Pugliese

Laureato in giurisprudenza, Sergio Pugliese ricoprì un importante ruolo dirigenziale alla Rai, promuovendo i primi programmi sperimentali. Giovanissimo scrisse, in collaborazione con S. Gotta, una commedia dal titolo Ombra, la moglie bella (1932). Dopo il divertente lavoro Trampoli (1935, interpretato da D. Falconi), si dedicò a un teatro più pensoso e intimista, caratteristiche che lo accompagneranno nella successiva produzione. Tali elementi si ritrovano infatti anche nel Cugino Filippo (1937), Conchiglia (1937) e Vent’anni (1938). Il riferimento naturale di questo stile può essere individuato nel Giacosa di Come le foglie. La sua opera più nota è L’ippocampo (1942), nella quale si racconta con arguzia una vicenda coniugale: la commedia, che riscosse un grande successo, venne rappresentata in molte piazze europee e restò in cartellone un anno a Buenos Aires. Nel 1945 la stessa commedia ebbe una versione cinematografica. Sempre per il grande schermo, firmò la sceneggiatura, tra l’altro, di Gioco pericoloso (1942), L’angelo bianco (1943), Nebbie sul mare (1944-1945), Barriera a settentrione (1951).

Bond

Regista di molti dei suoi lavori, Edward Bond è un brillante autodidatta – alla stregua di Pinter e Stoppard – che considera l’educazione scolastica la prima forma di violenza sociale a cui è necessario ribellarsi. All’inizio della sua carriera, nei primi anni ’60, entra a far parte del Writer’s Group, riunito presso il Royal Court Theatre sotto la direzione del regista William Gaskill, che propone un’esperienza teatrale concreta iniziando i giovani alle tecniche brechtiane e all’improvvisazione. Edward Bond debutta con Il matrimonio del Papa (The Pope’s Wedding, 1962) e si afferma con Salvo (Saved, 1965), impressionando il pubblico con un ritratto impietoso della vita squallida e violenta di un gruppo di operai londinesi che arriva a compiere l’atto mostruoso della lapidazione di un bambino nella sua culla. Assimilata la lezione brechtiana, Edward Bond predilige la divisione del testo in scene e non in atti, si orienta verso un’estrema essenzialità scenografica, e ricorre in modo sistematico alle note introduttive al testo, che costruisce come analisi e non come drammatizzazione della vicenda. Sviluppando una poetica teatrale non naturalistica, Edward Bond parte dal teatro epico per spingersi oltre, usando la storia come ambientazione privilegiata da cui osservare con un certo distacco gli eventi e le problematiche contemporanee.

La necessità di rinnovamento e sperimentazione lo spinge all’impiego di stili diversi: dal realismo scarnificato dei primi lavori alla fantasia surreale, dai toni farseschi, in Quando si fa giorno (Early Morning, 1968, testo censurato), alla parabola brechtiana in La stretta via al profondo Nord (Narrow road to the deep North), e ancora alla rivisitazione shakespeariana in Lear (1971), come pure al mitico della tragedia greca in La donna (The Woman, 1978): testo presentato dall’autore nello spazio dell’Olivier al National Theatre che prendendo spunto dai testi di Sofocle e Euripide offre una rilettura della guerra di Troia da un punto di vista prettamente femminile. Al centro del suo teatro si colloca l’umana specie e la mutevolezza dei suoi valori: dapprima l’interesse è puntato su fenomeni di alienazione e violenza, poi si rivolge alla causa di tali atteggiamenti analizzando il potere nelle sue sfaccettature ( Il mare , The sea, 1973; Il fagotto , The Bundle, 1978; Restaurazione , Restoration, 1981) per approdare alla controversa questione della figura e del ruolo del poeta nella società e i suoi rapporti con la classe egemone ( La stretta via al profondo Nord , 1968; Bingo , 1973 e Il giullare , The fool, 1975). Attento curatore della parte riservata alla regia, B. si concentra sul testo quanto sugli attori, che devono essere, nelle sue parole, «the illustrations of the story as well as the speakers of the text […] and not be swept by emotion» (gli illustratori della storia e i portavoce del testo […] e non lasciarsi trascinare dalle emozioni). La violenza, la crudeltà e in genere le immagini aspre e brutali del suo teatro gli hanno procurato scarsa notorietà e poco favore tra il pubblico, ciònonostante rimane uno dei più celebrati scrittori di sinistra ad essere emerso dal teatro ‘fringe’ con vera originalità e grande forza per farsi spazio nei teatri istituzionali: presso la Royal Shakespeare Company (RSC) nell’85 con la trilogia The war plays sulla guerra e l’olocausto nucleare e al Leicester Haymarket con Jackett II nel ’90.

Landolfi

Solitario, colto, dandy, Tommaso Landolfi è uno degli autori più raffinati del secondo Novecento italiano. La sua narrativa, in cui il gioco e la mistificazione convivono con una tragica visione esistenziale, svaria dal simbolismo al realismo magico, dal romanticismo artefatto allo psicologismo gratuito, lasciando trasparire dietro la raggelante intelligenza una coinvolgente passionalità: Dialogo dei massimi sistemi (1937), Il mare delle blatte e altre storie (1939), Cancroregina (1950), Racconto impossibile (1966) e altri. La sua produzione teatrale non è paragonabile a quella narrativa. Suo primo testo drammatico – scritto nel 1956 – è il fortemente biografico Landolfo VI di Benevento. Nel 1961 viene trasmesso l’originale televisivo Cagliostro , mentre nel 1969, al Teatro Arlecchino di Roma, viene rappresentato Faust ’67 (opera vincitrice del premio Pirandello nel 1968), per la regia di S. Sequi. L. è anche stato autore di alcuni atti unici radiofonici, tra cui ricordiamo La farfalla strappata, La tempesta , Il dente di cera, trasmessi nel 1970, e Teatrino , andato in onda l’anno successivo.

café-chantant

Così, fra l’altro, Matilde Serao scrisse a proposito dell’inaugurazione del Salone Margherita, avvenuta la sera del 15 novembre dell’anno di grazia 1890. E potrebbe bastare quella frase, da sola, a dire del carattere addirittura emblematico subito assunto dal nuovo locale nel mondo dello spettacolo e presso la società dorata della Belle Epoque. Fu, in effetti, il primo autentico c.-c. non solo di Napoli, ma d’Italia: solo dopo, e con esiti di gran lunga inferiori, vennero il Gran Salone Eden di Milano e il Music Hall Olympia di Roma. Sicché possiamo dedurne tranquillamente che quel genere di locale e il genere di spettacolo a cui esso diede il proprio nome – l’uno e l’altro diffusi in tutta Europa tra la fine del secolo scorso e i primi quindi anni del Novecento – ebbero la loro capitale a Parigi, precisamente al Moulin Rouge, e la loro principale ambasciata per l’appunto a Napoli e al Salone Margherita. Del resto, anche un brevissimo elenco delle `chanteuses’ e dei macchiettisti che vi si esibiscono dimostra a sufficienza quanto alto fosse il livello artistico che altrettanto immediatamente si raggiunse in quel teatro a pianta circolare situato nelle viscere della Galleria Umberto I, di fronte al San Carlo: si va dalla Bella Otero a Nicola Maldacea, da Lina Cavalieri a Cléo de Mérode a Eugénie Fougère e Maria Campi, la donna che inventò la `mossa’. E corse, come un vento lieve, l’immemore euforia di un’epoca che danzava sul ciglio dell’abisso. A siglare sul piano dell’ufficialità più indiscutibile il trionfo del Salone Margherita e del genere di spettacolo che vi trionfava – un misto di musica, canto e attrazioni varie – fu, nientemeno, l’allora ventunenne Vittorio Emanuele, principe di Napoli: il 16 maggio del 1891 anche lui era fra gli spettatori che affollavano il locale. E al termine di una serata in suo onore, nel 1895, alla Fougère gli ammiratori napoletani regalarono gioielli per ventimila lire e fiori per diecimila: erano tanti, quei fiori, che strariparono fuori dei corridoi del c.-c. e invasero tutta la Galleria. Poi, dopo la prima guerra mondiale, il Salone Margherita – in uno con il tramonto della società e del tipo di spettacolo che lo avevano tenuto a battesimo – si trasformò in teatro di varietà. Ma, anche nella nuova veste, nemmeno un’ombra appannò il suo splendore: giacché ne continuano i fasti, tanto per fare appena qualche nome, `vedettes’ del calibro di Anna Fougez, Zara Prima, Elvida Donnarumma, Papaccio, Pasquariello, Vincenzo Scarpetta, Bixio, Fregolino, Armando Gill, Lina Gennari, la soubrette che con i suoi occhioni azzurri fece perdere la testa al già affermato (e ammogliato) Gino Cervi, e – last but not least – l’immenso Raffaele Viviani. Quindi, terminato pure il secondo conflitto mondiale, venne il tempo, nell’ambito della rivista, di giovani promettenti che si chiamavano, poniamo, Ugo Tognazzi ed Elena Giusti. E, ancora, passarono per il Salone Margherita Eva Nova, Franco Ricci, Amedeo Pariante per quanto riguarda la canzone napoletana e, per ciò che invece attiene alla sceneggiata, le sorelle Nunzia e Nuccia Fumo e i vari Gino Maringola, Amedeo Girard e Rino Genovese. Infine il declino: una prima chiusura il 14 gennaio del 1952, una seconda il 20 dicembre 1960 e la terza, definitiva, nei primi anni ’80, dopo che alle riviste con soubrette come Marcella Ruffini e Liliana e comici come Nino Formicola, Trottolino, Beniamino Maggio e Nino Lembo s’erano sostituiti i film porno e gli spogliarelli d’infimo ordine. Eppure, persino in quell’agonia stracciona brillò qualcosa dell’antica gloria: per esempio la sera in cui si vide un marinaio nero, venuto da chissà quali lontananze di solitudine, offrire una bottiglia `mignon’ di whisky, l’unica cosa che aveva, a una tristissima e sbrindellata spogliarellista. Lei, per un momento, l’aveva fatto sentire meno solo. Perché gli era sembrata bella com’era stata, un tempo, la Bella Otero.

Gala

Cordobese, debutta in teatro nel 1963 con I verdi campi dell’Eden (Los verdes campos del Edén), seguito da altri testi che si iscrivono in un realismo poetico e lacerato allo stesso tempo. Dal 1973, anno in cui ottiene un gran successo commerciale con Anelli per una dama (Anillos para una dama), tende ad avvicinare il suo teatro ai gusti del pubblico. G. è oggi forse il drammaturgo più noto in Spagna, benché la sua popolarità sia dovuta anche ai romanzi scritti negli anni ’80 e ’90, alla rubrica redatta per molti anni per un importante settimanale e alle sue numerose apparizioni in trasmissioni televisive. Nel 1988 firma un musical popolare, Carmen, Carmen , che rimane in cartellone a Madrid per varie stagioni.

Ashcroft

Dopo aver interpretato con notevole successo Ibsen in Norvegia, nel 1935 recita con J. Gielgud in Romeo e Giulietta , all’Old Vic, acquistando fama internazionale. Negli anni ’60 le viene conferito il premio Evening Standard per la sua interpretazione di Margaret in La guerra delle due Rose . Stringe una lunga amicizia con Pinter che coinvolge nell’impegno politico. Nel 1968 H. Pinter la sceglie per interpretare la sua Beth in Landscape , sostituendola per la prima volta alla moglie V. Merchant. Nel 1977 è Winnie in Giorni felici di Beckett, nella produzione di P. Hall al National Theatre, e nel 1981 recita in Voci di famiglia (Family Voices) di H. Pinter. Tra gli altri autori di cui è stata felice interprete, vanno ricordati Albee, Wilde, Sheridan e Shakespeare.

Tomasson

Formatosi con Vera Volkova, Erik Bidsted e Sigridur Arman, debutta nel 1958 con il Balletto di Tivoli per passare nel 1961 al Joffrey Ballet. Solista dell’Harkness Ballet dal 1964 al 1969, dal 1970 al 1985 è primo ballerino al New York City Ballet, dove si mette in luce per purezza ed eleganza in creazioni di Jerome Robbins ( The Goldberg Variations , 1971) e George Balanchine ( Symphony in Three Movements , 1972; Vienna Waltzes 1977). Ritiratosi dalla scene nel 1985 diviene l’anno dopo direttore del San Francisco Ballet, contribuendo al rilancio internazionale della compagnia, per la quale firma coreografie di stile neoclassico ( Con brio , 1991; Sonata , 1996).

Sergio

Formatosi nel teatro e nel cabaret, è stato per anni l’animatore del music-hall `Paradis Latin’ di Parigi. È soprattutto riconosciuto come il più prestigioso erede dell’archetipo circense del `monsieur loyal’: presentatore in celebri circhi mondiali, è dal 1975 l’annunciatore ufficiale del Festival di Monte-Carlo.

Mostel

; Brooklyn 1915 – Hollywood 1977), attore statunitense. Si affermò nel cabaret, ma nel corso di una carriera ostacolata per alcuni anni dal maccartismo fece valere la sua prepotente vis comica , la sua capacità di rendere creativamente espressiva l’estrema mobilità del volto, la sorprendente duttilità del suo corpo massiccio in una serie di eccellenti interpretazioni, dal Malato immaginario di Molière al Rinoceronte di Ionesco, culminate in un memorabile Ulysses in Nightgown , nel quale impersonava il Leopold Bloom del romanzo di Joyce e in un trionfale musical, il Violinista sul tetto di J. Bock. Grandi anche le sue interpretazioni cinematografiche ( Il rinoceronte , 1974; Il prestanome , 1976).

Candoco Dance Company

Fondata da Adam Benjamin e Celeste Dandeker, la Candoco Dance Company mira a consentire un accesso alla danza ai portatori di handicap (can do = poter fare); a differenza di altri complessi del genere, ricorre a coreografi professionali. La maggioranza degli artisti è costretta su una sedia a rotelle; tuttavia riescono ugualmente a muoversi ed esprimersi con almeno una parte del corpo. La compagnia ha partecipato, nel giugno 1997, all’International Wheelchair Dance Festival di Boston.

Piccolo Teatro di Milano

Il Piccolo Teatro di Milano è il primo esempio di organismo stabile fondato a Milano da Paolo Grassi e Giorgio Strehler e inaugurato il 14 maggio 1947, sulle note di Mozart eseguite dall’orchestra della Scala diretta dal maestro Perlea. della città di Milano apre per la prima volta il suo sipario su L’albergo dei poveri di Gorkij. In sala, sono presenti tutti coloro che a due anni dalla fine della guerra hanno sostenuto, con il sindaco Antonio Greppi, socialista e commediografo (mai rappresentato al Piccolo), la nascita di quella piccola sala di cinquecento posti, proprio nel luogo in cui le milizie fasciste di Ettore Muti (una lapide sulla facciata lo ricorda) si erano macchiate di delitti atroci contro i partigiani. A tenere le redini di quel teatro ‘stabile’ ci sono due giovani, il ventisettenne Paolo Grassi, con qualche spettacolo come regista all’attivo, carriera abbandonata per quella dell’organizzatore, e il venticinquenne Giorgio Strehler. Accanto a loro, Nina Vinchi.

La storia del Piccolo, al di là di qualsiasi agiografia di maniera, è, dunque, anche la storia di un’amicizia e di un modo comune, generazionale, di vedere le cose. Di qui la scelta condivisa da molti nella Milano uscita dalla Resistenza, la Milano del `Politecnico’, la Milano `laboratorio’ di una società nuova, di un `teatro d’arte per tutti’, con un repertorio internazionale, eppur attento alle proprie radici, come dice il manifesto che ne suggella la fondazione e firmato anche dal cattolico Mario Apollonio e dal comunista Virgilio Tosi. Così, per la prima volta in Italia, prende corpo, sull’esempio del Vieux-Colombier di Copeau l’idea di un teatro aperto, di un «pubblico servizio» necessario – scriverà Grassi in un articolo su “l’Avanti” del 25 aprile del 1946 – come i vigili del fuoco e la metropolitana (Vilar due anni dopo dirà «come il gas e la luce»). Sul programma della prima stagione Gor’kij sta accanto a Calderón de la Barca, il Goldoni di Arlecchino servitore di due padroni affianca il Pirandello dei Giganti della montagna e la drammaturgia contemporanea di Salacrou (Le notti dell’ira) a cui si deve una delle più belle definizioni che siano mai state date di questo teatro: «non ha di piccolo che il nome». La sala di via Rovello sarà per lunghi anni l’unica sede del Piccolo Teatro, ma fin dagli anni ’60 Grassi e Strehler parlano della necessità di uno spazio più grande. È da vedere in questa ottica l’acquisizione del Lirico. a partire dal 1964. Una delibera della giunta di sinistra guidata da Carlo Tognoli stabilisce infine la costruzione di un complesso che Strehler chiama «città del teatro, fabbrica delle arti»: comprende il Teatro Studio realizzato da Marco Zanuso sull’ex Fossati e, infine, dal 1997, dopo molte polemiche e ritardi, la Nuova Sala, che sarà intitolata a Strehler stesso, dopo la morte del maestro. Intanto, a partire dagli anni ’70, il Piccolo ha cercato capillarmente di conquistarsi nuovi pubblici portando il teatro nella cintura periferica, con i Teatri Quartiere.

La forza e la vitalità del Piccolo consiste soprattutto nella continuità della direzione artistica e di quella organizzativa, cariche che dal 1972 fino al 1997 Strehler ha assommato. Precedentemente era stato affiancato da Grassi, o da costui sostituito, quando il regista se ne andò polemicamente per alcuni anni (1968-1972). Nel 1997, per contrasti di natura politica, il regista preferirà dimettersi; ma Jack Lang, subentratogli, lo confermerà alla direzione artistica, carica che manterrà fino alla sua morte. Dal 1998 Sergio Escobar è il nuovo direttore del Piccolo e Luca Ronconi è il delegato artistico. Primo teatro della città di Milano, il Piccolo che oggi ha fra i suoi Enti fondatori il Comune, la Provincia, la Regione e lo Stato, ha progressivamente assunto, di nome anche se non di fatto, la dimensione di un teatro nazionale. Del resto, dal 1991 un decreto ministeriale lo nomina `Teatro d’Europa’.

Goslar

Dopo gli inizi come danzatrice con Gret Palucca e M. Wigman, si è dedicata al mimo, lavorando con Valeska Gert. Lasciata la Germania nel 1933, dal 1937 si è stabilita negli Usa dove la sua figura di mimo `clownesca’, fantasiosa e sorridente ha riscosso un immediato e duraturo successo. Nel 1943 ha fondato a Hollywood una scuola di movimento corporeo per attori, frequentata tra gli altri da G. Champion e M. Monroe; con il suo Pantomime Circus ha proposto per molti anni spettacoli di mimo segnati dalla sua inconfondibile vena ironica ( Clowns and other fools , 1966; Grandma always danced 1970).

ghiaccio,

La struttura dello spettacolo sul ghiaccio è quella della rivista, con grandi coreografie rese più spettacolari dalle innumerevoli combinazioni rese possibili dal pattinaggio sul ghiaccio. Lo sfarzo è quello tipico degli spettacoli parigini o di Las Vegas. In Europa lo spettacolo sul ghiaccio più conosciuto è Holiday on Ice, creato in America nel 1945 e diffusosi in tutto il mondo anche grazie ad attente strategie di marketing. Importato in Italia prima dalla Ivaldi, poi, dagli anni ’80, dall’organizzazione di Walter Nones già distintasi in precedenza per la creazione del Circo sul Ghiaccio. I responsabili della rivista (di recente è stata acquistata dalla potente casa di produzione televisiva olandese Endemoll) hanno, negli anni, scritturato i maggiori campioni internazionali di pattinaggio e affidato la composizione dello spettacolo anche a famosi creativi come Jérôme Savary. Altra compagnia che ha riscosso grosso successo è la Disney on Ice, prima impegnata nell’utilizzo dei più conosciuti personaggi di casa (Topolino, Paperino, ecc.), poi nello sfruttamento della grande pubblicità riservata agli ultimi lungometraggi (La Bella e la Bestia, Aladino, ecc). Nelle nazioni dove il pattinaggio è sport nazionale spettacoli simili nascono e muoiono a ritmo frequente, con la formazione di compagnie costituite da locali campioni della disciplina.

Randone

Dopo l’esordio a vent’anni con A. Ninchi, a dispetto del padre viceprefetto che lo sognava avvocato, Salvo Randone si formò in un lungo tirocinio con le compagnie di Zacconi, Melato, Ruggeri (da allora riconosciuto come il suo grande maestro), Chiantoni, Ruffini, Tumiati. Nel 1940 Simoni lo volle nel ruolo di Carlo Magno nell’ Adelchi di Manzoni al Maggio fiorentino e l’anno dopo Salvini in quello di Daniele nei Masnadieri di Schiller al Festival della Biennale di Venezia, accanto a Benassi, Ricci, Baseggio, Adani. Perfezionatosi al romano Teatro delle Arti di A.G. Bragaglia, passando da un personaggio comico della Cintia di Della Porta a uno drammatico nel Lutto si addice a Elettra di O’Neill, fu Lazzaro nella Figlia di Iorio con Ricci-Ferrati, per affermarsi definitivamente nel fervore dell’immediato dopoguerra quando, con le regie di Costa, Strehler, Giannini, Visconti, Enriquez, fu memorabile interprete di classici, convinto assertore del teatro di Betti, buon frequentatore di Shakespeare, attratto da Goethe, Ibsen, Verga, Gorkij, Giacosa, ma anche capace di dare credito ai fermenti del nuovo, inscenando testi dei contemporanei Fabbri, Landi, Lodovici, Pinelli, Malaparte. Se in Oreste, Edipo, Creonte, Filottete, Tiresia seppe esaltare l’afflato dei grandi tragici ereditato dalla nativa Magna Grecia, con altrettanta valenza affrontò il naturalismo lirico di Ibsen, l’empito lirico di Eliot, la sublime lezione di Goethe, il clownesco, cupo sberleffo di Pane altrui di Turgenev. Giunto al vertice della gerarchia di palcoscenico, rifiutò il cliché del mostro sacro, compiaciuto semmai dell’autodefinizione di `insocievole’.

Alternatosi con Gassman nei ruoli di Otello e Jago (1956), ebbe al suo fianco la Borboni, per qualche anno sua compagna anche nella vita, la Magni, la Carli, la Maltagliati, la Ferrati, la Zareschi, la Brignone, la Volonghi ma, soprattutto, Neda Naldi, sposata nel 1970. La sua sicilianità ritrosa, la sua umbratile malinconia, le sue inquietudini e nevrosi contribuirono a farne l’attore pirandelliano per antonomasia, ventenne Paolino, quarantenne Baldovino, settantenne Toti e Martino Lori, ma soprattutto ineguagliabile Enrico IV . Nel cinema ha girato, tra gli altri, con Pietri, Pietrangeli, Rosi, Visconti. Molte le sue apparizioni televisive.

mimo

Nel teatro greco-romano stava a indicare una composizione di natura istrionica e buffonesca non ancora autonoma dal teatro drammatico, trasformato nel XVIII secolo in genere popolare che si arricchiva di vere e proprie azioni mute tratte dal grande patrimonio pantomimico della commedia dell’arte. I mezzi non verbali dell’attore, piuttosto la mimica facciale, gli atteggiamenti e altre efficaci trovate verosimili si riassumono in una prima classificazione e separazione tra azioni mute e pantomima negli scritti di Diderot (1758), mentre è il trattatista Antonio Morrocchesi nel 1832 con le Lezioni di declamazione e d’arte teatrale a rilevare l’importanza della scena muta ma solo come `controscena’ all’azione dell’attore. Che il gesto e la pantomima fossero fondamentali al linguaggio teatrale, considerando il corpo un messaggero di significati più complessi (vedi L’art mimique, suivi d’un traîté de la pantomime et du ballet , Charles Aubert, 1902), bisognava attendere prima gli studi dei movimenti corporei di François Delsarte (1811-1871), e successivamente le influenze di quelle esperienze che si collegano al teatro giapponese, al cabaret di Karl Valentin o ai clown. Se Delsarte affermava che «per ogni sentimento esiste un gesto e uno svolgimento», la marionetta di Gordon Craig, e prima ancora di Kleist, sposta l’accento del corpo su una gestualità prevalentemente dinamica e scultorea decisamente influenzata dalle avanguardie artistiche del primo Novecento, e tra queste lo studio sull’improvvisazione pantomimica di Mejerchol’d definitivamente conclusosi nel riportare la biomeccanica a pratica laboratoriale. Il mimo è ancora configurato come forma teatrale non autonoma dal regista del Vieux-Colombier Jacques Copeau, benché egli affermi che possa esistere almeno teoricamente una specificità mimica nell’espressività dell’attore. Sarà un allievo di Copeau, Decroux, a rivoluzionare quegli esercizi del corpo propedeutici alla preparazione dell’attore, sviluppandone le potenzialità corporee in quanto conoscenza e consapevolezza di sé, delle proprie energie drammatiche e spirituali, elevandole a segno d’arte. Quello che per Decroux è una pedagogia che va ben oltre lo spettacolo e che ha per fine il `mimo corporeo’ (1931), sulla stessa scia Jacques Lecoq ricercherà una propria maschera e in un secondo tempo si dedicherà all’insegnamento, altri continueranno a intendere il mimo nella direzione di elemento accessorio al teatro (Barrault) o di intensità emotiva didascalica e bozzettistica (Marcel Marceau). Mantenendo fede ai principi di autonomia artistica del mimo rispetto al teatro, Eugenio Ravo continua la lezione di Decroux, del quale è stato studente e in un secondo tempo assistente, analizzando l’espressione del corpo in un contesto di narratività partenopea, che recupera quella matrice della commedia dell’arte decisamente istrionica.

Amodio

Diplomatasi alla Scuola del Teatro alla Scala, nel 1987 entra all’Aterballetto, del quale danza l’intero repertorio classico e contemporaneo diventandone ben presto elemento di spicco. Su Cristina Amodio il padre Amedeo Amodio crea il personaggio di Olimpia nella sua versione di Coppélia (1991) e il ruolo di Titania nel suo Sogno di una notte di mezza estate (1993). Lascia la compagnia nel 1997.

Varetto

Gianfranco Varetto studia a Parigi con Lecoq, la Balaschowa e R. Simon, poi lavora con Grotowski. Attore dalla metà degli anni ’60 e regista dal 1974, fonda a Roma, nel 1982, il Trianon con L. de Berardinis. Dopo aver messo in scena testi di Achternbusch ( L’ultimo ospite ), negli anni ’90 affronta Finale di partita di Beckett (regia di F. Tiezzi) e Caterina di Heilbronn di Kleist (regia di C. Lievi). Ha interpretato e diretto Corsia degli incurabili di P. Valduga, con il ruolo di un malato terminale dal volto coperto di bende.

Rizzi

Studia alla Boston Ballet School; entra poi nel Boston Ballet, nel New York City Ballet, nel San Francisco Ballet, nel Balletto di Graz, all’Opéra di Parigi, per passare in seguito al Ballett Frankfurt di William Forsythe (1985), di cui diventa assistente coreografo. Crea My Ant Farm per i colleghi francofortesi (1992) e altri lavori per le compagini junior del Joffrey Ballet e del Boston Ballet. La sua cifra di autore risente fortemente dell’influsso forsythiano.

Lang

Jack Lang è da molti anni al centro della vita culturale e istituzionale francese. Studente e poi professore di diritto, è entrato ben presto nelle file del Partito socialista francese, per il quale ha ricoperto numerose cariche elettive e istituzionali. Soprattutto legato alla figura del presidente F. Mitterrand, Lang è stato a più riprese Ministro della cultura (1981-86, 1988-91) e dell’educazione (1991-93). Attualmente presiede la commissione Affari esteri dell’Assemblea nazionale. Accanto alla carriera politica e a quella accademica, Lang ha sempre mantenuto viva la sua passione per il teatro, con un impegno attivo nell’organizzazione e direzione di festival ed enti teatrali, in Francia e all’estero. Ideatore e direttore del Festival International du Théâtre di Nancy (1963-1977), direttore del Théâtre National de Chaillot (1972-1974), dal gennaio 1997 al luglio 1998 ha diretto il Piccolo Teatro di Milano.

Shaffer

Nel 1956 di Peter Shaffer esce Esercizio a cinque dita (Five Finger Exercise), che viene esportato e filmato a Broadway. Seguono nel 1962 due atti unici: L’orecchio privato (The Private Ear) e L’occhio pubblico (The Public Eye). Ma il grande successo S. lo ha ottenuto con La caccia reale del sole (The Royal Hunt of the Sun, 1964), allestito da John Dexter al National Theatre, sul tema della conquista spagnola del Perù. Nel 1965 ha scritto, sempre per il National, Commedia nera (Black Comedy), a cui è stato aggiunto successivamente Bugie innocenti (White Lies, riscritto come White Liars). Commedia nera (allestita da Zeffirelli nel 1965 con la Guarnieri e Giannini), nell’adattamento di G. Patroni Griffi e con la regia di Terlizzi è stata ripresa al Teatro Giulio Cesare di Roma (1990). L’insuccesso di La battaglia delle confessioni e assoluzioni (The Battle of Shrivings, riscritto come Shrivings nel 1975) è stato riequilibrato dal consenso ottenuto per Cavalli (Equus, 1973), con la regia di John Dexter, che portò in scena cavalli veri. Equus è stato interpretato da numerosi attori come Alec McCowen, Anthony Hopkins, Anthony Perkins e Richard Burton. Nel 1978 il National Theatre ha messo in scena Amadeus , in cui S. elabora il classico tema dell’invidia di Salieri, artista conformista, per il genio di Mozart, e Yonadab (1985). I drammi di S. presentano, pur nella variazione, una tematica fondamentale: la lotta degli uomini per la ricerca dei significati in un mondo dove domina la morte e la religione non offre nessuna salvezza. Lo scontro continuo tra fede e mancanza di fede, tra passione, violenza e impotenza è rappresentato tramite l’azione drammatica e il potere della parola.

Hynd

Ronald Hynd studia alla scuola Rambert e danza con l’omonimo balletto dal 1949 al 1952; passa quindi al Sadler’s Wells, poi Royal Ballet, dove rimane fino al 1970. Interpreta numerosi ruoli principali con le due compagnie. Dopo aver creato una versione del Baiser de la fée per il Balletto nazionale olandese, lavora intensamente con il London Festival Ballet, dove allestisce Dvorcircák Variations e The Sanguine Fan (musica di Elgar), due tra le sue più importanti creazioni. La sua versione dello Schiaccianoci , come quella della Vedova allegra , è entrata nel repertorio di diverse compagnie. Crea Le Papillon (musica di Offenbach) per lo Houston Ballet. È stato direttore del balletto dell’Opera di stato bavarese dal 1970 al 1973.

Castilla

Arturo Castilla è una delle figure più importanti del circo iberico del dopoguerra. Inizia la sua carriera come clown, esibendosi estemporaneamente al fianco di Charlie Rivel; ma diventa noto come impresario circense, producendo numerosi circhi, fra i quali, con Manuel Feijoo, il Circo Americano (1946). Col fratello Raimundo dirige dal 1958 al ’70 il Price, circo stabile di Madrid, poi demolito. Membro di giurie di festival internazionali, saggista e scrittore di libri sul circo, ha ricevuto da re Juan Carlos la Medaglia d’oro delle belle arti.

Lichine

Nato Lichtenstein, David Lichine è emigrato dalla Russia ed ha studiato con Ljubov’ Egorova e Bronislava Nijinska; ha danzato nelle compagnie di Ida Rubinstein e di Anna Pavlova prima di entrare a far parte dei Ballets Russes de Monte-Carlo, dove ha danzato dal 1932 al 1945 in coreografie di Balanchine (Le bourgeois gentilhomme) e di Massine (J eux d’enfants, Le Beau Danube, Choreartium ). Ha incominciato a coreografare nel 1933, e fra i suoi titoli ( Francesca da Rimini, Il figliol prodigo ) è certamente Graduation Ball (1940) quello più conosciuto. Sposato con Tatjana Rjabušinskaja, ha fatto parte del Ballet Théâtre, continuando a coreografare per il balletto del Teatro Colón di Buenos Aires, per Broadway e altre compagnie, e insegnando a Los Angeles.

Bohner

Formatosi al balletto, dal 1961 al 1971 Gerhard Bohner danza con il Deutsche Oper di Berlino, dove crea ruoli di carattere in balletti di Tatiana Gsovsky e Kenneth Mac Millan; dirige poi la compagnia di Darmstadt (1972-75) e con Reinhild Hoffmann la compagnia di Brema (1978-81). Coreografo fin dal 1964, ha creato molti balletti su musiche contemporanee (I tormenti di Beatrice Cenci, musica di Gerard Humel, 1971), spesso ispirandosi alla tradizione del Bauhaus, culminata con la sua ricostruzione del Triadische Ballet di Oskar Schlemmer (1977); in seguito ha intensificato la sua attività di coreografo-performer, creando assoli esclusivamente su se stesso come Schwarz weiss zeigen (1983) Abstracte Tanze Im (Goldenen) Schnitt I (1989).

Swope

È fotografa ufficiale del New York City Ballet, della Martha Graham Dance Company, del Dance Theatre of Harlem. È autrice, con Tanaquil LeClercq, di Mourka (New York 1964), di Martha Graham (New York 1967) e di New York City Ballet (New York 1973) con Lincoln Kirstein. Le sue immagini si impongono per plasticità, partecipazione emotiva e slancio cinetico.

Acosta

Formatosi alla Scuola del balletto di Cuba dove si diploma nel 1991, già dal 1989 si esibisce come solista con la Compagnia del Teatro Nuovo di Torino, a fianco di Luciana Savignano e Gheorghe Iancu; in seguito è ingaggiato come primo ballerino dall’English National Ballet (1991-92) e dal Balletto di Cuba (1992-93) e qui interpreta tutti i ruoli del repertorio accademico virtuosistico (Don Chisciotte, Le Corsaire, Diana e Atteone), nei quali ha modo di sfoggiare la sua tecnica da virtuoso e la sua coinvolgente verve interpretativa. Dal 1993 primo ballerino dell’Houston Ballet (La fanciulla di neve di Ben Stevenson, 1998), si esibisce in numerosi gala e spettacoli internazionali.

Cara

Uscito dalla scuola del Piccolo Teatro, Ruggero Cara contribuisce alla fondazione del Teatro del sole (1971). Emerge al fianco di Walter Chiari in Six heures au plus tardes (1988). Interpreta un simpatico Capitan Uncino nel Peter Pan di A.R. Shammah, e poi testi più impegnativi come Relazione all’accademia di Kafka (1991). Nel 1994 interpreta Lei , per la regia di Marco Guzzardi, con Flavio Bonacci e Marina Massironi. Consolida la collaborazione con Angela Finocchiaro curando la regia di La stanza dei fiori di china e il testo di Benni La misteriosa scomparsa di W . Con l’Arena del Sole è Brighella nell’ Arlecchino di Goldoni e recita nel Woyzeck (1997-98); nella stessa stagione è regista nonché attore protagonista in I cani di Gerusalemme di Malerba e Carpi, con Ivano Marescotti.

Urbani

Allievo delle sorelle Battaggi alla scuola dell’Opera di Roma, Giuseppe Urbani nel 1946 entra in compagnia, diventando primo ballerino nel 1948. Fondatore della compagnia del Nuovo Balletto (1953-54), dal 1959 al 1962 danza con il Berlin Ballet e con il Balletto di Colonia, dove interpreta opere di A. Milloss ( Gezeiten, 1960). Maître de ballet all’Opera di Bonn (1962-1969) e al Comunale di Firenze (1969), come coreografo predilige lavori astratti e simbolici, spesso su brani contemporanei (Ode per i morti delle guerre , musica di Milhaud, 1971; Convergenze, musica di Ligeti, 1974). Nel 1985 ha creato con Ugo Dell’Ara il gruppo Balletto 80.

Zambello

Nunzio Zambello (o Zampello) è stato l’ultimo rappresentante di tradizione della pratica propriamente napoletana della `guarattella’, continuatore della scuola della famiglia Pino, con la quale ha lavorato per vari anni. Zambello ha operato nelle strade di Napoli e nella provincia campana, prima con la moglie – per la questua – e poi da solo, con l’aiuto saltuario di qualche ragazzino. Ha partecipato agli spettacoli, in Italia e in Centro e Sudamerica, con la Compagnia Carosello napoletano. Nel 1975 fu portato da Roberto De Simone all’Autunno musicale di Como e negli anni immediatamente seguenti fu inviato più volte a Milano. Nel 1978 ha dovuto smettere il suo lavoro sia per ragioni di salute, sia per l’indifferenza ormai del pubblico napoletano per la `guarattella’. La `guarattella’ è una forma di teatro dei burattini che si realizza in una baracca piccola e leggera, che ospita un solo operatore, ed è facilmente trasportabile a spalla. Personaggio centrale della `guarattella’ è Pulcinella a cui Zambello dava voce, secondo la più vecchia tradizione, con la `pivetta’ (piccolo strumento che, tenuto in bocca al burattinaio, altera in modo caratteristico la voce). La pratica della `guarattella’ è oggi continuata da Bruno Leone che per alcuni anni fu a fianco di Zambello per apprendere il mestiere.

Crommelynck

Figlio d’arte, Fernand Crommelynck dopo aver lavorato presso un agente di cambio si diede alle scene. Autodidatta, entrò in teatro prima come attore, poi come autore, debuttando con l’atto unico in versi Non andremo più nel bosco (Nous n’irons plus au bois, 1906), di cui fu anche interprete. Nel 1908 pubblicò un altro atto unico in versi, Lo scultore di maschere (Le sculpteur de masques), tragedia moderna di stampo intimista. I due lavori successivi, Il venditore di rimpianti (Le marchand de regrets, 1913) e Gli amanti puerili (Les amants puerils, 1921), ricalcano il medesimo stato d’animo. Il successo giunse con la farsa tragica Il magnifico cornuto (Le cocu magnifique, 1921), storia di un marito geloso che, da quando ha scoperto che la moglie è corteggiata da altri uomini, pur di provarne l’infedeltà la getta tra le braccia di tutti i paesani, finendo con l’esser tradito per davvero; celebre la messinscena di Mejerchol’d a Mosca nel 1922, esempio del costruttivismo in teatro. Trippe d’oro (1926), assalto contro la ricchezza e l’avarizia e Carine, o la ragazza prodiga della sua anima (1929), dove l’amore puro contrasta la sfrenata sensualità, connotano sempre più il suo teatro di toni farseschi, che spesso si colorano di patetismo e melanconia. Sullo stesso filone si pongono Una donna che ha il cuore troppo piccolo (Une femme qu’a le coeur trop petit, 1934) e Caldo e freddo (Chaud et froid, 1936). Ha adattato e scritto anche sceneggiature cinematografiche.

Lombardo Radice

Giovanni Lombardo Radice è direttore artistico della Cooperativa per Attori e del Teatro della Cometa di Roma. Dopo aver lavorato, tra gli altri, con registi come Aldo Trionfo e Giancarlo Cobelli, in veste di regista ha messo in scena opere di Shakespeare, Marivaux, Lorca, Strindberg, Scarpetta, per poi concentrarsi, soprattutto negli anni Novanta, sulla drammaturgia contemporanea inglese e americana, presentando in Italia autori come Ayckbourn, Gurney, Griffin, Kevenson, Durang, Keatley.

Finney

Esordì al Birmingham Repertory Theatre con Macbeth e Enrico IV di Shakespeare, di cui interpretò anche Re Lear con la regia di C. Laughton. Nel 1960 si fece notare a Londra in Billy il bugiardo di Hall-Waterhouse e l’anno dopo nel Lutero di Osborne. Nel 1965 recitò in L’ultimo addio di Armstrong di Arden per il festival di Chichester, e nel 1966 in Black Comedy di P. Shaffer. Interessanti sono anche le sue performance cinematografiche all’interno del `free cinema’ inglese: Sabato sera e domenica mattina (1960) a fianco di R. Roberts e Tom Jones di T. Richardson. Sono seguiti Due per la strada (1967), La più bella storia di Dickens (1970), Gumshoe (1971), Assassinio sull’Orient Express (1974) di S. Lumet. Nel 1968 ha diretto e interpretato L’errore di vivere ( Charlie Bubbles ) con la sceneggiatura di S. Delaney, che ritrae una generazione insofferente con l’originalità e la vivacità che ben si adattano alle sue qualità di attore. All’Olivier Theatre di Peter Hall, con la sua regia, F. ha interpretato Tamerlano il Grande di Marlowe, con cui fu inaugurato il teatro (1976) e Amleto e Macbeth di Shakespeare.

Pagliaro

Walter Pagliaro studia all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ dove si diploma in regia nel 1975 e svolge un periodo di apprendistato al Piccolo Teatro di Milano come assistente di Strehler. Nel 1978 affronta la sua prima regia portando sulle scene del Piccolo il Beckett di Aspettando Godot. Mostrando fin dal primo spettacolo un’attenta analisi del testo Pagliaro costruisce qui una grande metafora dell’esistenza umana rappresentata nelle sue fasi dall’evoluzione dei due protagonisti. L’anno seguente presenta L’illusion comique di Corneille sempre per il Piccolo, quindi, dopo essersi confrontato con la sua prima regia lirica nei Capuleti e Montecchi di Bellini al Teatro Comunale di Modena (1980), lavora per lo Stabile di Genova dove si occupa dell’allestimento di due testi di Kleist ( Il principe di Homburg, 1982 e Anfitrione , 1983). Nel 1984 è a Siracusa con Filottete di Sofocle e in seguito torna al Piccolo di Milano dove mette in scena Mon Faust di Valery (1987) e Stella di Goethe (1988) partecipando al `Progetto Faust’ di Strehler. Dal 1991 al 1995 lavora al Petruzzelli di Bari dove è impegnato insieme a Pierfranco Moliterni nei due progetti de Lo strumento scordato (1991) e Nell’intima dimora (1992). In questi lavori strutturati in due trilogie Pagliaro propone un’indagine sui rapporti fra l’attore e la scrittura giungendo ad esplorare i luoghi fisici del teatro stesso ne Lo strumento scordato (dove i tre racconti sono ambientati rispettivamente nel foyer, nel palcoscenico e nel sottopalco) e a rivelare il gioco delle relazioni fra attore, personaggio e testo in Nell’intima dimora. Si dedica successivamente agli allestimenti di Signorina Else di Schnitzler (1993) che porta in tournée per tre anni con l’interpretazione della Esdra, Sogno (ma forse no) di Pirandello, Doublages di Wenzel (1995). Nel 1995 crea insieme a Paola Mannoni, Roberto Herlitzka e Micaela Esdra l’Associazione culturale `Gianni Santuccio’ per la quale realizza tra gli altri: Antigone (1997) ed Elettra (1998) di Sofocle, Vestire gli ignudi di Pirandello (1998-99).

Skelton

Red Skelton nizia la carriera sulle tavole del vaudeville, in veste di comico che sa anche suonare il piano e cantare. Nel primo film a Hollywood, Vacanze d’amore (1938), compare con il nome di Richard S.; dal 1941 è sotto contratto con la Metro Goldwyn Mayer: interpreta altri quattordici musical, il primo dei quali è la trasposizione cinematografica dello spettacolo di Gershwin Lady, Be Good . La sua tipica risata e il volto caratterizzato dall’ampio sorriso lo rendono una figura molto amata dal pubblico, di solito nel ruolo di ragazzo cresciuto che continua a prendere cantonate e a cacciarsi nei guai ( Mademoiselle Du Barry , 1943; Bellezze al bagno , 1944; Ziegfeld Follies , 1946). Nel 1943 Minnelli realizza sulla esatta misura delle sue doti Il signore in marsina , ma il capolavoro giunge con il ruolo del mito musicale americano Harry Ruby nel film biografico Tre piccole parole (1950). È al fianco di Esther Williams in due dei più riusciti musical acquatici, La figlia di Nettuno (1949) e La duchessa dell’Idaho (1950). A partire dagli anni ’40 è presente in numerose serie radiofoniche e televisive.

Kops

L’opera di Bernard Kops è dominata dalla tensione tra disperazione autodistruttiva e speranza riconciliatrice, come nel suo primo lavoro, L’Amleto di Stepney Green (The Hamlet of Stepney Green, 1958), dove il protagonista Sam torna come fantasma per convincere il figlio ad amare la vita; o in Il sogno di Peter Mann (The Dream of Peter Mann, 1960), dramma sul pericolo atomico. Seguono Domani è un meraviglioso giorno (It’s a Lovely Day Tomorrow, 1976), scritto in collaborazione con J. Goldschmidt, Più fuori che dentro (More Out Than In, 1980), Ezra (1981) e Simon a mezzanotte (Simon at Midnight, 1982): qui il protagonista dimostra l’efficacia delle speranze e dei sogni contro la futilità e la paura della morte. Anche se porta in scena la vita dei ceti popolari, K. non si può etichettare come scrittore realistico. Le sue opere sono infatti parabole poetiche sulla natura umana e su conflitti non specifici dell’epoca contemporanea, ma universali.

Ravasio

La tradizione bergamasca ha come protagonista nella propria baracca la maschera di Gioppino riconoscibile dai tre gozzi sotto il mento. Benedetto Ravasio è l’artista che sintetizza il momento di passaggio tra la vecchia tradizione e il rinnovamento nel teatro dei burattini. Figlio di un panettiere, decise con la moglie, Giuseppina Cazzaniga, di intraprendere professionalmente l’arte alla fine degli anni ’40. R. fu scultore, pittore, drammaturgo e valente violinista. Rappresentò i suoi spettacoli in Italia e all’estero, per circa cinquant’anni. Fu denominato nell’ambiente `il principe dei burattinai’.

Talli

Virgilio Talli studiò recitazione all’Accademia dei Fidenti, a Firenze. Debuttò nel 1881 con la Tessero. Fece parte poi di altri complessi di valore e lavorò con Novelli, Reinach, Di Lorenzo, Andò. Nel 1900 vestì i panni di Massimo nella prima rappresentazione di Come le foglie di Giacosa. Nello stesso anno divenne direttore della prestigiosa Talli-Gramatica-Calabresi, compagnia di cui fecero parte anche Ruggeri, Giovannini, la Franchini e L. Borelli. Nel 1909 formò un altro gruppo importante, la Talli-Melato, con Giovannini, V. Vergani, A. Betrone e, successivamente, R. Lupi (è del 1917 la prima milanese di Così è (se vi pare). Dal 1918 al ’21 diresse, in collaborazione con L. Chiarelli, la semistabile del Teatro Argentina. Dal 1921 al ’23 fu a capo della compagnia Nazionale (con A. Borelli, Ruggeri, Calò, Tofano, Olivieri e la Sammarco).

Diresse M. Abba nel 1924, quando guidava la Capodaglio-Calò-Olivieri-Campa, e si occupò della tournée della Duse. Fu il primo a mettere in scena il teatro di H. Becque in Italia con La parigina (1890) e I corvi (1891). Le sue compagnie produssero circa trecento allestimenti, tra i quali vanno ricordati gli storici La figlia di Iorio di D’Annunzio (1904), Dal tuo al mio di Verga (1904), ed Enrico IV (1922) oltre a La vita che ti diedi entrambi di Pirandello (1923) e Marionette, che passione! di Rosso di San Secondo (1918). T., che smise di recitare nel 1912, ha raccolto le sue memorie nell’interessante volume La mia vita di teatro (Milano 1927).

Kostiuk

Di famiglia circense, si diploma nel 1960, dimostrandosi subito un innovatore dell’acrobazia sulla pertica: modifica l’attrezzistica della disciplina, inventando nuovi esercizi (come sostenere alla cintura una pertica di sei metri, sulla quale tre acrobati compiono figure acrobatiche). Nominato nel 1969 artista emerito della Repubblica russa, nel 1979 conquista il Clown d’oro al festival del circo di Montecarlo. In seguito viene nominato direttore del nuovo Circo di Mosca, che guida con profitto attraverso i profondi mutamenti degli anni ’90, riuscendo a rendere più agile la struttura e a trasformarla in un importante serbatoio di artisti per gli imprenditori occidentali.

Kidd

Dopo gli studi da ballerino classico Michael Kidd approda alla compagnia d’avanguardia del Ballet Theatre, che lascia nel 1947 per i palcoscenici di Broadway. Qui è autore di coreografie per Finian’s Rainbow (1947) e per altri musical che ne mettono in luce lo stile elegante ed esuberante, connotato sovente da gustose soluzioni umoristiche. I produttori di Hollywood lo chiamano nel 1952 per L’ultima zia di Carlo che gli vale un contratto fisso con la Metro, nei cui studios realizza alcuni dei capolavori del genere musicale come Spettacolo di varietà (1953), Sette spose per sette fratelli (1954), È sempre bel tempo (1955, limitatamente allo straordinario numero “Angie Valentine”). Il suo lavoro più lodato dai critici rimane Bulli e pupe (1955), musical di cui realizza le scene danzate prima in teatro (1950) e successivamente anche nella versione cinematografica (1955). Nel 1958 dirige Il principe del circo (Merry Andrew) , unico film della sua carriera da regista. Nella seconda metà degli anni ’60 viene coinvolto nelle megaproduzioni Star! (1968) e Hello, Dolly! (1969), nel vano tentativo di sollevare il genere musicale dal declino. Lavora intensamente anche per la televisione, dove raggiunge i massimi risultati in Peter Pan (1976). L’ultima sua coreografia di rilievo è per il film Il boxeur e la ballerina (1978).

Yuriko

Dopo essersi esibita con la Konami Ishii Dance Company di Tokyo (1930-1937), Kikuchi Yuriko si unisce alla compagnia di Martha Graham (1944-1966), dove danza ruoli principali come la Luna in Canticle for Innocent Comedians e Ifigenia in Clytemnestra . Mette intanto in scena alcuni suoi recital e danza anche a Broadway nel Re e io (1951-1954), con coreografie di Robbins. Si dedica all’insegnamento presso la scuola della Graham, dove si afferma come docente rigorosa e fedelissima al metodo della maestra.

Royal Shakespeare Company

Royal Shakespeare Company è una compagnia teatrale inglese fondata nel 1960 a Stratford-upon-Avon per volere di Peter Hall e Sir Fordham Flower, intorno alla ormai consolidata compagnia dello Shakespeare Memorial Theatre. L’intento di Flower e Hall prevede di trasformare un teatro e una compagnia, fino ad allora impegnati in un festival stagionale di un certo successo, nel primo esempio di `teatro nazionale’ con una compagnia permanente, attori a due o tre anni di contratto e la prospettiva di una sede a Londra presso l’Aldwych Theatre. Il programma di Stratford avrebbe concentrato le forze su Shakespeare e il teatro elisabettiano, mentre la sede londinese si sarebbe occupata di teatro moderno, anglosassone e straniero, e avrebbe accolto spettacoli da Stratford.

Nel corso degli anni ’60 la compagnia fa da autorevole controparte al National Theatre, allora diretto da Laurence Olivier, che più volte tenta di annetterla. Il gruppo raccolto intorno a Hall annovera artisti già affermati, tra cui Edith Evans, Peggy Ashcroft, Paul Scofield, Peter O’Toole, mentre si cura del processo di formazione di talenti quali Ian Holm, David Warner, Dorothy Tutin. A Londra la Royal Shakespeare Company intraprende di tanto in tanto brevi stagioni in teatri più piccoli: nel 1962 prende in gestione l’Arts Theatre, per destinarlo alla nuova drammaturgia facendo emergere scrittori come David Rudkin e Henry Livings, ma anche registi come Anthony Page e David Jones. Tra i meriti di Hall nella formazione della Royal Shakespeare Company, merita menzione l’impegno profuso nell’avvicinamento di teatranti e accademici: caso esemplare rimane John Barton, che lascia Cambridge per diventare regista e aiutante di Hall nell’insegnamento della recitazione in versi. La collaborazione Hall-Barton produce Le guerre delle rose (The Wars of the Roses, 1963), adattamento dei primi drammi storici shakespeariani che celebrò l’inaugurazione dell’Aldwych Theatre come sede londinese della Royal Shakespeare Company.

Nel 1968 Hall lascia il suo posto di direttore artistico a Trevor Nunn che nel 1978, visti i sempre maggiori impegni della compagnia, viene affiancato da Terry Hands. Sotto la guida di Nunn vengono sviluppati programmi di tipo sperimentale e progetti rivolti alla promozione della drammaturgia contemporanea (Bond, Barker), portati avanti in spazi-studio sia a Londra (The Place, Donmar Warehouse, The Pit presso il Barbican Centre) sia a Stratford (The Other Place, 1974). Nel 1986 un terzo spazio viene inaugurato dalla compagnia a Stratford, The Swan, per la rappresentazione dei contemporanei di Shakespeare. Nello stesso anno, Nunn lascia il suo posto e Hands prosegue nella direzione artistica fino al 1990, quando è la volta di Adrian Noble che, invertendo in parte la rotta, riporta la Royal Shakespeare Company a un repertorio più classico. Tra le produzioni di maggior successo si ricordano il Re Lear (1962) di Peter Brook con Paul Scofield, l’ Amleto di David Warner e ancora Brook con il suo Teatro della crudeltà (1964) e la messa in scena del Marat/Sade (1964) di Peter Weiss; i debutti dei lavori di H. Pinter, in particolare La collezione (1962) e Il ritorno a casa (1965); la trilogia di Enrico VI (Henry VI) di Hands; e per la regia di Noble l’ Enrico IV (Henry IV, Parts 1 and 2, 1991) con Robert Stephens e l’ Amleto (1992) con Kenneth Branagh.

Shaw

Di famiglia borghese protestante, dopo essere stato impiegato in un’agenzia immobiliare e dopo il fallimento del padre, nel 1976 George Bernard Shaw si trasferì da Dublino a Londra presso la madre. Scrisse cinque romanzi di scarso successo, segnalandosi come critico musicale e teatrale acuto, aggressivo, brillante. Aderì alla Fabian Society e nel 1889 pubblicò i Saggi fabiani (Fabian Essays in Socialism). La sua conversione al socialismo era iniziata con la lettura del Capitale, da cui si allontanò per la sottovalutazione nel sistema marxiano della volontà individuale, che nella concezione evoluzionistico-progressiva di Shaw era invece un fattore essenziale, insieme alla forza vitale (`life force’), per il raggiungimento di una società più giusta. Nel 1891 scrisse La quintessenza dell’ibsenismo, conducendo strenue battaglie sui giornali in difesa del teatro di Ibsen, di cui ammirava lo smascheramento dei falsi valori e il fatto di porre al centro del dramma la discussione di idee. Un altro documento dei suoi interessi critici è il saggio Il wagneriano perfetto (The Perfect Wagnerite, 1898), che testimonia il suo entusiasmo per la musica di Wagner. Con Le case del vedovo (Windower’s Houses), rappresentato nel 1892 all’Indipendent Theatre, si apre il ciclo delle `Commedie sgradevoli’, che comprende anche L’uomo troppo amato (The Philander, 1893) e La professione della signora Warren (Mrs Warren’s Profession, 1894).

La strategia della ‘sgradevolezza’ consisteva nel mettere in scena temi inaccettabili per la morale dominante, come la prostituzione o il denaro sporco. Seguirono le `Commedie dello smascheramento’, che nascondevano dietro la forma tradizionale di commedie brillanti a lieto fine una satira feroce dei falsi ideali della società. Le più interessanti sono Le armi e l’uomo (The Arms and the Man, 1894), Candida (1895) e Non si può mai dire (You Never Can Tell, 1997), in cui trionfano i personaggi realisti contrapposti ai portatori di un idealismo impraticabile. Tra Il discepolo del diavolo (The Devil’s Disciple, 1896) e La conversione del capitano Brassbound (Captain Brassbound’s Conversion, 1899), costruiti come melodrammi, S. conseguì un grande successo con Cesare e Cleopatra (Caesar and Cleopatra, 1898), che ebbe anche una costosa trasposizione cinematografica nel 1946 con Claude Rains e Vivien Leigh. Dopo quattro anni di riflessione tornò al teatro con Uomo e superuomo (Man and Superman, 1903), rivisitazione moderna del mito di Don Giovanni. D’impianto più politico (il problema dell’indipendenza irlandese) è L’altra isola di John Bull (John Bull’s Other Island, 1904).

Seguirono Il maggiore Barbara ( Major Barbara , 1905), Androclo e il leone (Androcles and the Lion, 1913), Pigmalione (Pygmalion, 1914), Casa Cuorinfranto (Heartbreak House, 1920), Ritorno a Matusalemme (Back to Methuselah, 1921-23) e Santa Giovanna (Saint Joan, 1923), vista come una protestante ante litteram per l’affermazione della priorità del suo giudizio su quello della Chiesa; e Il carretto delle mele (The Apple Cart, 1929). Santa Giovanna fu trasposto in film da Otto Preminger nel 1957 con la giovanissima Jean Seberg. Ma la massima fortuna fuori dalle scene la ebbe Pigmalione, con il bel film di Anthony Asquith e Leslie Howard (1938), la traduzione in musical di Alan Jay Lerner col titolo My Fair Lady, a sua volta trasposto in film da George Cukor (1964) con Audrey Hepburn e Rex Harrison. Nel 1925 gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura. Tra la produzione successiva, ricordiamo Troppo vero per essere buono (Too True to Be Good, 1932), Ginevra (Geneva, 1938) e Ai bei tempi del buon re Carlo (In Good King Charles Golden Days, 1939). Di origine ed educazione borghese, Shaw scelse come oggetto e referente proprio la borghesia, che egli voleva non solo stupire e scandalizzare ma trasformare in una società più giusta e meno ipocrita. Il suo grande merito è di aver calato la sua polemica sociale in un’opera che unisce la rivoluzione ibseniana alla tradizione popolare, la teatralità alla letterarietà. Il suo teatro ha esercitato la massima efficacia tra la fine del secolo scorso e la prima metà del Novecento.

capocomico

, assumendo a suo carico l’azienda della quale è responsabile legalmente, sia verso i suoi scritturati sia verso le imprese che gli forniscono i teatri. Sino a qualche decennio fa in Italia la maggior parte dei capocomici erano essi stessi attori di rango e direttori artistici della compagnia (è il caso del personaggio descritto da Pirandello nel 1921 in Sei personaggi in cerca d’autore ). E si trova proprio in questa doppia figura di artisti e imprenditori la ragione delle fortune dei più illustri attori d’un tempo, talvolta giunti all’agiatezza e più spesso vessati da precarie condizioni finanziarie. Gli odierni capocomici sono in genere enti, esercenti di teatro o persone che comunque esercitano l’impresa come un semplice atto di commercio.

Carreno

Formatosi alla Scuola del balletto di Cuba con Fernando Alonso e Azari Plisetsky, dopo aver debuttato nel 1986 con il Balletto nazionale di Cuba e conquistato i primi premi ai concorsi di Varna (1986), New York (1987) e Jackson (1990), danza come primo ballerino nell’English National Ballet (1990-92), nel Royal Ballet (1993-95) e dal 1996 nell’American Ballet Theatre. Danseur noble e partner di étoile internazionali (A. Ferri, N. Ananiashvili, S. Jaffe), invitato da tutti i più importanti teatri del mondo, tra i quali la Scala, interpreta tutti i ruoli del repertorio classico, eccellendo in quelli `eroici’ ( La bayadère ), in cui mette in luce una tecnica brillante e una forte personalità teatrale.

Pontedera,

Il Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Gruppo di Pontedera, fondato nel settembre del 1974 da Dario Marconcini e da Roberto Bacci, ha assunto nell’arco d’un ventennio vari nomi: Piccolo teatro di Pontedera, Compagnia Laboratorio, P. Teatro, Teatro Era, Istituto di ricerca e produzione teatrale della Toscana. È in fase di creazione, con la Fondazione Sipario Toscana, il Teatro nazionale d’Arte della Toscana. Pontedera è una `capitale nascosta’ del teatro, geograficamente marginale eppure centrale nella ricerca di un modello e di un linguaggio nuovi. È nato quasi dal nulla, per iniziativa di alcuni attori filodrammatici, quali erano Marconcini e Bacci, e di alcuni volenterosi privati. Un teatro fatto in casa, ma con larghe ambizioni; dapprima isolato all’interno della stessa città, ma intraprendente per i legami con voci teatrali lontane, prima fra tutte quella dell’Odin Teatret di Eugenio Barba, poi quella, sempre più robusta e radicata, del Workcenter di Jerzy Grotowski. Dal primitivo gruppo di dilettanti testardi, che uscì allo scoperto con un Macbeth di Shakespeare, diretto nel ’75 da Bacci, da quel minuscolo sodalizio di gente che si sentiva dominata dall’ombra del Living Theatre, si sono sviluppati tre successivi gruppi o compagnie, all’interno di una struttura più immaginativa che organizzativa che, col tempo, ha saputo diventare un punto di riferimento internazionale, in un clima che Georges Banu ha paragonato a quello delle accademie cinquecentesche. Oltre a una quantità quasi incalcolabile di seminari e di incontri con i protagonisti internazionali della ricerca (Barba, Brook, il Bread & Puppet ecc.), Il Centro di Pontedera svolge un’intensa attività organizzativa e distributiva. Lancia progetti di ricerca a largo respiro, per esempio quello che si svolge dall’ottobre 1980 al giugno 1982 intitolato “L’eresia del teatro: Stanislavskij”, coordinato da Paolo Pierazzini e Dario Marconcini, cui partecipano come insegnanti Marisa Fabbri, Jerzy Stuhr e Ryszard Cieslak. Dal 1978 al 1987 dirige il festival di Santarcangelo e, successivamente, le rassegne Volterrateatro e Passaggio a Pontedera. Con gli anni ’80 passa anche alla fase produttiva, allestendo, fra l’altro, Zeitnot di Bacci (1983), Le serve di Genet con drammaturgia di Paolo Billi e regia di Marconcini (1985), A. da Agatha con la regia di Thierry Salmon (1986, ripresa nel 1994), Laggiù soffia da Melville, regia di Bacci (1986), Hamletmachine di Müller con la regia di Tiezzi (1987), Edipo Iperboreo di Raul Ruiz (1988), Mattutino: diario di un curato di campagna da Bernanos, regia di Marconcini (1991).

Luzi

Tra i massimi esponenti della poesia del Novecento (Il giusto della vita, Su fondamenti invisibili, Al fuoco della controversia), saggista finissimo (L’inferno e il Limbo, Vicissitudine e forma), più volte candidato al premio Nobel per la letteratura, Mario Luzi ha scritto il suo primo testo teatrale nel 1947 ( Pietra oscura, rappresentato solo nel 1998) al quale sono seguiti, molto più tardi, nel 1971 il poemetto drammatico Ipazia , Rosales (1983) e Hystrio (1987). È stato ispiratore del Progetto Divina Commedia, teso alla messa in scena delle tre cantiche del poema da parte dei Magazzini (nel 1992 curò l’adattamento del Purgatorio ). Nel 1995 al Maggio musicale fiorentino ha debuttato Felicità turbate , testo nel quale L. ha ricostruito la figura del pittore Jacopo Carucci detto il Pontormo. Notevoli le sue traduzioni teatrali: Andromaca di Racine, Riccardo III di Shakespeare.

Pensa

Tra le opere teatrali di Carlo Maria Pensa si ricordano: Il fratello (1955), La figlia 1957), I falsi (1959), Riconoscenti posero e Gli altri uccidono (entrambe hanno vinto il Premio Riccione), Gli innocenti (1966), LSD, Lei scusi divorzierebbe ? (1970), Miladieci (rappresentata diverse volte e vincitrice del premio nazionale Vallecorsi), La piscina nel cortile con cui si aggiudica il premio Flaiano. Si è occupato di regia teatrale: sue sono l’allestimento e la riduzione del Successore di C. Bertolazzi, Una famiglia di Cilapponi di C. Dossi, Trilogia di Ludro F.A.Bon. Importante il suo contributo nell’ambito della letteratura drammatica milanese, alla quale ha contribuito con cinque commedie dialettali fra le quali Dammatrà ripreso recentemente al Franco Parenti nell’interpretazione di Piero Mazzarella. Ha diretto la sezione prosa della Rai.

Prévert

Autore di grande successo, legato soprattutto alle canzoni e alle raccolte di poesia, Jacques Prévert inaugura la sua intensa attività pubblica proprio con il teatro, in un clima di militanza politica appassionata, nel quale l’espressione artistica diventa un momento di impegno e di lotta. Nel 1932, con l’amico Tchimoukov, regista e attore, diventa la personalità guida del “Gruppo ottobre” (1927), che per l’accento dissacrante e iconoclasta si propone come esperienza significativa dell’avanguardia di ispirazione dadaista e surrealista. Il suo primo testo ad approdare sulle scene è Viva la stampa (Vive la presse, 1932), una satira farsesca sulla propaganda nazionalista e antipopolare della stampa di regime. Della prima metà degli anni ’30 sono anche: La battaglia di Fontenoy (La bataille de Fontenoy), efferata e sanguinaria pochade antimilitarista; L’avvento di Hitler (L’avènement d’Hitler), feroce denuncia contro la presa del potere del dittatore nazista; Disoccupato (Chômeur) e L’ambulante (Le camelot), due scenari di mimo e danza. Del 1935, anno dello scioglimento del Gruppo, è Il quadro delle meraviglie (Le tableau de merveilles), tratto dagli intermezzi di Cervantes. Da allora, spesso in collaborazione con Kosma, comincia a comporre le sue celebri canzoni, tra cui “Pesca alla balena” e “Storia del cavallo”, che avranno interpreti d’eccezione in Greco, Piaf e Montand. P. diventerà famoso anche grazie al cinema, soprattutto come scrittore dei dialoghi dei migliori films di Carné: Quai des brumes (1938), Le jour se lève (1939), Les visiteurs du soir (1942), Les enfants du paradis (1943-1944). Nel dopoguerra si dedicherà prevalentemente alla letteratura, pubblicando diverse raccolte di poesie che confermano la sincerità e l’autenticità del suo impegno umano e letterario.

Simonson

Fu tra coloro che portarono sui palcoscenici degli Usa i principi della nuova messinscena, teorizzati in Europa da Appia e Craig; ma affermò sempre il primato della parola sullo spettacolo e nel corso della sua carriera (svoltasi soprattutto presso la Theatre Guild, di cui fu uno dei fondatori e direttori) adeguò la propria immaginazione alle esigenze del repertorio, praticando in genere un realismo semplificato ed essenziale, ma disegnando anche scene espressionistiche (per La macchina calcolatrice di Rice) o costruttivistiche (per Dinamo di O’Neill) quando i testi lo richiedevano. Nel 1932 pubblicò un importante libro dal titolo The Stage Is Set .

Pomodoro

Nei progetti scenografici l’artista si avvale della sua esperienza di scultore astrattista, intendendo lo spazio in modo instabile, tramite forme astratte e monumentali sculture di luce. Nel 1953 partecipa a un concorso di scenografia promosso da A.G. Bragaglia, progettando insieme a Giorgio Perfetti scene e costumi per l’ Oreste di Alfieri. L’anno seguente ottiene un altro premio per le scene di Santa Giovanna dei macelli di Brecht. Nel 1982 riceve dal direttore artistico del Teatro dell’Opera di Roma, l’incarico di realizzare scene e costumi per la Semiramide di Rossini, in occasione del centenario del Teatro. Al Teatro Massimo di Palermo realizza, fra il 1983 e il 1985, le scene e i costumi per le versioni di Emilio Isgrò, in dialetto siciliano, di Agamennuni , I Cuefuri e Villa Eumenidi di Eschilo. Dal 1986 inizia la collaborazione con il regista Chérif col quale lavorerà per: La tragedia di Didone di Marlowe al Teatro dei Ruderi di Gibellina; La Chute de Cleopatre di Ahmad Shawqui a Gibellina (1989); I paraventi di Jean Genet al Teatro Testoni di Bologna (1990); Nella solitudine dei campi di cotone di Bernard-Marie Koltès (1992) e Più grandiose dimore di E. O’Neill al Teatro dei Satiri a Roma (1993). Fra le altre esperienze in ambito teatrale: l’ Edipo re (da una versione di I. Stravinskij e J. Cocteau da Sofocle), rappresentato nel 1988 all’Accademia musicale Chigiana di Siena; l’ Oreste di V. Alfieri (1993); Stabat mater (Roma 1994), La passione secondo Giovanni (Asti 1994) e Vespro della Beata vergine di A. Tarantino, sempre per la regia di Chérif (Benevento 1995).