Ruccello

Annibale Ruccello – forse il più significativo e certamente il più originale esponente della cosiddetta `nuova drammaturgia napoletana’ – cominciò con L’osteria del melograno, uno spettacolo basato sulle favole della tradizione campana. Ma, giusto in quanto drammaturgo, ebbe il raro pregio d’essere un uomo del suo tempo: e, cioè, volle costantemente, e strenuamente, coltivare la memoria delle proprie radici senza per questo rinunciare all’indagine – insieme accorata e lucidissima – sul presente. Tanto è vero che Le cinque rose di Jennifer, lo spettacolo che nel 1980 impose Ruccello all’interesse e alla stima del pubblico e della critica nazionali, sembrò un’autentica cartina di tornasole dei mutamenti sociali intervenuti a Napoli in quegli anni: sicché, non per pura coincidenza l’autore decise di offrirne, dopo il terremoto, un nuovo allestimento, cambiando i costumi e la colonna sonora. In breve, Jennifer, il travestito protagonista di quell’atto unico, si faceva simbolo di una scrittura drammaturgica che assumeva Napoli in quanto `corpo storico’, visto e sentito (anche nel senso di partito ) nel suo divenire e trasformarsi senza alcuna preclusione ideologica e, ciò che più conta, senza timore di `sporcarsi’ con le sue contraddizioni. E insomma, Le cinque rose di Jennifer fu la prima ed eclatante prova di una scrittura che `non parlava’ di Napoli, ma, puramente e semplicemente, era Napoli.

D’altronde, non era una coincidenza nemmeno il fatto che Ruccello, e sempre ai fini descritti, assumesse di frequente, nei suoi lavori, la struttura narrativa del `giallo’ e le atmosfere e i toni del `noir’: avvenne anche in Notturno di donna con ospiti e, soprattutto, in Week-end , storia della zitella Ida che non si sapeva se fosse appena una povera donna ubriacata dalla solitudine o una `riedizione’ della Cianciulli. E questo sino alla definitiva consacrazione di R. con il premio Idi assegnato nell’85 a Ferdinando: uno straordinario mélange di ricalchi coltissimi, e insieme ironici, ancora dalla `lingua’ della tradizione campana e dal romanzo storico alla De Roberto fino a Genet e passando, naturalmente, per l’adoratissimo e mai dimenticato Marcel Proust. Ma, per concludere, torna alla mente soprattutto l’ultimo e lancinante `messaggio’ di Annibale, il monologo Anna Cappelli che Benedetta Buccellato portò in scena al Teatro Nuovo di Napoli nel maggio del 1987, otto mesi dopo la tragica e prematura morte dell’autore. Siamo di fronte all’ennesimo `spaccato’ di una condizione esistenziale `perduta’. E anche nell’atto unico in questione, però, rifulge la capacità rara della scrittura di Ruccello: giusto quella di spiazzare il contesto dato attraverso una fitta serie di elementi formali da vero e proprio thrilling. Chi potrà mai dire, al riguardo, se realmente Anna Cappelli ha ucciso l’amante che voleva lasciarla e ne ha fatto a pezzi e mangiato a poco a poco il cadavere? È certo soltanto che lei, alla fine, si darà fuoco insieme con tutta la casa. E forse quell’atroce delitto (un sogno, un incubo?) traduce unicamente gl’iperbolici soprassalti della coscienza dinanzi al crudele stillicidio dei giorni.