venezia con la regia di Max Reinhardt e un forse insuperato Malvolio ne La dodicesima notte. Il destino dispose che la sua avventura umana e artistica si concludesse nella congeniale personificazione del maligno Don Marzio nella goldoniana Bottega del caffè .

Ito

Si trasferisce molto giovane in Europa dove segue un seminario di Jaques-Dalcroze a Parigi e a Londra ha l’occasione di incontrare Ezra Pound che, interessato alla cultura cinese e giapponese, convince I. a dedicarsi allo studio del teatro nô, di cui traduce in inglese anche alcuni testi. In seguito il poeta irlandese Yeats assistendo a un suo spettacolo è stimolato ad avvicinarsi alla formula espressiva del teatro nô, caratterizzato da una tecnica di recitazione molto stilizzata che unisce la danza ai gesti, come possibilità di una drammaturgia emancipata dal realismo della rappresentazione. È in questa fase di ricerca che nasce lo spettacolo Al pozzo del falco (1916), rappresentato in un salotto per accentuare l’intimità tra interpreti e spettatori; I. ne è protagonista nel ruolo della donna-falco. Trasferitosi neli Usa, continua la sua attività fino alla seconda guerra mondiale.

Balletto Reale delle Fiandre

Balletto Reale delle Fiandre è stata fondata nel 1969 da Jeanne Brabants che l’ha diretta fino al 1984 anno in cui è stata sostituita dal coreografo russo Valerj Panov. Allo stesso, nel 1987, è succeduto Robert Denvers, già danzatore del Ballet du XXème siècle di Béjart e solista del Balletto Nazionale del Canada. Ampio il repertorio della compagnia, spazia nei vari generi di danza anche se privilegia soprattutto nelle sue scelte il lavoro delle figure più interessanti della coreografia moderna e contemporanea (Balanchine, Béjart, Kylián, Tudor, Flindt fra i molti nomi). Ensemble dinamico e ben preparato, composto da una cinquantina di danzatori provenienti da tutto il mondo, è frequentemente invitato in tournée internazionali comprendenti Europa, Usa, Cina, Giappone ed America latina.

Scofield

Paul David Scofield viene scoperto negli anni ’40 dall’impresario del Birmingham Repertory Theatre, Sir Barry Jackson, insieme a talenti come Richardson, Ashcroft, Olivier e Brook. Sempre seguendo Jackson, S. approda nel 1946 a Stratford-Upon-Avon e al Shakespeare Memorial Theatre dove si cimenta con sempre maggiore abilità nei vari ruoli shakespeariani di cui diverrà in breve interprete esemplare. Indimenticabile il suo Lear sotto la direzione di Peter Brook (1962) per la Royal Shakespeare Company, il Macbeth nel 1967 e più tardi nel 1974 il suo ritratto di Prospero ne La tempesta. Attore estremamente versatile, Scofield non si limita all’ambito shakespeariano, bensì rivolge da subito il suo talento anche al teatro moderno, assumendo con disinvoltura le parti di autori come Fry, Anouilh, Rattingan, Osborne, Hampton, e Bolt per cui nel 1960 interpreta con strepitoso successo Sir Thomas More in Un uomo per tutte le stagioni di R. Bolt. Nel 1989 Scofield impersona il Capitano Shotover ne La Casa del Crepacuore (The Heartbreak House) di G. B. Shaw nell’allestimento di Trevor Nunn e recita in Esclusivo di Jeffrey Archer.

Jude

Charles Jude ha studiato presso il conservatorio di Nizza. Scritturato dall’Opéra di Parigi, è solista nel 1975 e primo ballerino l’anno successivo. Nel 1976 ottiene la medaglia di bronzo al concorso di Tokyo, e diviene étoile dopo una bella e intensa rappresentazione in Ivan il Terribile. Dotato di eleganza e classe superiore, è stato valorizzato soprattutto da Nureyev che, dopo averlo avuto al fianco in Auréole di Taylor (1974), lo ha sovente voluto come partner nelle sue tournée internazionali. Attualmente è direttore del corpo di ballo del Grand Théâtre di Bordeaux.

Kern

Di famiglia ebrea d’origine ceca, Jerome Kern apprende i primi elementi della musica dalla madre, poi frequenta il New York College of Music (pianoforte e composizione), perfezionandosi con insegnanti privati in Europa (Heidelberg e Londra). Nella capitale inglese lavora negli uffici dell’impresario teatrale americano Charles Frohman, attivo nel campo della prosa e del vaudeville, adattando spettacoli musicali. Nel 1905, rientrato in patria, comincia a scrivere canzoni, che vengono utilizzate in vari spettacoli, con altri e poi da solo; in realtà la sua ricchissima produzione interessa tutte le forme del teatro musicale, di volta in volta definite `musical comedy’, `musical party’, `comedy with music’. Il suo primo risultato è The Red Petticoat , del 1912, che unisce il valzer dell’operetta classica e il ragtime. Basandosi su libretti di diversi autori – fra i più felici Oscar Hammerstein II, la coppia inglese Guy Botton e P.G. Wodehouse, e Anne Caldwell – Jerome Kern si afferma a partire dal 1913, anno dello spettacolo Oh, I say!, cui segue una fioritura di successi.

Nel 1915 firma ad esempio cinque spettacoli, fra cui Nobody Home, primo di una serie di commedie musicali intimiste, volutamente lontane dal fasto e dai grandi organici, di carattere decisamente moderno (adatte fra l’altro alla sala cui sono destinate, il Princess Theatre, capace di 300 posti). Appartengono a questo gruppo Oh, Boy! (1917), su un matrimonio tenuto segreto e una coda di equivoci buffi, il tutto ambientato a Long Island e con una musica ispirata al jazz (la canzone “Till the Clouds Roll By” acquista grande popolarità); Leave It to Jane (1917), una piacevole satira dei costumi inglesi; Have a Heart (ancora del 1917: di particolare rilievo la canzone “And I Am All Alone”); Oh, Lady! Lady! (1918). Firmata insieme a Victor Herbert è Sally , gran successo del 1920, vicenda di una Cenerentola moderna che un po’ esalta un po’ canzona la donna americana; dello stesso anno è The Night Boat (canzoni “Left All Alone Against Blues” e “Whose Baby Are You?”); del 1922 The Bunch of Judy (interpretata da Fred Astaire in coppia con la sorella Adele) e The Cabaret Girl (`prima’ a Londra: fa scalpore il numero in cui Dorothy Dickson canta a ritmo di fox-trot “Dancing Time”); del 1925 Sunny , il secondo grande successo degli anni Venti dopo Sally e prima di Show Boat . Sunny si ricorda oggi per i numeri (eseguiti da Marilyn Miller) “D’ye Love Me?” e “Who?”. Dopo Criss Cross (1926), nel 1927 è la volta di Show Boat , la commedia musicale più nota di K. e una delle più popolari in assoluto del teatro americano. Tratta da un romanzo di successo di Edna Farber, ridotto e versificato da Oscar Hammerstein II, contro tutte le convenzioni del teatro leggero racconta una storia complessa, una vera e propria epopea che riguarda quarant’anni di storia americana, vista attraverso gli occhi dei membri di una famiglia di teatranti che si spostano col loro battello-teatro lungo il Mississippi. Ha dunque un’anima drammatica e non si esime per esempio dal trattare problemi razziali: grazie all’eccellenza del testo e soprattutto delle melodie, Show Boat è un trionfo, con 572 repliche nello stesso teatro di debutto (Ziegfeld Theatre), senza contare le innumerevoli riprese. “Ol’ Man River”, la canzone che funge da Leitmotiv , a partire dall’edizione londinese diventa il cavallo di battaglia del grande attore e cantante nero Paul Robeson; ma occorre citare, fra gli altri brani, anche “Can’t Help Lovin’ That Man”, “Life Upon the Wicked Stage”, “Make Believe”, “You Are Love”.

I musical che seguono fatalmente non sono allo stesso livello, anche se annoverano titoli di tutto rispetto come Sweet Adeline (1929, con la torch song cantata da Helen Morgan “Why Was I Born?”); The Cat and the Fiddle (1931; 395 repliche) e Music in the Air (1932; queste ultime di ambiente teatrale ed europeo); Roberta (1933), su un vagheggino che eredita un negozio di mode a Parigi e si innamora di una dipendente, che poi si rivela una principessa russa (bellissima la canzone nostalgica “Smoke Gets in your Eyes”); Three Sisters (1934), Gentleman Unafraid (1938) e Very Warm for May (1939), portato in scena da Vincente Minnelli e da Hammerstein, autore del libretto). Dal 1933 K. è assorbito da Hollywood e collabora a diversi film con musiche originali, fra i quali: Tentazione bionda (Reckless, 1935), di Fleming; Amanti di domani (When You’re in Love, 1937), di Riskin; California (Can’t Help Singing, 1944), di F. Ryan. Due canzoni composte da K. per altrettanti film vengono premiate con l’Oscar: “The Way You Look Tonight”, per Follie d’inverno (Swing Time, 1936), di G. Stevens, e “The Last Time I Saw Paris” per Lady Be Good (1941), di N.Z. McLeod. Numerose le versioni per lo schermo di sue commedie musicali: tre versioni ha avuto Show Boat (1929, 1926 e 1951); il film Sally è del 1930, dello stesso anno (remake nel 1941) Sunny , ma l’operazione più riuscita è Roberta (1935) con la regia di W.A. Seiter e l’interpretazione di Fred Astaire e Ginger Rogers (per tale pellicola K. compone nuove canzoni). Sulla sua vita nel 1946 si realizza il film Nuvole passeggere (Till the Clouds Roll By). Continuatore di Victor Herbert e precedente immediato di Gershwin, K. resta nella storia del teatro musicale americano per la cospicua produzione, ispirata da una parte ai sentimenti d’amore e dall’altra ai ritmi febbrili della vita del Nuovo Mondo, con ricorso al jazz e ai ballabili in voga.

Ciulei

Laureatosi in architettura, Liviu Ciulei dirige dal 1963 il teatro Lucia Sturdza Bulandra di Bucarest (fino al 1972; dal 1990 è direttore onorario): entratovi nel 1948 come attore, si è affermato come regista innovatore della scena romena, ancora troppo legata a canoni veristici. Durante gli anni ’70 inizia a lavorare all’estero: in Germania, Italia, Canada, Australia e Usa dove, dal 1981 al 1985, è direttore artistico del Guthrie Theatre di Minneapolis. In Germania dirige e interpreta La morte di Danton di Büchner e mette in scena, fra l’altro, Come vi piace, Macbeth, Riccardo III, Il gabbiano; in Italia ha diretto Leonce e Lena di Büchner (1970). Tra i suoi allestimenti più recenti si ricordano La tempesta (1981), Peer Gynt (1983) e Sogno di una notte di mezza estate (1985) al Guthrie Theatre e una versione di Amleto (1986) al Public Theatre di New York.

McKellen

Ian Murray McKellen debutta sulla scena londinese nel 1964 nella tragicommedia Il profumo dei fiori (A Scent of Flowers) di James Saunders, interpretazione che gli frutta una stagione al National Theatre e numerose parti da protagonista negli anni immediatamente successivi. Si guadagna una certa notorietà e reputazione di attore intelligente e sensibile recitando per la Prospect Theatre Company alla fine degli anni ’60 in Riccardo II di Shakespeare, e Edoardo II di Marlowe. Nel 1974 si unisce alla Royal Shakespeare Company (Rsc) ottenendo particolare successo al fianco di Judi Dench in Macbeth , ne Le tre sorelle di Cechov, e in La dodicesima notte (The Twelfth Night). Nel 1980 è a New York per la produzione di Amadeus di Peter Shaffer nel ruolo di Salieri, mentre dal 1984 si unisce al gruppo del National Theatre e interpreta Coriolano (Coriolanus) nell’eccezionale produzione di Peter Hall. Negli anni ’90 raccoglie una serie di successi sotto la direzione di Richard Eyre interpretando Riccardo III , Kent in Re Lear , recitando in Napoli milionaria (1991) di Eduardo De Filippo in una versione di Peter Tinniswood e ancora nel ruolo principale dello Zio Vanja (1992) di Cechov.

Valdoca

Il Teatro Valdoca nasce nel 1979 a Cesena, ad opera di Cesare Ronconi e Mariangela Gualtieri, drammaturga. Già con i primi due spettacoli, Lo spazio della quiete (1983) e Le radici dell’amore (1984, premio Ubu per la ricerca), è presente sulle scene europee: sono lavori senza parole, con una cifra stilistica e poetica molto netta. Con Ruvido umano (1987) inizia una ricerca drammaturgica a ridosso della parola poetica; ricerca che avrà piena e matura espressione nella trilogia Antenata (1994). In questi anni la compagnia dà vita a una Scuola di poesia che coinvolge i maggiori poeti italiani, fra cui Luzi, Fortini, Loi e altri. Negli anni successivi inizia il lavoro pedagogico e formativo sull’attore, all’incontro con numerosi giovani allievi, attraverso una vera e propria `scuola nomade’ che sfocia in due grandi spettacoli: Ossicine (1994) e Fuoco centrale (1995), nei quali musica dal vivo, canto e danza entrano a dar forza e complessità alla parola poetica, che permane come caratteristica del lavoro della compagnia. L’ultima produzione del 1997 è lo spettacolo Nei leoni e nei lupi con la regia di Cesare Ronconi.

Lupo

Lupo Alberto ebbe i suoi esordi tatrali nel 1946 al Centro sperimentale `L. Pirandello’ di Genova, allora importante vivaio di attori e registi, dove rimase fino al 1952. Notato da Giorgio Strehler, fu scritturato al Piccolo Teatro, dove, per una breve ma intensa stagione, dal 1952 al 1953, partecipò a Elisabetta d’Inghilterra di Bruckner, a Elettra di Sofocle, a Il revisore di Gogol, a L’ingranaggio di Sartre, a Sacrilegio massimo di Stefano Landi Pirandello, a Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Nel 1953-54 è con Gino Cervi (Cyrano di Bergerac regia di Rouleau); nella stagione 1954-55 è uno dei protagonisti di Corte marziale per l’ammutinamento dei Caine , regia di Luigi Squarzina. E, nel 1955, Anton Giulio Majano lo vuole in televisione per il ruolo del giovane professore di Piccole donne : è l’inizio di uno strepitoso successo, soprattutto tra il pubblico femminile, affascinato dalla sua voce profonda e suadente. Interpretò una ventina di teleromanzi (tra i più noti: Capitan Fracassa , Padri e figli , Il vicario di Wakefield , Le due orfanelle , Una tragedia americana , I Giacobini ), fino al popolarissimo sceneggiato La cittadella (1964), grazie al quale, nella parte del dottor Manson, divenne uno dei simboli della tv romantica. Si propose anche nelle vesti di garbato presentatore in spettacoli leggeri, come Teatro 10 (1971), dove interpretò con Mina la famosissima “Parole parole”.

Carro di Tespi

Carro di Tespi è una denominazione utilizzata per i teatri ambulanti sorti intorno al 1930, con l’intento di allestire rappresentazioni anche in quei comuni che non erano dotati di un teatro stabile per iniziativa del Ministero della Cultura Popolare. Il palcoscenico sormontato da un telone fronteggiava le tribune dove si disponeva il pubblico. Il primo spettacolo messo in scena in questo tipo di struttura è stato l’Oreste dell’Alfieri, nel 1929, che dopo la prima nella piazza del Pincio a Roma partì per una tournée in tutta la Penisola. L’immediato e diffuso successo delle rappresentazioni di prosa – due furono i Carri di Tespi, affidati a compagnie che presentavano ciascuna due opere del repertorio italiano – portò alla creazione di un Carro di Tespi lirico, che venne inaugurato nel 1930 con la Bohème di Puccini a Torre del Lago, diretta da Mascagni. Seguirono una serie di tournée internazionali in Belgio, Albania, Dalmazia e Sudamerica. Tra le opere allestite ricordiamo: Cavalleria rusticana di Mascagni (diretta dal compositore) a Livorno (1930); Aida di Verdi a Roncole di Busseto (1931); Il barbiere di Siviglia di Rossini (1932); Norma di Bellini (1934).

Jacobs

Noto per aver ripreso e diffuso la maschera di Albert Fratellini, è stato tra i pochi a slegarsi dall’anonimato dei circhi a tre piste americani. La sua effigie, divenuta l’archetipo stesso del clown sui manifesti di tutto il mondo, è stata onorata anche da un francobollo.

filodrammatica

Anche `teatro amatoriale’, in quanto chi vi lavora è comunemente definito un dilettante dell’arte drammatica, che recita cioè per passione, senza proporsi fini di lucro. Il teatro dilettantesco o filodrammatica, dopo le sue diversificate forme storiche di teatro sacro, teatro di corte, teatro di circostanza, teatro pedagogico eccetera, diventa teatro dei filodrammatici, nella sua accezione moderna, verso la fine del Settecento, quando gruppi di dilettanti si organizzano in modo più o meno stabile, nelle due forme giunte fino a noi, cioè come filodrammatica `laica’ e filodrammatica `parrocchiale’, con una benemerita appendice nell’ambito del recupero sociale, con psicologi ed animatori che si avvalgono del teatro amatoriale come strumento di socializzazione e come terapia in comprensori carcerari e comunità di tossicodipendenti o di portatori di handicap. Oggi, casalinghe, ragionieri, artigiani, impiegati, professionisti, in una società di esasperata massificazione, trovano il tempo, dopo una giornata di lavoro, di dedicarsi a un appassionato lavoro di prove, di ricerca, di sperimentazione, in ciò poco differenziandosi dai professionisti. In realtà non esistono differenze sul piano etico. Il filodrammatico dedica il suo tempo libero al teatro come scelta culturale, come autorealizzazione vocazionale e morale; il professionista consacra tutta la sua vita al teatro con le stesse motivazioni, ma ricavandone la necessaria remunerazione. Ma anche questa è una fragile classificazione. la cosiddetta multimedialità spinge oggi molti attori professionisti ad attività che poco hanno a che vedere con la totale consacrazione al teatro (spot pubblicitari, doppiaggi, infime prestazioni merceologiche), e il teatro rimane una marginale e spesso oscura gratificazione morale. Tanto teatro di poesia, parrocchiale, oratoriale o laico, nasce invece da una totalizzante passione irruenta e disinteressata, peraltro senza sovvenzioni e finaziamenti. Filodrammatico, insomma.

Durano

Così lunare e saettante, con sopracciglia che solo lui riesce ad accomodare in forma d’accento circonflesso, la mimica svolazzante, la dizione che picchietta le sillabe senza mai cedere al birignao. Giustino Durano rappresenta una presenza costante e significativa, quasi mai protagonista assoluto, ma sempre in ruoli di `carattere’ disegnati con acuta intelligenza e sensibile partecipazione. Esordisce nel 1944 in uno spettacolo d’arte varia per le Forze Armate a Bari; accanto all’artigliere D., Cesare Polacco, Gino Latilla, Nino Lembo (sarebbe diventato una gloria dell’avanspettacolo; ritiratosi dalle scene, fu e fornitore di gioielli falsi per film e commedie…). Regista, il maggiore Anton Giulio Majano. Primo spettacolo, Follie di Broadway con Lucio Ardenzi (cantante, non ancora impresario), Rosalia Maggio e un cantante che interpretava “Ciriciribin” e voleva essere annunciato prima con il cognome e poi con il nome, chiamandosi Littorio Sciarpa. Seguono spettacoli `d’arte varia’ (1947) a Bari, accanto a Peppino De Filippo e Nico Pepe, in avanspettacolo al Puccini di Milano (nel 1951) con Febo Conti e i cantanti Luciano Bonfiglioli e Corrado Lojacono. L’anno successivo, sarà in Cocoricò di Falconi-Frattini-Spiller, accanto a Dario Fo (nel cast anche Alberto Rabagliati, Franco Sportelli, la soubrette Vickie Henderson). Il sodalizio con Fo, e poi con Franco Parenti, avrebbe dato nelle due stagioni successive (1953-55) risultati `storici’, con Il dito nell’occhio e Sani da legare , due riviste da camera rappresentate al Piccolo Teatro di Milano e poi, in tournée, che (con il coevo Carnet de notes dei Gobbi, Caprioli-Bonucci-Salce e poi al posto di Salce, Franca Valeri) rivoluzionarono il teatro `leggero’ e comico, affidandosi a un copione ricco di geniale inventiva.

Nel 1956 Durano gioca la carta del solista, con due spettacoli: Il carattere cubitale e, alle Maschere di Milano, regista Carlo Silva, Cartastraccia ; in compagnia, Franca Gandolfi. Archiviato il cabaret teatrale (con un’appendice nel 1958 al Nuovo Romano di Torino, con Sssssssst!: canzoni demenziali come “Aveva un taxi nero – che andava col metano – e con la riga verde allo chassis”, avventure surreali di Pedro Cadrega, e altre trovate in anticipo sui tempi), D. passa nella rivista tradizionale, accanto a Wanda Osiris, in trio con Bramieri e Vianello in Okay fortuna di Puntoni-Terzoli; nella stessa formazione la stagione successiva in I fuoriserie . Nel 1958 è con Macario e Marisa Del Frate in Chiamate Arturo 777 , poi torna al capocomicato con Le parabole a spirale , Senza sipario , un recital alla Ribalta di Bologna, nelle stagioni 1958-59. E con Incondizionatamente condizionato (1973-74). Dal 1960 (con una pausa di riflessione che va dal 1974 al 1987) passa al teatro di prosa, con registi importanti. Segue Giorgio Strehler nella formazione del gruppo Teatro e Azione a Prato (dove tuttora D. risiede) partecipando a Il mostro lusitano di Weiss e Nel fondo di Gor’kij. Affronta ruoli importanti in Shakespeare, Pirandello (un memorabile Sampognetta in Questa sera si recita a soggetto accanto ad Alida Valli, 1995), Goldoni, Molière, Copi. Canta e recita al Piccolo Teatro di Milano in Ma cos’è questa crisi? con Milva e Franco Sportelli (1965). Affronta ruoli di rilievo in molte operette: La vedova allegra di Lehár con Edda Vincenzi a Palermo (1970); Il paese dei campanelli di Lombardo e Ranzato con Paola Borboni (Palermo 1972); Madama di Tebe di Lombardo con Ave Ninchi e Carlo Campanini, (Palermo 1973).

Nel tempo libero da impegni teatrali, radiofonici e televisivi (fu pioniere con Dario Fo nel 1953, negli studi di Torino, di trasmissioni per ragazzi), in particolare dal 1946 al ’66, si è esibito come cantante-fantasista «al night, in locali notturni, al dancing, in pasticceria, al caffè-concerto, in birreria, in Casinò, in grand hotel», come ricorda egli stesso. All’hotel Continental di Milano, 1949, con Maria Caniglia e Carlo Tagliabue; all’Odeon giardino d’inverno, Milano 1950, canta con il Duo Capinere e presenta il quartetto jazz di Duke Ellington; al Lirico di Milano in La sei giorni della canzone con Rabagliati, Lojacono, Narciso Parigi, Jenny Luna, Oscar Carboni; alla Bussola di Viareggio, con l’orchestra di Bruno Martino, affianca Mina, Alighiero Noschese e le spogliarelliste Rita Renoir e Dodo d’Hamburg. Nel suo curriculum, anche una stagione sotto il chapiteau, con il Circo Togni (1953), nella pantomima Pierrot lunaire . Nel 1951, a Modena, il baritono D. si esibisce in arie verdiane e, da solo, interpreta il duetto tra Rigoletto e Sparafucile. Nell’estate 1998 è stato il vecchio Anselmo nel Barbiere di Siviglia di Rossini all’Opera di Roma. Per la sua interpretazione nel film La vita è bella di Benigni gli è stato assegnato il Nastro d’argento 1998. Il 19 febbraio 1985 viene pubblicata la notizia della improvvisa dipartita del noto attore; il giornale radio ne traccia un affettuoso ritratto, interrotto dalla viva voce dell’interessato che precisa trattarsi della scomparsa di un cugino omonimo e cita la battuta di un altro vivo dato per morto, Mark Twain: «La notizia della mia morte è certamente prematura».

Dario e Bario

e Manrico Meschi; Livorno 1880 – ivi 1962; Livorno 1881 – ivi 1974), clown. Il primo a intraprendere la professione è D., che nel 1895 forma una coppia con tale Gozzini e debutta come clown musicale al teatro Goldoni di Livorno. In seguito emigra in Francia dove trova lavoro come generico nel circo dei Fratelli Leonard. Comincia ad acquisire una certa notorietà dopo l’incontro con il partner Pierre Périer con il quale è ingaggiato, nel 1900, al Medrano di Parigi. In seguito forma un duo con L. Ceratto per una tournée in Sudamerica. Nel 1902, al ritorno in Europa chiama M. con sé per un breve ingaggio in Turchia, dopo il quale si separano. D. prova ad aprire un piccolo circo, ma senza fortuna; poi, nelle stagioni 1908-10 si riaccompagna a L. Ceratto per un ingaggio con gli impresari Gatti e Manetti. Dopo la prima guerra mondiale, Manrico fa coppia con Leandre per due anni di contratto al Medrano. In seguito cambia vari compagni e forma persino un trio, formazione abbastanza insolita per quei tempi, lanciata dai Fratellini. È nel 1919 che nasce il nome Dario e Bario e la coppia dei due fratelli acquista forma definitiva, così come lo stile della loro comicità: D. è un bianco con costumi bellissimi, il sopracciglio destro truccato con un sogghigno quasi satanico; B. (Manrico) l’augusto ubriaco, un po’ rozzo ma dalla comicità efficace. Le loro entrate comiche sono lunghe e ben costruite; fra queste, Ape dammi il miele viene ripresa da numerosissimi emuli. Con il nome di `Dario, Bario e compagnia’ la formazione si allarga, dapprima formando trii con vari compagni fra i quali Coco e Rhum, poi inserendo nel numero il figlio di D., Willy, e quelli di B., Nello, Freddy e Tosca, fatto che forse toglie qualcosa alla qualità delle esibizioni. Dopo la guerra e il ritiro di D. e B. Willy si associa con il clown Pipo, mentre Nello, Freddy e Tosca diventano danzatori eccentrici.

Kreutzberg

Iniziò lo studio della danza con Mary Wigman e Max Terpis; a vent’anni entrò a far parte del Balletto di Hannover, partner di Yvonne Georgi, anche lei rappresentante di quella tendenza sia in Germania sia all’estero e negli Stati Uniti. Ha lavorato presso numerosi teatri tedeschi: all’Opera di Berlino, Braunschweig, Lipsia, Düsseldorf, a Salisburgo per il festival. Singolare la forma di spettacolo – altrimenti riconoscibile come recital – nel quale K. da solo, accompagnato da Friedrich Wilkens, pianista e compositore di alcune musiche nel programma dell’artista, dava vita a uno spettacolo quanto mai vivo e vario, cangiante nella scoperta drammaticità dei toni, nelle luci e nelle ombre di una danza che teneva conto delle tragiche vicissitudini abbattutesi sull’Europa di quel tempo. Né mancavano gli aspetti ironici, addirittura satirici, grotteschi o comici, sempre conformi alla grande lezione dell’espressionismo di danza degli anni Venti. Indimenticabili alcuni di questi recital tenuti al Maggio musicale fiorentino nel 1949, a Roma, Torino (1950) e al primo festival di Nervi nel 1955.

Lattanzi

Tina Lattanzi inizia a recitare nel 1923 con la compagnia di T. Pavlova, grazie all’aiuto di V. De Sica. Successivamente lavora per diverse compagnie, tra cui quella di Ruggeri e la Za Bum di Mattoli, affermandosi soprattutto nei ruoli di `seconda donna’. Nel 1936 recita in Carità mondana di G. Antona. Traversi e ne Il dolce aloe di J. Mallory con la compagnia del Teatro di Milano diretta da R. Calò. Dopo l’incontro con il regista Guido Brignone abbandona l’attività teatrale, dedicandosi quasi esclusivamente al doppiaggio cinematografico. Tra il 1930 e il 1960 la sua voce dà vita, in Italia, ai grandi miti del cinema hollywoodiano: Greta Garbo, Marlene Dietrich, Rita Hayworth, Joan Crawford. Sua è anche la voce di Anna Magnani al suo primo ruolo cinematografico. Negli anni ’70 ritorna, sporadicamente, sulle scene teatrali: sotto la guida di Aldo Trionfo interpreta Nerone è morto ? di M. Hubay (1974), Lady Edoardo di F. Cuomo (1978) e nel 1981 riveste la parte della Regina madre in Becket e il suo re di J. Anouilh. Da ricordare anche la sua attività cinematografica, dove interpretò soprattutto ruoli di donne aristocratiche ( Rubacuori, Passaporto rosso, Teresa Confalonieri ).

Feldmann

Figlia d’arte debutta con i genitori Dante Feldmann e Pina Granata al Teatro Principe nella commedia Pension de famiglia a due anni e mezzo. Negli anni Cinquanta è nella compagnia di Radio Milano in monologhi e scenette divenute celebri (con lei ci sono Franco Parenti, Esperia Sperani, Leda Celani, Pina Renzi, Evelina Sironi, Febo Conti, Fausto Tommei e Elena Borgo) e in tv dove registra in un’unica puntata Ciribiribin con Tognazzi, Vianello, la Giusti, Tommei e altri. Con Sotto i ponti del Naviglio di A. Bracchi riapre alla prosa il Dal Verme (1949) insieme a Tino Scotti, Pina Renzi, Tommei e Ermanno Roveri; passa all’Olimpia nella commedia di A.Fraccaroli Siamo tutti milanesi che con N. Besozzi, G. Pogliani e Paola Orlova e Tommei raggiunge le 283 repliche (1951) e nel ’57 è al fianco di Bramieri nelle Dannate vacanze di Gualtiero Tibiletti . Alterna le sue capacità vocali e musicali fra radio e tv ( Bliz , 1978 di Gianni Minà), in questi ultimi anni è la partner di Calindri in tutti i suoi spettacoli, da Gigi a Indovina chi viene a cena .

Bottaini

Dopo i primi studi con la madre Lorna Wilkinson, Alen Bottaini si perfeziona alla Royal Ballet School e, nel 1991-92, all’Accademia Vaganova di Leningrado. Dopo una stagione al National Ballet of Canada dal 1994 danza come solista alla Bayerische Staatsoper di Monaco, dove si mette in evidenza per eleganza e tecnica in ruoli classici di danseur noble. Nel 1996 ottiene il Primo premio e la medaglia d’oro al Concorso internazionale di Varna.

Innocenti

Dopo aver frequentato la scuola diretta da Rasi a Firenze e l’Accademia d’arte drammatica di Roma Adriana Innocenti entra nella compagnia diretta da Annibale Ninchi, dove debutta nel 1947 nella Cena delle beffe di S. Benelli. La sua formazione, più che con il repertorio romantico di Ninchi, avviene però a fianco di Giulio Donadio, attore pirandelliano, compagno di scena di Emma Gramatica, Maria Melato e Marta Abba. Ed è sul terreno pirandelliano che la sua vocazione al monologo si sperimenta in tre momenti diversi: La vita che ti diedi (diretta da Massimo Binazzi), L’uomo, la bestia e la virtù allo Stabile di Torino, accanto a Renzo Giovampietro, e il Liolà diretto da Vittorio De Sica nel 1961. Intanto era passata al Piccolo Teatro, diretta da Strehler in Casa di bambola di Ibsen – sostituendo Lia Angeleri nel ruolo della signora Linde – e in Assassinio nella cattedrale di Eliot.

Intensa l’attività fra il 1965 (premio San Genesio) e il 1970, prima allo Stabile di Torino e poi con la Compagnia dei Quattro diretta da Franco Enriquez (con Valeria Moriconi, Glauco Mauri, Emanuele Luzzati e Mario Scaccia), in spettacoli importanti quali La locandiera e La vedova scaltra di Goldoni, i Dialoghi del Ruzante, Il mercante di Venezia e Come vi piace di Shakespeare, Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Stoppard, Le mosche di Sartre, La spartizione di Chiara, La dame de chez Maxim di Feydeau, che le permettono di ritagliarsi, a fianco di Valeria Moriconi, un ruolo preciso di seconda donna. In questi anni è anche a San Miniato (Il segretario privato di Eliot) e, per l’Istituto nazionale del dramma antico, in Ippolito e Fenicie di Euripide, Elettra di Sofocle, Anfitrione di Plauto. Giorgio Strehler, memore della sua esperienza accanto a Wanda Osiris e Walter Chiari negli anni ’50, la chiama al Piccolo dal 1972 al ’75 per il ruolo della signora Peachum, nella nuova edizione dell’ Opera da tre soldi con Modugno e Milva. Insieme a Piero Nuti, Maurizio Scaparro e Pino Micol è tra i fondatori, nel 1975, del Teatro Popolare di Roma e prende parte a spettacoli quali Il feudatario di Goldoni, Lunga notte di Medea di Alvaro (accanto a Irene Papas), Cyrano di Rostand, La cortigiana dell’Aretino, La visita della vecchia signora di Dürrenmatt.

Nel 1984 Giovanni Testori riscrive su di lei la sua Erodiade del 1969 e Adriana Innocenti si identifica, voce e corpo, con il mondo testoriano, consegnandoci un’Erodiade di «impressionante forza istrionica» (De Monticelli) e «incatenando il pubblico sia con le sequenze violentissime sia con le squisite attenuazioni tonali» (Bertani). Sulla linea tracciata da Testori si sviluppa la seconda fase del Teatro Popolare (direzione artistica di Piero Nuti e Adriana Innocenti): la ricerca e l’approfondimento del linguaggio drammaturgico e il recupero della parola teatrale, attraverso rigorosi percorsi che vanno dalla tragedia al mito, danno luogo a spettacoli quali l’Oreste di Alfieri, Lazzaro di Pirandello, Le Troiane di Euripide. Ed è a Adriana Innocenti che Testori affida, dal letto di morte, i tre Lai (Cleopatràs , Erodiàs, Mater Strangosciàs).

Mabou Mines

Mettendo a frutto le disparate esperienze dei suoi fondatori, il gruppo Mabou Mines si costituisce ufficialmente a New York nel 1970. Lee Breuer vi riversa il risultato della sua formazione europea al Berliner Ensemble e presso il polacco Teatr Laboratorium, e vi aggiunge l’esperienza californiana di Ruth Maleczech, gli interventi sperimentali di Joanne Akalaitis, e più tardi i contributi musicali di Philip Glass e quelli interpretativi di David Warrilow. I M. M. sviluppano così un’originale poetica nella quale la partecipazione di pittori, scultori, film-maker, videoartisti e compositori musicali si integra al lavoro motivazionale di matrice stanislavskiana, alla ricerca di nuove tecniche narrative e alla sperimentazione multimediale. Nelle produzioni del gruppo sono evidenti diverse anime registiche. Si devono soprattutto a Breuer le divertenti e sofisticate animations , piene di suggestioni visive e spunti minimalisti ( Red Horse , 1970; B. Beaver , 1974; Shaggy Dog , 1978) e le vitalistiche narrazioni cinetiche di The Saint ad the Football Players , 1973, su musica di Glass per un centinaio di giocatori di football). Mentre gli allestimenti della Akalaitis tendono all’ironia (Dead end Kids , 1982) e all’iperrealismo (Through the Leaves , di Kroetz, 1984). Il gruppo è noto inoltre per un pluriennale lavoro sui testi minori di Beckett: Cascando, Gli sperduti, Commedia combinano il rigore drammaturgico e l’ingegno della realizzazione visiva, nella quale è comunque determinante la ricerca vocale di Warrilow.

Moreno

Dopo gli studi al Conservatorio, esordisce nel 1890 sul prestigioso palcoscenico della Comédie-Française nel Ruy Blas di Hugo. Attrice non bella ma dotata di intensa forza espressiva e di una notevole gamma vocale, M. colpisce Anatole France che le affida un ruolo nelle sue Noces corinthiennes nel 1902. L’anno successivo lascia la Comédie per recitare con la grande Sarah Bernardt. Nel 1908 si reca a Buenos Aires dove contribuisce a fondare il Conservatoire. Tornata a Parigi nel 1913, riprende a recitare in particolare in ruoli da caratterista. Durante gli anni ’30, ormai invecchiata, la M. riesce a crearsi inediti spazi: enfatizzando i propri difetti (voce arrochita e lineamenti non armoniosi) spicca in ruoli che mettono in valore la sua verve e il suo spirito indomito. Trionfa così nella memorabile Folle de Chaillot di Giraudoux diretta da L. Jouvet (1945). Ancora durante gli anni ’30 diviene attivissima sul fronte della rivista e del musical. Attrice cinematografica piuttosto nota in Francia, la M., pur non apparendo in pellicole di rilievo, si impone proponendo sullo schermo personaggi femminili autoritari, saccenti e pedanti spesso di grande efficacia comica. Recita anche al fianco della scrittrice Colette, sua grande amica (basti pensare alla raccolta Lettres à Marguerite Moreno ), nel ruolo irresistibile della pestifera madre di Chéri nella pièce omonima.

De Filippo

Luca De Filippo a otto anni è Peppiniello in Miseria e nobiltà di E. Scarpetta diretto dal padre Eduardo. Debutta a vent’anni ne Il figlio di Pulcinella di Eduardo, con la regia di G. Magliulo. Da questo momento la sua attività è senza soste. Con le regie del padre è interprete di Il contratto, Sabato, domenica e lunedì, Filumena Marturano, Non ti pago, Il sindaco del rione Sanità, Napoli milionaria, De pretore Vincenzo, Le bugie con le gambe lunghe, Uomo e galantuomo, Natale in casa Cupiello, Gli esami non finiscono mai, Le voci di dentro, Sik-sik l’artefice magico, Gennariello, Dolore sotto chiave, Quei figuri di tanti anni fa. Dopo tanto teatro eduardiano, si accosta a Pirandello (Il berretto a sonagli ), a G. Rocca (Scorzetta di limone), a V. Scarpetta (O’ tuono ‘e marzo ) e a E. Scarpetta (Cani e gatti, Lu curaggiu de nu pompiere napulitano, Na santarella). Nel 1967 inizia una notevole attività con cinema e televisione: I giovani tigri, Il negozio di piazza Navona, Petrosmella, Le scene di Napoli, Naso di cane, Il ricatto. Nel 1992, per la televisione, è interprete di Uscita di emergenza di Santanelli. Nel 1981 fonda la compagnia di teatro Luca De Filippo, con cui realizza buona parte del repertorio di Eduardo, di Vincenzo ed Eduardo Scarpetta, oltre che di P. Altavilla (‘A fortuna e Pulcinella ). Nel 1986-87 è interprete di Don Giovanni di Molière; successivamente avverte il bisogno di cimentarsi con altri autori: nel 1991-92 è regista e interprete di La casa al mare di Cerami, nel ’92 di Tuttosà e Chebestia di C. Serrau (regia di Besson), nel 1993-94 di L’esibizionista (regia di L. Wertmüller), nel ’97 di L’amante di Pinter (insieme ad Anna Galiena, regia di A.R. Shammah); nel ’98 del Tartufo di Molière (regia di A. Pugliese). Ha diretto, nel 1990, U. Orsini in Il piacere dell’onestà di Pirandello.

Quaranta

Gianni Quaranta termina gli studi all’Accademia di belle arti di a Milano e comincia una feconda attività professionale che lo porta a lavorare in tutti i settori dello spettacolo. Nel cinema partecipa a importanti produzioni, fra le quali citiamo i film ispirati al melodramma: La Traviata (1982), Othello (1986), entrambi per la regia di F. Zeffirelli, Rigoletto (1982) di J.P. Ponnelle, Farinelli (1994) di G. Corbieau a cui venne assegnato il premio César (1995) per la migliore prodution design . Tra i suoi numerosi premi e riconoscimenti l’Oscar (1987) per il film A room with a view con la regia di J. Ivory. È direttore dell’allestimento tecnico del Teatro La Fenice di Venezia nella stagione 1972-73, si lega professionalmente a registi tra i quali Sonia Frisell, di cui ricordiamo le ultime produzioni scenografiche Aida di Verdi (Metropolitan 1988), Don Carlos di Verdi (Chicago 1989), e L. Ronconi, per le messinscena di Mosè di Rossini (Opéra 1983), Demophoon di L. Cherubini (Opera di Roma 1985) e Guglielmo Tell (Scala 1988). Con F. Crivelli cura le scenografie per spettacoli sia di lirica che di prosa, per M. Bolognini progetta tra gli altri le scene di Tosca di Puccini (Roma, Caracalla 1983). Artista polivalente ed eclettico elabora partendo dalla ricostruzione filologica della scena immagini e spazi che ci rimandano e ci fanno entrare nell’immaginario dell’incanto. L’onirismo della scena è a volte aiutato da mezzi tecnici – video, schermi di proiezione – ed il cinema entra nel teatro come nel caso del citato Guglielmo Tell ronconiano.

Navarrini

Con lo pseudonimo Isa Bluette, la giovanissima Teresa Ferrero, dopo il felice esordio a Torino, divenne, alla fine degli anni ’20, capocomica, scoprì Macario, importò lo sfarzo della rivista parigina. E da Parigi importò anche la passerella. In seguito, fece coppia, sulla scena e nella vita, con il comico milanese Nuto Navarrini, in una serie di riviste-operette di successo: Madama Poesia, Poesia senza veli, Il ratto delle Cubane. Nel 1936 va in scena Questa è la verità e il cronista annota: «Uno spettacolo coreografico che appaga l’occhio e suscita ammirazione per lo sfarzo e il buon gusto delle scene e dei costumi». Isa Bluette fu molto ammirata nei suoi ricchi costumi e applaudita vivamente quando cantò con grazia birichina. Navarrini seppe comporre alcune macchiette comiche e buffonesche assai piacevoli suscitando interesse e ilarità. Gran sorriso dentato e capelli impomatati di brillantina con scriminatura centrale, Navarrini, dall’operetta e dall’avanspettacolo – era stato con Gea della Garisenda – passò alla rivista; nel 1939 sposò in punto di morte Isa Bluette e la sostituì presto, come soubrette e come moglie, con Vera Rol. (Navarrini ebbe quattro mogli: la prima fu Sofia Laurenzi, danzatrice classica morta di parto; l’ultima, nel 1972, fu Milena Benigni). Ebbe in compagnia l’esordiente Franco Parenti. L’Italia fascista è in guerra e Navarrini confeziona spettacoli che piacquero assai ai nazifascisti: Il diavolo nella giarrettiera, I cadetti di Rivafiorita (1944-45), che gli meritarono una nomina ad honorem di capitano della milizia Muti. Il comico ringraziò con spettacoli e intrattenimenti extra in onore di repubblichini e agenti Gestapo, infiocchettando i teatri con addobbi propagandistici (Wanda Osiris aveva invece cautamente declinato l’invito ad esibirsi per militari tedeschi e fascisti italiani). L’ultimo, `fascistissimo’ spettacolo della compagnia Navarrini-Rol fu La gazzetta del sorriso con numeri assai graditi: Vera Rol, ballerina applaudita in numeri di nudo, impersonava la povera Italia molestata dagli americani (sotto l’aspetto di un negro violentatore); Navarrini cantava Tre lettere, una canzone di D’Anzi di intonazione violentemente antipartigiana. Venne la Liberazione, Vera Rol fu rapata e esibita come collaborazionista a cranio nudo per tutta Milano; la coppia venne processata e assolta per insufficienza di prove. Nuto alla meta commentarono i giornali, parafrasando il famoso slogan di Mussolini. Dopo anni di forzato riposo, la compagnia Navarrini-Rol si ripresentò in scena (a Roma però, non al Nord) in L’imperatore si diverte di Gelich e Bracchi. N. comparirà nel 1962-63 nella ripresa di Buonanotte Bettina di Garinei e Giovannini con Walter Chiari e Alida Chelli (al posto di Delia Scala). Negli anni precedenti N. aveva tentato un rilancio delle operette, genere teatrale dal quale proveniva.

Varley

Figura di primo piano dell’Odin Teatret, sensibile e delicata interprete della volontà creativa di Barba, Julia Varley inizia a lavorare con la compagnia di Holstebro nel 1976. Da allora partecipa, tra gli altri, a Anabasis (1977), Brechts Aske (1979), Il vangelo di Oxyrhincus (1985), Talabot (1988), Kaosmos (1993). Estremamente significative e di indiscutibile rilievo artistico sono anche le sue dimostrazioni di lavoro sul metodo barbiano, che pur avendo un valore autonomo di spettacoli-peformance rientrano in un più ampio progetto di condivisione e divulgazione pedagogica dei principi e delle tecniche elaborate dall’Odin Teatret. È inoltre editrice di “The Open Page”, una rivista dedicata all’apporto artistico e creativo delle donne in ambito teatrale.

Roli

Attento osservatore dei costumi contemporanei, Mino Roli denuncia nelle sue opere, con stile neoverista, i rappresentanti di una società ingiusta e senza scrupoli. Tra i titoli della sua produzione vanno ricordati Sacco e Vanzetti (1961), realizzato in collaborazione con L. Vincenzoni e rappresentato dalla compagnia Sbragia-Garrani-Salerno, e Le confessioni della signora Elvira (1965), messo in scena dalla Padovani-Garrani-Sbragia.

Brigliadori

Debutta a 18 anni nelle Nozze dei piccoli borghesi di Brecht al Teatrino della Villa Reale di Monza diretta F. Battistini. A farla conoscere, ma soprattutto a farne apprezzare la bellezza, sono alcune apparizioni in televisione e al cinema, tanto che a lei Strehler affida il ruolo di Marta nella prima edizione de La grande magia di E. De Filippo con F. Parenti nel 1984 (ripresa nel ’91 e nella stagione ’97-98); è quindi Desdemona nell’ Otello con la regia di R. Vannuccini nel 1989-90 e torna a recitare al Piccolo Teatro, diretta da Strehler, nel Faust – Frammenti Parte II .

Pambieri

Studente alla Scuola del Piccolo Teatro, Giuseppe Pambieri ha fatto `ditta’ con la moglie L. Tanzi e, dai primi anni ’90, con la figlia Micol. Interpreta Goldoni, ma soprattutto Shakespeare: La bisbetica domata , Molto rumore per nulla (1995) con la regia di A. Syxty che lo dirige anche l’anno seguente come Shylock ne Il mercante di Venezia . Nella stagione 1988-1989, si è confrontato con Pinter (Il guardiano , 1988, con la regia di Guido De Monticelli) e lo storico Mardi 14 rien (dagli atti del processo a Luigi XVI, testo di P. Buzzi Baroni, con la regia di F. Gervasio). Quindi ha recitato N. Simon ( Rumors , regia di G. De Bosio) e L. Lunari (Tre sull’altalena , 1994, regia di Piccardi). Nella stagione 1997-98 ha interpretato L’uomo, la bestia e la virtù di Pirandello. Ha partecipato anche a svariati sceneggiati televisivi, tra cui Le sorelle Materassi, di Palazzeschi, per la regia di M. Ferrero (1972), nel ruolo dell’affascinante nipote di Rina Morelli, Sarah Ferrati e Nora Ricci. La figlia Micol, attrice italiana. Figlia di G. Pambieri e L. Tanzi. Tra le sue interpretazioni, Il diario di Anna Frank (in cui recita con il padre e la madre), Gli occhi della notte e, nel ’95, Romeo e Giulietta in una compagnia di giovani attori diretti da M. Panici. Nella stagione ’97-’98 ha interpretato, al fianco di L. Masiero, Non ti conosco più di A. De Benedetti, con la regia di P. Rossi Gastaldi.

Odissi

Odissi (talvolta indicato come Orissi) è uno stile di danza classica indiana, generalmente femminile e solistico, originario delle regioni che oggi costituiscono lo stato di Orissa. Come per il Bharata Natyam, l’origine è devozionale: per secoli fu danzato dalle sacerdotesse (`maharis’) nei templi di Orissa. Strettamente connesso col culto shivaita e con le varianti locali dell’induismo, in particolare col culto del dio Jagannath, questo stile di danza decadde progressivamente, fino a un’interruzione all’inizio del nostro secolo. Lo stile è stato letteralmente ricreato, dopo l’indipendenza dell’India, grazie a un lungo e puntiglioso lavoro di quattro guru (maestri) e alcune danzatrici, in particolare S. Panigrahi ( v ), che raccolsero le poche memorie dirette e studiarono gli antichi trattati, ma recuperarono soprattutto le pose raffigurate nelle numerosissime sculture dei templi di Orissa. Ne è nato uno stile estremamente rigoroso, probabilmente il più vicino ai canoni rigidi fissati dal Natya Sastra (il trattato fondamentale di teatro indiano del II secolo a. C.). Rispetto al Bharata Natyam (col quale condivide la partizione in `nritta’ e `nritya’, e dunque l’articolazione degli spettacoli in brani devozionali, di danza pura e brani narrativi, oltre al ricco vocabolario di gesti e passi) l’O. è più sensuale, tende cioè ad avere forme più tondeggianti nelle posture (fondamentale il sinuoso `tribhangi’, in cui il corpo della danzatrice disegna tre curve, una con l’anca, la seconda col torso in direzione opposta, la terza col capo) e più gesti a carattere circolare, rotazioni e torsioni, e ad addolcire i cambiamenti di postura. Inoltre, solo nell’O. la danzatrice ogni tanto s’arresta e mantiene una posa statuaria. Il culto vishnuita ha influenzato più profondamente la danza narrativa O., profondamente intrisa di un raffinato erotismo e di un peculiare misticismo. I testi delle rappresentazioni sono tratti prevalentemente dal Gita Govinda , il poema di Jayadeva dedicato agli amori di Radha e Krishna. La musica che accompagna l’O. è un sistema originale, in cui si fondono la tradizione carnatica del sud e quella indostana del nord.

Mascia

Dopo una breve esperienza nella compagnia di Eduardo De Filippo (Il sindaco del rione sanità, Gli esami non finiscono mai ), Nello Mascia fonda la Coop. Teatrale Gli Ipocriti che dirige e di cui è l’animatore principale per circa venticinque anni. In questa struttura profonde ogni energia e ad essa dedica gran parte della sua attività di attore, regista e direttore artistico. Si pone all’attenzione della critica e del pubblico nel 1980 interpretando il personaggio del sagrestano Pacebbene in Uscita di emergenza di Santanelli, in coppia prima con Bruno Cirino, poi di Sergio Fantoni. Nel 1983-84 è al Piccolo Teatro dove interpreta Trinculo nell’allestimento strehleriano de La tempesta di Shakespeare che inaugura il Teatro d’Europa all’Odéon di Parigi. Dal 1986 si dedica alla divulgazione e alla valorizzazione dell’opera di Raffaele Viviani di cui presenta quattro spettacoli: L’ultimo scugnizzo , regia di Ugo Gregoretti; Fatto di cronaca , regia di Maurizio Scaparro; Guappo di cartone , regia di Armando Pugliese; La musica dei ciechi , regia di Antonio Calenda. Si ricorda anche il suo esilarante Don Marzio ne La bottega del caffè di Goldoni al Teatro di Roma con la regia di Mario Missiroli nel 1993. In televisione nel 1979 è l’operaio Marco nello sceneggiato in quattro puntate Tre operai dal romanzo di Carlo Bernari per la regia di Francesco Maselli. Nel 1983 è protagonista del Carmagnola , libero adattamento di Ugo Gregoretti dalla tragedia di Alessandro Manzoni. Nel 1997 è il crudele Ferdinando in I conti di Montecristo , singolare versione di Ugo Gregoretti dal romanzo di Dumas. Nel cinema nel 1998 è tra i protagonisti de La cena di Ettore Scola.

Lombardi

A Firenze Sandro Lombardi studia e si laurea in storia dell’arte nel 1977. È allievo di P. Schumann, R. Wilson, E. Barba e Grotowski. La sua carriera teatrale, dopo questo periodo di formazione, si identifica con quella del Carrozzone, da lui fondato nel 1972 con Marion D’Amburgo e Federico Tiezzi (in seguito prenderà il nome di Magazzini criminali, poi di Compagnia teatrale i Magazzini). Dal 1972 al 1987 partecipa a Morte di Francesco , La donna stanca incontra il sole , Punto di rottura , Crollo nervoso , Sulla strada , Genet a Tangeri , Ritratto dell’attore da giovane , Vita immaginaria di Paolo Uccello , Artaud , Come è . Interpreta inoltre testi di Achternbusch, Luzi , Pasolini. Lavora con musicisti e pittori contemporanei ed è autore di numerosi contributi sul teatro apparsi in cataloghi d’arte e riviste specializzate. Nel 1989 con Hamletmaschine di Müller ottiene il primo premio Ubu come miglior attore (il secondo, per l’interpretazione di Edipus , e il terzo, per Cleopatràs , entrambi di G. Testori, gli vengono assegnati rispettivamente nel ’94 e nel ’97). Ha impersonato Dante nelle tre cantiche messe in scena dalla sua compagnia in collaborazione con E. Sanguineti, M. Luzi e G. Giudici. È stato il padre e Spinoza in Porcile di Pasolini, Pontormo in Felicità turbate scritto da Luzi nel 1995, Matamoro nell’ Illusion comique di Corneille (regia di G. Cobelli). Dal 1997 in poi, oltre a Nella giungla delle città di Brecht, ha recitato il Cantico delle creature (alla Scala) e, sempre per la regia di Tiezzi, è stato impegnato nell’ Assoluto naturale di G. Parise.

Grossman

Politicamente impegnato, nel 1948 viene espulso dall’università e interdetto dalla pubblicazione di libri. Dal 1949 al ’50 gli è affidata la sezione drammatica del Teatro di Stato di Brno. Negli anni ’60 si trasferisce stabilmente al Divadlo Na Zábradlí (T. alla Balaustra), dove crea intorno a sé un attivo circolo culturale. Il suo repertorio annovera il drammaturgo Vaclav Havel – col quale stabilisce una stretta collaborazione – Jarry, Ionesco, Beckett e Kafka, di cui cura un adattamento scenico del Processo (1966). L’invasione sovietica del 1968 lo costringe a lavorare in provincia per alcuni anni. Torna a Praga nel 1983 con un repertorio di autori moderni e classici (Cechov, Sofocle, Molière, Webster, Goldflam). Il teatro di G. appare solidamente strutturato intorno al rigore analitico dei gesti degli attori. Collocandosi nella tendenza espressionista che caratterizza l’avanguardia céca tra le due guerre, G. non trascura un interesse per le tematiche del teatro dell’assurdo e per un ricorso alle suggestioni dell’immaginario.

Behan

Si impegna giovanissimo nella lotta politica entrando a far parte dell’Ira. In carcere già a sedici anni, elabora tale esperienza nel romanzo autobiografico ( Borstal boy ) e nei drammi Il condannato di domani (The Quare Fellow, messo in scena nel 1954 nella versione rivista e corretta da Alan Simpson e la moglie e, successivamente da Joan Littlewood, a Londra, in accordo con l’autore, nel 1956); L’ostaggio (An Giall, rivisto da J. Littlewood e pubblicato nel 1958, originariamente in gaelico con il titolo The ostage, pubblicato postumo e messo in scena in Italia al Teatro Nuovo di Milano dalla Compagnia dei Giovani, regista G. De Lullo e successivamente censurato). Autore sempre in bilico fra la tradizione letteraria gaelica e quella irlandese moderna, tratta le tematiche della prigionia, della sconfitta e della morte con il registro dell’ironia, costellando i suoi testi di musiche e canzoni. Dei suoi lavori successivi, in cui affronta i temi dell’emarginazione sociale, del valore della comunità e della radicalità della lotta politica, nessuno sopravvive nella versione originale (del primo dramma The Landlady , 1943, non esiste che un breve frammento e l’ultimo, Richard’s Cork Leg , è rimasto incompiuto).

Off-Off-Broadway

Off-Off-Broadway è un termine coniato all’inizio degli anni ’60 per definire quei gruppi teatrali newyorkesi che, a differenza di quelli di Off-Broadway, si contrapponevano radicalmente alle scene commerciali. Le loro sedi, ognuna con un massimo di cento spettatori, non erano di solito sale teatrali, ma caffè, chiese, magazzini o seminterrati, e vi agivano anche professionisti disposti a lavorare più o meno gratuitamente. Non si trattava però di un movimento unitario: ogni gruppo aveva idee, metodi e finalità proprie; li accomunavano il desiderio di tentare nuove strade senza dover sottostare alle aspettative del grande pubblico (anche se in qualche caso l’O.O.B. fu sostanzialmente un terreno di coltura per opere e artisti avviati verso le gratificazioni dello show-business), nonché l’aspirazione a misurarsi fino in fondo con i problemi dell’individuo e della società. Il primo in ordine di tempo fu il Caffè Cino (1959), cui seguirono il Judson Poets’ Theatre (1961), il Cafe La Mama (1962), il Theatre Genesis (1964) e altri. Alcuni di questi gruppi si dedicarono soprattutto alla scoperta di autori nuovi (fra i quali Shepard, Horowitz, Bullins), altri rivoluzionarono il modo stesso d’intendere il teatro, presentando – anziché allestimenti di drammi d’autore – spettacoli nati da improvvisazioni collettive, spesso guidate e coordinate da animatori di talento. Furono fra questi ultimi l’Open Theatre, il Bread and Puppet Theatre, i Mabou Mimes, il Performance Group, i teatri gay e quelli della protesta nera, nonché le prime rivoluzionarie proposte di artisti quali R. Foreman e B. Wilson.

wayang

Wayang è un termine che indica un gran numero di forme teatrali dell’Indonesia, paese estremamente ricco di tradizioni spettacolari che nel nostro secolo hanno affascinato e influenzato diversi artisti occidentali, in particolare Artaud. Come nella maggior parte delle tradizioni orientali, recitazione, canto, musica, tecniche del corpo sono inscindibili; ciò nondimeno i wayang si distinguono in base al mezzo spettacolare: marionette, maschere, attore senza maschera. Tutti i wayang hanno un ‘dalang’ (marionettista o narratore) e sono accompagnati dal gamelan, un’orchestra di strumenti a percussione, prevalentemente gong e campane, accordati fra loro, cui si affiancano a volte cantanti, una sorta di liuto detto `rebab’ e flauto.

Le storie narrate provengono: dai due cicli classici del Mahabharata e del Ramayana, indicati nella tradizione indonesiana dal termine `purwa’ (originali); dal ciclo Panji , un principe giavanese in cerca di un amore perduto; da Amir Hamzah, leggenda riguardante un antico re arabo. Il termine wayang deriva forse da `bayang’ (ombra) e il teatro delle ombre giavanese, `wayang kulit purwa’, è la più antica forma di rappresentazione in Indonesia e di origine presanscrita, benché, come indica il termine `purwa’, il suo repertorio si basi sull’epica indiana. In origine era probabilmente una rappresentazione sciamanica, in cui venivano evocati gli antenati sotto forma di ombre per comunicare con i loro discendenti; l’elemento della trance, della possessione è costitutivo di questa come di molte altre forme teatrali indonesiane e soprattutto balinesi.

Nel `wayang kulit’, il `dalang’ manovra abilmente delle marionette di cuoio (`kulit’ significa appunto cuoio) dietro uno schermo di tela, che sono illuminate in modo da proiettarvi la propria ombra. Diffuso a Bali e Giava nel X secolo, ha mantenuto a Bali (si ritiene) lo stile più antico, più realistico rispetto a Giava dove, probabilmente per l’influsso islamico che proibiva immagini umane, le marionette sono più astratte. La rappresentazione tipica, preceduta e inframmezzata da elementi rituali, inizia tardi la sera e continua fino alle prime ore del giorno: inizia con una narrazione rituale, seguita dalla `danza dell’albero della vita’, simbolo della creazione; poi l’azione mostra in genere sovrani in conflitto, raggiungendo il climax con una battaglia che porta alla sconfitta del cattivo Cakil.

Altri generi diffusi di wayang legati a marionette sono: `wayang klitik’ (marionette di legno bidimensionali) e `wayang golek’ (marionette di legno tridimensionali; risale al XVI secolo); `wayang wong’ (marionetta umana, con gesti altamente stilizzati e talvolta maschere, a imitazione delle marionette). Molte forme di teatri d’ombre e di marionette di paesi vicini derivano probabilmente dal `wayang kulit purwa’ indonesiano: vanno ricordate almeno le tradizioni di Thailandia (`nang talung’ e `wayang siam’), Cambogia, Malesia (`wayang malayu’). Per gran parte delle forme spettacolari indonesiane vale la differenziazione fra tradizione giavanese – più astratta, sviluppatasi in seguito all’islamizzazione – e quella di Bali, fiorita all’ombra della corte induista, rimasta al potere in un sostanziale isolamento fino al nostro secolo.

Le forme balinesi più note oggi in Occidente, oltre alla variante locale di teatro delle ombre (`wayang parwa’), sono: il `wayang topeng’ (maschera), teatro mascherato, sviluppato a Bali nel XVII secolo, la cui forma più antica è il `topeng pajegan’, prevede un singolo attore con cinque diverse maschere, che all’inizio della rappresentazione egli pone in un cesto davanti al gamelan e che indossa una dopo l’altra, cambiandole man mano che cambia personaggio fino all’ultima (più recente il `topeng panca’ , dove gli attori sono cinque); il `legong’, danza affidata tradizionalmente solo a bambine, accompagnate dal gamelan; il `gambuh’, teatro danza sviluppato presso la corte hindu-buddista che resse Bali dal XVI secolo; il `baris melampan’, forma strutturatasi progressivamente attorno al `baris’, danzatore che rappresenta il guerriero. Va ricordato pure il `barong’ , creatura mitica simile al leone (e forse derivato dal leone cinese), al centro d’una rappresentazione che mostra un conflitto fra questi – enorme corpo-maschera animato da due attori ben coordinati, di cui uno controlla la testa, che può aprire la bocca, e l’altro la coda – e la strega Rangda, che si muove poco, guarda attraverso occhi bulbosi e terrificanti e lancia formule magiche.

Rancati,

L’attrezzeria Rancati è una ditta di proprietà della famiglia Sormani da tre generazioni (1864) fornisce l’attrezzatura scenica per il teatro, il cinema, la televisione e tutto ciò che fa spettacolo. Giulia Sormani, proprietaria con il primo marito di un’attrezzeria a Milano (nell’edificio del Teatro alla Scala), si risposò in seconde nozze con lo scultore Edoardo Rancati con il quale sviluppò l’attività, sino ad aprire sul finire del secolo scorso sedi a Roma, Torino e Bologna nel 1912. La ditta R. con sedi ora a Milano e Roma è fornitrice dei maggiori teatri italiani ed esteri e di produzioni cinematografiche. Gigantesca fabbrica dei sogni, dove si creano, si trasformano (su disegni di scenografi o costumisti), o si possono trovare raccolti con tradizione e grande passione, oggetti di scena, mobili, complementi di arredo, accessori del costume, armi, gioielli. Questi oggetti elaborati da artigiani – con materie plastiche, metallo, cuoio – nei laboratori della ditta, rappresentano le numerosissime collaborazioni con importanti registi, scenografi e costumisti italiani e stranieri.

Burgtheater

Nel 1776 l’imperatore Giuseppe II trasforma ufficialmente il Burgtheater nel principale teatro nazionale: in questa decisione l’imperatore fu influenzato parzialmente dalle idee di Josef von Sonnenfels sul potenziale educativo del teatro. Grazie al talento e al carisma di attori come Brockmann e Schröder il B. si rese noto e sviluppò per uno stile recitativo fatto di moderazione e grande senso dell’equilibrio fra i protagonisti e l’intero ensemble. Il passaggio dalla vecchia e intima sede nella Hofburg a quella del Franzen-Ring rappresenta anche un periodo di difficile transizione per questa istituzione, che grazie al nerbo e alla sapiente direzione di Max Burckhard (1854-1912) riesce a non cadere in bassa fortuna con spettacoli come Mitterwurzer e poi Kainz. Ancora oggi il Burgtheater è una delle più importanti istituzioni di lingua tedesca e continua a mettere in pratica, in forme nuove e più adatte a questo secolo, gli ideali di interpretazione e drammaturgia che lo hanno reso grande durante il diciottesimo e diciannovesimo secolo.

Lunt

Alfred Lunt sposò nel 1922 l’attrice inglese Lynn Fontanne (1887-1983) che fu sua compagna di vita e di scena per quasi quarant’anni (si separarono solo nel 1928 per interpretare due novità di O’Neill, lui Marco Millions e lei Strano interludio ). Insieme trionfarono per alcuni decenni sui palcoscenici di Broadway e di Londra in commedie scritte su misura per loro da eccellenti artigiani come N. Coward, S.N. Behrman e R. Sherwood, ma anche in opere più impegnative come La bisbetica domata di Shakespeare, Anfitrione 38 di Giraudoux e La visita della vecchia signora di Dürrenmatt, nel 1958, con la regia di P. Brook, ultimo loro successo. Erano apprezzati per il perfetto senso del ritmo, la straordinaria compatibilità e la capacità di essere irresistibilmente scintillanti nella commedia e sottilmente inquietanti nel dramma, anche se avevano affrontato solo di rado opere e personaggi degni del loro talento.

Vasilicò

Appartenente a quella che Franco Quadri ha definito la ‘seconda generazione’ della neoavanguardia, Giuliano Vasilicò compie la sua formazione culturale e artistica in Svezia, dove ha i primi contatti con il nuovo teatro americano e dove partecipa ai primi happening . L’esperienza svedese ha fine nel 1968, anno in cui decide di stabilirsi a Roma, qui conosce Giancarlo Nanni con il quale lavora per un breve periodo al Teatro La Fede e insieme al quale sperimenta una capacità gestuale che nel tempo andrà formalizzandosi in una espressione teatrale esteticamente rigorosa. Da una realtà-laboratorio fonda la compagnia Beat ’72 , in una delle `cantine’ romane.

Nel 1969 dà alle scene il suo testo Missione psicopolitica, seguito da L’occupazione (1970). Gli scarsi riscontri della critica lo spingono ad accostarsi ai classici: dapprima la sua scelta cade su Amleto (1971), così dal regista giustificata: “se sono costretto a mettere in scena un testo non mio, voglio almeno il più bello scritto dagli altri”, in seguito, sul romanzo filosofico del marchese De Sade da cui trae Le 120 giornate di Sodoma (1972). Il primo spettacolo celebra il concetto genetiano di identità tra delitto e teatro, una situazione in cui si genera un’intensificazione emotiva continua, che scopre nella ripetizione del gesto una puntuale esplicitazione stilistica. Quando la ripetizione si fa ossessiva e diventa momento portante dell’azione trova emblematici punti di contatto con il mondo e il pensiero di Sade: ecco dunque nascere il secondo spettacolo.

Nei due allestimenti successivi, L’uomo di Babilonia (1974), da Musil, e Proust (1976), spettacolo che evoca i rapporti tra lo scrittore e la sua opera, prende forma il suo gusto per le sfide impossibili e la sua consacrazione al romanzo gli permette di varare l’ambizioso progetto di realizzare traduzioni ideali dalla pagina alla scena, in una scrittura scenica definita da composizioni di immagini e di luci, su una struttura drammaturgica che si avvale di poche citazioni tratte dall’opera letteraria originale. La sua predilezione per Musil si manifesta attraverso il tentativo di dare all’autore austriaco un’identità scenica. Si susseguono, quindi, spettacoli come L’uomo senza qualità a teatro (1984), Il compimento dell’amore (1990, ripreso poi nel 1992 e nel 1997), Delitto a teatro (1992), work in progress inserito nel “Progetto Musil”. Tra di questi si annoverano gli allestimenti, Oscar Wilde. Ritratto di Dorian Gray (1986) e Il mago di Oz di Lyman Frank Baum (1987), con i quali V. affronta nuove esperienze. Negli ultimi anni si dedica alla ripresa delle sue opere più riuscite.