Santarcangelo,

Il Festival di Santarcangelo è una rassegna nazionale e un importante punto di riferimento per la cultura teatrale italiana, crocevia di linguaggi ed esperienze diverse nell’ambito della ricerca e della sperimentazione. Ha ospitato i maggiori rappresentanti del cosiddetto Terzo Teatro e in alcuni casi del teatro ufficiale, della danza e della musica, promuovendo e sostenendo i giovani gruppi ancora poco noti o alle prime ribalte, favorendo il loro inserimento nel panorama teatrale italiano e internazionale. Da qualche anno esplica anche attività di produzione. La storia del festival è stata attraversata dai nomi più significativi del teatro contemporaneo. Nelle splendide piazze, cortili, palazzi del piccolo borgo medioevale e nei paesini intorno sono stati allestiti innumerevoli spettacoli provenienti da ogni parte del mondo che hanno raccolto migliaia di spettatori e coinvolto negli allestimenti e nell’organizzazione della manifestazione, la gente del luogo che ormai sente il Festival come appartenente alla città.

Nel corso della sua lunga storia che ha segnato le tappe del teatro di ricerca italiano e internazionale, il Festival è passato sotto differenti gestioni e direzioni artistiche, purtroppo in alcuni casi in conformità a strategie politiche e non esclusivamente culturali. L’ultima edizione, ‘Santarcangelo dei Teatri del ’98’, è stata curata dal direttore artistico Silvio Castiglioni, già a fianco di Leo de Berardinis che ha guidato le precedenti edizioni dal 1994 al 1997. Il tema scelto dal neodirettore in continuità con la linea di De Berardinis è stato `L’orizzonte e la memoria’, a sottolineare l’importanza della tradizione e lo sguardo sempre proteso verso il futuro. Per la ventottesima manifestazione, che ha coinvolto anche alcuni comuni limitrofi, Castiglioni ha voluto percorrere e intrecciare quattro percorsi: il primo l’ha condotto alla tradizione dei grandi maestri del teatro contemporaneo come Hideo Kanze, artista giapponese del teatro nô considerato nel suo Paese opera d’arte vivente; Leo de Berardinis, direttore uscente che ha inaugurato la manifestazione con la sua magica Lear Opera; e Thomas Richards, testimone del teatro di Grotowski a Pontedera.

La seconda via l’ha portato all’incontro con le spigolosità e le dolcezze della terra di Sicilia con la poesia di Franco Scaldati, i riti funebri di greca memoria di Aura Teatro, l’estetismo caravaggesco di Segnale Mosso, la lingua antica di Spiro Scimone, la singolarità di Nutrimenti terrestri, i pupi di Mimmo Cuticchio. La drammaturgia contemporanea è stata rappresentata tra gli altri da Danio Manfredini e Claudio Morganti, da Ivano Marescotti con il dialetto romagnolo, da Marcido Marcidorjs, da Raffaella Giordano, la più interessante danzatrice italiana. L’ultima via ha recuperato invece l’anima del Festival animando teatri e piazza con spettacoli e interventi a sorpresa.

Nato nel 1971, il Consorzio della gestione Festival, vecchio organismo che ha dato origine al Festival, dopo ventitrè edizioni si è trasformato nel 1994 in Associazione Santarcangelo dei Teatri, con la possibilità di accesso di altri enti sia pubblici che privati. Ripercorrere la storia di S. significa andare a ritroso nella storia della cultura teatrale e sociale italiana, specchio dei tempi e delle influenze dei maestri stranieri. Da semplice rassegna teatrale, vetrina degli spettacoli, il Festival nel corso degli anni si è configurato sempre più come laboratorio, luogo di sperimentazione, fucina di giovani talenti. Dal primo Festival del teatro in piazza, diretto da Pietro Patino che trasformò la cittadina in un grande palcoscenico coinvolgendola in una grande festa collettiva con spettacoli di teatro danza e musica popolare, sono passati ormai molti anni.

Il `Teatro Politico’ di Patino nato sulla scia del ’68 fu sostituito dall’avvento del Terzo Teatro, il giovane teatro di ricerca e di sperimentazione internazionale voluto da Roberto Bacci, fondatore del Piccolo di Pontedera, direttore artistico del Festival dal 1978 al ’79 e responsabile altresì dal 1984 all’88 della Cittadella del Teatro, (la manifestazione estiva di Santarcangelo) nata dalla fusione dell’Istituto per la Ricerca Teatrale (organismo permanente dal 1980 all’82 delegato alla programmazione annuale di spettacoli sul territorio) con il Festival estivo. Il `Teatro dei Gruppi’ fu la prerogativa della direzione di Antonio Attisani (1981) che accostò accanto ai gruppi storici del Terzo Teatro, nomi di artisti alle prime esperienze e personalità di spicco del teatro ufficiale. La gestione Attisani suscitò molte polemiche da parte dei gruppi italiani e costui fu costretto a dimettersi, per riprendersi poi la gestione, dopo Bacci, nel 1989, guidando l’edizione dal titolo emblematico `Teatro Indipendente’. Attisani rimase nel Festival fino al 1993 caratterizzando il suo programma come `Lavoro d’arte’ nel quale la pluralità delle singole sensibilità artistiche potesse trovare spazio e luogo per esprimersi. L’ultima sua edizione si ricorda per l’attenzione posta all’ex Jugoslavia. `Voci umane sempre presenti’, titolo che diede volto alla disperazione dei popoli offesi dalla guerra e, alle voci `umane’ del nostro tempo che inseguono l’indipendenza artistica culturale e politica.

Il breve passaggio di Ferruccio Merisi alla direzione di Santarcangelo (1982-83) passa sotto l’etichetta di `anni di riflessione’ durante i quali l’ex responsabile dell’Istituto per la ricerca teatrale, già collaboratore del Teatro di Ventura, approfondì e rivide in termini di riflessione e ripensamenti il senso del teatro contemporaneo. Da qui il titolo delle sue edizioni `Oasi e miraggi’ e `Le vie che hanno un cuore’. Per Merisi il Festival rappresentava ancora un luogo di esperienze collettive, e per questo motivo egli invitò gruppi storici del Terzo Teatro ma anche compagnie nuovissime che esprimevano una certa tensione etica in maniera inedita e in alcuni casi irriverente, per una feconda dialettica tra generazioni differenti.

Con la direzione di Leo de Berardinis (1994-97) si assiste a un confronto concreto tra i vari saperi teatrali: dall’organizzazione all’arte attoriale, dalla tecnologia alla critica, dalle poetiche alla teoria; da Shakespeare, alla commedia dell’arte e al teatro dei burattini. Evento spettacolare di quell’anno è stato Centoattori, dal numero dei protagonisti dello spettacolo, ironico happening con molteplici frammenti teatrali montati da Leo come emblema di Santarcangelo ‘Novecento e mille’, il sottotitolo di Santarcangelo ’97 che con il suo alone millenaristico e quasi apocalittico, è emblematico del desiderio di De Berardinis di azzerare tutto e di ricominciare da zero, per incamminarsi verso un futuro nel quale il teatro torni ad interrogarsi sui grandi temi e cerchi realmente una sua nuova identità, e un nuovo rapporto con il pubblico, con la critica e le istituzioni. Eredità raccolta da Silvio Castiglioni, collaboratore di Leo negli anni passati, e riannodata con grande sensibilità alle scelte del programma del Festival del 1998.

De Berardinis

Leo De Berardinis è nato a Gioi, in Campania, ma è cresciuto a Foggia. Alla fine degli anni ’50 si trasferisce a Roma, dove frequenta il Centro teatrale universitario. A teatro debutta da attore nella Compagnia della Ripresa formata da Carlo Quartucci, con cui realizza fra l’altro una serie di messinscene beckettiane. L’esaurirsi di questa esperienza, a metà degli anni ’60, coincide con l’incontro con Perla Peragallo con cui farà coppia per un quindicennio.

Nel 1967 presentano il loro primo `spettacolo cineteatrale’, La faticosa messinscena dell’Amleto , seguito l’anno successivo da un’altra rielaborazione shakespeariana, Sir and Lady Macbeth , in cui inserti di sperimentalismo cinematografico si innestano su una partitura scenica di tipo jazzistico. De B. va infatti elaborando la visione del grande attore come jazzista, dotato cioè della stessa libertà di improvvisazione del musicista. Il 1967 è anche l’anno del convegno di Ivrea, in cui il nuovo teatro italiano esce ufficialmente allo scoperto. Da Ivrea esce il progetto di un lavoro in collaborazione con Carmelo Bene, per un Don Chisciotte che debutterà nel 1968. Il sostanziale fallimento di questa esperienza porta l’attore a riconsiderare l’intera prima fase di lavoro, ribattezzata `teatro dell’errore’ giacché indirizzata a un pubblico sbagliato. Dopo una prova cinematografica, con lo sperimentalissimo A Charlie Parker , Leo e Perla, come ormai vengono chiamati da tutti, si trasferiscono a Marigliano, un paese dell’entroterra napoletano, alla ricerca di radici più autentiche. È il momento del `teatro dell’ignoranza’, in cui la cultura alta dei due artefici reagisce con quella popolare di un gruppo di attori improvvisati e musicisti di paese e si contamina con la tradizione della sceneggiata, come rivelano i titoli dei lavori di quel periodo, da ‘O zappatore (1972) a King lacreme Lear napulitane (1973), fino allo struggente Sudd (1974) che conclude idealmente questa stagione.

La cultura popolare meridionale resta comunque un riferimento essenziale anche dopo il ritorno a Roma, in spettacoli come Assoli (1977) e Avita murì (1978), fra i più importanti del decennio. La scena in cui agiscono appare sempre più degradata, la recitazione sempre più tesa verso un’improvvisazione che fa coincidere arte e vita, fino ad andare in scena con i loro nomi nello spettacolo siglato non a caso De Berardinis-Peragallo (1979). Ma si produce anche una divaricazione fra le scelte di Leo e di Perla, che culminerà nella separazione della coppia e in una crisi anche personale dell’artista, giusto al limite dell’autodistruzione alcolica.

La seconda parte della vicenda artistica di De B. ricomincia da Bologna, dove l’attore era stato chiamato dalla cooperativa Nuova Scena per un allestimento di The Connection (1983), il testo di Jack Gelber reso celebre dal Living Theatre. Leo propone nel giro di alcuni anni una sequenza di spettacoli shakespeariani, da una duplice versione dell’ Amleto (1984 e 1985) a King Lear (1985) e La tempesta (1986), severi e rigorosi tanto da sembrare ribaltare l’immagine del suo teatro. C’è in questo lavoro anche l’idea dichiarata di creare una compagnia, un gruppo stabile di attori che lo seguirà al momento del distacco da Nuova Scena, giunto paradossalmente in coincidenza della grande prova di Novecento e Mille (1987).

Con la nuova formazione, ribattezzata Teatro di Leo, De B. intraprende una sorta di ricapitolazione del proprio percorso artistico, che sfocia nel confronto a distanza con i maestri d’elezione, l’opera di Eduardo in Ha da passà `a nuttata (1989) e la maschera comica di Totò, principe di Danimarca (1990), per giungere poi all’incontro imprevisto con Pirandello per I giganti della montagna (1993) dove veste i panni femminili di Ilse. È però ancora Shakespeare il cardine del teatro di Leo, che dopo aver rivisitato Macbeth (1988) e IV e V atto dell’Otello (1992) ha intrapreso poi una pluriennale rilettura del King Lear (1997). Un Lear riletto in chiave anarchica sulla scorta della comicità riconquistata, che ricollega l’attore alla felicità espressiva dei suoi inizi.

Nel giugno del 2001 De B. entra improvvisamente in coma a causa di un intervento chirurgico. Si spegne a Roma dopo sette anni di calvario.