Majakovskij

Nel 1911 Vladimir Vladimirovic Majakovskij si iscrive all’Istituto di pittura, scultura e architettura di Mosca, dove incontra il poeta David Burljuk: insieme a lui e a Velemir Chlebnikov nel 1912 fonda il futurismo russo e ne firma il manifesto ( Schiaffo al gusto corrente ), dichiarando guerra a tutta la tradizione e la letteratura precedente, al linguaggio vecchio e inespressivo dei contemporanei, alle loro forme artistiche desuete e fiacche. Il movimento acquista subito grande popolarità per le posizioni scandalistiche tipiche dei suoi aderenti: processioni per le strade cittadine in stravaganti acconciature (famosa la blusa gialla di Majakovskij), tournée nel sud della Russia per propagandare i principi della nuova arte. Accanto ai primi versi (la raccolta s’intitola Io stesso , Ja sam, 1912) Majakovskij è subito attirato dal teatro, dove si dimostra, come in poesia, dissacratore di regole e convenzioni: Vladimir Majakovskij – Tragedija – (1913) è, insieme a Vittoria sul sole (Pobeda nad solncem) di Krucenych, il testo che apre la prima serata di teatro futurista pietroburghese, tra fischi, insulti della maggior parte del pubblico e grandi applausi dei pochi sostenitori. Nella tragedia, che lo vede protagonista tra una serie di strani personaggi, deformi e grotteschi, il giovane poeta si confronta con il mondo che lo circonda, grida la sua insofferenza per ogni vecchiume e insieme lascia affiorare la sua dilagante angoscia per il grande dolore che accompagna ogni esistenza.

La Rivoluzione d’Ottobre lo trova tra i più accesi sostenitori: si schiera subito tra gli artisti pronti a collaborare con il nuovo regime e per celebrarne il primo anniversario scrive Mistero-Buffo (1918), dove viene sbeffeggiata la borghesia opulenta, presuntuosa, arrogante, mentre trionfano operai e contadini, che dopo una lunga odissea attraverso inferno e purgatorio raggiungono il vero paradiso, non quello monotono e noioso di san Pietro ma quello vitale e dinamico delle macchine, in cui scompare ogni sopruso, è bandito ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Messo in scena dal regista Mejerchol’d, con le scene di Malevic, lo spettacolo apre la grande stagione del teatro rivoluzionario: l’autore ne fa successivamente varie versioni, di cui una destinata al circo. Majakovskij nei primi anni postrivoluzionari è infaticabile, partecipa al rinnovamento di tutti i settori della vita artistica, scrivendo versi e poemi sulle vittorie socialiste, su Lenin, dipingendo le cosiddette `finestre della ROSTA’ (sorta di cartelloni propagandistici con slogan o couplets satirici, destinati a riempire le vetrine dei negozi vuote di prodotti dopo il disastro economico seguito alla guerra civile), scrivendo brevi `agit-p’esy’ (commedie di propaganda, 1920-21), sceneggiature cinematografiche (vi partecipa anche come attore), scene per trasmissioni radiofoniche, fondando riviste (LEF e Novyj LEF), intervenendo con irruenza in tutti i dibattiti, in tutte le controversie letterarie, schierandosi sempre dalla parte degli innovatori.

Dopo una lunga pausa dedicata soprattutto alla poesia e al lavoro di divulgazione dei principi letterari rivoluzionari, Majakovskij torna al teatro negli ultimi anni della sua vita: del 1929 è La cimice, violenta satira del filisteismo piccolo-borghese rispuntato dopo la rivoluzione e insieme del mondo del futuro, che sarà dominato secondo l’autore da una tecnologia insopportabilmente fredda, asettica. Il protagonista, congelato nel 1929 a seguito di un incendio scoppiato durante un grottesco banchetto di nozze in cui sta per impalmare la figlia di una ricca parrucchiera, viene ritrovato cinquant’anni dopo e rinchiuso in laboratorio per studiarne le strane caratteristiche: sua compagna, testimone di un’esistenza ormai cancellata di sporcizia, una cimice. L’anno dopo, pochi mesi prima del suicidio che chiuderà tragicamente una vita vissuta sempre in prima linea, senza compromessi, scrive Il bagno, dove viene messo in berlina lo strapotere della burocrazia sovietica, che si sta dimostrando non meno ottusa e arrogante di quella zarista e sta minacciando, con esiti funesti, la libertà espressiva per cui tanto si è battuto l’autore. Entrambi i testi vengono messi in scena, con graffiante intelligenza e senso dell’attualità, sempre da Mejerchol’d, che ne sottolinea l’inattesa forza eversiva, denunciando con forza l’involuzione verso cui sta lentamente avviandosi il nuovo regime e che di lì a poco travolgerà anche lui. Il teatro di Majakovskij non ha perso con il passare degli anni la forza corrosiva e la lucida satira che lo ha reso popolarissimo alla fine degli anni ’20: ogni epoca ritrova nella Cimice come nel Bagno materiale attualissimo per deridere l’arrogante strapotere della propria borghesia e della propria burocrazia.