Vasilicò

Appartenente a quella che Franco Quadri ha definito la ‘seconda generazione’ della neoavanguardia, Giuliano Vasilicò compie la sua formazione culturale e artistica in Svezia, dove ha i primi contatti con il nuovo teatro americano e dove partecipa ai primi happening . L’esperienza svedese ha fine nel 1968, anno in cui decide di stabilirsi a Roma, qui conosce Giancarlo Nanni con il quale lavora per un breve periodo al Teatro La Fede e insieme al quale sperimenta una capacità gestuale che nel tempo andrà formalizzandosi in una espressione teatrale esteticamente rigorosa. Da una realtà-laboratorio fonda la compagnia Beat ’72 , in una delle `cantine’ romane.

Nel 1969 dà alle scene il suo testo Missione psicopolitica, seguito da L’occupazione (1970). Gli scarsi riscontri della critica lo spingono ad accostarsi ai classici: dapprima la sua scelta cade su Amleto (1971), così dal regista giustificata: “se sono costretto a mettere in scena un testo non mio, voglio almeno il più bello scritto dagli altri”, in seguito, sul romanzo filosofico del marchese De Sade da cui trae Le 120 giornate di Sodoma (1972). Il primo spettacolo celebra il concetto genetiano di identità tra delitto e teatro, una situazione in cui si genera un’intensificazione emotiva continua, che scopre nella ripetizione del gesto una puntuale esplicitazione stilistica. Quando la ripetizione si fa ossessiva e diventa momento portante dell’azione trova emblematici punti di contatto con il mondo e il pensiero di Sade: ecco dunque nascere il secondo spettacolo.

Nei due allestimenti successivi, L’uomo di Babilonia (1974), da Musil, e Proust (1976), spettacolo che evoca i rapporti tra lo scrittore e la sua opera, prende forma il suo gusto per le sfide impossibili e la sua consacrazione al romanzo gli permette di varare l’ambizioso progetto di realizzare traduzioni ideali dalla pagina alla scena, in una scrittura scenica definita da composizioni di immagini e di luci, su una struttura drammaturgica che si avvale di poche citazioni tratte dall’opera letteraria originale. La sua predilezione per Musil si manifesta attraverso il tentativo di dare all’autore austriaco un’identità scenica. Si susseguono, quindi, spettacoli come L’uomo senza qualità a teatro (1984), Il compimento dell’amore (1990, ripreso poi nel 1992 e nel 1997), Delitto a teatro (1992), work in progress inserito nel “Progetto Musil”. Tra di questi si annoverano gli allestimenti, Oscar Wilde. Ritratto di Dorian Gray (1986) e Il mago di Oz di Lyman Frank Baum (1987), con i quali V. affronta nuove esperienze. Negli ultimi anni si dedica alla ripresa delle sue opere più riuscite.