Weiss

Figlio di ebrei (il padre era un industriale cecoslovacco, la madre una colta vedova svizzera che in gioventù era stata attrice), dopo l’infanzia berlinese Peter Weiss fu costretto a seguire i genitori in fuga dalla montante follia nazista (emigrarono nel 1934). Prima due anni in Inghilterra, poi due in Cecoslovacchia – dove si formò all’Accademia artistica di Praga (1936-37), poi uno in Svizzera; infine, dal 1939 in Svezia, dove Weiss si stabilì prendendo la cittadinanza (1945). La giovanile vocazione per la pittura fu subito ridimensionata dalla necessità di far fronte ai bisogni materiali di chi, abbandonata la patria, aveva perso gli agi borghesi. Costretto a mantenersi, trovò lavoro nelle arti applicate (disegnatore nell’industria tessile e grafico), continuando per molti anni a dipingere, a creare collage, a occuparsi di cinema (fu consulente per l’Accademia del film svedese fino alla morte) e, naturalmente, a scrivere.

Se la pittura non gli diede mai grandi soddisfazioni (fece la prima mostra alla galleria Springer di Berlino nel 1963, quando era ormai uno scrittore famoso), così come il cinema (nel 1960, al festival di Locarno, passò inosservato il suo primo lungometraggio, Lo sperduto ), con la letteratura e il teatro, se pur tardivamente, si impose a livello internazionale, diventando il primo grande autore di lingua tedesca dopo Brecht. Alle prose d’esordio in lingua svedese (scritte tra il 1947 e il 1953) Weiss alternò i suoi primi due drammi in tedesco – La torre, 1948 e L’assicurazione, 1952 – che risentono da una parte dell’influsso del teatro dell’assurdo, dall’altra dell’opera di Strindberg, di cui in seguito tradurrà La signorina Julie (1961) e Il sogno (1963). La svolta avvenne nel 1960, quando con il microromanzo L’ombra del corpo del cocchiere (Der Schatten des Körpers des Kutschers) si impose all’attenzione della critica per l’originalità di una scrittura capace di creare forti suggestioni visive. Il plauso della critica fu ribadito e accompagnato dall’interesse del pubblico anche in occasione dell’uscita dei due successivi testi autobiografici Congedo dai genitori (Abschied von den Eltern, 1961) e Punto di fuga (Fluchtpunkt, 1962), in cui lo sradicamento esistenziale e linguistico degli esuli del nazismo provoca una profonda crisi di coscienza che sfocia in un pessimismo critico e si manifesta nella condizione dell’apolide.

La piena maturità artistica di Weiss coincide con la sua attività di drammaturgo. Nel 1963 l’atto unico Notte con ospiti riassume tutte le esperienze linguistiche precedenti in un testo grandguignolesco, in cui due bambini assistono all’autodistruzione del mondo adulto. È il preludio al primo dei suoi capolavori: La persecuzione e l’assassinio di Jean-Paul Marat, rappresentato dalla compagnia filodrammatica dell’ospizio di Charenton sotto la guida del marchese de Sade (Die Verfolgung und Ermordung Jean Paul Marats, dargestellt durch die Schauspielgruppe des Hospizes zu Charenton unter Anleitung des Herrn de Sade), solitamente abbreviato in Marat/Sade . Weiss utilizzò il dramma storico e il gioco di specchi del teatro nel teatro per mettere in risalto il conflitto tra Marat, l’uomo più radicale della Rivoluzione francese, intransigente difensore della giustizia e della ragione, e Sade, interprete di un anarchismo istintivo e di un nihilismo aristocratico che lo porta a profetizzare la sconfitta della Rivoluzione (il marchese de Sade era stato realmente ricoverato in quell’ospizio). Lo scontro tra le due istanze rimane aperto – Marat può essere un eroe come un pazzo e Sade un pazzo come un saggio – e lo stesso autore nel corso del tempo non esplicitò mai definitivamente le sue propensioni. Weiss stese quattro redazioni successive alla prima, che andò in scena nel 1964 allo Schiller Theater di Berlino con scene disegnate da lui stesso, costumi creati dalla moglie, Gunilla Palmstierna, e la regia di Konrad Swinarski. Degli allestimenti successivi vanno citati almeno quello di Peter Brook (Londra 1964, che poi diventò anche un film) e, più recentemente, quello di Armando Punzo con la Compagnia della Fortezza (198?).

L’anno successivo il clamore fu ripetuto dalla messa in scena de L’istruttoria (Die Ermittlung). Questa volta Weiss scrisse il testo più riuscito del cosiddetto `dramma documentario’ – che aveva avuto due precedenti di grande successo con Il vicario di Hochhuth e Sul caso J. Robert Oppenheimer di Kipphardt – montando in versi gli atti del processo (Francoforte 1963-64) contro i responsabili del lager di Auschwitz. Il poema, raccontando minuziosamente la barbarie, fu uno shock; snodandosi come un oratorio, scandito dalle testimonianze delle vittime e dalla difesa degli aguzzini, si chiude senza verdetto: un finale senza catarsi che diventa un ineludibile monito per il futuro. Lo spettacolo debuttò contemporaneamente in diversi teatri tedeschi: alla Freie Volksbühne di Berlino Ovest, Erwin Piscator ne fece una rappresentazione scarna, essenziale, con i ventidue quadri introdotti dai preludi composti da Luigi Nono (ripresi poi in una geniale messa in scena di Virginio Puecher al Piccolo Teatro, con l’uso inedito di telecamere a circuito chiuso, 1967); a Colonia fu messo in scena davanti a uno specchio che rifletteva il pubblico, esplicito richiamo a considerare quella tragedia il frutto della propria storia; a Berlino Est, Helene Weigel ne diede una semplice lettura, poiché nulla si poteva aggiungere a quelle parole. Un’edizione particolarmente riuscita – che concilia la forza emotiva e il rigore – è tuttora nel repertorio della Compagnia del Collettivo di Parma (regia di Gigi Dall’Aglio, 197?).

L’eco de L’istruttoria fu anche amplificato dalle polemiche suscitate dall’autore, che ne diede una lettura politica: l’orrore dei lager era il frutto del capitalismo. La sua adesione al comunismo militante influì fortemente sulle opere successive: la Cantata del fantoccio lusitano (Gesang vom lusitanischen Popanz, 1967; messa in scena nel ’69 da Strehler con il gruppo Teatro Azione, quando lasciò il Piccolo Teatro) sul feroce imperialismo portoghese in Angola, Come il signor M. fu liberato dai suoi tormenti, `stationendrama’ su un proletario sfruttato dalla società e il programmatico Discorso sulla preistoria e il decorso della lunga guerra di liberazione nel Vietnam quale esempio della necessità della lotta armata degli oppressi contro i loro oppressori come sui tentativi degli Stati Uniti di distruggere le basi della rivoluzione , di solito abbreviato in Discorso sul Vietnam (Diskurs über Viet Nam; entrambi del 1968). Si tratta di testi dichiaratamente di propaganda, in cui si intrecciano pantomime, scenette, canzoni e danze montate come spettacoli di teatro spontaneo, con trovate divertenti e efficaci intuizioni (ad esempio, i diversi registri linguistici in Discorso sul Vietnam ) ma che, per loro stessa natura, risultano grezzi nella drammaturgia e, inevitabilmente, superficiali nei contenuti.

La prospettiva fortemente ideologica di Weiss non gli impedisce di attaccare l’Urss subito dopo l’invasione di Praga e, conseguentemente, di essere messo al bando dai comunisti. Con il collage documentario Trockij in esilio (Trotzki im Exil, 1970) ritorna sul tema della rivoluzione tradita, senza ripetere lo straordinario risultato del Marat/Sade, ma anticipando temi tuttora attuali, come la necessità di un riscatto del Terzo mondo. Segue una parabola discendente con il criticato Hölderlin (1971), una biografia del poeta come l’artista capace di combattere la tradizione culturale dominante miseramente asservita al potere (rappresentata da Goethe e Schiller), e un faticoso adattamento del Processo di Kafka (1975), ridotto alla dialettica servo-padrone. Gli insuccessi degli ultimi due testi lo spinsero a ritornare alla letteratura, ma non ad abbandonare le sue idee; il suo testamento filosofico è L’estetica della resistenza (Die &Aulm;sthetik des Widerstands, 1975-1981), biografia del movimento operaio e dell’antifascismo attraverso la vita di un proletario.