Bernhard

La vocazione teatrale di Thomas  Bernhard ha camminato a fianco di quella narrativa, peraltro prevalentemente fissata sul monologo di personaggi ibernati dalla follia. Il suo teatro costituito da una ventina di pièce, scritte tra gli anni ’70 e ’80 dà voce a chi non trova altra strategia, se non nello sconnesso e delirante soliloquio, per resistere all’invasione della realtà, sentita come un ingombrante viluppo di tare e di insensatezze. Così la drammaturgia finisce con l’ospitare una lunga processione di paranoici, pazzi, visionari, malati, che, dal loro stravagante punto d’osservazione, smontano, pezzo per pezzo, tutta l’organica gerarchia dell’esistere. Negati al dialogo, per sempre fissati nella glacialità di una posizione senza sviluppo, gli eroi di Thomas  Bernhard sono larve in esclusiva attesa della fine, complici delle loro patologie, irresistibilmente attratti dal fallimento e dalla degradazione morale. La morte, secondo la logica di questo mondo alla rovescia, segna dunque la supremazia definitiva del nulla. Non bisogna allora aspettarsi eventi nel teatro di Thomas  Bernhard la sua legge è la staticità, perché tutto è già avvenuto. Né vi possono essere sostanziali differenze tra i personaggi: dislocati in zone neutre, dove, come ha suggerito Eugenio Bernardi, assenti o irrilevanti sono le coordinate spazio-temporali (sottolineate dai rarissimi cambi di scena); privati di prospettive e di mete, tutti vengono colti nel tentativo di compiere un gesto estremo, spesso coincidente con il suicidio. Non manca, nel teatro e nella narrativa di Thomas  Bernhard, una durissima presa di posizione contro l’Austria, come testimonia l’unica (e ultima, del 1988) pièce fornita di precise connotazioni spazio-temporali, cioè Piazza degli Eroi (Heldenplatz). Tra le sue più importanti opere ricordiamo, anche per via degli allestimenti presentati in Italia negli ultimi anni, Una festa per Boris (Ein Fest für Boris), Amburgo 1970, regia di Claus Peymann (regia di Maccarinelli, 1998); L’ignorante e il visionario (Der Ignorant und der Wahrsinnige), Salisburgo 1972, regia di Peymann (Ugo Leonzio, 1984 e Domenico Polidoro, 1994, ne hanno curato la messinscena italiana); La forza dell’abitudine (Die Macht der Gewohnheit, 1974), regia di Juliette Mayniel, Roma 1985; Minetti. Ritratto di artista da vecchio (Minetti ein portrait des künstlers als alter Mann), Stoccarda 1976, regia di Peymann (in Italia regia di Polidoro, 1994); Il riformatore del mondo (Der Weltverbesserer), Bochum 1980, regia di Peymann; La brigata dei cacciatori (Die jagd gesellschaft), Vienna 1974; Alla meta (Am Ziel) Salisburgo 1981 (regia di Piero Maccarinelli, Asti 1989); Semplicemente complicato (due gli allestimenti italiani: nel 1995 a cura di Teresa Pedroni l’uno e di Michele Blasi e Andrea Facciocchi l’altro).