rito e teatro

Il rapporto tra rito e teatro muta continuamente nella storia della cultura. Ciò in ragione delle motivazioni profonde con cui è vissuta l’esperienza religiosa e del modo con cui essa si atteggia nel mondo. Si è soliti contrapporre il sacro al profano; ma questa distinzione, più che un dato originario, si instaura in prosieguo di tempo all’interno di coordinate storico-culturali precise, quando l’affermarsi di una visione laica, sospinge sullo sfondo quell’orizzonte di miti e riti entro cui si articola primitivamente la dimensione del teatro. L’autonomia del teatro dal rito è una conquista progressiva, perché, in origine rito e teatro si danno come modalità diverse di una medesima esperienza, così che il plesso mitico-rituale si configura attraverso forme più o meno caratterizzate in senso teatrale. In alcuni momenti della storia della cultura, tra rito e teatro non c’è soluzione di continuità e le forme drammatiche si generano entro la matrice rituale, prima di giungere alla matura autocoscienza che l’azione teatrale si radica in un ordine proprio. Né è detto che questa autonomia garantisca la conquista di una profondità antropologica e di un’intensità poetica che sono un momento costitutivo del teatro.

Nello sviluppo dell’esperienza religiosa, magari a partire dall’approccio sacro-magico alla realtà, ci sono gesti, forme, esperienze che si connotano in senso specificatamente teatrale, fino a che la sfera del dramma si configura via via come una sfera autonoma. Ma l’autonomia del teatro dal rito è vexata quaestio: in origine, dicevamo, il teatro è tutto interno al rito, vi si radica come nell’essenza sua propria, gli conferisce significato e coerenza, lo rende riconoscibile e pregnante all’interno del gruppo anche come sistema di comunicazione. In un orizzonte fortemente caratterizzato in senso religioso, il teatro è, molto spesso, il modo di essere del rito, il luogo dove la verità del mito si fa riconoscibile anche nella corporeità del celebrante. Il rito infatti rende concreti e carichi di senso i rapporti tra la comunità e la divinità, dando luogo alla manifestazione sensibile della divinità. È nel rito infatti che la divinità si fa presente, così che il sacerdote diventa ierofante, la figura in cui si incarna il dio vivente della scena. L’attore è, in questa aurora del teatro, sacerdote così come il sacerdote diventa l’attore che mima l’azione del dio, mediando tra il trascendente e l’orizzonte mondano. Il mito in effetti non rimane chiuso nelle trame del pensiero astratto e discorsivo, ma si articola piuttosto secondo un sistema coerente e concreto di immagini. È in questo modo, teatrale appunto, che esso irrompe su quella scena, dove il mito viene declinato in forme diverse: può diventare racconto modulato attraverso le intonazioni e i gesti concreti della comunicazione orale.

1) L’oralità è un primo modo di porsi in modo teatrale: la narrazione si svolge attraverso i ritmi, la voce, i gesti, la corporeità di chi racconta, così che la parola si fa segno vivente attraverso l’umanità di chi la dice. Inoltre il rito si fa dramma quando l’azione si articola secondo un sistema complesso di segni e di eventi carichi di significati esemplari, non solo raccontati ma agiti. Inoltre il rito si fa figura o illustrazione più ampia quando si dispiega attraverso la rappresentazione iconica offerta alla devozione dei fedeli. E infine il rito diventa gioco, quando si apre al mondo del significato trasformando energie e attitudini del gruppo che si esprime nei modi del torneo, del corteo, delle processioni, della marcia, delle figurazioni agonistiche, devozionali e così via. Il sistema mitico-rituale da una parte e il sistema teatrale operano, all’origine, in modo unitario, attraverso una coalescenza di elementi variamente riconoscibili. A seconda della intenzionalità che caratterizza i membri del gruppo, il processo rituale si svolge in forme drammatiche che nel prosieguo dell’esperienza si distinguono progressivamente fino a separarsi: unità, distinzione, separazione, contraddistinguono non solo le diverse fasi ma anche le due opposte polarità del rito e del teatro fino al momento in cui essi abiteranno definitivamente in luoghi e tempi distinti.

2) La linea di sviluppo che porta l’esperienza del teatro a staccarsi progressivamente dal rito è caratterizzata da un indebolimento delle ragioni del sacro e da una spinta centrifuga che porta il complesso dell’azione verso esiti sempre più spettacolari, tanto più evidenti quanto più viene meno la carica religiosa originaria. C’è una dislocazione progressiva di senso, che promuove atteggiamenti e intenzioni diverse, facendo curvare le forme e le ragioni del rito verso il teatro: quanto più si allontana la presenza del dio, tanto più l’azione si sposta nel mondo degli eroi, dei semidei, e poi degli uomini. La maschera sacra che in origine è parvenza del dio, forma manifesta del suo apparire nel mondo, diventa poi ciò che occulta il volto dell’uomo e dell’attore, entro un gioco di identificazioni e simulazioni tanto lontano dal senso originario. In certa misura (ma nelle culture primitive e orientali non sempre le cose procedono in questo modo), l’avvento del teatro coincide col declino del rito o di certe sue forme. In definitiva il plesso mitico-rituale da una parte e il teatro dall’altra non si comprendono se si prescinde dall’orizzonte storico-culturale entro cui si definiscono i comportamenti collettivi. Importa allora notare che rito e teatro si generano all’interno delle strutture di festa, punto focale attraverso cui si esprime la coscienza collettiva.

La festa, come nella relazione tra sacro e profano, non nasce dalla contrapposizione col quotidiano: in un sistema calendariale che esprima realmente il senso collettivo, la festa è il momento in cui appare con la pienezza dei suoi significati profondi il dispiegarsi del tempo. Nel tempo ciclico come nel tempo lineare, la festa introduce una scansione del tempo, che dà coerenza e sviluppo all’andamento delle vicende naturali e delle vicende umane. Grande festa o festa minore, festa stagionale o annuale, festa degli dei, degli eroi o degli uomini, celebrazione di gesta mitiche o di avventure storiche, questo tempo eccezionale apre non solo una discontinuità nel fluire del tempo, ma rende visibile e concreto il senso dei passaggi critici nel tempo vissuto da una comunità. Nelle feste arcaiche lo svolgimento degli eventi rituali, con le diverse fasi dell’attesa, della vigilia, della celebrazione e della sedimentazione successiva che proietta nella storia profana tutta l’esemplarità delle storie mitiche, consente al gruppo di sperimentare un arco straordinario di possibilità che va dai momenti rituali, sacro-magici o religiosi, ai momenti in cui il teatro emerge come momento fondante della comunità e in cui si riplasmano i rapporti tra la realtà e l’immaginario collettivo.

Nell’aura della festa in cui, come dice Kerényi, gli uomini passano dalla parte degli dei, accanto alle forme rituali si sviluppa via via una costellazione di forme teatrali e parateatrali, cui viene affidato il compito di riaffermare l’unità del gruppo attorno a un sistema di valori profondamente condiviso. Rito e teatro, una volta distinti, celebrano in modo diverso la stessa trama unitaria di valori significativi per la comunità: allora la tradizione soccorre offrendo il retaggio di gesti conservati dalla memoria per rafforzare la coscienza unitaria della società e aprirla a una vivida e concreta sperimentazione del proprio futuro e della propria capacità progettuale. Per questo la festa non è solo occasione estrinseca di incontri: essa è restituzione del passato storico e metastorico e insieme proiezione verso il futuro. In tale prospettiva il teatro diventa scandaglio doloroso della condizione umana, ma anche coscienza critica sulle condizioni del mondo così che nell’autentica tensione verso il futuro esso orienta le forme della drammaturgia, dando contenuti riconoscibili alla speranza del gruppo.

3) Quando si spegne la dialettica tra sacro e profano, il sistema della festa si impregna di altre ragioni. Il mito, il racconto, l’azione non riguardano più la sfera della divinità ma quella degli uomini: uomini simili a dei, come nella festa rinascimentale e barocca che propone alla collettività le gesta del Principe. È questo che si fa garante dei nuovi rapporti tra la terra e il cielo, incarnando l’essenza dello Stato Assoluto e le ragioni spirituali e politiche del potere che chiede di essere celebrato dal gruppo attraverso un sistema coerente ed estremamente funzionale di gerarchie e di valori. Nella semantica collettiva festa e teatro rendono visibile il fondamento e il senso di un nuovo ordine: paradossalmente si potrebbe parlare non di un’eclissi del sacro, ma di una sua ricostituzione entro un orizzonte diverso, in cui festa e teatro sono manifestazione del nuovo rapporto tra sacro e profano, tra rito e dramma, tra potere politico e potere religioso.

Nella vicenda collettiva che contraddistingue la nascita e lo sviluppo degli stati moderni c’è un complesso ordinamento cerimoniale che rende visibili e carichi di un senso esemplare per tutti i rapporti tra il Principe, la corte e la società: i riti sono ora riti mondani e laici, mentre il teatro si avventura nella sfera dei nuovi eroi, riprendendo lo stesso patrimonio mitografico ereditato dalla antichità classica. Nei giacimenti della mitologia classica c’è materia sufficiente per collegare le immagini e i racconti dell’antichità con le gesta dei personaggi che discendono nel mondo da un olimpo profondamente rinnovato: a suo modo il teatro, e lo spettacolo in genere, danno forma e sostanza alle nuove ritualità collettive. Essi celebrano non più le figure proposte dal cristianesimo ma le figure dell’antico grande racconto che parla degli dei e degli uomini. Cambia, all’interno di queste, il senso delle ripetizioni e il modo di far presente l’incontro tra il mondano e ciò che appartiene a un altro orizzonte. Volta a volta il teatro diventa ripetizione, consacrazione, celebrazione, illustrazione delle avventure delle élite nobiliari, che i mitografi di corte propongono attraverso un complesso sistema di feste, di forme teatrali e di eventi spettacolari. Si instaura così un’organizzazione calendariale diversa, che dà senso alla celebrazione di un potere nuovo, esautorando progressivamente la vecchia eredità religiosa per aprirsi alle nuove domande della società e delle classi dominanti.

Il sistema religioso, impoverito delle sue ragioni più profonde, cerca una riautenticazione nell’intimità della coscienza, rinnova le sue liturgie distanziandosi definitivamente da drammaturgie sempre più spettacolari ed estrinseche o arretra sullo sfondo delle tradizioni popolari, che costituiranno la trama ininterrotta dei significati soggiacenti e rimossi dalle culture elitarie come espressione di un dominio folklorico diversamente fondato, perché estraneo alla visione immanentistica dei nuovi riti. Sono state già approfondite dall’antropologia la natura e le forme del processo rituale che interessa più da vicino il teatro: la vita del gruppo passa attraverso fasi di rotture dell’ordine e della coesione sociale, sosta in situazioni di marginalità e di separazione entro un tempo e uno spazio che consentano di allentare il carattere costrittivo della norma. Inquesto caso sorgono nella società occasioni e forme insospettate di libertà o di licenza, per riportarsi entro un nuovo ordine, dopo aver attraversato fasi caotiche e condizioni ‘statu nascenti’ in cui la creatività si attiva lungo linee creative, protette dalla rigorosa scansione delle strutture rituali. In questo percorso si rigenerano le stesse potenzialità del teatro e le forme che esso può via via assumere nel processo di trasformazione o conferma dell’immaginario collettivo.

4) Attraverso tutta la vicenda dell’età moderna questa dicotomia tra i due livelli del rito e del teatro, della sfera popolare e della sfera propria delle classi dominanti, si accentua, si aprono nuovi conflitti, si determinano silenzi, rimozioni e distanze in cui si riverberano i propri valori, nel misconoscimento dei valori di cui sono portatori gli altri e i diversi. L’ultima grande manifestazione del rapporto tra rito e teatro si ha nella Rivoluzione Francese. Essa promuove nuove feste attraverso l’iniziativa di una classe dirigente che sorveglia e regola la riformulazione dei codici espressivi e delle grandi unità di significato. Si attua così una liquidazione progressiva, ma non per questo meno evidente e inesorabile del sistema del potere che accompagna la crisi dello Stato Assoluto. In qualche modo finisce l’ultima declinazione del sacro nel rapporto tra festa, rito e teatro. La Rivoluzione Francese riplasma a suo modo l’esperienza del sacro, i cambiamenti profondi che si producono negli assetti di potere, ponendo in crisi l’origine divina del potere e facendo emergere la sovranità popolare. Essa sembra redistribuire la sacralità del potere nel mondo ma allo stesso tempo lo dissolve. Sostituisce nuovi simboli, nuovi valori e miti e li dispone entro una trama rituale di insospettata evidenza nella società. La nuova borghesia ripercorre a suo modo i tracciati del sacro, dei riti e del teatro per piegarli alle esigenze di una nuova rappresentazione del mondo, di teurgie e liturgie profondamente e talvolta irosamente rinnovate. Con le feste della Rivoluzione Francese finisce di fatto quel sistema festivo entro cui si era fondato il teatro. Da questo momento in avanti la dimensione del teatro come rito collettivo piega verso un ordine tutto mondano e laico, feriale e commerciale. Perché ciò che fa la differenza, nella nuova ritualità borghese, rispetto a quella antica, è la definitiva obliterazione del senso religioso, come espressione del sacro da una parte e del legame collettivo dall’altra.

Il teatro si dà entro luoghi specializzati, entro architetture in cui si offre ogni soccorso tecnico all’invenzione della fantasia, alle spinte di una spettacolarità sempre più estroversa. Ma il teatro non si svolge più in un tempo specializzato come la festa, capace di esprimere le cadenze della natura e della storia e il grande racconto mitico per il mondo. Il teatro si fa piccola occasione entro un gioco di rimandi, di convenzioni e occasioni che simulano in modo del tutto estrinseco la trama di significati proposti dalla ontologia religiosa. Per un teatro che fonda le sue ragioni e il suo modo di essere in un assetto organizzativo legato al profitto, alla razionalità della logica industriale o commerciale, la tensione del rito scade, per anguste motivazioni di ordine immediato, a occasione di divertimento, a celebrazione di convenienze sociali, in cui si coagulano ragioni culturali, di costume, di sensibilità tanto più modeste. Non si impoveriscono solo le istanze religiose e quelle etico politiche, ma anche quelle estetiche, come se un teatro, incapace di sporgere sugli abissi del sacro e di rispecchiarsi attraverso il rito, fosse ontologicamente incapace di proporre alla coscienza collettiva valori e significati adeguati. La spinta evasiva ed eversiva esercitata dai grandi apparati mediatici sul sistema di tradizioni e di valori, opera allora un processo di espropriazione delle libertà collettive. Le nuove forme di comunicazione non aprono orizzonti alla libertà e dignità dell’uomo, nella misura in cui l’espansione della realtà virtuale determina una crisi della presenza, indebolisce il senso della responsabilità e della partecipazione della persona, così che lo stesso destino del teatro ne risulta esautorato.

La scena si fa, nei nuovi contesti, inesorabilmente autoreferenziale e chiusa nella frammentazione dei piccoli gruppi, con una radicale denegazione di quelle istanze del legame che sono il tratto non solo etimologicamente costitutivo delle religioni. E tuttavia nella dissoluzione delle forme storiche del teatro, nell’incalzare delle avanguardie e delle nuove tecnologie, nel sorgere e propagarsi di microculture fuori dei teatri e spesso fuori dal teatro, sembra delinearsi la domanda non solo di una teatralità diffusa, ambigua ed estremamente articolata, ma anche di ritualità diverse. Questa domanda si diffonde all’interno di spazi anomali, in laboratori o in luoghi spesso atipici, esterni o contrari alle convenzioni ereditate. Attraverso essa si intravede una mutazione antropologica che interpella il teatro e lo costringe ad esplorare nuove forme della rappresentazione. È attraverso queste nuove forme che si cerca di dare concretudine sensibile alle dolorose vicissitudini del singolo e del gruppo, alle urgenti necessità di nuove relazioni facendo emergere dalla crisi della scena un teatro capace di rispondere ai nuovi interrogativi dell’uomo.