Stoppa

Dopo aver frequentato la scuola di recitazione dell’Accademia di Santa Cecilia, ventunenne Paolo Stoppa iniziò la carriera teatrale come attore comprimario nella compagnia Capodaglio-Racca-Olivieri. Nel 1928 passò con A. Gandusio, il quale lo impiegò nei ruoli cosiddetti `spigliati’, ovvero brillanti. Dal 1930 al 1935 recitò anche in altre formazioni: Ricci, Picasso, Dina Galli. Nel frattempo si fece notare in piccole parti comiche anche al cinema (Re burlone , 1935; Giorni felici, 1942), quel cinema italiano di cui diventerà uno dei più grandi caratteristi in decine e decine di film. Nel 1938 entrò nella compagnia dell’Eliseo a Roma, dove affrontò un repertorio più impegnativo, anche in alcuni testi shakespeariani (La dodicesima notte, Le allegre comari di Windsor). Data da allora l’incontro con l’attrice Rina Morelli, che diventerà la sua compagna nella vita e sulla scena; insieme formeranno, per trent’anni, una delle coppie più brave e affiatate del teatro italiano.

Nell’autunno del 1945 un altro incontro determinante, quello con Luchino Visconti: incontro grazie al quale si determinerà uno dei più importanti fenomeni teatrali del dopoguerra. Sotto la regia di Visconti, S. e la Morelli danno vita a un’importante impresa, della quale fanno parte i più giovani G. De Lullo e M. Mastroianni. L’attore ottiene grandi successi, fra l’altro, in Delitto e castigo di G. Baty, da Dostoevskij (1946), e in Morte di un commesso viaggiatore di A. Miller (1951); il protagonista di quest’ultimo dramma, Willy Loman, diventerà uno dei suoi personaggi preferiti e suo `cavallo di battaglia’. Il suo repertorio si arricchisce anche di grandi testi goldoniani, a cominciare da La locandiera (dove fornì grande risalto al conte di Forlimpopoli) e L’impresario delle Smirne . Altri grandi successi furono Tre sorelle e Zio Vanja di Cechov, nonché Vita col padre di Lindsay e Crouse.

Memorabili anche certe sue interpretazioni shakespeariane: Rosalinda (dove fu un `fool’ tutto stupore e stizza infantili) e Troilo e Cressida (Firenze, Boboli 1947), dove seppe insinuare nella figura di Pandaro una lama di chiaroscurata viltà. Proprio il lungo cammino accanto a Visconti (che lo utilizzò anche al cinema: si veda Rocco e i suoi fratelli, 1960, con cui Stoppa meritò un Nastro d’argento al festival di Venezia) ha fatto sì che l’attore romano – attraverso un’ammirevole e sorprendente evoluzione – diventasse uno dei più completi attori italiani; e questo a dispetto di un fisico poco prestante e di una dizione non immune da certa coloritura regionale.

Con fertilità ed estrosità di umori, e con sempre eguale fortuna, Stoppa seppe passare dal repertorio classico alla più agguerrita drammaturgia contemporanea (soprattutto americana, ma non solo). L’avvento della televisione lo vedrà sovente sul video, a dare vigorosa caratterizzazione a personaggi di fortunati sceneggiati: si vedano i suoi successi in I Buddenbrook , Vita col padre , Demetrio Pianelli , ma anche in Questa sera parla Mark Twain. Negli anni ’60 l’attore è allo zenith della sua arte teatrale: valga per tutte l’impagabile interpretazione di Gaev nel Giardino dei ciliegi di Cechov (1965), diretto da Visconti. Nel 1976, la morte della Morelli e di Visconti risulteranno per lui traumatiche; solo due anni dopo tornerà alle scene, al festival di Spoleto, in Gin game di Coburn. Per la regia di Patroni Griffi interpreterà anche L’avaro di Molière; mediocre sarà invece il risultato quando si farà dirigere dal giovane Memé Perlini in Il mercante di Venezia (1980). Con un soprassalto d’orgoglio, nel 1984, ormai alla fine di una carriera esemplare, farà in tempo a essere un inedito Ciampa nel pirandelliano Berretto a sonagli diretto da L. Squarzina.