Di nome e di fatto, il varietà era una babele di attrazioni varie prese in prestito ciascuna a piccole dosi dal teatro, dal circo, dall’operetta, dalla lirica, dallo sport, dal cinematografo. Perciò oggi con il termine varietà di solito si intendono generi spettacolari diversi fra loro per caratteristiche estetiche, sociali e di mercato. Genericamente, si parla di varietà riferendosi a tutta la composita tradizione della comicità popolare italiana del Novecento, ma in realtà essa si è sviluppata lungo le direttrici, in sé teatralmente autonome, del caffè-concerto, del varietà, dell’avanspettacolo, della rivista e infine della commedia musicale. L’arco di tempo abbracciato da questi generi va dall’ultimo decennio dell’Ottocento agli anni ’60 del secolo successivo.
L’origine comune è d’importazione francese, sul modello del café-chantant: spettacoli che avevano vita su pedane volanti costruite all’aperto accanto ai tavolini dei caffè più lussuosi delle città. Qui si esibivano, scritturati dai proprietari dei locali, comici, duettisti e cantanti. Quando, sul finire dell’Ottocento la moda del caffè-concerto prese piede definitivamente anche in Italia, nacquero spazi appositi per questo tipo di spettacoli: locali chiusi, veri e propri teatri, nei quali dare rappresentazioni in ogni periodo dell’anno, non solo in estate. Primo locale di questo genere, da noi, fu il Salone Margherita di Napoli inaugurato nel 1890 sotto la Galleria Toledo. Il caffè-concerto era fatto per ricchi in ricchi locali, ma comici, duettisti e cantanti diventarono una moda anche fra i meno abbienti. Ogni parco d’attrazioni (ce n’erano parecchi in molte città accanto alle stazioni e ai mercati) ebbe presto il suo padiglione teatrale dove si esibivano attori comici e cantanti; ballerine e imitatori. Gli attori drammatici, invece, vi rappresentavano a puntate grandi romanzi d’appendice riscritti per la scena, soap operas d’epoca.
Il varietà in senso stretto rappresenta il naturale sviluppo artistico ed economico del caffè-concerto. All’inizio del Novecento, assieme al Salone Margherita a Napoli, le cattedrali riconosciute del genere erano i romani Teatro Jovinelli inaugurato nel 1909 da Raffaele Viviani e la Sala Umberto aperta da Ettore Petrolini nel 1912. In questi luoghi lussuosi e ben frequentati, gli impresari riunirono il meglio di ciò che capitava nei caffè concerto e nei `padiglioni della meraviglie’. C’erano comici, duettisti e cantanti, ovviamente; ma anche ballerine, maghi illusionisti e prestidigitatori, contorsioniste, donne barbute e ballerini acrobatici, forzuti e giocolieri. In più, sul finire degli anni ’10, fra i vari numeri del varietà comparve anche il cinematografo, sotto forma di breve proiezione di una farsa o di un rapido dramma a fosche tinte.
Così arrivarono in Italia alcuni grandi comici stranieri (Harold Lloyd o Charlie Chaplin) e così si sviluppò la prima industria cinematografica autoctona (a Torino si producevano le comiche, a Napoli i drammi). Siamo a metà degli anni ’10 quando la guerra scalfisce le abitudini dell’Italia lontana dal fronte ma fa arricchire improvvisamente temerari impresari teatrali che organizzano spettacoli per i prigionieri, i feriti, gli orfani, i reduci… È da tutto questo che il varietà trae la sua energia maggiore, arrivando a essere unica forma di spettacolo totalmente nazionale e vero emblema dell’unità d’Italia: vi si recitano e cantano testi scritti in tutte le lingue-dialetti italiane (non solo napoletano e veneziano, ma anche milanese, piemontese, siciliano, romanesco…).
Nel varietà nacquero e prosperarono alcuni fra i massimi artisti teatrali della prima metà del Novecento. Prima di tutti Nicola Maldacea, cantante napoletano che inventò la `macchietta’, ossia la canzone comica in versi basata su una struttura narrativa molto articolata e di forte carica satirica. Poi vanno ricordati anche Leopoldo Fregoli (imitatore straordinario, capace di cambiare decine di fattezze e abiti nel corso di una sola serata); Ettore Petrolini (autore di alcune straordinarie parodie); Gustavo De Marco (il celebre uomo-marionetta cui si ispirò Totò); Anna Fougez (grande cantante) e suo marito René Thano (ballerino e raffinato coreografo); Raffaele Viviani (creatore di caratteri comici e drammatici rimasti nella storia di tutto il teatro del Novecento, non solo del varietà); Gilberto Govi (autore di sketch che spesso raggiungevano la dimensione della vera e propria commedia); Angelo Musco (irresistibile maschera tragicomica siciliana), Angelo Cecchelin (unico comico capace di reale ostilità nei confronti del futuro regime fascista).
Oltre alla macchietta, il varietà diede corso a una ricca produzione di canzoni popolari ma anche di monologhi, sketch e parodie. In ogni caso, tutto ruotava intorno a una trovata (per lo più comica) legata all’equivoco di un doppio senso che, se nei casi migliori nascondeva un risvolto spinto, nella maggior parte delle circostanze smetteva di essere doppio palesando sconcezze fin troppo dirette. Il varietà ebbe un successo popolare e mondano assolutamente strepitoso (non paragonabile ad alcun altro genere di spettacolo all’epoca) nei primi tre decenni del Novecento, generando poi, in seguito a una radicale trasformazione del mercato teatrale, l’avanspettacolo e la rivista, generi di altrettanto vasto successo nei due decenni successivi.