realismo socialista

In Urss il termine realismo socialista comincia a circolare intorno al 1932, ma viene ufficializzato nel 1934, durante il primo Congresso degli scrittori sovietici, guidato da Gor’kij. Vale la pena di riportare per intero la definizione dell’ Enciclopedia teatrale sovietica (tomo IV, 1965): “metodo di creazione artistica basato sulla rappresentazione corretta e concreta da un punto di vista storico della realtà nel suo sviluppo rivoluzionario. Basandosi sull’esperienza della precedente cultura artistica e soprattutto dell’arte realista, il realismo socialista ne rappresenta la nuova tappa storica. I primi esempi in campo artistico compaiono nel XIX secolo, quando la classe operaia si conquista un posto nella storia e nasce l’ideologia comunista, ma assume fisionomia definitiva dopo le lotte sociali dell’inizio del XX secolo e soprattutto dopo la rivoluzione d’Ottobre”. In effetti, dopo il 1934 (anche prima, ma in modo meno generalizzato) la letteratura e il teatro diventano sempre più apertamente strumento di pressione e propaganda dell’ideologia e della prassi del partito comunista: a partire dalla fine degli anni ’20 fino alla morte di Stalin e alla destalinizzazione (il cosiddetto ‘disgelo’, durato almeno un decennio dopo la scomparsa del dittatore) oggetto della drammaturgia è la rappresentazione della realtà non come l’autore la vede o la interpreta, ma come il partito vuole che sia vista o interpretata.

Alla fine della guerra civile (1920-22) molti sono i drammi dedicati all’eroica lotta e alla vittoria dell’Armata rossa contro gli aborriti bianchi ( La tempesta di V.N. Bill-Belocerkovskij, 1925; Ljubov’ Jarovaja di K.A. Trenëv, 1926; Il treno blindato 14-69 di Vs.V. Ivanov, 1927; La prima armata di cavalleria di Vs.V. Visnevskij, 1929), poi quelli dedicati all’industrializzazione, alla costruzione di grandiose fabbriche, dighe, centrali elettriche, nei quali spesso affiora il tema del sabotaggio da parte di biechi elementi controrivoluzionari, tema che fa naturalmente risaltare la coraggiosa resistenza degli integerrimi membri del partito ( Cemento di F.V. Gladkov, 1926; Untilovsk di L.M. Leonov, 1928; La linea di fuoco di N. Nikitin, 1931; La marmellata di lamponi , 1926 e La paura , 1931 di A.N. Afinogenov; Il suo amico , 1932 e Il poema della scure, 1933 di N.F. Pogodin; La lega meravigliosa di V.M. Kirson, 1934); la collettivizzazione delle campagne, la trionfale nascita dei kolchoz, dei sovchoz e l’eliminazione dei kulaki o contadini ricchi ( Pane di Kirson, 1930; Dopo il ballo di Pogodin, 1934; La terra di N.E. Virta, 1937; I giardini dei Polovcy di Leonov, 1939); i conflitti familiari, limitati esclusivamente a questioni ideologiche tra padri conservatori (spesso addirittura sabotatori) e figli esemplari comunisti che arrivano fino alla denuncia, oppure la trasformazione di giovani tentennanti in entusiasti uomini di partito (Le rotaie rombano di Kirson, 1927; La quadratura del cerchio di V.P. Kataev, 1928; Il figlio di un altro di Skvarkin, 1933; Skutarevskij di Leonov, 1934).

Non mancano naturalmente i drammi che hanno come protagonisti i due capi carismatici Lenin e Stalin (basta qui citare la celebre trilogia di Pogodin L’uomo col fucile, 1937; Il carillon del Cremlino, 1942; La terza patetica, 1958 – e Il grande signore di Vl.A. Solov’ëv, 1944, dedicato a Ivan il Terribile ma in realtà a Stalin). La seconda guerra mondiale riaccende l’entusiasmo nazionalista: all’eroica resistenza dei soldati sovietici contro l’invasione hitleriana è dedicata una serie di drammi propagandistici e celebrativi (Alla vigilia di Afinogenov, Il fronte di Solov’ëv, Gente russa , Aspettami! e Sarà proprio così di K.M. Simonov, Essi vivevano a Leningrado di O. Bergol’c e G. Makagonenko). Alcuni autori affrontano temi storici, ricostruendo episodi o personaggi alla luce dell’ideologia sovietica (L’anno 1881 di N.N. Sapovalenko, Pietro I – scritto in tre varianti, 1930-38 – e Ivan il Terribile in due parti, 1942-44 – di A.N. Tolstoj, Il feldmaresciallo Kutuzov di Solov’ëv, 1940).

Dopo la guerra viene confermato il rigido controllo ideologico con il decreto del Comitato centrale del partito `Sul repertorio dei teatri drammatici e sulle misure per migliorarlo’ (1946): nascono così nuovi temi, sempre comunque edificanti, come quello del soldato che ritorna nella città o nel paese distrutti e si impegna in una rapida ricostruzione, o quello, diffusissimo, della ‘guerra fredda’ e dell’antagonismo con la corrotta e razzista America (La questione russa di Simonov, 1947; Il governatore di provincia e La guerra fredda , 1949 dei fratelli Tur; Il colore della pelle di Bill-Belocerkovskij, 1948, su un episodio di razzismo in America; Il leone in piazza e L’ombra altrui , 1950 di I. Erenburg). Nel complesso la produzione drammaturgica legata al realismo socialista, che copre una trentina d’anni circa, lascia ben pochi testi degni di essere ricordati. I maggiori rappresentanti di tale corrente – K.A. Trenëv (1876-1945), V.N. Bill-Belocerkovskij (1885-1970), Vs.V. Ivanov (1895-1963), L.M. Leonov (1899-1994), N.F. Pogodin (1900-1976), Vs.V. Visnevskij (1900-1951), A.N. Afinogenov (1904-1941), A.E. Kornejcuk (1905-1972), N.E. Virta (1906-1976), Vl.A. Solov’ëv (1907-1978), K.M. Simonov (1915-1979) – nascono tra la fine del secolo scorso e i primi del ‘900, debuttano tutti negli anni immediatamente postrivoluzionari e, salvo rare eccezioni (per esempio Afinogenov ebbe un periodo di eclisse intorno al 1937), passano indenni attraverso le purghe staliniane; vengono rappresentati più o meno di buon grado da tutti i teatri sovietici, con successo di pubblico e plausi della critica ufficiale, senza peraltro uscire dalla mediocrità di una produzione propagandistica e apertamente ideologizzata.