Abbondanza

Studia danza contemporanea a New York nei centri di A. Nikolais e M. Cunningham. Rientrato in Italia, nei primi anni ’80 entra a far parte della compagnia Teatro e Danza La Fenice di Venezia diretta da Carolyn Carlson. Nel 1984 è tra i fondatori del gruppo Sosta Palmizi, con cui realizza Il cortile (1985, Premio Ubu) e Tufo (1986); torna in seguito a collaborare con la Carlson a Parigi e inizia (1987) il suo sodalizio con la danzatrice e coreografa Antonella Bertoni (Roma 1964) con la quale sigla Terramara (1991), Pabbaja (1994), Spartacus (1995), Mozart Hotel (1997). È autore di un teatrodanza dai tocchi minimalisti, ispirato ai temi della quotidianità ed efficacemente sviluppato attraverso una gestualità intensa ed espressiva.

Beriozoff

Nicholas Beriozoff ha studiato a Praga e ha danzato a Kaunas fra il 1930 e il 1935 e con il Ballet de Monte-Carlo di R. Blum (1935-1938) e i Ballets Russes de Monte-Carlo (1938-1944). Ha svolto attività di maître de ballet presso l’International Ballet, il Metropolitan Ballet, il Teatro alla Scala, il London Festival Ballet, il Grand Ballet du Marquis de Cuevas, a Stoccarda (dove ha preceduto John Cranko), a Helsinki, Zurigo e Napoli. Considerato maître rappresentante la vecchia scuola, come coreografo ha soprattutto allestito classici del repertorio ottocentesco (Esmeralda, Schiaccianoci), i balletti di M. Fokine appartenuti al repertorio di Diaghilev, e ha creato nuove versioni di Undine (musica di Henze, 1965), Romeo e Giulietta (1966), Cenerentola (1967, entrambi su musica di Prokof’ev). Sposato con la ballerina Doris Catana, è padre della ballerina Svetlana Beriosova.

Vamos

Dopo gli studi all’Istituto nazionale del balletto di Budapest Youri Vamos entra nella compagnia dell’Opera di stato nel 1968 e interpreta tutti i ruoli principali del repertorio classico. Passato nel 1972 al Balletto dell’Opera di Monaco di Baviera come primo ballerino, vi danza fino al 1986. Direttore del Balletto di Dortmund (1985-1988), del Balletto di Bonn (1988-1992), del Balletto di Basilea (1991-1997), dal 1997 é al Balletto della Deutschen Oper am Rhein di Düsseldorf dove svolge un’intensa attività creativa, incentrata prevalentemente sulla realizzazione di nuovi balletti drammatici (Paganini, Shannon Rose) e revisione dei classici (Lo schiaccianoci) sofferenti spesso di una concezione drammaturgica involuta e di un farraginoso sviluppo coreografico.

Barbette

Barbette afferma nella pista del circo il genere del travestito guadagnandosi grande notorietà come `Reginetta americana dell’aria’. Frequenta i maggiori circuiti di varietà di tutto il mondo. Negli anni ’20 ottiene un enorme successo a Parigi, suscitando le attenzioni degli intellettuali. Al termine della carriera diventa ideatore e creatore di numeri aerei per John Ringling North, Orson Welles e la Disney. Muore suicida per un’overdose di sonniferi.

Petit

Pur non potendosi annoverare tra i veri rivoluzionari della danza del Novecento, Roland Petit è da considerare tra le personalità più interessanti, estrose e ricche di talento espresse dalla Francia nell’ultimo mezzo secolo. E ciò dovuto alla sua vastissima, fluviale, eterogenea ma anche, o soprattutto, inesausta curiosità di guardare al mondo e alla vita nei suoi più vari aspetti e di cercare temi e argomenti un po’ dovunque, anche se in specie nel territorio infinito della letteratura. Dotato di un solido bagaglio tecnico acquisito nei suoi giovanili anni all’Opéra di Parigi, è da sottolineare tuttavia come nel modo di operare di P. ci sia qualcosa di semplicistico se non addirittura di superficiale. E questo anche se il suo gusto non è mai scivolato nel volgare, anche là dove ha toccato aspetti erotici. Per certa `effervescenza’ insita in alcune sue coreografie per lui si è anche parlato di “style au champagne”. Il `coup de théâtre’ o la semplice trovata sempre poi presente nei lavori.

Quanto al suo curriculum, è di una ricchezza invidiabile. Entrato a otto anni nella scuola di ballo dell’Opéra, quindicenne viene ammesso nel Corpo di ballo della stessa e sedicenne diventa solista. Nel 1943, ne L’amour sorcier di Lifar, interpreta il suo primo ruolo importante. Anche il suo apprendistato come coreografo inizia presto accanto a J. Charrat con la quale, negli anni del secondo conflitto mondiale, compie alcune escursioni nella regione parigina. Nel 1944, al momento della Liberazione della capitale francese, abbandona l’Opéra e alla fine dello stesso anno dà vita alle Soirées de danse , germe dei futuri Ballets des Champs-Elysées che, con giovanile entusiasmo, sorprendendo il pubblico, dirigerà dal 1945 al ’47. Per gli stessi firmera numerosi lavori tra i quali, a spiccare e a dargli popolarità, Les forains . Il vero capolavoro però nasce con Le Jeune homme et la Mort (1947) destinato a diventare uno dei caposaldi della letteratura coreografica del dopoguerra. Successivamente, darà vita a Les Ballets de Paris e nel 1949, a Londra, presenta la fortunatissima violenta e controcorrente, Carmen.

Dei primi anni ’50 è una parentesi hollywoodiana che lo porta a creare, nella `mecca’ del cinema le coreografie di alcuni film di successo (La scarpetta di vetro , Papà Gambalunga , Il favoloso Andersen). Ritornato in Francia, nel 1954 crea l’interessante Le Loup su soggetto di Anouilh. In quello stesso anno sposa Zizi Jeanmaire già straordinaria compagna di tante brillanti avventure artistiche e per la quale curerà, oltre a La Croqueuse des diamants , vari applauditissimi shows. Nel pieno della maturità, la sua fantasia e il suo fervore creativo lo portano ad accostarsi ai soggetti più diversi. Se G. Simenon gli fornisce il soggetto di La Chambre (1955), il famoso dramma di E. Rostand gli offre materia per un popolare Cyrano de Bergerac (1959). Del 1965 è invece altro titolo famoso: Notre Dame de Paris ricavato dall’omonimo romanzo di V. Hugo. Nel frattempo grandi teatri europei lo invitano a produrre per loro. Così la Scala di Milano (Le quattro stagioni , 1963; Poème de l’extase , 1968); così il londinese Covent Garden dove, per la coppia Fonteyn-Nureyev, crea Paradise Lost (1967). Nel 1970 viene nominato direttore dell’Opéra di Parigi ma l’esperienza è di breve durata.

È del 1972 la nascita del Ballet de Marseille (poi Ballet National dei Marseille-Roland Petit) al quale, fino al 1998, anno in cui è costretto a lasciare, dà tutte le sue energie arricchendolo di una lunga serie di lavori. A spiccare, una originale spumeggiante versione di Coppélia (1975). Anche in questa sua nuova fase artistica, non mancheranno versioni sceniche di notissime opere letterarie (fra l’altro Nanà da Zola, Les intermittences du coeur da Proust, Les hauts du Hurlevent dalla Brönte, Le fantòme de l’Opéra da Leroux). Sono degni anni ’80 altri fortunati lavori: Le mariage du Ciel et de l’Infer (Milano, 1984), Le chat botté (Parigi, 1985), L’Ange bleu (Berlino, 1985), Ma Pavlova (Parigi, 1985), Le diable amoreux (1989). Seguono negli anni ’90 altri titoli di successo, tra i quali La bella addormentata (1990), Pink Floyd Ballet (1991), Charlot dans avec nous (1991), Il Gattopardo (Palermo, 1995), Chéri (Milano, 1996) e Le Lac des cygnes et ses maléfices (Marsiglia, 1998).

Scompare il 10 luglio 2011 a Ginevra.

Guerra

Nicola Guerra ha studiato a Napoli presso la scuola del Teatro San Carlo. Primo ballerino alla Scala (1879) e in seguito all’Opera di corte di Vienna (1896-1902) e all’Opera di Budapest (1902-15), Guerra ha danzato a Pietroburgo, Londra, Parigi, New York. Per l’Opera di Budapest lavorò come coreografo dal 1902 al 1912, producendo diciannove balletti e dando nuovo impulso artistico e organizzativo al balletto ungherese. Dopo la prima guerra mondiale trascorse alcuni anni in Italia, lavorando come coreografo presso la Scala (1923) e presso l’Opera di Roma (1931). Fra le coreografie da lui realizzate sono da ricordare Castor et Pollux (1918) per l’Opéra di Parigi, su musica di Rameau, e Artémis troublée (1922) su musica di P. Paray. Ritiratosi dalle scene, trascorse gli ultimi anni della sua vita a Cernobbio.

Paxton

Steve Paxton è una delle figure più interessanti e originali della danza americana: se non l’inventore, è certamente uno dei maggiori fautori della Contact Improvvisation. Uno sperimentatore irriducibile, refrattario ai circuiti del mercato e impegnato in un tipo di ricerca artistica di reali dimensioni sociali: critica nei confronti della danza e della società, basata sulla percezione dei corpi e sulla loro libertà contro i modelli canonizzati nei valori estetici della danza corrente. Tutta la sua produzione si interroga sullo statuto del coreografo e del danzatore e sulla loro funzione nella società. Dopo aver terminato gli studi ginnici in Arizona, entra nel 1958, all’età di diciannove anni, al Connecticut College dove insegnano Martha Graham, José Limón, Doris Humphrey e Merce Cunningham. Danza nella compagnia di quest’ultimo dal 1961 al 1964 e quindi, influenzato dalla contro-cultura newyorkese degli anni Sessanta (Living Theatre, Paper Bag Company, Diane Diprima), dalle sue stesse posizioni politiche radicali e dagli artisti della Pop Art e del Minimalismo, è cofondatore, nel 1962, del Judson Dance Theatre: il centro artistico sperimentale di New York in cui ebbe origine il movimento della Postmodern Dance. Interpreta lavori di alcuni colleghi del Judson, come Yvonne Reiner ( Trio A , 1966) e Trisha Brown, avviando anche una personale ricerca sul movimento che parte da Isadora Duncan, da lui considerata la pioniera della libertà e dall’egualitarismo coreutici, ma si estende all’analisi del movimento suggerita da Rudolf von Laban. Inizialmente crea performances nutrite di gesti quotidiani e con l’apporto di oggetti, rivelando qui una propensione per il `ready made’ influenzata da Marcel Duchamp.

Nella pièce Satisfaying Lover (1967) si avvale di decine di interpreti non professionisti della danza per una performance in cui attribuisce significato estetico all’azione comune del camminare. Egli ricerca un metodo di trasmissione del movimento che prescinda dal volontarismo e dalla soggettività; si orienta verso la scoperta della realtà organica (respirazione, coscienza dello scheletro e del flusso muscolare) propria a ciascuno dei danzatori e non-danzatori con i quali lavora e conseguentemente privilegia le forme dinamiche più semplici come, appunto camminare, correre, saltare. Esplora, inoltre, le possibilità di sviluppo del movimento a partire da una riflessione sulle forze dinamiche che lo condizionano (forza di gravità, di inerzia, ecc.) e sull’interpretazione energetica tra i corpi. Nel 1970 fonda il gruppo di ricerca Grand Union con, tra gli altri, Trisha Brown, David Gordon, Douglas Dunn e Yvonne Rainer e sviluppa, in un laboratorio con otto uomini, la tecnica conosciuta come Contact Improvvisation (o Contact Dance): uno strumento di libero scambio dinamico, incentrato sullo scambio di peso e appunto di energia tra i corpi dei performers. Un dare e avere di spinte e resistenze reciproche, che, in una gamma infinita di combinazioni improvvisate, impongono uno stato di continua tensione percettiva. La Contact Improvvisation è infatti una commistione di ginnastica, arti marziali, Tai Chi Chuan e metodo Alexander che non impone alcuna concezione estetica, ma, come ricerca di base, supera le frontiere tra le diverse discipline del movimento e diviene terreno d’incontro dinamico per danzatori, atleti ma anche per dilettanti.

Con i suoi primi laboratori maschili di Contact Improvvisation, Paxton sovverte, tra l’altro, il ruolo abitualmente conferito agli uomini nella danza: dimostra che la loro forza può tramutarsi in tenerezza. L’esito, che fa scalpore, è una sorta di risposta simpatetica al movimento femminista tanto in auge in quegli anni. Nella seconda metà degli anni Settanta insegna in Europa e spesso in Italia dove compare anche nel 1980, accanto alla partner Lysa Nelson nell’intenso e ironico duetto Part (su musica e interventi vocali di Robert Ashley) che rivela la forza e il fascino della sua figura di performer-ballerino. Assente dalle scene nel decennio successivo, continua la sua ricerca in forma appartata e solitaria senza rinunciare all’insegnamento. A metà degli anni Novanta torna sporadicamente a compare in veste di danzatore-performer e coreografo: in duetto con Trisha Brown a Vienna, nel 1996, e, nello stesso anno, ancora in coppia con la Nelson in Excavations continued.

Vasil’ev

Dopo gli studi all’Istituto coreografico di Mosca Vladimir, Viktorovic Vasil’ev è ballerino al Bol’šoj dal 1958 al 1988. All’inizio della carriera è considerato danzatore inadatto a ruoli di principe: fra il 1960 e il ’64 interpreta Inavuska nel Cavallino gobbo, Petruška, Lejli e Medznun (coreografia di K. Golejzovskij), Don Chisciotte. Nel 1966 è il primo interprete di Schiaccianoci nella nuova versione di J. Grigorovic. Ma la sua prima grande interpretazione dove dimostra, oltre che doti di danzatore, forti capacità drammatiche è Spartaco del ’68, in cui dà allo schiavo tracio in rivolta contro i romani una irripetibile dimensione tragica di eroe positivo. Fra gli altri balletti di cui è protagonista: Giselle, Romeo e Giulietta, Chopiniana, Laurencia, Paganini, Ivan il Terribile.

Spesso ospite delle più grandi compagnie, danza con la moglie Ekaterina Maksimova con i più importanti coreografi degli anni ’70 (ad esempio Roland Petit e Maurice Béjart). Frequenta le scene italiane e nel 1988 crea Zorba il greco (musica di Mikis Teodorakis, coreografia di Lorca Massine) all’Arena di Verona. Negli anni ’70 e ’80, oltre a impersonare con la moglie la coppia di danzatori sovietici da contrapporre ai `traditori’ Nureyev e Barišnikov che avevano abbandonato il Paese, affronta insieme a Maja Pliseckaja una lotta all’interno del Bol’šoj contro la dittatura del direttore coreografico Jurij Grigorovic. Fra le coreografie da segnalare, Anjuta ispirato a Cechov e realizzato per la moglie. Dal 1995 è direttore artistico del Bol’šoj. Danzatore classico di grande virtuosismo, adatto a ruoli di principe ed eroici, capace di grande interpretazione drammatica, è considerato uno dei più grandi ballerini della sua epoca.

Kylián

A nove anni Jirì Kylián inizia lo studio della danza classica alla Scuola di balletto del Teatro nazionale di Praga, per poi passare ai corsi di Zora Semberova al Conservatorio di quella città. Dopo il perfezionamento alla Royal Ballet School di Londra, nel 1968 entra a far parte dello Stuttgart Ballet diretto da John Cranko, e qui dal 1970 elabora le sue prime coreografie ( Paradox e Coming and Going ), in occasione dei Laboratori coreografici della Noverre Society, diventando il più giovane coreografo attivo nella compagnia. Dopo aver creato nel 1973 Verkl&aulm;rte Nacht (musica di Schönberg) per il Nederlands Dans Theater, nel 1975 ne diventa codirettore, e dal 1978 direttore artistico; in quello stesso anno ottiene il primo riconoscimento internazionale con Sinfonietta , su musica del conterraneo Leoš Janácek, che trionfa allo Spoleto Festival di Charleston. È autore di oltre sessanta coreografie per il Nederlands Dans Theater e per quaranta tra le maggiori compagnie di balletto del mondo; tra queste sono particolarmente significative Return to a Strange Land (1975), Sinfonia in re (1976), Sinfonia di salmi (1978), Messa glagolitica (1979), Forgotten Land (1981), Svadebka (1982), Stamping Ground (1982), L’enfant et les sortilèges (1984), Silent Cries, Six Dances (1986), Kaguyahime (1988), No More Play (1988), Petite Mort (1989), Falling Angels (1989), Un ballo (1991) Obscure Temptations (1991), Stepping Stones (1991), As if Never Been (1992), No Sleep till Dawn of Day (1992), Tiger Lily (1994), Arcimboldo (1995), Bella Figura (1995), Tears of Laughter (1996), Wing of Wax (1997), One of a Kind (1998). Considerato uno dei massimi coreografi del nostro tempo, fin dagli esordi si segnala per l’innovativa capacità di fondere in un linguaggio di estrema aderenza alla musica, fluido ed energico, gli stilemi del balletto classico, della danza moderna e di quella folclorica, che declina in emozionanti lavori corali ispirati ai vari aspetti della condizione umana. In seguito, con lo studio sulle danze primitive e aborigene realizzato con Stamping Ground , K. approfondisce l’origine dinamica e fisica del movimento e si volge a lavori più astratti e intimisti, contrassegnati da immagini surreali e calati, anche grazie a un accurato utilizzo delle luci, in atmosfere oniriche, i quali alludono sempre a profonde inquietudini esistenziali o riflettono sul senso umano e artistico della danza in una calibrata corrispondenza tra incessante, creativa ricerca formale e meditati contenuti interiori.

Vantaggio

Dopo gli studi con T. Battaggi e alla Scuola di ballo dell’Opera di Roma Giancarlo Vantaggio entra nella compagnia diventandone in breve primo ballerino. Crea ruoli in molti balletti di A. Milloss e in spettacoli di S. Bussotti. Come coreografo debutta nel ciclo dei Fogli d’album del festival di Spoleto; in qualità di assistente e coreografo è dal 1974 con R. Petit e il Balletto di Marsiglia, dove crea Bizet’isme (1974). Sempre come coreografo cura le danze dei film Il Messia di Rossellini e Don Giovanni di J. Losey. Ha diretto inoltre il Corpo di ballo del Teatro La Fenice e la compagnia Artedanza.

Montalvo

Dopo aver studiato arti plastiche, José Montalvo si dedica alla danza seguendo corsi con J. Andrews, al quale, in seguito, dedicherà una delle sue coreografie ( La Gloire de Jérôme A. , 1996). La sua formazione però, deve molto agli incontri con la celebre coppia di didatti D. e F. Dupuy, così come all’influenza della Carlson, della Child e di Cunningham. Dall’incontro con la danzatrice D. Hervieu, che diventerà sua assistente e collaboratrice, nasce uno dei lavori destinati a metterlo in luce: La demoiselle de Saint-Lô . Negli anni ’80 conduce le sue esperienze coreografiche in un centro psichiatrico parigino, l’Institute Marcel Rivière. Successivamente tornerà nel circuito normale presentando lavori ricchi di dinamismo e sovente percorsi da una vena umoristica. Particolare successo riscuotono Hollala-Hollaka (1994), dove fra gli interpreti figurano anche bambini, e Pilhaou-Tibaou (1996). Fortemente immaginativo è anche Paradis (Lione 1997), lavoro che miscelando musiche di Vivaldi all’hip-hop, canta la gioia di vivere e si presenta come un vero manifesto d’integrazione fra razze e culture diverse.

Ailey

Dopo gli studi di danza moderna con Horton, Graham, Holm, Weidman, i corsi di balletto con Karel Shook e di recitazione con Stella Adler, Alvin Ailey ha debuttato come ballerino nell’Horton Dance Theatre (1950), di cui è diventato responsabile alla morte del maestro (1953). Si è esibito anche nel musical, nel cinema (Carmen Jones , 1954) e in teatro fino al 1965, quando si è ritirato dalle scene. Ha fondato l’Alvin Ailey American Dance Theatre (1958), che è entrato poi a far parte del City Center for Music and Drama di New York. Ha svolto una intensa attività nel campo dell’insegnamento e dello spettacolo, con frequenti tournée in tutto il mondo. Con le sue coreografie ha saputo creare un nuovo genere, altamente spettacolare, misto di danza moderna, classica, jazz e afro, conquistando una grandissima popolarità, come testimoniano i suoi titoli più famosi, ispirati dalla cultura nera urbana e dalla ricchezza della religiosità insita nel blues e nel gospel. Tra questi spiccano Revelations (1960), Cry (1971) e The River (1970) su musica di Ellington, ideato per l’American Ballet Theatre, e in repertorio anche all’Aterballetto. Numerose importanti compagnie hanno acquisito i suoi lavori: Joffrey Ballet, Opéra di Parigi, Royal Danish Ballet, London festival Ballet, mentre per la Scala ha creato La dea delle acque , interprete Luciana Savignano (1988). La sua compagnia, la prima multirazziale negli Usa, ha in repertorio anche brani di Sokolow, Limón, Horton, Pearl Primus, Ulysses Dove, qualificandosi così come custode dell’eredità dei maestri del balletto moderno, oltre che come fedele erede del patrimonio ballettistico di Ailey.

Weidman

Charles Weidman ha studiato con Eleanor Frampton e alla Denishawn School, entrando poi nella compagnia, dove ha danzato per otto anni. Ha formato in seguito un gruppo con Doris Humphrey (1928), attivo in varie forme fino al 1945, creando numerose coreografie, spesso di vena umoristico-satirica (And Daddy Was a Fireman, 1943). Ha lavorato a Broadway e ha dato vita a una sua scuola, da cui è poi nata la Charles Weidman Dance Company, per la quale ha creato A House Divided (1945), Fables for Our Time (1947), The War between Men and Women (1954), Lysistrata (1954), Is Sex Necessary? (1959). Ha lavorato come coreografo per la New York City Opera e in varie produzioni teatrali e, come docente. All’inizio degli anni ’60 ha fondato con lo scultore Mikhail Santaro l’Expression of Two Arts Theatre a New York, continuando a calcare la scena fino alla morte. Tra i suoi allievi più noti José Limón, Jack Cole, Bob Fosse.

Helpmann

Iniziato alla danza da bambino, Robert Helpmann ha studiato con Laurent Novikoff nel complesso di Anna Pavlova in tournée in Australia. Arrivato a Londra nel 1933, è entrato, dopo brevi studi nella scuola, nel Vic-Wells Ballet, del quale è diventato primo ballerino e partner di Margot Fonteyn in molti balletti fino al 1950. L’eccezionale versatilità e la forte presenza scenica gli hanno permesso di alternare i ruoli di danseur noble a quelli drammatici o comici. Sono memorabili le sue interpretazioni, da un lato, nel ruolo di Albrecht e, dall’altro, in quelli del libertino in The Rake’s Progress di De Valois e della sorellastra più cattiva nella Cinderella di Ashton. Notevole anche il suo Don Chisciotte , nel film dal balletto omonimo nella versione di Nureyev. I suoi balletti, per i quali ha creato il principale ruolo maschile, sono ormai scomparsi dal repertorio del Royal Ballet, ma hanno avuto successo sia Hamlet (1942, musica di Ciaikovskij), sia Miracle in the Gorbals (1944, musica di Arthur Bliss); al Covent Garden, invece, ha creato l’ambizioso ma meno riuscito Adam Zero (1946). Si è esibito sul grande schermo in Scarpette rosse (Red Shoes, 1948) e I racconti di Hoffmann (The Tales of Hoffmann, 1951). Ha inoltre interpretato in teatro numerosi ruoli shakespeariani. Tornato in Australia nel 1964, è divenuto l’anno seguente direttore artistico (con Peggy van Praagh) dell’Australian Ballet, che ha diretto da solo nel 1975-76. È tornato più volte a Londra come artista ospite e nel 1970 ha presentato al Covent Garden la grande serata di gala per Ashton.

Iancu

Prestante danseur noble, dalla tecnica scintillante e sicura, Gheorghe Iancu è stato per anni il partner di Carla Fracci ed è in questa veste che il largo pubblico lo ha conosciuto e ammirato, forse senza sapere di apprezzare, grazie a lui, anche la scuola di balletto dal quale proviene, erroneamente considerata solo un satellite di quella russa per via della collocazione politica della Romania. Compiuti gli studi alla scuola di ballo dell’Opera di Bucarest, Iancu entra subito nel corpo di ballo e ha al suo fianco Miriam Raducano, maestra romena e artista di statura internazionale, che perfeziona il suo stile e l’interpretazione dei ruoli del repertorio. Nel 1977, anziché proseguire l’attività nel suo Paese d’origine, accoglie l’invito rivoltogli dalla compagnia di balletto diretta, a Reggio Emilia, da Liliana Cosi e dal ballerino romeno Marinel Stefanescu, e intraprende con quel gruppo una lunga tournée (150 spettacoli) che prende il via da Bari. Ma un incidente al ginocchio lo riporta momentaneamente in Romania; al ritorno, questa volta definitivo, in Italia, viene subito inserito da Beppe Menegatti in spettacoli di ampio respiro, accanto a Carla Fracci.

Nel 1980 è con lei all’Olimpico di Roma e all’Arena di Verona e successivamente al Comunale di Firenze, alla Scala, a Napoli e Palermo e in ricorrenti tournée internazionali. Interpreta con sicurezza i ruoli del repertorio classico (Lago dei cigni, Giselle, Cenerentola) ed eccelle soprattutto nel Romeo e Giulietta, ruolo in cui ha modo di coniugare lo slancio passionale alla pulizia dell’impostazione tecnica. Mirandolina, Bilitis e il fauno, Le nozze di Figaro sono nuovi balletti in cui affianca ancora la Fracci negli anni ’80, ma è anche chiamato a danzare con altre `divine’ della scena, come Marcia Haydée (Stoccarda, Amburgo, Stoccolma). Negli anni ’90 affina le sue potenzialità creative e firma le coreografie di L’ultima scena , rivisitazione dell’immaginario conflitto tra Mozart e Salieri, La regina della notte (musica ancora di Mozart), La mascherata , Danza russa e Riccardo III (1995), prima collaborazione con il compositore Marco Tutino. Seguono le coreografie per la pièce teatrale e danzata La gabbianella (1997), da Sépulveda (protagonista, Oriella Dorella) e per Macbeth e San Sebastiano , entrambe per la regia di Pier Luigi Pizzi e con Carla Fracci.

Balanchine

Creatore rigoroso, raffinato formalista e principale fautore del balletto neoclassico, passato indenne attraverso tutte le rivoluzioni della danza del Novecento, George Balanchine è stato, secondo Rudolf Nureyev, che alla sua morte fornì una delle più lucide definizioni della sua arte, un artista «indispensabile» per lo sviluppo del balletto nel nostro secolo. Le sue principali coreografie hanno determinato lo stile, il tempo, la linea, la musicalità, l’agilità e l’arte del fraseggio danzato. Oltre al genio personale, qualità imponderabile, hanno forse contribuito a renderlo un creatore `indispensabile’ le frequentazioni di ambienti culturali diversi, le scelte drastiche e decisive, come quella di abbandonare la Russia già nel 1924, dopo aver compreso che le sue idee coreografiche poco interessavano al Teatro Marijinskij di Pietroburgo in cui era entrato a far parte nel 1921, dopo aver terminato gli studi di balletto all’annessa Scuola imperiale (i suoi maestri furono Andrejanov e Pavel Gerdt), ma anche quelli di pianoforte e di teoria al Conservatorio della stessa città.

Aveva firmato la sua prima coreografia (La Nuit , ribattezzata in seguito Romance) nel 1920, all’età di sedici anni, ma tra le sue prime opere spicca anche una Sagra della primavera su musica di Stravinskij di cui purtroppo non esistono documenti, né tracce. Più importanti di quanto non si sia sino ad oggi creduto, furono, per i suoi esordi creativi, i contatti con l’avanguardia teatrale russa: l’incontro con Vladimir Majakovskij, la visione delle coreografie innovative di Kazian Goleizovskij e Nikolas Foregger, l’attività al teatro sperimentale FEKS e nel cabaret, indirettamente influenzata dalla biomeccanica di Vsevolod Mejerch’old. Ottimo danzatore e musicista, oltre che precoce talento coreografico, non gli fu difficile ottenere dal governo rivoluzionario sovietico il permesso di espatriare in Germania, appunto nel 1924, con una piccola compagnia di cui facevano parte Alexandra Danilova e Tamara Geva che, tra l’altro, divennero, una dopo l’altra, le sue due prime mogli. Nel 1925 (l’anno in cui mutò il suo nome in George Balanchine, più semplice all’orecchio occidentale), Sergej Diaghilev lo chiamò a Parigi ed egli rimase nella compagnia dei Ballets Russes sino al suo scioglimento (1929), respirandone il clima innovativo e condividendo l’idea di svecchiare il balletto, liberandolo dalle convenzioni del passato. Non era simpatico a Diaghilev, forse per la sua spiccata predilezione per il sesso femminile (ebbe in tutto cinque mogli), ma questo piccolo ostacolo non gli impedì di diventare il coreografo di riferimento nell’ultima fase della celebre compagnia diagleviana. Tutte le coreografie che firmò per i Ballets Russes si tramutarono in successi immediati come lo stravinskijano Le chant du rossignol (1925), La chatte (1927) su musica di Henri Sauguet, Il figliol prodigo (1929) su musica di Sergej Prokof’ev, persino Le Bal (1929) su musica di Vittorio Rieti ma soprattutto Apollon Musagète (1928): il balletto che, oltre a inaugurare la sua collaborazione a quattro mani con Stravinskij (dopo Apollon, Orpheus del 1948 e Agon del ’57), si impose come primo e compiuto, esempio della sua nuova estetica neoclassica. Un credo analogo al neoclassicismo musicale di Stravinskij, imperniato sull’utilizzo più ampio e completo del vocabolario tradizionale della `danse d’école’: ma rinnovato, reso veloce, epurato dai manierismi stilistici accumulati nei secoli e alimentato da nuovi stimoli dinamici (come la gestualità sportiva o quella quotidiana).

In Stravinskij, con il quale formò la seconda coppia russa più famosa e fertile del balletto (dopo la collaborazione tardottocentesca del coreografo Marius Petipa con Cajkovskij), trovò una sorta di alter ego musicale, a lui affine non solo nella Weltanschauung artistica ma anche nei tratti della personalità distaccata e ironica. Basti pensare che nel 1942 i due, uniti per soddisfare una commissione dei Ringling Brothers, crearono addirittura una danza per elefanti: l’effervescente Circus Polka , rappresentata dal grande circo americano per un’intera stagione e con grande successo. Ma ormai Balanchine non era più un artista europeo. Si era trasferito oltre oceano e aveva preso la cittadinanza americana: nel 1934 l’impresario Lincoln Kirstein, che poi si sarebbe rivelato anche un acuto storico del balletto, lo aveva invitato a dirigere la School of American Ballet. Ed egli, che alla morte di Diaghilev era diventato un freelance, attivo a Copenhagen, Londra, Parigi (nel 1933 vi aveva creato, per la compagnia Les Ballets, Mozartiana e soprattutto I sette peccati capitali di Brecht-Weill) accettò. Divenne insegnante e animatore di varie compagnie statunitensi come l’American Ballet, l’American Ballet Caravan, il Ballet Society, prima di trasformare quest’ultimo gruppo nel New York City Ballet (1948) di cui restò direttore artistico sino alla morte. Nel 1964 la città di New York destinò proprio alla sua compagnia l’uso dell’ambitissimo New York State Theatre, presso il Lincoln Center. Negli Usa B. confermò e approfondì la sua ricerca linguistica, creando balletti per lo più astratti, sempre improntati a un attento esame delle partiture musicali. L’influenza del nuovo paese e la sua cultura veloce e di massa contribuirono a rendere persino più `democratico’ il suo stile. Certo principi e regine non entrarono mai nei suoi balletti di pure linee come l’algido Balletto imperiale (1941) su musica di Cajkovskij, o il non meno sfavillante Symphony in C (o Palais de Cristal , 1947), su musica di Bizet, che pure trasudano una vibrante nostalgia per i grandi spettacoli della corte zarista e per il coreografo Marius Petipa, da lui considerato tra i suoi ideali precursori e maestri. Ma Stars and Stripes (1958), Square Dance (1957, poi ripreso e variato nel ’76) soprattutto Who Cares? (1970), su musica di Gershwin (per non parlare delle coreografie per i musical, come On Your Toes , firmate a Broadway alla fine degli anni ’30) rivelano che la sua danza tendeva a rispecchiare gli ideali della nuova classe media americana, pur senza giungere a ibridarsi con altre tecniche moderne, opposte al balletto, come talune opere di Jerome Robbins (il coreografo di West Side Story ) che fu a lungo suo collega al NYCB. Sin dall’inizio Balanchine desiderò che la sua compagnia newyorkese fosse soprattutto espressione della fisicità americana; scelse perciò ballerine atletiche come Tanaquil Le Clercq o Suzanne Farrell, la sua ultima musa, dalle gambe e braccia lunghe e con la testa piccola (come tutte le sue `baby-ballerine’) e danzatori atletici ed eleganti come Peter Martins (che egli stesso designò come suo successore alla testa del NYCB), il nero Arthur Mitchell o l’aitante Edward Vilella.

‘Mister B’, come fu affettuosamente soprannominanto (nonostante godesse la fama di coreografo-tiranno), muoveva questa suoi corpi ‘ideali’ come uno stratega poco interessato alle loro psicologie e personalità, nella convinzione che i ballerini non dovessero «pensare ma solo agire» e che fossero fiori destinati, purtroppo, a morire troppo in fretta e perciò ad essere utilizzati solo all’apice della loro giovanile bellezza e forza fisica. Per nulla affascinato dalla danza narrativa, si può capire perchè avesse allestito nella sua lunga carriera solo alcuni classici del repertorio ottocentesco; tra questi uno scintillante Schiaccianoci (1954), tuttora cavallo di battaglia natalizio del NYCB. Ma del resto nel suo ampio repertorio spiccano autentici e insostituibili capolavori antinarrativi o solo sottilmente evocativi come Serenade (musica di Cajkovskij, 1935), Concerto Barocco (musica di Bach, 1941), La Valse (musica di Ravel, 1951), Liebeslieder Walzer (musica di Brahms, 1960), Jewels (musica di Fauré, Stravinskij e Cajkovskij) e soprattutto Theme and Variations (musica di Cajkovskij, 1947) e The Four Temperaments (musica di Hindemith, 1946): tutti balletti per lo più ‘nudi’, immersi in uno spazio virtuale e nel décor che preferiva: la luce. Dentro la luce fece rinascere anche il suo Apollon Musagète in forma di balletto concertante (1979), depurando la coreografia di ogni scoria teatrale (scene e costumi grecizzanti) a riprova che questo caposaldo neoclassico non si sarebbe mai davvero fermato nel tempo. A Balanchine si richiamano artisti del teatro come Robert Wilson e coreografi contemporanei come William Forsythe, mentre il termine `balanchiniano’ che sta a ricordare l’influenza da lui esercitata su tutto il balletto del secolo, indica una pratica coreografica neoclassica basata sull’esplorazione delle potenzialità espressive del movimento, nella sola esaltazione delle sue linee più adamantine e pure, in costante dialogo con le strutture musicali.

Madsen

Egon Madsen studia danza classica e pantomima con Thea Jolles e Edite Frandsen e giovanissimo entra nel Pantomime Teatret di Tivoli a Copenaghen. Dopo aver danzato con il Balletto scandinavo nel 1959-60, nel 1961 entra nel Balletto di toccarda, diventandone primo ballerino nel 1963. Di incisiva personalità teatrale si impone come uno degli interpreti favoriti di John Cranko, che per lui crea i ruoli di Mercuzio in Romeo e Giulietta (1963), Lensky in Onegin e il Joker in Jeu de Cartes (1965), Prudenzio in La bisbetica domata (1969), Don Jose in Carmen (1971) mettendone in evidenza l’ampia e varia gamma interpretativa; partecipa inoltre alle creazioni di Song of the Earth di Kenneth MacMillan (1965), Daphins et Chloé di Glen Tetley (1975) e Die Kameliendame di John Neumeier (1978). Ritiratosi dalle scene ha assunto la direzione del Balletto di Francoforte (1981-83), Balletto Reale Svedese (1984-86), Balletto del Maggio musicale fiorentino (1986-88). In seguito è rientrato al Balletto di Stoccarda come maître de ballet e maestro nella omonima scuola.

Certini

Alessandro Certini studia danza moderna a Firenze con Traut Faggioni e Katie Duck, tecniche postmoderne e `contact improvisation’ a Londra e Amsterdam. Dal 1979 al 1986 danza con il Group/o di Katie Duck; nel 1989 è con Virgilio Sieni in Duetto. Nello stesso anno fonda `Company Blu’ con Charlotte Zerbey, con la quale crea tra l’altro Don Chisciotte (1992), Le curve dei pensieri (1994), il progetto triennale Alveare (1995-97) e Silenzi (1998). Per questi lavori collabora con musicisti come Tristan Honsinger e Antonello Salis, sulla cui musica dal vivo elabora una coreografia astratta che lascia grande spazio all’improvvisazione degli interpreti.

Zullig

Dopo aver studiato un solo anno alla Folkwang Schule di Essen, dal 1932 al 1947 Hans Zullig ha danzato come solista nella compagnia di K. Jooss, segnalandosi per l’ intensità interpretativa in numerosi balletti dello stesso Jooss (Ballade, 1935; A Spring Tale, 1939; Big City, 1940; Pandora, 1944); sempre di quegli anni sono le sue prime coreografie (La Bosquet, 1945). Dopo un anno al Sadler’s Wells Theatre Ballet, è entrato nella nuova compagnia di Jooss, il Folkwang Tanztheater (1949-52); in seguito diventa assistente di Jooss a Düsseldorf e eccezionale didatta al dipartimento di danza dell’Università del Cile (1956-1961) e della Folkwang Schule, della quale è stato direttore dal 1969 alla morte.

Lazzini

Dopo aver debuttato nel 1945 all’Opera di Nizza, Joseph Lazzini ha danzato a lungo (anche in Italia) in varie formazioni. È tra coloro che, nel dopoguerra, hanno dato nuovo impulso alla danza in Francia prima come direttore di compagnie (Marsiglia, Liegi, Tolosa), poi come coreografo quando, nel 1969, è stato alla testa del Théâtre Français de Danse. Pur se la sua base è stata quella del linguaggio accademico, ha saputo elaborare uno stile personale di danza veloce e immaginifica. Tra i suoi lavori, Suite transocèane , Revolving Door , E=MC2 , Hommage à Hieronymus Bosch, Ecce Homo, Cantadagio, Metabos, Le voage. Da ricordare anche Eppur si muove (1965), ispirato ai famosi graffiti preistorici di Lascaux.

Maillot

Jean Cristophe Maillot studia danza e pianoforte al conservatorio di Tours e successivamente all’Ecole Internationale di Cannes. Laureato al Prix Lausanne nel 1977, l’anno successivo viene scritturato da Neumaier al Balletto di Amburgo dove diventa solista. Nel 1983 è chiamato a dirigere il Balletto di Tours, che nel 1989 diventa Centre Chorégraphique National; per questa giovane compagnia realizza una ventina di balletti, tra i quali Cliché e un Juliette et Roméo che presenta a Parigi (1986) al Théâtre de la Ville e che sarà più volte ripreso. Firma anche lavori per la Jeune Ballet de France, la Ballet du Rhin, il Balletto dell’Opera di Roma, il Nederlands Dans Theater e altri complessi. Dal 1993 è alla guida dei Ballets de Monte-Carlo e crea una serie di coreografie neoclassiche che arricchiscono ulteriormente il suo raffinato cammino artistico. Tra queste, Home Sweet Home e Vers un pays sage (1994), Dov’è la luna (1995) in cui declina le sue impressioni di viaggiatore immaginario. Non meno raffinata, Concert d’anges (1996).

Forsythe

Considerato il più autentico erede di George Balanchine, William Forsythe è il coreografo formalista di fine millennio: impegnato in una minuziosa opera di decostruzione e ricostruzione della tecnica del balletto, ha davvero dimostrato che non sono i linguaggi del corpo – anche i più abusati e antichi, come appunto il balletto – a invecchiare, bensì il loro uso. Nelle sue opere più riuscite, come In the Middle, Somewhat Elevated (1987), Enemy in the Figure (1989) o Quintett (1993), la danza evoca paesaggi interiori o mentali, diviene atmosfera e racconto drammatico di puri corpi in movimento. E lo spazio scenico, in genere imbandito di pochi, studiati elementi è compartecipe suggestivo e teatrale di una coreografia totale che ha il suo punto di forza nel corpo, con un imput diametralmente opposto a quello del teatrodanza deflagrato e verbale di Pina Bausch. Al pari della coreografa di Wuppertal, anche l’americano F. è però un artista che ha messo radici nella vecchia Europa. Dopo aver terminato gli studi di danza alla Joffrey Ballet School e all’American Ballet Theatre School (1967-1973) ed essere entrato a far parte del Joffrey Ballet I e II (1970-73), accetta l’invito di John Cranko a Stoccarda e diviene ballerino della sua compagnia, esibendovisi dal 1973 all’ ’80.

Ma Cranko, che aveva scommesso su di lui come interprete, non fa in tempo ad avvedersi del suo talento coreografico. Muore tre anni prima del debutto di Urlicht , passo a due su musiche di Mahler, presentato nel 1976 dalla Noverre Society insieme alle opere di altri due allora solo promettenti coreografi, Jirí Kylián e John Neumeier. Seguono Daphne, Bach Violin Concerto in A Minor e Flore Subsimplici , su musica di H&aulm;ndel, che gli valgono la nomina, nel ’77, a coreografo indipendente del Ballett Stuttgart. L’anno successivo crea due balletti su musica di Ligeti ( From the Most Distant Time ) e Penderecki ( Dream of Galilei ) , ma debutta anche in Italia, al Festival di Montepulciano, in Folia , su musica di Hans Werner Henze. Per lo stesso festival toscano allestirà, nel 1980, Tis Pity She’s a Whore (musica Thomas Jahn), un balletto che lascia una profonda impressione negli spettatori ma non anticipa il suo ritorno in Italia prima del 1984, data d’incontro con la compagnia Aterballetto per la quale rimonta l’effervescente e agrodolce Love Songs (1979): una serie di scottanti passi a due su canzoni di successo in cui l’amore di coppia si tramuta in una ossessiva rivalsa tra i sessi. Se il 1984 è l’anno di svolta nella sua carriera di free-lance – accetta infatti l’incarico di direttore del Balletto di Francoforte – non meno importanti sono le sue precedenti stagioni teatrali che da Stoccarda (Time Cycle , 1979; Whisper Moon e Tancredi and Clorinda, 1981) lo sbalzano a Berlino (Die Nacht aus Blei , 1981), Parigi (France/Dance, del 1983, è uno scorcio balanchiniano farcito di latrati di cani e spezzato da improvvise e inattese calate del sipario di ferro) e Vienna, dove ancora suscita scandali e polemiche per aver allestito un film (Berg Ab), nei sotterranei della Wiener Staatsopern anzichè un balletto dal vivo su musiche di Alban Berg. Artifact (1984) è il primo allestimento a Francoforte; come G&aulm;nge 1 – ein Stück über Ballett , nato per il Nederland Dans Theater e il successivo G&aulm;nge (1983) è un’opera di genere `semiotico’, in cui viene annunciata la necessità di trovare un nuovo ordine coreutico e un nuovo respiro per la danza classica, che il coreografo intende liberare da costrizioni e sovrastrutture letterarie e psicologiche. Proprio in Artifact (riallestito dal Ballett Frankfurt al Théâtre du Chatelet di Parigi nel ’95) egli inaugura una gioiosa `matematica spaziale’ composta di fughe, variazioni a canone e contrappunto. Sono gli stessi principi musicali indagati da George Balanchine, di cui si avvale in seguito, con rinnovato estro e inesauribile fantasia, in altre opere di chiaro impianto ballettistico come Behind the China Dogs , creato per il New York City Ballet nel 1988, Hermann Schmerman (1994) o The Vertiginous Thrill of Exactitude (1996).

Al ‘manifesto’ Artifact , si affiancano però, verso la fine degli anni Ottanta, creazioni eccitate: coreografie-scheggia dall’atmosfera pregnante di misteri come In the Middle, Somewhat Elevated (1987) o Enemy in the Figure , sul quale incombe una suspence da thriller folle e urbano, senza che nessuna delle sue componenti si conceda a alcun appiglio narrativo. Da queste opere brevi e intense nascono ulteriori spettacoli di serata, come l’affresco postmoderno in cinque parti Impressing the Czar del 1988 (la sua seconda parte è appunto In the Middle, Somewhat Elevated ) o Limb’s Theorem (1990), severa estensione in bianco e nero di Enemy in the Figure in cui si inaugura una liaison intellettuale con l’architetto Daniel Libeskind. L’unità del corpo danzante, assunto di partenza del balletto storico, la sua linearità ordinata e razionale, si dimostrano ingannevoli e illusorie: F. ha ereditato dal teorico della danza libera Rudolf von Laban l’idea di movimento come `archiettura vivente’ ma ha reso esplosivo il modello della cosiddetta cinesfera labaniana, assicurandoci che la fonte del movimento non è più rintracciabile in un unico punto del corpo, ma nelle sue zone più insospettabili: il tallone, il gomito, un orecchio, l’alluce del piede. Nel Cd Rom Improvisation Technologies -Self Meant to Govern (1994) divulga le tecniche di analisi del movimento adottate dai suoi ballerini e mostra una propensione teorica e didattica, non comune ai coreografi della sua generazione. L’allestimento di spettacoli di impegno per quanto concerne l’apparato scenico e tecnologico ( LDC , 1985; The Loss of Small Detail I e II , 1987-1991; Slingerland I,II, III e IV, 1989- 90) conferma la vicinanza a demiurghi della scena americana come Robert Wilson, ma la sua centralità operativa (Forsythe firma spesso luci, scene e persino la musica dei suoi balletti) è sostenuta da una fedele cerchia di collaboratori. Al musicista Thom Willems, che dal 1985 ha firmato buona parte dei suoi balletti, si affiancano, con crescente insistenza, gli interpreti della sua compagnia, diventati assistenti, costumisti ma soprattutto creatori (come Dana Caspersen, Anthony Rizzi e Jacopo Godani) e spesso coautori delle sue coreografie. È il caso di Sleeper Guts , opera collettiva del 1996, in cui riaffiorano interrogativi sul destino dell’arte nell’era tecnologica o dell’intenso Hyphotethical Stream 2 (1997), elaborato quasi scientificamente a partire dai gruppi e dalle figure di un quadro del Tiepolo. In queste ed altre coreografie della fine degli anni Novanta emerge una danza assai più morbida e complessa rispetto a quello dello stile puntuto, pericoloso e `arrogante’ degli anni Ottanta. È un segno disossato, quasi cadente per quanto i ballerini sono attirati al suolo, ben in sintonia con la crisi del postmoderno che attraversa tutte le arti, e che insinua nella `coreografia del corpo-architettura vivente’ di William Forsythe l’idea di una sopraggiunta spossatezza esistenziale da fine millennio.

Il viaggio agli Inferi di Eidos: Telos (1995), in cui si assiste allo sfogo furente e fiammeggiante di una Persefone a seno nudo, ma anche al dramma dei ballerini che vivono con apatia il rapporto con la loro ‘armatura corporea’, la struggente malinconia del precedente Quintett sul canto di un clochard raccolto nelle vie di Londra (Jesus Blood Never Failed Me Yet , partitura di Gavin Bryars) sono le tappe più eclatanti di un periodo compositivo che si arricchisce con la creazione di installazioni e videocoreografie ( Solo , 1995; From a classical position , 1997) e allestimenti per compagnie diverse da quella di Francoforte. Al Teatro alla Scala, che acquisisce nel suo repertorio In the Middle, Somewhat Elevated e Approximate Sonata (1996), Forsythe crea Quartett (1998) per Alessandra Ferri (ma la sua étoile d’elezione resta la francese Sylvie Guillem, adatta al suo stile e alle difficoltà tecniche della sua danza comunque neoclassica). Al debutto la coreografia è ancora un bozzetto, d’altra parte l’atto della creazione per questo coreografo – sempre richiesto dalle maggiori compagnie di balletto internazionali, prima tra tutte quella dell’Opéra di Parigi – non si esaurisce certo nell’andata in scena di uno spettacolo, ma si identifica con il processo di lavoro, in una sperimentazione continua sul movimento che tiene conto della rivoluzione copernicana introdotta da Merce Cunningham. Con Op.31 (musica di Schönberg, Variazioni per Orchestra op.31) del ’98 il coreografo che da sovrintendente del Ballett Frankfurt (incarico assunto già nel 1989) ha acquisito anche la gestione artistica del Theater am Turm di Francoforte, torna ad avvicinarsi ai grandi compositori contemporanei (tra i quali predilige Luciano Berio e conferma che la coreografia non si esaurisce affatto con l’invenzione di singoli passi; è piuttosto l’organizzazione di strutture e forme `significanti’ nello spazio.

Walter

Dopo aver studiato a Norimberga, Eric Walter venne scritturato nel corpo di ballo del Teatro dell’Opera della stessa città. Successivamente la sua carriera si svolse a Wiesbaden e a Wüppertal. Dal 1964 fino alla morte fu direttore del Ballet Opera am Rhein. Ampia la sua attività di coreografo; da segnalare, fra i vari titoli, La morte e la fanciulla su musica si Schubert, Terza Sinfonia sull’omonimo lavoro sinfonico di Scriabin e Cajcovskij Fantaisies.

Clark

Michael Clark studia alla Royal Ballet School, dove si distingue per l’elegante stile classico. Entra nel Ballet Rambert, quindi fonda un suo gruppo per il quale crea le coreografie, spesso con accompagnamento di musica rock: movenze e costumi risultano spesso provocatori, al limite dello scandalo. Nonostante ciò, la sua versione di Apollon Musagète fa trasparire ancora il talento classico. Negli anni ’80 e nei primi anni ’90 ha ottenuto successo anche in Francia e in Italia.

Pan

Il nome di Hermes Pan è strettamente legato a quello di Fred Astaire per il quale realizza le coreografie di ben ciciassette film, compresi tutti quelli della RKO (1933-1939) in cui il ballerino danza in coppia con Ginger Rogers. È lui a suggerire ad Astaire di inserire nel contratto la clausula in base alla quale le riprese delle sequenze di balletto devono essere realizzate senza soluzione di continuità e proiettate senza stacchi di montaggio. Il suo metodo di lavoro si basa su una ferrea precisione geometrica che richiede una lunga fase di sperimentazione per ottenere un movimento tanto fluido quanto elegante. Con Astaire prova personalmente ogni numero, assumendo per sè il ruolo della ballerina, fino a dedicare diciotto ore al giorno per tre settimane in funzione di una sequenza di quattro minuti; al termine mostrano all’attrice l’esatta sequenza dei movimenti. Metodico ed esigente pretende dai suoi esecutori la sua stessa esattezza assoluta, costringendoli a ripetere, fino al raggiungimento del risultato. In tal senso è emblematica l’imposizione a rifare per quarantasette volte l’intera sequenza conclusiva di Follie d’inverno. Con la Rogers ha un rapporto definito «una guerriglia durata sei anni», ancora tormentato sul set di Condannatemi se potete (1942), mentre si trova a pieno agio con Betty Grable per la quale realizza i balletti di ben dieci film tra cui Maia, la sirena delle Hawai (1942) e In montagna sarò tua (1942). Segue Astaire prima alla Fox (1941-1948) e poi alla Metro (1949-1956). Compare come ballerino in alcune pellicole come Follie di New Yok (1942) e La fidanzata di tutti (1944). Firma le corografie di molti capolavori dell’epoca d’oro del musical hollywoodiano, da Tre piccole parole (1950) a Baciami, Kate! (1953), da La bella di Mosca (1956) a Pal Joey (1957), da Can-Can (1960) a My Fair Lady (1964). Svolge la sua attività anche in Italia dove crea i balletti della commedia musicale di Garinei e Giovannini Un paio d’ali (1959) e di una edizione del varietà televisivo Studio Uno (1965).

Manen

Hans van Manen studia danza classica con Sonia Gaskell e nel 1951 entra a far parte del Ballet Recital, dal quale nel 1952 passa al Nederlands Opera Ballet e nel 1959 nella compagnia di Roland Petit. Nel 1960 è tra i membri fondatori del Nederlands Dans Theater* che dirige dal 1961 al 1971 e per il quale firma numerose importanti coreografie. Dal 1973 al 1988 è coreografo principale e regisseur dell’Het Nationale Ballet*, successivamente ritorna al Nederlands Dans Theater come coreografo residente. È autore di oltre sessanta balletti, per la maggior parte creati per il Nederlands Dans Theater e l’Het Nationale Ballet e riproposti da molte compagnie internazionali (in Italia il Balletto del Teatro alla Scala* e il Balletto di Toscana*), tra i quali si ricordano Symphony in Three Movements (1963), Metaphors (1965), Mutations (in collaborazione con Glen Tetley, 1970), il suo capolavoro Grosse Fuge (musica di Beethoven, 1971), Songs without words (1977), Twilight (1972), Adagio Hammerklavier (1973), Four Schumann Pieces (Royal Ballet, Londra 1975), 5 Tangos (1977), Korps (1987) Andante (1990), Compositie (1994), Deja Vu (1995) Kleines Requiem (1997). Considerato uno dei capiscuola del balletto contemporaneo europeo, ha saputo rinnovare il vocabolario della danza accademica come linguaggio asciutto, energico e autosignificante e ha ideato lavori apparentemente astratti in cui i movimenti sono sviluppati con grande rigore formale secondo dinamiche geometriche e morbide plasticità, ma dai quali traspare sempre un vibrante erotismo e l’acuto, lieve e ironico commento sull’eterna conflittualità tra i sessi.

Skibine

Figlio d’arte (il padre era nel Corpo di ballo della compagnia di Diaghilev), George Borisovic Skibine studia con la Preobrajenska e con Lifar mentre lavora con il Bal Tabarin. Nel 1937 debutta come ballerino classico nel Ballet de la Jeunesse e successivamente entra a far parte del Ballet de Monte-Carlo diretto da Massine (1938-39) e della compagnia di De Basil (1939-41). Nel 1941 lavora con Fokine in Petrushka , Barbe Bleue e Sylphides (dove danza con la Markova). Dopo aver svolto servizio nell’esercito torna a danzare nel 1946 nella compagnia di Markova-Dolin ( Sylphides , Casse-noisette, Giselle), quindi entra come primo ballerino nel Grand Ballet de Monte-Carlo del Marchese de Cuevas dove rimarrà fino al 1956. Con la moglie Marjorie Tallchief, conosciuta nella compagnia di de Cuevas, è ospite del Chicago Ballet (1956) ed étoile all’Opéra di Parigi (1957). Dal 1950 inizia a svolgere attività di coreografo: Tragédie à Verone (1950), Annabel Lee (1951), Idylle (1954), Romeo e Giulietta (1955) sono tra le sue coreografie di maggiore ispirazione romantica, cui seguono Concerto (1958), Les noces (1962), L’uccello di fuoco (1967), Carmina burana (1970). È stato direttore di balletto e coreografo dell’Opéra di Parigi (1958-62), e direttore artistico dell’Harkness Ballet (1964-66) e del Civic Ballet di Dallas (dal 1969).

Lifar

I primi rudimenti della danza Serge Lifar li apprese a Kiev da Bronislava Nijinska. All’epoca in cui faceva parte dei Balletti Russi di Diaghilev ebbe l’opportunità, nei primi anni ’20, di studiare con il grande Enrico Cecchetti ed anche con Pierre Vladimirov. In seno a quella compagnia fu il primo interprete dei balletti Les Pâcheux e Le Train bleu di B. Nijinska (1924); Zéphire et Flore e Les Matelots (1925), Pas d’acier (1927) e Ode (1928), tutti di L. Massine; Barabau (1925), La Chatte (1927), Apollon Musagète (1928), Le Bal e Le Fils prodigue (1929) di Balanchine. Il suo debutto come coreografo avvenne con una nuova coreografia del Renard di Stravinskij (1929). Proprio nel 1929, per una defezione di Balanchine, ammalatosi, all’Opéra di Parigi, L. si trovò ad assumere il ruolo protagonista e la coreografia del balletto Le creature di Prometeo di Beethoven. Da quel momento iniziò la carriera di L. al quale furono affidate le sorti della danza al Palais Garnier con una lunga successione di creazioni, quale più, quale meno riuscita. Icare (1935) colpì per l’originalità dell’impianto coreografico composto su ritmi appositamente creati per lui dal musicista su richiesta del coreografo. Fra i numerosi balletti doveva avere lunga vita Les Mirages (musica di Herni Sauguet, 1944) ma anche Suite en blanc (musica di E. Lalo, 1943) entrava subito nel repertorio e vi rimaneva (ancora recenti le riprese), chiaro esempio di balletto d’alta scuola affidato a quella che è sempre stata la netta preferenza del coreografo: la `danse d’école’ secondo uno schema di balletto concertante che doveva poi essere sublimato da Balanchine.

Accusato di collaborazionismo al termine della seconda guerra mondiale, L. fondò il Nouveau Ballet de Monte-Carlo per il quale metteva in scena molte nuove creazioni, tra il 1946 e il ’47. Tornava all’Opéra di Parigi dal 1947 al ’58 come coreografo ospite in Francia e all’estero. Il più importante lavoro di quel periodo è stato Phèdre (1950), libretto di Jean Cocteau, musica di Georges Auric. Molti i lavori collaterali e densa l’attività di scrittore con un lungo elenco di opere storico-critiche. Purtroppo, in generale, le sue coreografie non suscitano più l’interesse del pubblico come un tempo ma il ruolo di L. è importante nel balletto di questo secolo. Notevole la qualità del ballerino dovuta, in particolare, alla bellezza della figura e delle linee che sfruttò soprattutto in tutti i ruoli di danseur noble, principale fra i quali è stato quello dell’ Apollon Musagète creato sulla sua personale misura da Balanchine. Fra le sue pubblicazioni, circa una trentina, è da ricordare Le Manifeste du Chorégraphe (1935). Numerosi i riconoscimenti. Per la bibliografia si veda l’omaggio dedicatogli dalla rivista “Les Saisons de la Danse” con l’elenco completo dei ruoli e delle attività sul numero del febbraio 1970. Nel 1990 uscita, postumo, l’ultimo suo libro Les Mémoires d’Icare , testimonianza di una vita tumultuosa e celebratissima.

Rossi

Dopo gli studi di teatro e mimo a Milano e arti circensi a Parigi, dal 1980 al 1983 Giorgio Rossi è con il Teatro e Danza La Fenice di Carolyn Carlson; nel 1984 fonda la compagnia Sosta Palmizi, per cui crea e interpreta Il cortile (1985), Tufo (1986), Perduti una notte (1987). Nello stesso anno è unico autore di Dai colli , in seguito collabora con Lindsay Kemp per Alice (1988) e firma per Sosta Palmizi Rapsodia per una stalla (1990), l’assolo Balocco (1992), Sul coraggio… (1995), Come le nuvole (1996) e Piume (1997), dove mette in luce una teatralità ironica e sognante, in cui movimento e parola si fondono per tratteggiare ritratti umani di sapore volutamente naïf.

Bonté

Dopo aver compiuto studi di carattere letterario, filosofico e teatrale, Patrick Bonté è approdato alla danza insieme alla coetanea e connazionale Nicole Mossoux. Con lei ha creato una serie di lavori non privi di originalità e di impronta spesso iperrealista. Tra gli altri: Juste ciel, La dernière tentation, (il più singolare), e Les petites morts.

Taras

John Taras studia con Fokine, Anatole Vilzak, Ludmila Schollar e alla School of American Ballet, per entrare poi nel Ballet Caravan (1940), nel Littlefield Ballet (1941) e nel Ballet Theatre (1942-1946), dove coreografa Graziana (1945). Crea Camille per l’Original Ballet Russe (1946), The Minotaur per il Ballet Theatre (1947) e Design with Strings per il Metropolitan Ballet (1948). Danza nella compagnia del Marquis de Cuevas (1948-1959), dove crea Piège de lumière (1952) e La fôret romantique (1957). Collabora inoltre a Le rendez-vous manqué di Françoise Sagan (Montecarlo 1958). È maître de ballet al New York City Ballet, all’Opéra di Parigi, all’Opera di Berlino. Dal 1984 al 1990 è direttore associato dell’American Ballet Theatre. Tra i suoi lavori: Ebony Concerto (1960), Arcade (1963), Jeux (1966), Danses concertantes (1971), Le sacre du printemps (1972), Daphnis et Chloé (1975), Souvenir de Florence (1981).

Kemp

Lindsay Kemp è un artista versatile, che sfugge a una catalogazione definitiva: mimo, ballerino, attore, regista, K. mescola doti ed esperienze in un mélange indistinguibile fra arte e vita. Si dichiara discendente del clown shakespeariano William Kemp e nella sua carriera si è cimentato con tutte le arti del palcoscenico, dal cabaret al teatro d’avanguardia, dagli spettacoli rock (negli anni ’70 ha allestito lo spettacolo-concerto di David Bowie Ziggy Stardust al Rainbow di Londra) alla danza. Ha studiato danza classica con Marie Rambert (per la cui compagnia ha firmato in seguito The Parade’s Gone By, 1975 e Cruel Garden, 1977, quest’ultimo assieme a Christopher Bruce), danza moderna con Charles Weidman e mimo con Marcel Marceau. Le sue creazioni, però, sono il risultato di uno stile ibrido e personalissimo, un pastiche di pantomima, danza classica, mimo e simil-tecniche butoh (che Kemp afferma di non aver mai studiato): corpi infarinati, movimenti en ralenti , travestitismi, atmosfere rarefatte e un erotismo ambiguo e penetrante, raccontato da parabole visionarie e allucinate.

Nel 1964 fonda la Lindsay Kemp Dance Company, un ensemble variegato di cui hanno fatto parte integrante l’Incredibile Orlando e David Haughton, braccio destro di Lindsay Kemp, mentre gli altri componenti cambiano in continuazione. Il suo primo grande successo, considerato anche il suo capolavoro, è Flowers (1973), grottesco e lancinante affresco ispirato alla vita e agli scritti di Jean Genet. Spettacolarmente efficace anche quando si cimenta con Shakespeare (vedi gli onirismi di Dream , 1979), con fiabe un po’ perverse come quella di Alice o gli incubi di Nijinskij il matto (1983) la produzione di K. tende a riproporsi nel tempo con variazioni discutibili e un languore estenuato che forse ha già dato il meglio di sé. Altri suoi lavori sono Salomè (1972), Duende (1980), Onnagata ; e The Big Parade (1984), ispirato al cinema, un’altra sua passione di cui è stato anche interprete sul set ( Messia selvaggio , 1972 e Valentino , 1977 di K. Russell; Sebastiane di D. Jarman, 1976) e che torna a influenzare la sua ultima produzione-collage, Sogni di Hollywood (1998).

Barra

Dopo aver studiato alla scuola del San Francisco Ballet e all’American Ballet School, dal 1953 al 1959 fa parte dell’American Ballet Theatre, dal quale passa come primo ballerino allo Stuttgart Ballet. Qui Barra Ray crea numerosi ruoli da protagonisti in balletti di John Cranko, tra i quali si ricorda Onegin (1965). Ritiratosi nel 1966 continua la sua attività come maître de ballet e coreografo, allestendo tra gli altri Don Chisciotte (1990) e Il lago dei cigni (1995) entrambi per il Balletto dell’Opera di Monaco.

Lavrovskij

Leonid Michailovic Lavrovskij si è diplomato all’Istituto coreografico di Leningrado ed è stato ballerino del teatro d’opera e balletto di Leningrado (Kirov) dal 1922 al 1935 (danzando nei ruoli di protagonista in Giselle, Le fiamme di Parigi, La bella addormentata, Il lago dei cigni) e interprete della danza sinfonica (La grandezza dell’universo di F. Lopuchov). Dal 1935 al 1938 è stato direttore artistico del Corpo di Ballo del Teatro Malyj di Leningrado (per il quale ha coreografato Fadetta , sulla musica di Sylvia di Delibes) e dal 1938 al 1944 del Kirov. Sono di questo periodo le sue coreografie più importanti: Il prigioniero del Caucaso (1938, musica di Boris Asaf’ev) e Romeo e Giulietta (1940, musica di Prokof’ev). Dal 1944 al 1964, con piccole interruzioni, è stato direttore artistico del balletto del teatro Bol’šoj di Mosca, dove ha coreografato Raymonda (1945), Romeo e Giulietta (1946), Il papavero rosso (1949), La notte di Valpurga (1949), Fadetta (1952), La fiaba del fiore di pietra (1954), Paganini (1960), Città di notte sulla musica del Mandarino meraviglioso di Bartók e Pagine di vita su musica di Balancivadše, entrambi del 1961. Nel 1959 ha creato la prima compagnia sovietica di balletto sul ghiaccio, per la quale ha coreografato Fantasia d’inverno (1959) e Sinfonia di neve (1959). La maggior parte delle sue coreografie è caratterizzata da una grande attenzione all’azione drammaturgica, e al profilo psicologico dei personaggi. L’attività di L., fra gli anni ’30 e ’50, si situa fra il massimo sviluppo e la decadenza del `drambalet’ (il balletto drammatico sovietico), genere al quale sono già estranei i suoi ultimi lavori, in cui si orienta verso le forme della sinfonia coreografica. Suo figlio, Michail Leonidovic L. (Tbilisi 1941) è stato dal 1961 al 1988 primo ballerino del Bol’šoj di Mosca. Medaglia d’oro a Varna nel 1965, è stato il primo interprete dello Schiaccianoci nella coreografia di Jurij Grigorovic.

Modica

Maurizio Modica segue gli insegnamenti di danza classica e moderna a Bergamo e a Milano e entra nella scuola del Piccolo teatro. Successivamente si dedica allo studio della danza contemporanea approfondendo la tecnica Graham con E. Piperno, J. Fontano (in Italia) e Markus Shulkind (in Francia) e la tecnica Cunningham con R. Kowich (in Francia) e T. Weikel (in Italia). Inizia quindi lo studio della composizione coreografica con Josè Montalvo e Dominique Hervieu e della contact-dance con Laurie Booth. Nel 1985 forma la compagnia Zikade, in qualità di coreografo, insieme ad un gruppo di danzatori provenienti dalla scuola Il labirinto (dove avevano lavorato alla coreografia Jeux d’enfants di Montalvo). Il gruppo inizia a delineare i punti della sua ricerca artistica con lo spettacolo Economie vitali . Lavorando sull’espressività e l’emotività di ogni singolo danzatore rielaborate in un unico linguaggio gestuale e immaginativo la compagnia propone un nuovo percorso di ricerca teatrale e coreografica. Tra le creazioni di M. per la compagnia: Hubakusha (1986), Oplontide (1987), Piccoli colpi (1988), Anacrusi-paesaggio senza peso (1989), II Paesaggio senza peso (1989), III paesaggio senza peso (1990), Control room (1993), Boom ta boom (1993), Try to imagine bisons (1994).

Caciuleanu

Gheorge Caciuleanu ha studiato all’Opera della sua città natale e, dopo una prima scrittura al Folkwang Ballet di Essen, si è trasferito in Francia. Qui ha lavorato presso il Ballet de Nancy, dove è stato anche direttore artistico (1974-78); successivamente è diventato direttore del Théâtre Chorégraphique di Rennes. Agli inizi degli anni ’70 risalgono le sue prime coreografie (Voices, Shadow of Candles). Artista dallo stile molto personale, ancorché legato a una base classica, la sua produzione appare quanto mai eclettica, anche se in essa spiccano i lavori a carattere spiritoso. Tra i titoli, Paradigme, Interfèrences, Mess Around, Mademoiselle Pagany, Pinocchio le rebelle, Un train pour en cacher un autre. Ha firmato anche un curioso Trovatore , che mette `sulle punte’ la famosa opera verdiana.

Ullate

Formatosi alla danza classica con Maria de Ávila, Victor Ullate debutta nella compagnia di danza spagnola di Antonio, con la quale si esibisce in tutto il mondo. Dal 1964 al 1979 fa parte del Ballet du XXème Siècle di Maurice Béjart, apparendo come solista in vari balletti (Bakhti, L’ uccello di fuoco, Nomos Alpha) e creando l’acclamato ruolo del protagonista di Gaité Parisienne (1978); in quegli anni si esibisce anche in ruoli del repertorio classico, danzando come ospite con compagnie come il London Festival Ballet, il National Ballet of Canada e il Balletto nazionale di Cuba. Nominato nel 1979 direttore del Balletto classico nazionale di Spagna, lascia l’incarico nel 1983 per aprire la sua scuola di danza, cui segue, nel 1988, la fondazione del Ballet Victor Ullate.

Il complesso, composto da suoi ex allievi, ben presto si impone all’attenzione internazionale per l’affiatamento e la versatilità tecnica e stilistica, espressa in un repertorio composto di titoli del balletto romantico (Giselle), del Novecento storico (Concerto Barocco di G. Balanchine), del Neoclassico contemporaneo (In and Out di Hans Van Manen, Quartet di Nils Christe); sue sono inoltre molte delle creazioni proposte, caratterizzate da una spettacolare fusione tra balletto classico e antica danza iberica (Arraigo, 1988; Amanecer, 1991; El Amor Brujo, 1995; una personale lettura di Don Chisciotte, 1998).

Amodio

Allievo della Scala, Amodio  Amedeo è entrato in seguito nel corpo di ballo del teatro, diventando primo ballerino; passato all’Opera di Roma, vi ha compiuto le prime esperienze di coreografo. Nel 1972 ha creato L’après-midi d’un faune per Spoleto e per la Scala; per quest’ultimo teatro ha inoltre approntato Ricercare a nove (musica di Vivaldi, 1975), Lo schiavo morente (musica di G. Arrigo, 1975) e Oggetto amato (musica di Bussotti, 1976). Dal 1979 al 1995 è stato direttore dell’Aterballetto di Reggio Emilia, per il quale ha realizzato molte produzioni: ricordiamo fra le altre Mazapegul (musica di Corghi), Romeo e Giulietta (Berlioz), A sud di Mozart (Bennato-D’Angiò). È autore di nuove letture di classici di repertorio come Lo schiaccianoci , Il cappello a tre punte di Falla, Coppélia di Delibes, Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn. Dal 1997 è direttore della compagnia di balletto dell’Opera di Roma. Come attore cinematografico ha preso parte ai film di Liliana Cavani Il portiere di notte e Al di là del bene e del male . Ha cercato di coniugare le sue radici accademiche con suggestioni di danza di ispirazione soprattutto americana.

Schaufuss

Figlio dei ballerini Frank S. e Mona Vangsaae, Peter Schaufuss studia alla Scuola del Balletto reale danese e nel 1965 entra nell’omonima compagnia, danzandovi tutto il repertorio di Bournonville. Dal 1967 inizia la sua carriera internazionale esibendosi come primo ballerino con compagnie quali il National Ballet of Canada e il London Festival Ballet, e dal 1974 al 1977 viene ingaggiato dal New York City Ballet dove partecipa ad alcune creazioni di Balanchine (The Steadfast Tin Soldier, 1975). In seguito prosegue la sua carriera di étoile ospite, danzando con molte formazioni, tra le quali l’Aterballetto (dove consolida il sodalizio con Elisabetta Terabust) e interpretando creazioni di autori come Roland Petit (Il fantasma dell’Opera, Opera di Parigi 1978) e Kenneth MacMillan (Verdi Variations, Aterballetto 1979; Orpheus, Royal Ballet 1980).

Considerato uno dei più importanti ballerini classici della sua generazione per l’assoluta padronanza tecnica e la nobile e virile presenza scenica, superbo esponente dello stile di Bournonville si dedica con successo alla riproduzione di suoi titoli, da Napoli (National Ballet of Canada, 1981; San Carlo di Napoli 1988); a A Folk Tale (Opera di Berlino, 1992), Bournonville (Aterballetto, 1982) e soprattutto La Sylphide (London Festival Ballet, 1979), presentata in seguito da molti corpi di ballo internazionali, tra i quali gli italiani MaggioDanza (1983), Opera di Roma (1988), Balletto della Scala (1998). Dal 1984 al 1990 pur continuando a danzare, dirige il London Festival Ballet, ribattezzato English National Ballet; dal 1991 al 1994 è a capo del Deutsche Oper Ballet di Berlino e dal 1994 al 1996 del Royal Danish Ballet, per il quale coreografa una controversa versione rock di Amleto (1996); successivamente fonda il Peter Schaufuss Ballet (1997) per il quale firma una sua versione della trilogia ciaikovskiana. È stato inoltre protagonista del documentario televisivo della Bbc “Dancer” (1982).

Pendleton

Appassionato sciatore, Moses Pendleton vince il campionato mondiale di fondo nello stato del Vermont (1967). Si laurea poi in letteratura inglese al Darmouth College (1971) e da vita, con Jonatahan Walken, al Pilobolus Dance Theatre. In seguito al successo della inedita formula di danza acrobatica del gruppo, vince il Berlin Critics Prize (1975) e debutta a Broadway, presentato da Pierre Cardin (1977). Intanto, mentre continua a esibirsi con il Pilobolus, firma in proprio la coreografia per l’ Integrale Eric Satie all’Opéra di Parigi (1979) e il suo notissimo `a solo’ al ralenti, vestito di bianco, con occhiali neri e bastoncino, dal titolo Momix, ideato per la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi Invernali di Lake Placid. Nasce da qui la sua nuova compagnia, chiamata appunto Momix (1980), per la quale crea numerosi titoli a partire da un’intuizione, da un oggetto o da un dettaglio, che diventano occasioni di giocosi virtuosismi ginnici e di invenzioni fantasiose, sfruttando le potenzialità dinamiche del corpo. Tra le sue coreografie, al di fuori dell’attività con Pilobolus e Momix, ci sono anche il remake di Relâche per il Joffrey Ballet (1980), Pulcinella di Stravinskij per il Ballet de Nancy (1985), Platée di Rameu per il festival di Spoleto negli Stati Uniti (1987), il remake di Les mariés de la Tour Eiffel di Cocteau a New York (1988).

Coreografo per l’opera ( Kovancina alla Scala di Milano, regia di Y. Lyubimov, 1982; Carmen , regia di L. Wertmüller, Monaco di Baviera), per il video ( Quadri di un’esposizione , Decca), per il cinema ( The Go Between di Joseph Losey, 1970; Batdance per il cantante-ballerino Prince nel film Batman ), per la televisione (“Moses Pendleton presents Moses Pendleton”, “Abc”, 1982 e “Too Late for Goodbyes” di Julian Lennon, regia di S. Peckinpah, 1984), si dedica anche alla fotografia, sia per fissare nuove idee di movimento sia come espressione artistica pura. Alla base della straordinaria fortuna che il pubblico internazionale tributa alla danza allegra e surreale dei Momix ci sono indubbiamente il suo talento e la sua inventiva, uniti a un grande senso del ritmo teatrale e a un sicuro istinto registico. Sa, quindi, scegliere la via della semplicità per arrivare in modo diretto e immediatamente comprensibile a qualsiasi spettatore. La continuità della sua carriera e l’influsso che ha esercitato su altre personalità, come Daniel Ezralow, e su altri gruppi, come i Movers, testimoniano che si tratta della più acuta testa pensante nel campo dell’intrattenimento intelligente, che associa la libertà di ricerca della danza moderna e la spettacolarità del varietà e del teatro leggero.

Massine

Padre della danzatrice Tatjana e del ballerino e coreografo Lorca, Léonide Massine ha studiato alla scuola del Bol’šoj di Mosca, dove si è diplomato e ha anche preso parte ad alcune rappresentazioni. Debuttava nel 1914 all’Opéra di Parigi nel balletto La leggenda di Giuseppe (musica di R. Strauss), protagonista, con la coreografia di Michail Fokine, per i Balletti Russi di Diaghilev. L’anno dopo, sempre con Diaghilev, dava alla scena la sua prima coreografia: Soleil de nuit (musica di Rimskij-Korsakov). Aveva occasione di studiare con Enrico Cecchetti ma in lui, e anche in Diaghilev, premeva l’avviamento sempre più deciso per la composizione coreografica, mentre il ballerino andava via via maturando, con straordinaria vena naturale, la fisionomia di danzatore, nel `carattere’ (con una netta propensione per quello spagnolo). I risultati di questa appassionata ricerca si fecero intravedere subito con Les Femmes de bonne humeur (musica di Scarlatti-Tommasini, 1917), Parade (musica di Satie, 1917), La Boutique fantasque (musica di Rossini-Respighi, 1919), Le Tricorne (musica di Falla, 1919), Pulcinella e Le Sacre du printemps (entrambi su musica di Stravinskij, 1920). Si staccava da Diaghilev per intraprendere una carriera isolata con le `Soirées de Paris’. In questa piccola, particolare istituzione creava: Salade (musica di Milhaud), Mercure (musica Satie), Le Beau Danube (musica Strauss-Desormière). Tornava ai Balletti Russi di Diaghilev, ed erano gli anni di Zéphire et Flore (musica di Dukelsky, 1925), Les Matelots (musica di Auric, 1925) Le Pas d’acier (musica di Prokof’ev, 1927), Ode (musica di Nabokov, 1928). Inoltre lavorò a Londra per la rivista Cochrane dal 1925 al ’26. Partecipava come ballerino, anche con coreografie sue, alla tournée italiana del 1926-27 (al Teatro di Torino e alla Scala) dei Balletti Russi.

Seguiva un’esperienza americana, a New York, al Roxy Theatre. Riprendeva nel 1930 il suo Sacre du printemps con Martha Graham. Per la compagnia di Ida Rubinstein dava le coreografie dei balletti David (musica di Sauguet) e Amphion (musica di Honegger). Lavorava per il Ballet Russe de Monte-Carlo nel 1932 e negli anni a seguire, con alcune opere che furono subito giudicate come le sue più importanti, con tutti i numeri per resistere ai tempi, riprese poi da alcuni dei più prestigiosi complessi internazionali. È il caso di Jeux d’enfants (musica di Bizet, 1932), Choréartium (musica della Quarta Sinfonia di Brahms, 1933), Les Présages (musica della Quinta Sinfonia di Cajkovskij, 1934), Symphonie fantastique (musica di Berlioz, 1936). Nasceva un genere: la sinfonia coreografica, che restava legata al nome di M. e che poteva poi contare uno sviluppo, in direzione molto più astratta di `danza pura’, con il balletto concertante di Balanchine. A quella tendenza appartenevano la Settima Sinfonia (musica di Beethoven, 1938), Rouge et noir (musica della Prima Sinfonia di Šostakovic, 1939), sino alla Sinfonia di Leningrado (musica di Šostakovic, 1945-46). M. rinuncia al virtuosismo fine a se stesso. Le sue sinfonie coreografiche, che per la natura propriamente concertante potrebbero essere accomunate all’astrattismo compositivo, non rinunciano alla varietà dei temi e a un’illustrazione molto concreta, una danza definibile `terra-terra’ per la natura delle situazioni reali che vuole rappresentare. Egli ha adattato il suo stile a ogni soggetto trattato: mistero religioso (le Laudes Evangelii , musiche venete dei secoli XVI-XVII arrangiate da Virgilio Mortari, `sacro teatro’, 1954) l’operetta, il folclore (di preferenza spagnolo), l’opera (una versione danzata del Barbiere di Siviglia di Rossini, 1960), il balletto sinfonico ( Aroldo in Italia , musica di Berlioz, Ballets Russes de Monte-Carlo 1951), la commedia dell’arte ( La commedia umana , musica del XIV sec., 1960), la rievocazione d’altri tempi ( Gaîté parisienne, musica di Offenbach, 1938). Tre film sono da ricordare: il famoso Scarpette rosse (1948), I racconti di Hoffmann (1951), Carosello napoletano (1953). L’invenzione è in lui sempre ricca, piena di fermenti circostanziali; e ciò vale sia per i suoi balletti sinfonici sia per quelli strettamente d’azione i quali, specie le commedie, hanno riscosso, proprio per la loro vivacità, i maggiori consensi.

Parsons

David Parsons studia nella sua città natale per entrare poi nella compagnia di Paul Taylor a New York (1978), dove interpreta, alla creazione, Arden Court (1981), Last Look e Roses (1983). Passa poi al gruppo dei Pilobolus e a quello dei Momix, ma fonda intanto la propria compagnia (1978), per cui coreografa numerosi lavori, tra i quali il solo a luci stroboscopiche Caught (1982), che è il suo brano più noto, The Envelope (1984), Nascimento (1990), Rise & Fall (1991), Bachiana (1992), Union e Step into my Dream (1993), Mood Swing (1994). In Italia, debutta al Festival di Spoleto nel 1988, dove porta Brothers, creato con Daniel Ezralow, anch’egli proveniente dalla compagnia di Taylor; un brano interpretato anche da famosi ballerini classici come Paolo Bortoluzzi, Charles Jude, Rudolf Nureiev. Il suo fisico di ragazzo americano sano e robusto, il suo atletismo, la positività e l’allegria dei suoi temi, l’energia dei suoi danzatori, ne hanno fatto una figura molto popolare. Alla base del successo c’è però soprattutto la semplicità delle sue coreografie, costruite con strutture di facile comprensione, piacevolmente ritmate sulle musiche accattivanti che ama scegliere.

Gallotta

Fantasioso affabulatore, performer irriverente, soprattutto autore di una scrittura coreografica d’ispirazione surrealistica che intrattiene stretti rapporti con la scrittura letteraria e si sviluppa attraverso figure retoriche e ambiguità di significato, Jean-Claude Gallotta è tra gli esponenti di spicco della cosiddetta `nouvelle danse’ anni ’80. A differenza dei colleghi e coetanei francesi (ad esempio Maguy Marin) si è avvicinato alla danza molto tardi (a vent’anni), convinto infine che il corpo sarebbe stato il suo vero strumento espressivo. Interrompe così gli studi di belle arti, condotti nella città natale, per allestire spettacoli amatoriali e saggi con danzatori. Apprende la tecnica del tip tap e studia danza classica e moderna (1976-78), mentre continua a creare eventi multidisciplinari di strada, in appartamenti e studi abbandonati. Di ritorno da un soggiorno a New York, dove scopre l’universo coreografico di Cunningham, il teatro di Wilson e le novità dei coreografi postmoderni, fonda a Grenoble il Groupe Emile Dubois‘ (1979). La compagnia ha il nome di un personaggio fittizio che consente al futuro creatore delle esilaranti Les aventures d’Ivan Vaffan (1984) di alimentare una leggenda attorno all’inesistente Dubois, inizialmente spacciato per un danzatore-coreografo di secondo piano e di scarsa fortuna nell’entourage dei Ballets Russes.

Il progetto del `Groupe’, che nel 1981 si stabilisce alla Maison de la culture di Grenoble e nel 1984 diviene Centre chorégraphique national, è di riunire danzatori, attori, musicisti come Henri Torgue (compositore di gran parte delle coreografie anni ’80 di G.), scenografi e costumisti (come Jean-Yves Langlais, dal 1980 accanto a Jean-Claude Gallotta con lo pseudonimo di Léo Standard) e artisti visivi. Dopo Pas de quatre e Mouvements , l’opera rivelazione che tra l’altro dà il via alla `nouvelle danse’, è Ulysse (1981), un successo internazionale, ripreso e mutato non solo nel titolo ( Les variations d’Ulysse ), ma anche nella componente musicale (di Jean-Pierre Drouet) per il balletto dell’Opéra di Parigi nel 1995. Al primo Ulysse fanno seguito, nel 1982, Grandeur nature e Daphnis et Chloé – suggestiva versione intimista e in bianco e nero del celebre balletto di Ravel -, Hommage a Yves P. (pièce in quattro parti del 1983), Mammame I (1985) e Mammame II (1986). Sono coreografie dal linguaggio gestuale sgraziato, in cui le movenze quotidiane diventano parossistiche al limite della gag; Jean-Claude Gallotta stesso – sempre alla ricerca del movimento goffo e del difetto fisico – ne è il principale modello per i suoi ballerini. I temi suggeriti nascono dall’eterogenea tribù degli interpreti, dalle loro passioni e tensioni reciproche. Ma alle dinamiche creative di gruppo, basate anche sulle improvvisazioni, si aggiungono, specie in Les Louves et Pandora (1986), Docteur Labus (1988), Les mystères de Subal (1990), i racconti fantastici, mitologici e le leggende popolari che nutrono la danza a partire dalla parola come introduzione o citazione di una memoria.

I due lungometraggi Rei Dom ou La légende des Kreuls (1989) e Mémoires d’un dictaphone (1991) proseguono nella stessa direzione di ricerca che si arricchisce di nuovi paradossali e surrealistici racconti-mito: La légende de Roméo et Juliette (1991) e La légende de Don Juan (1992). Successive creazioni come La tête contre les fleurs (1995) e Rue de Palanka (1996) si contraddistinguono per la scelta di partiture musicali di Alfred Schnittke e con La rue e La chamoule ou L’arte d’aimer (1997) segnano un ritorno a una più libera, multidisciplinare e multietnica coreografia di strada. Grazie alla Petite Renard rusée di Leóš Janácek, di cui firma regia e coreografia, G. si avvicina al teatro d’opera nello stesso anno – il 1995 – delle creazioni La solitude du danseur per il Balletto di Lione e Lumières per il Théâtre national de Bretagne a Rennes. Direttore artistico della Maison de la culture di Grenoble (1986-90), dirige dal 1997 anche una seconda compagnia, Spac Dance, a Shizuoka (Giappone), che si è unita al `Groupe Emile’ Dubois in occasione della creazione Le songe d’une rue d’été (1997).

Taylor

Paul Taylor studia pittura e pratica l’atletica e il nuoto, formandosi intanto alla danza con Graham, Humphrey, Limón, Tudor e Craske. Si esibisce nelle compagnie di Merce Cunningham (1953-1954) e Martha Graham (1958-1962), creando nel 1957 il suo primo recital di `anti-danza’, improntato a quella vena lieve che caratterizzerà spesso i suoi lavori ginnici e pieni di energia, facendone in questo senso un caposcuola. Duet (1957, musica di Cage), Three Epitaphs (1959) e Aureole (1962), ripreso poi da varie compagnie, anche di base classica, evidenziano il suo gusto per corpi robusti, forti, estremamente dinamici, e insieme il lirismo nell’ispirazione. In Big Bertha (1971) affronta con l’arma del sarcasmo i rapporti incandescenti di un tipico nucleo familiare americano. Esplanade, uno dei suoi balletti più noti (1975), composto di semplici camminate e salti in crescendo, sviluppa la struttura della coreografia, ponendola a stretto confronto con la musica di Bach.

Kloven Kingdom (1976) si rifà alla parte animale e nascosta dell’uomo con spirito tagliente, mentre la sua versione del Sacre du PrintempsThe Rehearsal (1980), con gangster, poliziotti e ballerini in sala prove, è stata danzata anche dal MaggioDanza fiorentino (1994). Tra i suoi titoli più famosi: Arden Court (1981), Rosas (1985), A Musical Offering (1986), Field of Grass (1993). È autore di un’autobiografia, Private Domain (1987), che porta lo stesso titolo di un suo balletto (1969), nato come seguito di un primo lavoro, Public Domain (1967). Tra i suoi danzatori, Daniel Ezralow e David Parsons ne seguono l’esempio, creando una danza basata sul gioco muscolare e plastico, di tono ironico e leggero.

Grigorovic

Diplomato all’istituto coreografico di Leningrado, Jurij Nicolaevic Grigorovic dal 1946 al 1961 danza come solista al Teatro Kirov di Leningrado interprete soprattutto di ruoli di carattere. Dal 1961 al ’64 è coreografo al Teatro Kirov, dal 1964 al 1995 è direttore artistico e coreografo principale al Teatro Bol’soj. Riscuote il suo primo successo come coreografo nel 1957 con Il fiore di pietra di Prokof’ev al Teatro Kirov dove, successivamente (1961), mette in scena La leggenda dell’amore , rispettivamente allestite al Bol’soj nel 1959 e nel 1965. In questi due balletti, rimontati poi per molti altri teatri, il coreografo ha modo di mettere alla prova e far conoscere il suo stile saldamente ancorato alla danza accademica ma arricchito da altri stili, dove il gesto diventa espressivo senza bisogno di ricorrere alla pantomima ottocentesca, i caratteri dei personaggi sono tratteggiati con acume psicologico, la profonda unione di musica e danza dà luogo a complesse forme di sinfonismo coreografico.

La sua prova successiva è Spartaco (1968, su musica di Aram Chacaturjan, premio Lenin nel 1970) dove raggiunge la completa maturità espressiva. Il balletto, che racconta la rivolta degli schiavi nella Roma imperiale, è stato cavallo di battaglia per i grandi danzatori del Bol’soj: V. Vasil’ev, I. Muchamedov, E. Maximova, N. Bezmertnova. Oltre a riallestire per il Bol’soj i tre balletti di Petipa e Cajkovskij ( Bella addormentata , 1963, Schiaccianoci , 1964, Lago dei cigni , 1969), crea Ivan il Terribile (1975); Angarà (1976), ambientato fra pionieri siberiani lungo il fiume Angarà; Romeo e Giulietta (prima redazione all’Opera di Parigi 1978, seconda redazione al Bol’soj 1979); L’età dell’oro (1982) su musica di Sostakovic; Raimonda (1984); seguono La Bajadere (1991); Corsaro , Don Chisciotte (entrambi del 1994). Nel 1994 dà vita a una troupe indipendente dal Bol’soj intitolata Jurij Grigorovic Ballet. Nel 1995, dopo anni di lotte intestine all’interno del teatro, che avevano visto M. Plisetskaja e V. Vasil’ev contrastare la sua carica di direttore artistico della compagnia, viene dimesso e prosegue la sua attività di direttore e coreografo dello Jurij Grigorovic Ballet.

Catá

Alfonso Catá ha cominciato i suoi studi a Ginevra con B. Kniaseff. Nel 1956 debutta nei Ballets de Paris, poi danza con il Ballet de Monte-Carlo, il Joffrey Ballet, il Ballet du Marquis de Cuevas e lo Stuttgart Ballet. È tuttavia al New York City Ballet, dove entra nel 1965, che trova il suo vero sboccio, anche in veste di coreografo. Con l’appoggio dello stesso Balanchine diventa poi direttore del Ballet de Genève (1969-73), al quale dà valido impulso, introducendo tra l’altro nel repertorio molte opere del maestro americano. Con lo stesso spirito di rigore e fedeltà dirige in seguito (1973-79) il Balletto di Francoforte. Dopo altre esperienze, soprattutto in America, è chiamato a creare, a Roubaix, il Ballet du Nord; compagnia che guida fino alla morte, portandola a brillanti risultati sia mantenendo ferma la tradizione balanchiniana, sia creando lui stesso molte coreografie. Tra le altre, Sonate (musica di Chopin), La mer (Debussy), Nuit de mai (Rimskij-Korsakov), Valses de Brahms e Chabriesque (Chabrier).

Andersen

Formatosi alla Scuola del balletto reale danese, Ib Andersen entra nell’omonima compagnia nel 1973 per diventarne primo ballerino due anni dopo. Qui danza tutto il repertorio del grande coreografo ottocentesco August Bournonville e creazioni di Flemming Flindt (Toreador, 1978); in seguito passa al New York City Ballet dove partecipa a creazioni di George Balanchine (Davidbundlertanze, 1980) e Jerome Robbins (Piano Pièces , 1981), mettendo in evidenza il suo stile impeccabile e la purezza classica delle linee. Ritiratosi nel 1994 ha lavorato come maestro e coreografo del Pittsburgh Ballet fino al 1997 per continuare poi la carriera di free lance.

Alston

Dopo gli studi alla London Contemporary Dance School Richard Alston entra nella compagnia, per la quale crea numerosi lavori. Forma anche il gruppo Strider. Nel 1975 studia con Merce Cunningham e altri maestri a New York. Nel 1980 diventa coreografo `in residenza’ della Rambert Dance Company. Dopo la chiusura del London Contemporary Dance Theatre, forma la Richard Alston Dance Company, con sede a The Place. Coreografo eclettico, il suo Rainbow Bandit è entrato, seppure per un breve periodo, nel repertorio dell’Aterballetto.

Wright

Peter Wright studia con Jooss, Volkova, Van Praagh, iniziando a esibirsi con la compagnia di Jooss (1945-46). Successivamente passa al balletto del Metropolitan (1947) e a quello del Sadler’s Wells Theatre (1949-51, 1952-55). Dal 1957 al ’59 svolge l’attività di insegnante alla scuola del Royal Ballet e inizia a creare le sue prime coreografie ( A Blue Rose , 1957; The Great Peacock , 1958; Musical Chairs, 1959). Per il balletto di Stoccarda (dove riveste il ruolo di maître dal 1961 al ’67) realizza le coreografie: The Mirror Walkers (1963), Quintet (1963), Namouna (1967). In seguito è direttore associato del Royal Ballet (dal 1970) e coreografo – nonché direttore fino al 1994 – della Touring Company (Sadler’s Wells Royal Ballet, oggi Birmingham Royal Ballet).

Bennett

Michael Bennett è noto soprattutto per essere stato l’autore-ispiratore e coreografo di A Chorus Line , seimilacentotrentasei repliche e, al momento della chiusura, il maggior numero di repliche di uno spettacolo a Broadway. Michael Bennett aveva studiato danza e coreografia, quando tentò la sua strada debuttando nella compagnia di giro di West Side Story , Usa e Europa, nel 1959-60. È nel gruppo dei ballerini per Subways Are For Sleeping (1961), Here’s Love (1963) e Bajour (1964). Debutta come coreografo nel 1966 con il disastroso A Joyful Noise (dodici repliche) e prosegue con un altro insuccesso nel 1967 Henry, Sweet Henry. Finalmente, nel 1968, arriva il successo: Promises, Promises di Burt Bacharach su libretto di Neil Simon (milleduecentottantuno repliche a Broadway, più cinquecentosessanta a Londra). Seguono: sempre nel 1969, Coco, unico musical interpretato da Katharine Hepburn; Company di Stephen Sondheim nel ’70; sempre di Sondheim Folies , nel ’71 (e qui collabora anche alla regia); nel 1973 Seesaw , di cui è anche autore del libretto, naturalmente coreografo e anche regista: raggiunge così il controllo totale su uno show. Ma non basta. Michael Bennett coltiva da tempo l’idea di Chorus Line : l’articolo fu premesso più in là perché lo spettacolo fosse il primo nell’elenco dei teatri che, a New York, vanno per titolo in ordine alfabetico. Dunque Bennett riunì un gruppo di ballerini di fila e li fece parlare, per varie serate in una specie di confessione generale. Il materiale registrato che ne risultò fu messo in ordine da James Kirkwood a Nicholas Dante, Edward Kleban scrisse le parole delle canzoni e Marvin Hamlisch le musiche. Regia e coreografia di Michael Bennett, che rimase proprietario dell’idea e dei diritti risultanti. A Chorus Line, va in scena il 25 maggio del ’75 (chiuderà il 27 aprile del ’90) e come ognuno sa, fu un colossale successo e continua ad esserlo in tutti i paesi del mondo in cui è stato prodotto. Quanto a Michael Bennett, mette in scena lo sfortunato Ballroom : solo centosedici repliche dal 4 dicembre 1978 al 24 marzo 1979, protagonisti Vincent Gardenia e Dorothy Loudon. È dal 1981 il suo ultimo spettacolo, quel Dreamgirls che va in scena il 20 dicembre a New York, Imperial Theatre, per restarci quattro anni e millecinquecentoventidue repliche, consacrando la giovane attrice-cantante Jennifer Holliday. Dopo un lungo tour nella provincia americana, Dreamgirls tornerà a Broadway per un periodo di cinque mesi e chiuderà più o meno al momento della morte del suo ispiratore, nell’estate del 1987.