Galli

Figlia d’arte, Dina Galli in palcoscenico fin da bambina con i genitori scritturati in una compagnia itinerante, suo maestro fu il milanesissimo Ferravilla. Ebbe l’occasione di compiere il decisivo salto di qualità allorché Talli, direttore della Gramatica-Calabresi, avendone intuito le spiccate doti comiche, le affidò ruoli sempre più rilevanti nelle pochade di Feydeau, Labiche, Hennequin, Veber. La magra signorinella dal viso appuntito e dagli occhi sporgenti, inaugurò con la Crevette di La dame de Chez Maxim una lunga serie di ritratti maliziosi e accattivanti, ribaditi nelle successive esperienze a fianco di Gandusio, Besozzi, Viarisio, Calò, Giorda, Stival. Non appagata dal meritato titolo di reginetta del teatro boulevardier, tenne a battesimo una nutrita serie di novità italiane firmate da Forzano, Fraccaroli, Chiarelli, Cantini, De Stefani. Con Felicita Colombo e con Nonna Felicita del prediletto Adami ritornò, nella pienezza della maturità, alle ascendenze meneghine, perfezionate alla scuola di Tecoppa-Ferravilla, ritrovando gli stessi entusiastici consensi che all’indomani della grande guerra aveva colto con Scampolo e con La maestrina di Niccodemi. Tanti anni dopo, nel secondo dopoguerra, fu la deliziosa protagonista di Viva l’imperatore di Guitry, di Arsenico e vecchi merletti di Kesselring e dell’ormai inscindibile Felicita Colombo che aveva interpretato anche nella versione cinematografica. Conosciuta universalmente come `la Dina’, fu l’ultima autentica esponente di una milanesità ben presto emarginata dalla omologazione linguistica e costumistica.