Bertolazzi

Contemporaneo di Capuana, Giacosa, Praga e Rovetta, Carlo Bertolazzi collaborò al “Guerin Meschino” e alla “Sera” come critico teatrale. Il suo precoce esordio è del 1888 con Mamma Teresa , rappresentato con successo dai filodrammatici, cui seguono Trilogia di Gilda (1889) e La lezione per domani (1890). Il meglio di sé lo dà comunque nei grandi affreschi della Milano a cavallo tra i due secoli. Esemplare da questo punto di vista sono è El nost Milan, in cui la protagonista Nina viene presentata prima come donna del basso popolo, e successivamente nel corrotto ambiente della nobiltà milanese: alla disperazione della popolana innamorata di un pagliaccio del circo, e poi costretta a prostituirsi, risponde quella dell’aristocratica costretta in un’atmosfera di falsità che essa stessa finirà per rifiutare. Ne La gibigianna (1898) da molti considerata la sua opera maggiore, il senso di precarietà della vita è dato dalla tormentata e ‘maledetta’ storia d’amore di Bianca ed Enrico, sullo sfondo, efficacemente reso, del contrasto cittadino tra poveri e ricchi. Dopo questi esordi in vernacolo, B. si convinse dell’impossibilità di continuare la tradizione del dialetto milanese, e scrisse in italiano il resto delle sue opere senza però riuscire mai più a ritrovare la stessa intensità realistica che lo aveva contraddistinto. Restano comunque da notare L’egoista (1900) in cui viene rappresentato il personaggio assolutamente negativo di Franco Martengo. Questi, dopo avere sposato la donna amata dal fratello, ed averla costretta a subire i suoi continui tradimenti, sacrifica anche la figlia scombinandole il matrimonio, costringendola a stare al suo fianco per accudirlo durante la sua vecchiaia. Quando giunge l’ora della morte, in preda a crisi mistiche, lascia gran parte del suo patrimonio alla comunità religiosa, lasciando la figlia in miseria. Altre opere da ricordare sono La maschera (1896), La casa del sonno (1901), Lulù (1903,) Lorenzo e il suo avvocato (1905) e La zitella (1916), in cui prosegue la linea intrapresa agli esordi, di un realismo con sfumature anticipatrici dei toni crepuscolari, in cui il Croce scorse una «spiccata critica morale» legata a pregi di «movimento e brio teatrale».