Pasolini

Arrivato al successo anche di scandalo con i romanzi, Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959) Pier Paolo Pasolini scrive per il teatro soprattutto negli anni ’60, quando acquisisce sofferta coscienza dell’irrilevanza sociale del letterato-umanista, ormai del tutto incapace di incidere sulla realtà. Il mondo infatti va mutando radicalmente volto: la spinta all’omologazione innescata dal boom economico, col conseguente annullamento dell’antica diversità del sottoproletariato e la presunta azione politica organizzata per favorirla, si intreccia con i crescenti segni di malessere di una gioventù ansiosa e desiderosa di cambiare, inevitabilmente in attrito con la generazione dei padri. Pasolini, convinto che a questo livello, «la realtà non può essere detta, ma solo rappresentata», cerca una reazione imboccando sia la strada del cinema sia quella, appunto, del Teatro. La sua drammaturgia – a forte matrice autobiografica – nasce dunque dalla volontà di trovare nuove forme di comunicazione, capaci di individuare inediti e residui spazi di movimento per l’intellettuale in crisi politica e psicologica. La scelta impone però di ripartire da zero, accettando soltanto il puntello del teatro classico.

Nel marzo 1968 su “Nuovi Argomenti” Pasolini firma “Il Manifesto per un nuovo teatro”, col quale ribadisce che il suo sarebbe stato un `Teatro di Parola’, cioè un vero e proprio `rito culturale’ opposto sia al teatro ufficiale (`Teatro della Chiacchiera’), sia a quello d’avanguardia (`Teatro del Gesto e dell’Urlo’). Preceduta dalla stesura di Turcs tal Friul (in lingua friulana) e da Nel ’46, oltre che dall’attività di traduttore-rifacitore (l’Orestiade di Eschilo – su impulso di Gassman che ne curò la regia al teatro greco di Siracusa nel 1960 – e il Miles gloriosus di Plauto riproposto in romanesco, Il Vantone di Plauto, 1963), la produzione teatrale maggiore di Pasolini è costituita dalle sei tragedie, tutte ideate e stese nel corso dell’estate del 1966. Pilade – allestita nel 1969 per la regia di Giovanni Cutrufelli – propone lo scontro tra Oreste, il politico in sintonia con un mondo sempre più industrializzato, e Pilade (cioé Pasolini stesso), l’intellettuale condannato alla solitudine. Orgia – portata sulle scene dall’autore nel 1968 – si incentra sull’opposizione uomo-donna e lancia il tema della diversità. Affabulazione -la `prima’ è stata diretta da Navello nel 1975, Gassman ne ha invece curato un successivo allestimento nel 1977 – affonta invece i rapporti padre e figlio, mentre Porcile (R. Guicciardini ne ha allestito un’interessante versione nel 1989) insiste, tra l’altro, sul tema della continuità del Potere.

Calderón, rappresentata per la prima volta nel 1978, sperimentalmente al Metastasio di Prato, con regia di L. Ronconi, è un continuo gioco di specchi tra sogno e realtà, che si risolve nella consapevolezza di non aver più armi contro il Potere, ormai capace – attraverso la presunta rivoluzione del ’68 – di rinnovare proprio se stesso. Bestia da stile (di cui si ricorda la messinscena curata da Cherif), scritta in dieci anni di lavoro, ritorna all’autobiografismo e alle riflessioni sulla diversità e sulla inutilità di una vita spesa per la poesia. La fortuna del teatro di Pasolini è cresciuta soprattutto dopo la sua morte. Oggi i suoi testi sono riproposti con regolarità e si è giunti anche alla trasposizione di opere narrative (Petrolio, rivisitato per le scene da G. Bertolucci nel 1994 nello spettacolo intitolato Il pratone del Casilino), di lavori cinematografici (Uccellacci e uccellini, a cura di Pasolini Bocelli nel 1984), o di sceneggiature (Il Vangelo secondo Matteo, regia di F. Ambrosini, Milano 1994). Tra i suoi film si ricordano: Accattone (1961), Il Vangelo secondo Matteo (1964), Edipo re (1967), Medea (1970) con Maria Callas, Il Decameron (1971) e, uscito postumo, Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975).