Salmon

Thierry Salmon approda al teatro giovanissimo col gruppo Ymagier Singulier, rivelando straordinarie intuizioni formali di un lavoro scenico che ricerca come proprio luogo di creazione grandi spazi all’aperto o particolari architetture industriali in disuso. Modalità che assume un carattere estetico debitore anche della sua indole di artista nomade, portato a confrontarsi con il Teatro fuori dagli ambiti istituzionali. Sono aree urbane, non-luoghi della contemporaneità, all’interno dei quali muove le azioni di attori che possono diventare figure simboliche, quando non diventano puro traslato del testo, alle prese con ritmi e cadenze corali complesse che di quello spazio assumono le sonorità naturali: «Lavorare in uno spazio aperto significa per me usarne anche i rumori che fanno parte di quello spazio, un teatro sonoro più che di linguaggio».

E già dai primi spettacoli («In Fastes/Foules volevamo cambiare il punto di vista del pubblico») si delinea una costruzione della visione per lo spettatore a più piani, che in questo modo sembra entrare in collisione col movimento degli attori e quello degli elementi scenografici; una scenografia destrutturata, ambientale (i lavatoi e il rumore in Fastes/Foules, 1983; la sabbia e il coro nelle Troiane, 1988; le panche e la partitura coreografica in L’assalto al cielo, 1997), che successivamente andrà concentrandosi sulla dinamica di relazione tra l’attore, il testo e lo spazio che da questa dinamica viene occupato: “Parto sempre dal testo, cercando di trovare un filo. Non parto cercando di fare a priori un certo tipo di lavoro sullo spazio o sulla musica o sulla luce ecc.”.

Il lavoro sull’attore è quindi definito dalle situazioni interne che il testo propone. Anche il suo modo di abitare un determinato spazio – uno spazio sempre più vitale, esistenziale, quella dimensione fisica che si serve dello spazio per costruire intense drammaturgie gestuali – nasce dal confronto diretto con la materia, spesso con lunghi laboratori sul posto, che restituisce all’attore una memoria della propria condizione, una memoria interiore oltreché esterna. Ogni segno, ogni oggetto non è confinato alla creazione del personaggio, ma porta con sé la memoria fisica di una serie di esperienze dell’attore, una memoria che si fa scrittura scenica (in questa disamina dell’inconscio lo spettacolo A. da Agatha, 1986, interpretato dalle sorelle Pasello, costruiva un camminamento geometrico al quale si contrapponeva un sistematico spostamento di pannelli, occupando per intero la platea del teatro oltre al palcoscenico; mentre in La signorina Else, 1987, una parete di altoparlanti chiudeva sul proscenio il teatro facendo muovere gli attori nella platea con gli spettatori). Si individuano allora nuove possibilità per i personaggi, situazioni che determinano anche la qualità della loro relazione: stati emotivi, dati comportamentali, linee drammaturgiche dalle quali far scaturire l’azione che si trasformerà in gesto, parola o postura fisica.

Di Salmon saranno compagni di strada la scenografa Patricia Saive, l’illuminotecnico Enrico Bagnoli e il drammaturgo Renata Molinari; più un gruppo di attori tra i quali Renata Palminiello e Maria Grazia Mandruzzato. Una prassi, nel suo metodo di lavoro, è divenuta appunto quella dello spettacolo che compendia tempi lunghi di sedimentazione, passando magari per fasi laboratoriali o studi preparatori dello stesso, trovando in Italia rapporti produttivi che lo porteranno a collaborare con diversi centri teatrali, soprattutto con Emilia Romagna Teatro e Pontedera. Nel 1988 Pier Vittorio Tondelli siglava così il debutto alle Orestiadi di Gibellina delle Troiane di Euripide, che si avvalse delle scene dell’artista Nunzio e dei cori in greco antico ricreati da Giovanna Marini: “È uno degli spettacoli migliori degli ultimi anni, forse addirittura del decennio”. Prodotto da Teatri Uniti, il festival di Avignone, il comune di Milano e dalle Orestiadi, lo spettacolo segnava un’epoca. Seguiranno dal 1991 al ’93 gli studi del progetto Dostoevskij che porteranno allo spettacolo Des passions, tratto da I demoni, con tappe preparatorie in Russia e poi in Italia. Nel 1995 sarà la volta di Faustae Tabulae, incursione nel mondo della musica contemporanea ispirata da Paul Auster e Philip K. Dick, fino ad arrivare nel 1997 alla Pentesilea di Kleist con i progetti Thémiscyre 1 e 2 e L’assalto al cielo , affondo nel mito delle amazzoni che ha debuttato ai Cantieri alla Zisa di Palermo.

Sartre

Insignito nel 1964 del premio Nobel (che rifiuterà), propugnatore dei grandi temi dell’esistenzialismo (fortunata corrente di pensiero che in Francia permea non solo la filosofia e la letteratura, ma tutte le arti), Jean-Paul Sartre ha sempre posto al centro della sua riflessione il tema dell’uomo e della sua ricerca di libertà: un `libero arbitrio’ individuale, una misura fondamentale dell’esistenza alla quale rapportarsi. Il suo primo dramma, Le mosche (Les mouches), messo in scena da C. Dullin nel 1943, in piena occupazione nazista – in cui riprende il grande tema dell’Orestea secondo l’ottica di una saga familiare segnata dal delitto e dalla colpa -, è scritto negli stessi anni in cui S. compone un importante saggio filosofico, L’essere e il nulla (L’être et le néant, 1943), e dopo il romanzo-manifesto La nausea (La nausée, 1938).

Come i due testi citati, anche Le mosche è un testo-manifesto: vi si dibattono i temi di una guerra non solo familiare ma civile, che giustifica il matricidio di Oreste, il quale si assume responsabilmente il compito di vendicare l’uccisione del padre assassinando – contro ogni legge, che non sia quella di una superiore spinta morale – la madre traditrice. Fra il 1945 e il 1946 Sartre scrive altri drammi, da A porte chiuse (Huis clos, 1945), dove la situazione claustrofobica mette a nudo come la vita dei protagonisti – un uomo e una donna che cercano di accaparrarsi l’amore di una giovane – subisca dei condizionamenti reciproci, a La sgualdrina timorata (La putain respectueuse) e Morti senza sepoltura (Morts sans sépulture), entrambi del 1946.

Con Le mani sporche (Les mains sales, 1948) S. analizza ancora una volta, nella figura del giovane Hugo, il contrasto fra le leggi della politica e l’idealismo personale. In Il diavolo e il buon Dio (Le diable et le bon Dieu, 1951), attraverso il personaggio goethiano di Goetz von Berlichingen, che percorre le scelte opposte della santità e della perversione, S. mostra come tutto, anche la scelta del proprio destino, sia condannato al relativo. Nekrassov (1955), invece, è una violenta satira contro l’anticomunismo dilagante al tempo della guerra fredda, mentre in I sequestrati di Altona (Les séquestrés d’Altona, 1959) – attraverso la vicenda di un ex ufficiale nazista che, dopo essersi nascosto per anni nella soffitta della casa del padre ad Altona, sceglie di suicidarsi non appena si rende conto che il mondo seguito al conflitto rifiuta la responsabilità degli eventi, scegliendo di essere senza memoria – mette ancora una volta in scena il contrasto fra responsabilità collettiva e responsabilità del singolo.

Importante – oltre a quello di sceneggiatore per il cinema – è il lavoro di riscrittura operato da Sartre su alcuni classici: in particolare sulle Troiane di Euripide (1965) e su Kean, dall’opera di Dumas padre, che ha per protagonista il grande attore ottocentesco inglese Edmund Kean, rappresentato nella basilare contraddizione di genio e sregolatezza.