Wellenkamp

Dopo gli studi di danza classica e moderna a Lisbona e a Londra Vasco Wellenkamp entra a far parte del Gulbenkian Ballet, dove nel 1977 fa il suo debutto come coreografo. Ben presto lascia le scene per dedicarsi completamente alla composizione, mettendo in evidenza uno stile di danza neoclassico, fluido ed energico; la danse d’école si combina con gli stilemi della modern dance americana nei lavori creati per il Gulbenkian (Aria, 1991; Para alèm das sombras, 1993; Amaramalia, 1995). Considerato il più importante coreografo portoghese della sua generazione, ha collaborato con compagnie internazionali, tra le quali il Balletto di Toscana (Holberg suite, 1988).

Tudor

Antony Tudor ha studiato con Marie Rambert, Harold Turner e Margaret Craske. Impegnato nella danza a partire da età relativamente tarda (vent’anni), non poteva acquisire una forte tecnica, ma è comunque stato in grado di esibirsi non solo nelle proprie creazioni per il Ballet Rambert, ma anche in molti altri balletti. Dopo i primi tentativi coreografici, è giunto alla fama con due balletti che circolano ancora: Jardin aux lilas (1936, musica di Chausson) e Dark Elegies (1937, musica di Mahler). Il primo, usando la tecnica classica ma senza virtuosismi, segna l’interesse di Tudor alle emozioni e passioni represse, essendo l’atmosfera venata di melancolia. Il secondo possiede invece un soggetto di natura tragica, consistendo nel lungo lamento sulla morte di bambini in un disastro.

Il baritono che canta i Kindertotenlieder (allora pressoché sconosciuti in Inghilterra) sta in palcoscenico. Nel 1938 ha creato il balletto satirico Judgement of Paris (musica di Kurt Weill), per diversi anni incluso nella Serata Tudor del Ballet Rambert, e fondato il London Ballet con Hugh Laing, Maude Lloyd e Agnes De Mille. Per esso ha creato il balletto umoristico Gala Performance (sulla Sinfonia classica di Prokof’ev), passato al repertorio del Ballet Rambert e in seguito dell’American Ballet Theatre. Nel 1940 si è trasferito con Laing a New York, dove ha lavorato a lungo con il Ballet Theatre, del quale è stato nominato direttore associato nel 1974. Fra gli otto lavori creati per questa compagnia si annoverano Pillar Of Fire (musica di Schönberg), balletto su una giovane donna frustrata spesso ripreso anche da altre compagnie; Romeo and Juliet (musica di Delius) per Alicia Markova e Laing; Undertow (musica di William Schuman), sempre su tema psicologico, con Alicia Alonso e Laing.

Ha lavorato poi col Balletto Reale Svedese, creando per esso Echoing of Trumpets (1963, musica di Martinu), balletto drammatico sull’infelice vicenda di un partigiano, ripreso nel 1973 dal London Festival Ballet. Ha creato due balletti per il Royal Ballet: Shadowplay (1967, musica di Koechlin) con Anthony Dowell e Merle Park, e Knight Errant , (musica di Richard Strauss), per David Wall. Nel 1975 ha creato per l’American Ballet Theatre The Leaves are Fading (musica di Dvorák) con Gelsey Kirkland nel ruolo principale. Tudor è noto soprattutto per il talento dimostrato nello scavo della psiche umana, per lo più nei momenti di infelicità, di malintesi o di insoddisfazioni. I suoi balletti sono difficili da eseguire in modo soddisfacente perché richiedono una notevole abilità espressiva.

Peretti

Trasferitosi dodicenne in Francia, Serge Peretti è stato scritturato giovanissimo da Jacques Rouché all’Opéra, dove a ventun’anni diventa solista. Per la sua grande classe e lo charme è stato considerato la personificazione del più puro stile di danza francese. Perfette soprattutto sono apparse le sue interpretazioni dei balletti di Serge Lifar, in particolare Oriane et le Prince d’amour (1938). Ritiratosi dalle scene, si è dedicato all’insegnamento, diventando maestro di grandi celebrità: da Petit a Jeanmaire, alla Béssy fino a L. Hilaire e S. Guillem. Poco prima della morte, Dominique Lelouche gli ha dedicato un interessante film , Serge Peretti, le dérnier italien.

Kudelka

James Kudelka studia alla scuola del National Ballet of Canada, entrando nella compagnia nel 1972 e diventando solista nel 1976. Si dedica anche alla coreografia e firma per il National Ballet of Canada A Party (su musica di Britten, 1976), Washington Square (1979) e Playhouse (musica di Sostakovic, 1980), che gli valgono la nomina a coreografo residente (1980). In seguito collabora con numerose compagnie internazionali, come il San Francisco Ballet (The Confort Zone, 1989), l’American Ballet Theatre (Cruel World, 1994), il Birmingham Royal Ballet (Le baiser de la fée, 1996); nel 1996 è nominato direttore artistico del National Ballet of Canada, per cui firma un nuovo Schiaccianoci (1996) e The Four Seasons (1997).

Araiz

Araiz Oscar studia danza moderna con Dore Hoyer e balletto con Elide Locardi, debuttando con il Teatro Argentino di La Plata nel 1958. Dal 1964 al 1967, con una sua prima compagnia, inizia la sua carriera internazionale di direttore e coreografo, che consolida con la direzione del Teatro San Martin di Buenos Aires (1968-73) dove crea, tra l’altro, Romeo e Giulietta (1970), Mahler’s Songs (1971), Adagietto (1973), successivamente rimontati per il Joffrey Ballet e l’Opéra di Parigi. Dal 1980 al 1988 dirige il Ballet du Grand Théâtre di Ginevra, per il quale firma creazioni come Le songe d’une nuit d’été (1979), La baisier (1980), Mathis der Maler (1983), ma soprattutto Tango (1981), Misia (1986) e El publico (1987) nei quali esprime in maniera efficace il suo gusto per un teatro di danza espressivo e teatrale, sviluppato attraverso una danza fluida e piena di energia, dove gli stilemi moderni si uniscono ai passi accademici raggiungendo efficaci effetti drammatici. Lasciata la compagnia, si dedica in seguito alla carriera greelance , collaborando tra gli altri con il ballerino Maximiliano Guerra per cui firma Libertango (1997).

Carbone

Formatosi alla scuola della Scala e perfezionatosi con G. Urbani e A. Dolin, Giuseppe Carbone dopo il debutto con il Balletto di Roma è (dal 1962) primo ballerino all’Opera di Bonn, dove diventa direttore del corpo di ballo nel 1968. Primo ballerino, coreografo e direttore del corpo di ballo alla Fenice di Venezia (1971-73) e al Regio di Torino (1973-75), dal 1975 al ’79 è alla guida del Cullberg Ballet di Stoccolma, dove collabora strettamente con Birgit Cullberg, firmando con lei alcune coreografie ( Pulcinella e Pimpinella , 1981). In seguito viene nominato a più riprese direttore del corpo di ballo della Scala (1979-81 e 1991-93) e dell’Arena di Verona (1983-85 e 1989-91), ottenendo lusinghieri risultati grazie a una oculata programmazione. Fondatore del Balletto di Venezia (1988) e direttore del corpo di ballo dell’Opera di Roma (1994-97), continua l’attività di coreografo con balletti di taglio drammatico, dove mette in evidenza il suo linguaggio, sintesi di balletto classico d’influenza nord-europea e danza moderna. Padre di Beatrice e Alessio (Stoccolma 1978), tra i pochi danzatori italiani accolti nel corpo di ballo dell’Opéra di Parigi (1997).

Aguilar

Dopo gli studi di danza classica e danza spagnola, Rafael Aguilar ha iniziato la sua carriera al Royal Ballet di Londra per dedicarsi poi, con il suo gruppo Teatro Danza, alla rilettura della cultura iberica attraverso una teatralizzazione della danza flamenca, in coreografie drammatiche, non scevre da una certa enfasi retorica, ma di sicuro impatto spettacolare, quali Carmen, Llanto, Amor y eternidad, Bolero.

Bruhn

Erik Bruhn studiò dal 1937 presso la scuola del Balletto Reale Danese, per entrare in seguito nella compagnia (1947) della quale divenne solista due anni dopo. Fra i più importanti complessi dei quali fu ospite, l’American Ballet Theatre, il National Ballet of Canada, il New York City Ballet, il Royal Ballet di Londra, l’Harkness Ballet e il Ruth Page Ballet: in queste compagnie ottenne i più brillanti successi della sua carriera. Dal 1967 al ’71 è stato direttore del Balletto Reale Svedese, poi anche direttore associato del National Ballet of Canada per la cui compagnia allestì La Sylphide (1965), uno dei suoi cavalli di battaglia, Il lago dei cigni (1966) e Coppélia (1975); più tardi ne divenne direttore artistico (1983-86).

La fama di Erik Bruhn è dovuta soprattutto alla purezza e allo stile della sua tecnica; suo merito principale, la riproduzione dei classici del repertorio, con particolare riguardo a quelli appartenenti al coreografo August Bournonville (1805-1879), autentico patrimonio danese nel campo del balletto, del quale B. fu interprete tra i più accurati e attendibili. Se ne ebbe testimonianza nel 1966, al Teatro dell’Opera di Roma, quando realizzò La Sylphide di Bournonville, interpreti C. Fracci e R. Nureyev. Nel repertorio moderno si distinse soprattutto nel ruolo di Jean in Signorina Giulia di Birgit Cullberg, e nel Don José della Carmen di Roland Petit. Pochi altri balletti di rilievo del repertorio contemporaneo affrontati da B. sono degni di nota, mentre si continuano a ricordare le sue prestazioni di danseur noble, fra le quali eccelle l’Albrecht di Giselle, fortunatamente consegnato al video accanto alla Fracci. Ha collaborato con Lilian Moore al libro Bournonville and Ballet Technique (Londra 1961).

Bigonzetti

Formatosi alla Scuola dell’Opera di Roma, dopo aver danzato in quella compagnia nel 1982 Mauro Bigonzetti entra nell’Aterballetto, dove si impone per l’energica personalità e la brillantezza tecnica. Nel 1990 debutta nella coreografia con Sei in movimento , cui fanno seguito molte produzioni per Aterballetto (Pitture per Archi, 1992), Teatro alla Scala (Foreaction, 1993), Opera di Roma (Coppélia, 1994) e Balletto di Toscana, per il quale crea Turnpike (1991), Mediterranea (1993), Pression (1994), Voyeur (1995), Il mandarino meraviglioso e Don Giovanni (1996). Intensa è l’attività di coreografo ospite di compagnie internazionali, per cui allestisce X.N.tricities (English National Ballet, 1993), Interferences (Ballet du Capitole, 1995), Sinfonia Entrelazada (Julio Bocca Ballet Argentino, 1996), Kasimir’s colours (1996) e Quattro danze per Nino (1998) per lo Stuttgart Ballet; nel 1997 assume inoltre la direzione artistica dell’Aterballetto e produce Songs, Persephassa e Comoedia prima parte di una trilogia ispirata alla Divina Commedia (1998). È autore di una danza ricca di energia, dinamica e di complessa e spettacolare costruzione, nella quale sviluppa creativamente il linguaggio neoclassico.

Bart

Dopo aver frequentato la scuola di ballo dell’Opéra di Parigi, Bart  Patrice nel 1963 è entrato a far parte della compagnia. Nel 1969, anno in cui vince anche il premio R. Blum ed è medaglia d’oro al concorso di Mosca, diventa primo ballerino; nel 1977, dopo l’interpretazione di Il lago dei cigni , è promosso étoile. Dotato di splendida tecnica, eccellente nei ruoli classici, ha brillato anche in lavori di Lifar (Constellation), Petit (Mouvances), MacMillan (Métabolose), dimostrandosi ottimo danzatore di carattere. La sua profonda conoscenza del repertorio classico, da Coppélia a La vivandière , gli ha permesso di diventare maître de ballet all’Opéra prima ancora del suo ritiro dalle scene (1989). Del balletto dell’Opéra diventerà anche direttore associato (1990) e collaborerà con Nureyev a rimontare storici balletti (La bayadère , 1993). Da allora si dedicherà, in vari grandi teatri (Scala compresa), a rimontare i capolavori del passato.

Caiti

Formatosi con M. Besobrasova e S. Oussov, nel 1988 Orazio Caiti entra a far parte dell’Aterballetto, dove interpreta ruoli solisti e di protagonista nei balletti di A. Amodio Coppélia (1993), Carmen (1995) e Lo strano caso del dottor Jeckyll e del signor Hyde (1996). Coreografo dal 1994, crea per l’Aterballetto Circus (1997), su musica computerizzata, e Nove ritratti (1997), su partitura originale di Paolo Castaldi.

Perugini

Formatosi con Vera Volkova alla Scuola del Teatro dell’Opera di Roma, Giulio Perugini debutta nel suo Corpo di Ballo nel 1942 in La Tarantola di A. Milloss. Divenuto primo ballerino nel 1945, tre anni dopo è in questa veste al Teatro alla Scala. Qui interpreta i principali ruoli classici del danseur noble (Il lago dei cigni, 1952), affiancando spesso étoile internazionali come Yvette Chauviré, Violetta Elvin, Tanaquil Le Clerq. Nel 1955 è Romeo accanto a Violette Verdy in Romeo e Giulietta di A. Rodrigues; nel 1958 riprende il ruolo nel nuovo allestimento firmato per il Teatro alla Scala da J. Cranko. Ritiratosi dall’attività nel 1959, è stato maître de ballet del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala e insegnante alla sua scuola di ballo fino al 1977, dedicandosi anche alla coreografia (Il revisore , 1960).

Milo

Formatosi nel centro napoletano di Mara Fusco, Bruno Milo a diciassette anni entra nel corpo di ballo del Teatro San Carlo, dove interpreta ruoli solistici nel repertorio ( Giselle ). Dopo aver danzato anche nelle compagnie dell’Arena di Verona e del Balletto reale svedese, dal 1988 danza con il corpo di ballo del Maggio musicale fiorentino, interpretando con forte personalità scenica ruoli principali in balletti dell’Ottocento ( La bella addormentata ), del Novecento storico ( Apollo , The Moor’s Pavane ) e di autori contemporanei ( The Rite of Spring di Paul Taylor).

Kniaseff

Boris Kniaseff studia a Mosca con Mordkin, debuttando all’Opera di Voronez nel Lago dei cigni  (1916). Entra quindi nella compagnia di Julija Sedova, con la quale si esibisce a Mosca, Pietroburgo, Istanbul in diversi balletti (Les Sylphides, Coppélia). Lasciata la Russia nel 1917, danza a Sofia, Parigi e in altre città europee con diverse compagnie russe e francesi, fra cui i Ballets Russes di Nijinska (1932), esibendosi in coreografie del repertorio classico, spesso in coppia con la moglie Ol’ga Spessivtseva. Dal 1932 si stabilisce a Parigi, dove insegna presso l’Opéra-Comique (1932-34) e, dal 1937, presso la scuola da lui fondata. Fondatore della Académie internationale de danse classique a Losanna (1953), ha insegnato anche presso l’Accademia nazionale di danza di Roma (1958); fra i suoi allievi a Parigi figurano M. Fonteyn, Z. Jeanmaire, R. Petit. In campo didattico viene ricordato come l’ideatore del metodo della ‘barre par terre’, costituito da una serie di esercizi da compiersi (invece che alla sbarra tradizionale) seduti a terra.

Wojcikowski

Dopo essersi formato alla Scuola imperiale di balletto a Varsavia e con Cecchetti Leon Wojcikowski viene scritturato nei Ballets Russes di Diaghilev (dal 1916 al ’29), imponendosi con le singolari interpretazioni di balletti di Massine (Las meniñas, 1916; Le donne di buon umore e Parade , 1917; Le tricorne , 1919; Le pas d’acier , 1927), di Nijinska (Les noces, 1923; Les biches , 1924) e di Balanchine (Barabau, 1925; Le bal , 1929; Le fils prodigue, 1929). Passato nella compagnia della Pavlova dal 1929 al ’31, danza poi nel Ballet Russe di Monte-Carlo ( Cotillon e La concurrence di Balanchine, 1932; Jeux d’enfants, Les présages , Choreartium di Massine, 1933). Dal 1935 al ’36 si esibisce con la compagnia `Les ballets de L. Wojcikowski’ da lui fondata, e successivamente entra a far parte del Ballet Russe di De Basil, dove rimane fino al 1944. Torna nella sua città, dove inizia a insegnare alla scuola di ballo dell’Opera. Nel corso degli anni ’60 riveste ruoli importanti, prima come maître del London Festival Ballet (per cui aveva già allestito Petruška nel 1958 e Shéhérazade nel 1960) e poi come insegnante all’università di Bonn.

Cecchetti

Fin da bambino Enrico Cecchetti partecipò a spettacoli accanto ai genitori; adolescente, fu allievo di Giovanni Lepri a Firenze. Dopo un tirocinio in teatri minori, debuttò alla Scala nel 1870 nella Dea del Walhalla di Borri, mettendosi in luce per le sue doti di forte virtuosismo. Nel 1874 debuttava a Pietroburgo, città che sarà teatro di molti suoi grandi successi. Presente alla creazione di Amor di Manzotti alla Scala (1885), portò balletti del maestro del ‘ballo grande’ in Inghilterra e in Russia, riunendo compagnie italiane appositamente costituite. Nel 1890 era nominato secondo maître de ballet dei Teatri imperiali di Pietroburgo accanto a M. Petipa, restando contemporaneamente interprete e insegnante di ballo alla Scuola imperiale. Ha partecipato a molti spettacoli di rilievo, come La bella addormentata nel bosco di Petipa (1890) dove impersonava `en travesti’ il ruolo di Carabosse e creava la famosa variazione dell’Uccello azzurro, probabilmente da lui stesso coreografata. La sua permanenza in Russia terminò nel 1902, quando Enrico Cecchetti venne in disaccordo con la direzione dei Teatri imperiali, passando a Varsavia come direttore della scuola di ballo.

Tra le sue allieve a Pietroburgo figurano la Egorova, la Vaganova, la Kschessinska, la Karsavina e Anna Pavlova, che restò sua allieva privata per molti anni; tra gli allievi, Legat, Fokine, Nijinskij e, più tardi, Massine e Lifar. Scritturato da Diaghilev nel 1910 per i Ballets Russes, restò nella compagnia fino al 1918, come maître de ballet e mimo in lavori di Fokine e Massine. Trasferitosi a Londra, aprì con la moglie Giuseppina De Maria (pure attiva come mimo da Diaghilev) una scuola di danza che formò alcuni tra i più importanti danzatori inglesi: tra gli altri, Marie Rambert, Ninette de Valois, Alicia Markova, Anton Dolin. Nel 1925 Toscanini lo chiamò alla Scala alla direzione della scuola di ballo, incarico che C. tenne fino alla morte; tra le sue allieve scaligere figurano Cia Fornaroli, Attilia Radice, Ria Teresa Legnani e Gisella Caccialanza. Il famoso `metodo Cecchetti’ di insegnamento fu codificato da C.W. Beaumont in un trattato; successivamente il manoscritto fu edito a cura del nipote, Grazioso Cecchetti, in altro volume. In Inghilterra è stata fondata la Cecchetti Society per divulgarlo; analoghe istituzioni sono sorte negli Usa, Canada e altri Paesi. La tecnica di C. deriva direttamente, attraverso l’allievo Giovanni Lepri, dalla scuola italiana di Carlo Blasis, ma con arricchimenti pratici acquisiti in teatro e nei lunghi anni di insegnamento; più che un teorico dogmatico fu un insegnante pragmatico, che si confrontava sempre col palcoscenico. Il suo monito agli allievi era: «Io ti insegno tutto quanto può servire; dovrai poi arrangiarti da te in teatro con quanto vorrai o saprai fare».

Beriozoff

Nicholas Beriozoff ha studiato a Praga e ha danzato a Kaunas fra il 1930 e il 1935 e con il Ballet de Monte-Carlo di R. Blum (1935-1938) e i Ballets Russes de Monte-Carlo (1938-1944). Ha svolto attività di maître de ballet presso l’International Ballet, il Metropolitan Ballet, il Teatro alla Scala, il London Festival Ballet, il Grand Ballet du Marquis de Cuevas, a Stoccarda (dove ha preceduto John Cranko), a Helsinki, Zurigo e Napoli. Considerato maître rappresentante la vecchia scuola, come coreografo ha soprattutto allestito classici del repertorio ottocentesco (Esmeralda, Schiaccianoci), i balletti di M. Fokine appartenuti al repertorio di Diaghilev, e ha creato nuove versioni di Undine (musica di Henze, 1965), Romeo e Giulietta (1966), Cenerentola (1967, entrambi su musica di Prokof’ev). Sposato con la ballerina Doris Catana, è padre della ballerina Svetlana Beriosova.

Vamos

Dopo gli studi all’Istituto nazionale del balletto di Budapest Youri Vamos entra nella compagnia dell’Opera di stato nel 1968 e interpreta tutti i ruoli principali del repertorio classico. Passato nel 1972 al Balletto dell’Opera di Monaco di Baviera come primo ballerino, vi danza fino al 1986. Direttore del Balletto di Dortmund (1985-1988), del Balletto di Bonn (1988-1992), del Balletto di Basilea (1991-1997), dal 1997 é al Balletto della Deutschen Oper am Rhein di Düsseldorf dove svolge un’intensa attività creativa, incentrata prevalentemente sulla realizzazione di nuovi balletti drammatici (Paganini, Shannon Rose) e revisione dei classici (Lo schiaccianoci) sofferenti spesso di una concezione drammaturgica involuta e di un farraginoso sviluppo coreografico.

Bolle

Dopo gli studi alla Scuola di ballo del Teatro alla Scala, Roberto Bolle nel 1994 entra nel suo corpo di ballo interpretando immediatamente le parti protagonistiche in Romeo e Giulietta di Kenneth Mac Millan e La Bella Addormentata di Rudolf Nureyev, cui segue nel 1996 il ruolo principale in Les Six Danses de Chabrier di Roland Petit. Nominato primo ballerino nel 1997, danza parti da danseur noble nel repertorio classico (Giselle) e moderno (Apollo); nello stesso anno affianca Altinai Assylmuratova ne Il lago dei cigni dell’English National Ballet.

Petit

Pur non potendosi annoverare tra i veri rivoluzionari della danza del Novecento, Roland Petit è da considerare tra le personalità più interessanti, estrose e ricche di talento espresse dalla Francia nell’ultimo mezzo secolo. E ciò dovuto alla sua vastissima, fluviale, eterogenea ma anche, o soprattutto, inesausta curiosità di guardare al mondo e alla vita nei suoi più vari aspetti e di cercare temi e argomenti un po’ dovunque, anche se in specie nel territorio infinito della letteratura. Dotato di un solido bagaglio tecnico acquisito nei suoi giovanili anni all’Opéra di Parigi, è da sottolineare tuttavia come nel modo di operare di P. ci sia qualcosa di semplicistico se non addirittura di superficiale. E questo anche se il suo gusto non è mai scivolato nel volgare, anche là dove ha toccato aspetti erotici. Per certa `effervescenza’ insita in alcune sue coreografie per lui si è anche parlato di “style au champagne”. Il `coup de théâtre’ o la semplice trovata sempre poi presente nei lavori.

Quanto al suo curriculum, è di una ricchezza invidiabile. Entrato a otto anni nella scuola di ballo dell’Opéra, quindicenne viene ammesso nel Corpo di ballo della stessa e sedicenne diventa solista. Nel 1943, ne L’amour sorcier di Lifar, interpreta il suo primo ruolo importante. Anche il suo apprendistato come coreografo inizia presto accanto a J. Charrat con la quale, negli anni del secondo conflitto mondiale, compie alcune escursioni nella regione parigina. Nel 1944, al momento della Liberazione della capitale francese, abbandona l’Opéra e alla fine dello stesso anno dà vita alle Soirées de danse , germe dei futuri Ballets des Champs-Elysées che, con giovanile entusiasmo, sorprendendo il pubblico, dirigerà dal 1945 al ’47. Per gli stessi firmera numerosi lavori tra i quali, a spiccare e a dargli popolarità, Les forains . Il vero capolavoro però nasce con Le Jeune homme et la Mort (1947) destinato a diventare uno dei caposaldi della letteratura coreografica del dopoguerra. Successivamente, darà vita a Les Ballets de Paris e nel 1949, a Londra, presenta la fortunatissima violenta e controcorrente, Carmen.

Dei primi anni ’50 è una parentesi hollywoodiana che lo porta a creare, nella `mecca’ del cinema le coreografie di alcuni film di successo (La scarpetta di vetro , Papà Gambalunga , Il favoloso Andersen). Ritornato in Francia, nel 1954 crea l’interessante Le Loup su soggetto di Anouilh. In quello stesso anno sposa Zizi Jeanmaire già straordinaria compagna di tante brillanti avventure artistiche e per la quale curerà, oltre a La Croqueuse des diamants , vari applauditissimi shows. Nel pieno della maturità, la sua fantasia e il suo fervore creativo lo portano ad accostarsi ai soggetti più diversi. Se G. Simenon gli fornisce il soggetto di La Chambre (1955), il famoso dramma di E. Rostand gli offre materia per un popolare Cyrano de Bergerac (1959). Del 1965 è invece altro titolo famoso: Notre Dame de Paris ricavato dall’omonimo romanzo di V. Hugo. Nel frattempo grandi teatri europei lo invitano a produrre per loro. Così la Scala di Milano (Le quattro stagioni , 1963; Poème de l’extase , 1968); così il londinese Covent Garden dove, per la coppia Fonteyn-Nureyev, crea Paradise Lost (1967). Nel 1970 viene nominato direttore dell’Opéra di Parigi ma l’esperienza è di breve durata.

È del 1972 la nascita del Ballet de Marseille (poi Ballet National dei Marseille-Roland Petit) al quale, fino al 1998, anno in cui è costretto a lasciare, dà tutte le sue energie arricchendolo di una lunga serie di lavori. A spiccare, una originale spumeggiante versione di Coppélia (1975). Anche in questa sua nuova fase artistica, non mancheranno versioni sceniche di notissime opere letterarie (fra l’altro Nanà da Zola, Les intermittences du coeur da Proust, Les hauts du Hurlevent dalla Brönte, Le fantòme de l’Opéra da Leroux). Sono degni anni ’80 altri fortunati lavori: Le mariage du Ciel et de l’Infer (Milano, 1984), Le chat botté (Parigi, 1985), L’Ange bleu (Berlino, 1985), Ma Pavlova (Parigi, 1985), Le diable amoreux (1989). Seguono negli anni ’90 altri titoli di successo, tra i quali La bella addormentata (1990), Pink Floyd Ballet (1991), Charlot dans avec nous (1991), Il Gattopardo (Palermo, 1995), Chéri (Milano, 1996) e Le Lac des cygnes et ses maléfices (Marsiglia, 1998).

Scompare il 10 luglio 2011 a Ginevra.

Guerra

Nicola Guerra ha studiato a Napoli presso la scuola del Teatro San Carlo. Primo ballerino alla Scala (1879) e in seguito all’Opera di corte di Vienna (1896-1902) e all’Opera di Budapest (1902-15), Guerra ha danzato a Pietroburgo, Londra, Parigi, New York. Per l’Opera di Budapest lavorò come coreografo dal 1902 al 1912, producendo diciannove balletti e dando nuovo impulso artistico e organizzativo al balletto ungherese. Dopo la prima guerra mondiale trascorse alcuni anni in Italia, lavorando come coreografo presso la Scala (1923) e presso l’Opera di Roma (1931). Fra le coreografie da lui realizzate sono da ricordare Castor et Pollux (1918) per l’Opéra di Parigi, su musica di Rameau, e Artémis troublée (1922) su musica di P. Paray. Ritiratosi dalle scene, trascorse gli ultimi anni della sua vita a Cernobbio.

Golovine

Serge Golovine è da considerare fra i più brillanti della sua generazione; proverbiale la sua leggerezza. Di umile origine (anche la sorella Solange e i fratelli Georges e Jean diventarono ballerini), destinato alla scena fin dalla prima infanzia, dopo aver seguito i primi studi a Nizza con Julie Sedova, fu poi allievo di Gustave Ricaux all’Opéra di Parigi. Dopo aver mosso i primi passi come professionista nel 1945 a Montecarlo, l’anno successivo venne scritturato a Palais Garnier dove tuttavia, desideroso di bruciare le tappe, non rimase a lungo, preferendo passare nella famosa compagnia del Marchese de Cuevas. Qui lo attendevano veri trionfi, soprattutto in balletti quali Le spectre de la rose , Petruška e L’uccello di fuoco , di cui fu straordinario protagonista. Danzatore mistico, segreto, silenzioso, affrontò anche la coreografia e prima di lasciare i palcoscenici si avventurò nella direzione di una sua compagnia.

Vasil’ev

Dopo gli studi all’Istituto coreografico di Mosca Vladimir, Viktorovic Vasil’ev è ballerino al Bol’šoj dal 1958 al 1988. All’inizio della carriera è considerato danzatore inadatto a ruoli di principe: fra il 1960 e il ’64 interpreta Inavuska nel Cavallino gobbo, Petruška, Lejli e Medznun (coreografia di K. Golejzovskij), Don Chisciotte. Nel 1966 è il primo interprete di Schiaccianoci nella nuova versione di J. Grigorovic. Ma la sua prima grande interpretazione dove dimostra, oltre che doti di danzatore, forti capacità drammatiche è Spartaco del ’68, in cui dà allo schiavo tracio in rivolta contro i romani una irripetibile dimensione tragica di eroe positivo. Fra gli altri balletti di cui è protagonista: Giselle, Romeo e Giulietta, Chopiniana, Laurencia, Paganini, Ivan il Terribile.

Spesso ospite delle più grandi compagnie, danza con la moglie Ekaterina Maksimova con i più importanti coreografi degli anni ’70 (ad esempio Roland Petit e Maurice Béjart). Frequenta le scene italiane e nel 1988 crea Zorba il greco (musica di Mikis Teodorakis, coreografia di Lorca Massine) all’Arena di Verona. Negli anni ’70 e ’80, oltre a impersonare con la moglie la coppia di danzatori sovietici da contrapporre ai `traditori’ Nureyev e Barišnikov che avevano abbandonato il Paese, affronta insieme a Maja Pliseckaja una lotta all’interno del Bol’šoj contro la dittatura del direttore coreografico Jurij Grigorovic. Fra le coreografie da segnalare, Anjuta ispirato a Cechov e realizzato per la moglie. Dal 1995 è direttore artistico del Bol’šoj. Danzatore classico di grande virtuosismo, adatto a ruoli di principe ed eroici, capace di grande interpretazione drammatica, è considerato uno dei più grandi ballerini della sua epoca.

Kylián

A nove anni Jirì Kylián inizia lo studio della danza classica alla Scuola di balletto del Teatro nazionale di Praga, per poi passare ai corsi di Zora Semberova al Conservatorio di quella città. Dopo il perfezionamento alla Royal Ballet School di Londra, nel 1968 entra a far parte dello Stuttgart Ballet diretto da John Cranko, e qui dal 1970 elabora le sue prime coreografie ( Paradox e Coming and Going ), in occasione dei Laboratori coreografici della Noverre Society, diventando il più giovane coreografo attivo nella compagnia. Dopo aver creato nel 1973 Verkl&aulm;rte Nacht (musica di Schönberg) per il Nederlands Dans Theater, nel 1975 ne diventa codirettore, e dal 1978 direttore artistico; in quello stesso anno ottiene il primo riconoscimento internazionale con Sinfonietta , su musica del conterraneo Leoš Janácek, che trionfa allo Spoleto Festival di Charleston. È autore di oltre sessanta coreografie per il Nederlands Dans Theater e per quaranta tra le maggiori compagnie di balletto del mondo; tra queste sono particolarmente significative Return to a Strange Land (1975), Sinfonia in re (1976), Sinfonia di salmi (1978), Messa glagolitica (1979), Forgotten Land (1981), Svadebka (1982), Stamping Ground (1982), L’enfant et les sortilèges (1984), Silent Cries, Six Dances (1986), Kaguyahime (1988), No More Play (1988), Petite Mort (1989), Falling Angels (1989), Un ballo (1991) Obscure Temptations (1991), Stepping Stones (1991), As if Never Been (1992), No Sleep till Dawn of Day (1992), Tiger Lily (1994), Arcimboldo (1995), Bella Figura (1995), Tears of Laughter (1996), Wing of Wax (1997), One of a Kind (1998). Considerato uno dei massimi coreografi del nostro tempo, fin dagli esordi si segnala per l’innovativa capacità di fondere in un linguaggio di estrema aderenza alla musica, fluido ed energico, gli stilemi del balletto classico, della danza moderna e di quella folclorica, che declina in emozionanti lavori corali ispirati ai vari aspetti della condizione umana. In seguito, con lo studio sulle danze primitive e aborigene realizzato con Stamping Ground , K. approfondisce l’origine dinamica e fisica del movimento e si volge a lavori più astratti e intimisti, contrassegnati da immagini surreali e calati, anche grazie a un accurato utilizzo delle luci, in atmosfere oniriche, i quali alludono sempre a profonde inquietudini esistenziali o riflettono sul senso umano e artistico della danza in una calibrata corrispondenza tra incessante, creativa ricerca formale e meditati contenuti interiori.

Aveline

Tutta la carriera di Albert Aveline si è svolta all’Opéra di Parigi dove, nel 1908, era già primo ballerino. Nell’arco di trent’anni è stato a fianco delle più prestigiose étoiles, dalla Zambelli alla Spessivtseva. È poi stato prestigioso maître de ballet e anche coreografo. Tra i suoi lavori, La Grisi (1935), Le festin de l’Araignée (1939), Jeux d’enfants (1941) e La grande Jatte (1950).

Vantaggio

Dopo gli studi con T. Battaggi e alla Scuola di ballo dell’Opera di Roma Giancarlo Vantaggio entra nella compagnia diventandone in breve primo ballerino. Crea ruoli in molti balletti di A. Milloss e in spettacoli di S. Bussotti. Come coreografo debutta nel ciclo dei Fogli d’album del festival di Spoleto; in qualità di assistente e coreografo è dal 1974 con R. Petit e il Balletto di Marsiglia, dove crea Bizet’isme (1974). Sempre come coreografo cura le danze dei film Il Messia di Rossellini e Don Giovanni di J. Losey. Ha diretto inoltre il Corpo di ballo del Teatro La Fenice e la compagnia Artedanza.

Montalvo

Dopo aver studiato arti plastiche, José Montalvo si dedica alla danza seguendo corsi con J. Andrews, al quale, in seguito, dedicherà una delle sue coreografie ( La Gloire de Jérôme A. , 1996). La sua formazione però, deve molto agli incontri con la celebre coppia di didatti D. e F. Dupuy, così come all’influenza della Carlson, della Child e di Cunningham. Dall’incontro con la danzatrice D. Hervieu, che diventerà sua assistente e collaboratrice, nasce uno dei lavori destinati a metterlo in luce: La demoiselle de Saint-Lô . Negli anni ’80 conduce le sue esperienze coreografiche in un centro psichiatrico parigino, l’Institute Marcel Rivière. Successivamente tornerà nel circuito normale presentando lavori ricchi di dinamismo e sovente percorsi da una vena umoristica. Particolare successo riscuotono Hollala-Hollaka (1994), dove fra gli interpreti figurano anche bambini, e Pilhaou-Tibaou (1996). Fortemente immaginativo è anche Paradis (Lione 1997), lavoro che miscelando musiche di Vivaldi all’hip-hop, canta la gioia di vivere e si presenta come un vero manifesto d’integrazione fra razze e culture diverse.

Helpmann

Iniziato alla danza da bambino, Robert Helpmann ha studiato con Laurent Novikoff nel complesso di Anna Pavlova in tournée in Australia. Arrivato a Londra nel 1933, è entrato, dopo brevi studi nella scuola, nel Vic-Wells Ballet, del quale è diventato primo ballerino e partner di Margot Fonteyn in molti balletti fino al 1950. L’eccezionale versatilità e la forte presenza scenica gli hanno permesso di alternare i ruoli di danseur noble a quelli drammatici o comici. Sono memorabili le sue interpretazioni, da un lato, nel ruolo di Albrecht e, dall’altro, in quelli del libertino in The Rake’s Progress di De Valois e della sorellastra più cattiva nella Cinderella di Ashton. Notevole anche il suo Don Chisciotte , nel film dal balletto omonimo nella versione di Nureyev. I suoi balletti, per i quali ha creato il principale ruolo maschile, sono ormai scomparsi dal repertorio del Royal Ballet, ma hanno avuto successo sia Hamlet (1942, musica di Ciaikovskij), sia Miracle in the Gorbals (1944, musica di Arthur Bliss); al Covent Garden, invece, ha creato l’ambizioso ma meno riuscito Adam Zero (1946). Si è esibito sul grande schermo in Scarpette rosse (Red Shoes, 1948) e I racconti di Hoffmann (The Tales of Hoffmann, 1951). Ha inoltre interpretato in teatro numerosi ruoli shakespeariani. Tornato in Australia nel 1964, è divenuto l’anno seguente direttore artistico (con Peggy van Praagh) dell’Australian Ballet, che ha diretto da solo nel 1975-76. È tornato più volte a Londra come artista ospite e nel 1970 ha presentato al Covent Garden la grande serata di gala per Ashton.

Iancu

Prestante danseur noble, dalla tecnica scintillante e sicura, Gheorghe Iancu è stato per anni il partner di Carla Fracci ed è in questa veste che il largo pubblico lo ha conosciuto e ammirato, forse senza sapere di apprezzare, grazie a lui, anche la scuola di balletto dal quale proviene, erroneamente considerata solo un satellite di quella russa per via della collocazione politica della Romania. Compiuti gli studi alla scuola di ballo dell’Opera di Bucarest, Iancu entra subito nel corpo di ballo e ha al suo fianco Miriam Raducano, maestra romena e artista di statura internazionale, che perfeziona il suo stile e l’interpretazione dei ruoli del repertorio. Nel 1977, anziché proseguire l’attività nel suo Paese d’origine, accoglie l’invito rivoltogli dalla compagnia di balletto diretta, a Reggio Emilia, da Liliana Cosi e dal ballerino romeno Marinel Stefanescu, e intraprende con quel gruppo una lunga tournée (150 spettacoli) che prende il via da Bari. Ma un incidente al ginocchio lo riporta momentaneamente in Romania; al ritorno, questa volta definitivo, in Italia, viene subito inserito da Beppe Menegatti in spettacoli di ampio respiro, accanto a Carla Fracci.

Nel 1980 è con lei all’Olimpico di Roma e all’Arena di Verona e successivamente al Comunale di Firenze, alla Scala, a Napoli e Palermo e in ricorrenti tournée internazionali. Interpreta con sicurezza i ruoli del repertorio classico (Lago dei cigni, Giselle, Cenerentola) ed eccelle soprattutto nel Romeo e Giulietta, ruolo in cui ha modo di coniugare lo slancio passionale alla pulizia dell’impostazione tecnica. Mirandolina, Bilitis e il fauno, Le nozze di Figaro sono nuovi balletti in cui affianca ancora la Fracci negli anni ’80, ma è anche chiamato a danzare con altre `divine’ della scena, come Marcia Haydée (Stoccarda, Amburgo, Stoccolma). Negli anni ’90 affina le sue potenzialità creative e firma le coreografie di L’ultima scena , rivisitazione dell’immaginario conflitto tra Mozart e Salieri, La regina della notte (musica ancora di Mozart), La mascherata , Danza russa e Riccardo III (1995), prima collaborazione con il compositore Marco Tutino. Seguono le coreografie per la pièce teatrale e danzata La gabbianella (1997), da Sépulveda (protagonista, Oriella Dorella) e per Macbeth e San Sebastiano , entrambe per la regia di Pier Luigi Pizzi e con Carla Fracci.

Bonino

Luigi Bonino compie i suoi studi di danza con Susanna Egri a Torino, entrando come solista nel 1965 nel gruppo da lei fondato. Dopo una parentesi televisiva nel 1973 diventa primo ballerino del Cullberg Ballet e danza i ruoli principali dei balletti di Birgit Cullberg Adamo ed Eva e Romeo e Giulietta. Nel 1975 entra nel Balletto nazionale di Marsiglia di Roland Petit, ben presto danzando alcuni tra i ruoli più significativi della produzione dell’autore francese: Coppelius in Coppélia, Frollo in Notre Dame de Paris, Ulrich ne Il Pipistrello e il protagonista de Le Jeune Homme et la Mort. Affianca inoltre Zizi Jeanmarie in Parisiana 25 e nelle commedie musicali Can Can, I Love Paris (1982), Hollywood Paradise (1984), sempre firmate da Petit. Artista sensibile, capace di variegate sfumature interpretative nel 1991 crea il ruolo di Charlot in Charlot danse avec nous di Petit, con Elisabetta Terabust. In seguito all’attività di danzatore affianca quella di assistente coreografo e riproduttore dei balletti di Petit.

Bujones

Fernando Bujones studia danza classica alla School of American Ballet e alla Julliard School per debuttare con l’Eglevsky Ballet nel 1970. Entrato nel 1972 nell’American Ballet Theatre, nel 1974 è nominato primo ballerino; nello stesso anno vince la medaglia d’oro al Concorso internazionale di Varna. Attivo con la compagnia americana e numerose formazioni internazionali, danza tutto il repertorio classico, ma si mette in luce anche interpretando coreografie di Antony Tudor (Jardin aux Lilas), Jerome Robbins (Fancy Free), Maurice Béjart (Sis Danses pour Alexandre). Dotato di una tecnica eccellente e di una aristocratica presenza è considerato uno dei maggiori ballerini classici della sua generazione; si è inoltre dedicato alla direzione di compagnie tra le quali quella del Teatro Colón di Buenos Aires.

Legris

Manuel Legris a nove anni frequenta a Parigi il centro Goubé; a undici entra alla scuola dell’Opéra di Parigi dove quattro anni più tardi viene scritturato. Brillante danseur noble, ballerino forte e veloce in possesso di grandi qualità tecniche, è soprattutto con l’arrivo di Nureyev all’Opéra che le sue doti vengono apprezzate, permettendogli una rapida carriera. Soprattutto nel repertorio più classico (Il lago dei cigni, Giselle, Romeo e Giulietta, Don Chisciotte, Raymonda). Assai apprezzata è stata la sua ‘variazione lenta’ nel secondo atto de La bella addormentata nel bosco . Legris, che ha sovente come partner Elisabeth Maurin, ha ottenuto giovanissimo anche la Medaglia d’oro al concorso di Osaka. Nel 1998 si è distinto nel ruolo di Des Grieux (L’Histoire de Manon), accanto a Isabel Guerin.

Balanchine

Creatore rigoroso, raffinato formalista e principale fautore del balletto neoclassico, passato indenne attraverso tutte le rivoluzioni della danza del Novecento, George Balanchine è stato, secondo Rudolf Nureyev, che alla sua morte fornì una delle più lucide definizioni della sua arte, un artista «indispensabile» per lo sviluppo del balletto nel nostro secolo. Le sue principali coreografie hanno determinato lo stile, il tempo, la linea, la musicalità, l’agilità e l’arte del fraseggio danzato. Oltre al genio personale, qualità imponderabile, hanno forse contribuito a renderlo un creatore `indispensabile’ le frequentazioni di ambienti culturali diversi, le scelte drastiche e decisive, come quella di abbandonare la Russia già nel 1924, dopo aver compreso che le sue idee coreografiche poco interessavano al Teatro Marijinskij di Pietroburgo in cui era entrato a far parte nel 1921, dopo aver terminato gli studi di balletto all’annessa Scuola imperiale (i suoi maestri furono Andrejanov e Pavel Gerdt), ma anche quelli di pianoforte e di teoria al Conservatorio della stessa città.

Aveva firmato la sua prima coreografia (La Nuit , ribattezzata in seguito Romance) nel 1920, all’età di sedici anni, ma tra le sue prime opere spicca anche una Sagra della primavera su musica di Stravinskij di cui purtroppo non esistono documenti, né tracce. Più importanti di quanto non si sia sino ad oggi creduto, furono, per i suoi esordi creativi, i contatti con l’avanguardia teatrale russa: l’incontro con Vladimir Majakovskij, la visione delle coreografie innovative di Kazian Goleizovskij e Nikolas Foregger, l’attività al teatro sperimentale FEKS e nel cabaret, indirettamente influenzata dalla biomeccanica di Vsevolod Mejerch’old. Ottimo danzatore e musicista, oltre che precoce talento coreografico, non gli fu difficile ottenere dal governo rivoluzionario sovietico il permesso di espatriare in Germania, appunto nel 1924, con una piccola compagnia di cui facevano parte Alexandra Danilova e Tamara Geva che, tra l’altro, divennero, una dopo l’altra, le sue due prime mogli. Nel 1925 (l’anno in cui mutò il suo nome in George Balanchine, più semplice all’orecchio occidentale), Sergej Diaghilev lo chiamò a Parigi ed egli rimase nella compagnia dei Ballets Russes sino al suo scioglimento (1929), respirandone il clima innovativo e condividendo l’idea di svecchiare il balletto, liberandolo dalle convenzioni del passato. Non era simpatico a Diaghilev, forse per la sua spiccata predilezione per il sesso femminile (ebbe in tutto cinque mogli), ma questo piccolo ostacolo non gli impedì di diventare il coreografo di riferimento nell’ultima fase della celebre compagnia diagleviana. Tutte le coreografie che firmò per i Ballets Russes si tramutarono in successi immediati come lo stravinskijano Le chant du rossignol (1925), La chatte (1927) su musica di Henri Sauguet, Il figliol prodigo (1929) su musica di Sergej Prokof’ev, persino Le Bal (1929) su musica di Vittorio Rieti ma soprattutto Apollon Musagète (1928): il balletto che, oltre a inaugurare la sua collaborazione a quattro mani con Stravinskij (dopo Apollon, Orpheus del 1948 e Agon del ’57), si impose come primo e compiuto, esempio della sua nuova estetica neoclassica. Un credo analogo al neoclassicismo musicale di Stravinskij, imperniato sull’utilizzo più ampio e completo del vocabolario tradizionale della `danse d’école’: ma rinnovato, reso veloce, epurato dai manierismi stilistici accumulati nei secoli e alimentato da nuovi stimoli dinamici (come la gestualità sportiva o quella quotidiana).

In Stravinskij, con il quale formò la seconda coppia russa più famosa e fertile del balletto (dopo la collaborazione tardottocentesca del coreografo Marius Petipa con Cajkovskij), trovò una sorta di alter ego musicale, a lui affine non solo nella Weltanschauung artistica ma anche nei tratti della personalità distaccata e ironica. Basti pensare che nel 1942 i due, uniti per soddisfare una commissione dei Ringling Brothers, crearono addirittura una danza per elefanti: l’effervescente Circus Polka , rappresentata dal grande circo americano per un’intera stagione e con grande successo. Ma ormai Balanchine non era più un artista europeo. Si era trasferito oltre oceano e aveva preso la cittadinanza americana: nel 1934 l’impresario Lincoln Kirstein, che poi si sarebbe rivelato anche un acuto storico del balletto, lo aveva invitato a dirigere la School of American Ballet. Ed egli, che alla morte di Diaghilev era diventato un freelance, attivo a Copenhagen, Londra, Parigi (nel 1933 vi aveva creato, per la compagnia Les Ballets, Mozartiana e soprattutto I sette peccati capitali di Brecht-Weill) accettò. Divenne insegnante e animatore di varie compagnie statunitensi come l’American Ballet, l’American Ballet Caravan, il Ballet Society, prima di trasformare quest’ultimo gruppo nel New York City Ballet (1948) di cui restò direttore artistico sino alla morte. Nel 1964 la città di New York destinò proprio alla sua compagnia l’uso dell’ambitissimo New York State Theatre, presso il Lincoln Center. Negli Usa B. confermò e approfondì la sua ricerca linguistica, creando balletti per lo più astratti, sempre improntati a un attento esame delle partiture musicali. L’influenza del nuovo paese e la sua cultura veloce e di massa contribuirono a rendere persino più `democratico’ il suo stile. Certo principi e regine non entrarono mai nei suoi balletti di pure linee come l’algido Balletto imperiale (1941) su musica di Cajkovskij, o il non meno sfavillante Symphony in C (o Palais de Cristal , 1947), su musica di Bizet, che pure trasudano una vibrante nostalgia per i grandi spettacoli della corte zarista e per il coreografo Marius Petipa, da lui considerato tra i suoi ideali precursori e maestri. Ma Stars and Stripes (1958), Square Dance (1957, poi ripreso e variato nel ’76) soprattutto Who Cares? (1970), su musica di Gershwin (per non parlare delle coreografie per i musical, come On Your Toes , firmate a Broadway alla fine degli anni ’30) rivelano che la sua danza tendeva a rispecchiare gli ideali della nuova classe media americana, pur senza giungere a ibridarsi con altre tecniche moderne, opposte al balletto, come talune opere di Jerome Robbins (il coreografo di West Side Story ) che fu a lungo suo collega al NYCB. Sin dall’inizio Balanchine desiderò che la sua compagnia newyorkese fosse soprattutto espressione della fisicità americana; scelse perciò ballerine atletiche come Tanaquil Le Clercq o Suzanne Farrell, la sua ultima musa, dalle gambe e braccia lunghe e con la testa piccola (come tutte le sue `baby-ballerine’) e danzatori atletici ed eleganti come Peter Martins (che egli stesso designò come suo successore alla testa del NYCB), il nero Arthur Mitchell o l’aitante Edward Vilella.

‘Mister B’, come fu affettuosamente soprannominanto (nonostante godesse la fama di coreografo-tiranno), muoveva questa suoi corpi ‘ideali’ come uno stratega poco interessato alle loro psicologie e personalità, nella convinzione che i ballerini non dovessero «pensare ma solo agire» e che fossero fiori destinati, purtroppo, a morire troppo in fretta e perciò ad essere utilizzati solo all’apice della loro giovanile bellezza e forza fisica. Per nulla affascinato dalla danza narrativa, si può capire perchè avesse allestito nella sua lunga carriera solo alcuni classici del repertorio ottocentesco; tra questi uno scintillante Schiaccianoci (1954), tuttora cavallo di battaglia natalizio del NYCB. Ma del resto nel suo ampio repertorio spiccano autentici e insostituibili capolavori antinarrativi o solo sottilmente evocativi come Serenade (musica di Cajkovskij, 1935), Concerto Barocco (musica di Bach, 1941), La Valse (musica di Ravel, 1951), Liebeslieder Walzer (musica di Brahms, 1960), Jewels (musica di Fauré, Stravinskij e Cajkovskij) e soprattutto Theme and Variations (musica di Cajkovskij, 1947) e The Four Temperaments (musica di Hindemith, 1946): tutti balletti per lo più ‘nudi’, immersi in uno spazio virtuale e nel décor che preferiva: la luce. Dentro la luce fece rinascere anche il suo Apollon Musagète in forma di balletto concertante (1979), depurando la coreografia di ogni scoria teatrale (scene e costumi grecizzanti) a riprova che questo caposaldo neoclassico non si sarebbe mai davvero fermato nel tempo. A Balanchine si richiamano artisti del teatro come Robert Wilson e coreografi contemporanei come William Forsythe, mentre il termine `balanchiniano’ che sta a ricordare l’influenza da lui esercitata su tutto il balletto del secolo, indica una pratica coreografica neoclassica basata sull’esplorazione delle potenzialità espressive del movimento, nella sola esaltazione delle sue linee più adamantine e pure, in costante dialogo con le strutture musicali.

Madsen

Egon Madsen studia danza classica e pantomima con Thea Jolles e Edite Frandsen e giovanissimo entra nel Pantomime Teatret di Tivoli a Copenaghen. Dopo aver danzato con il Balletto scandinavo nel 1959-60, nel 1961 entra nel Balletto di toccarda, diventandone primo ballerino nel 1963. Di incisiva personalità teatrale si impone come uno degli interpreti favoriti di John Cranko, che per lui crea i ruoli di Mercuzio in Romeo e Giulietta (1963), Lensky in Onegin e il Joker in Jeu de Cartes (1965), Prudenzio in La bisbetica domata (1969), Don Jose in Carmen (1971) mettendone in evidenza l’ampia e varia gamma interpretativa; partecipa inoltre alle creazioni di Song of the Earth di Kenneth MacMillan (1965), Daphins et Chloé di Glen Tetley (1975) e Die Kameliendame di John Neumeier (1978). Ritiratosi dalle scene ha assunto la direzione del Balletto di Francoforte (1981-83), Balletto Reale Svedese (1984-86), Balletto del Maggio musicale fiorentino (1986-88). In seguito è rientrato al Balletto di Stoccarda come maître de ballet e maestro nella omonima scuola.

Bellezza

Diplomatosi alla Scuola di ballo del Teatro alla Scala, dopo due anni di perfezionamento al Bol’šoj di Mosca Maurizio Bellezza entra nella compagnia scaligera dove danza i ruoli principali del repertorio e affianca Carla Fracci nel Romeo e Giulietta di Rudolf Nureyev. Primo ballerino del London Festival Ballet dal 1981 al 1983, rientrato alla Scala partecipa alla creazione de Il lago dei cigni di Rosella Hightower e Franco Zeffirelli (1985). Con la sua partner Renata Calderini è poi alla Bayerische Staatsoper di Monaco (1986) e all’English National Ballet (1989-92) come primo ballerino. Ritiratosi nel 1993 svolge ora attività di maître de ballet e assistente alle coreografie in vari teatri, tra cui la Scala.

Lazzini

Dopo aver debuttato nel 1945 all’Opera di Nizza, Joseph Lazzini ha danzato a lungo (anche in Italia) in varie formazioni. È tra coloro che, nel dopoguerra, hanno dato nuovo impulso alla danza in Francia prima come direttore di compagnie (Marsiglia, Liegi, Tolosa), poi come coreografo quando, nel 1969, è stato alla testa del Théâtre Français de Danse. Pur se la sua base è stata quella del linguaggio accademico, ha saputo elaborare uno stile personale di danza veloce e immaginifica. Tra i suoi lavori, Suite transocèane , Revolving Door , E=MC2 , Hommage à Hieronymus Bosch, Ecce Homo, Cantadagio, Metabos, Le voage. Da ricordare anche Eppur si muove (1965), ispirato ai famosi graffiti preistorici di Lascaux.

Blair

Vincitore di una borsa di studio della Royal Academy of Dancing, David Blair fu ammesso alla scuola del Sadler’s Wells nel 1946 e, l’anno successivo, entrò a far parte del Sadler’s Wells Theatre Ballet dove ha danzato i ruoli principali in Harlequin in April (1951), Pinapple Poll (1951), Romeo e Giulietta (Kenneth MacMillan, 1956), Il principe delle pagode (1957), Antigone di John Cranko (1959) e La fille mal gardée (1960). Nel 1953 divenne solista della stessa compagnia e del Covent Garden. Ha danzato a fianco di Margot Fonteyn, è stato protagonista di numerose tournée con il Royal Ballet e, dalla metà degli anni ’60, ha ballato con alcune compagnie statunitensi: l’Atlanta Civil Ballet (Il lago dei cigni, 1965; La bella addormentata, 1966); l’American Ballet Theatre (Il lago dei cigni, 1967; Giselle, 1968). Nominato C.B.E. (Commander of Order of the British Empire) nel 1964, ha lasciato le scene nel 1973 per dedicarsi all’insegnamento. È deceduto prima di assumere la carica di direttore artistico del Balletto Nazionale Norvegese.

Maillot

Jean Cristophe Maillot studia danza e pianoforte al conservatorio di Tours e successivamente all’Ecole Internationale di Cannes. Laureato al Prix Lausanne nel 1977, l’anno successivo viene scritturato da Neumaier al Balletto di Amburgo dove diventa solista. Nel 1983 è chiamato a dirigere il Balletto di Tours, che nel 1989 diventa Centre Chorégraphique National; per questa giovane compagnia realizza una ventina di balletti, tra i quali Cliché e un Juliette et Roméo che presenta a Parigi (1986) al Théâtre de la Ville e che sarà più volte ripreso. Firma anche lavori per la Jeune Ballet de France, la Ballet du Rhin, il Balletto dell’Opera di Roma, il Nederlands Dans Theater e altri complessi. Dal 1993 è alla guida dei Ballets de Monte-Carlo e crea una serie di coreografie neoclassiche che arricchiscono ulteriormente il suo raffinato cammino artistico. Tra queste, Home Sweet Home e Vers un pays sage (1994), Dov’è la luna (1995) in cui declina le sue impressioni di viaggiatore immaginario. Non meno raffinata, Concert d’anges (1996).

Forsythe

Considerato il più autentico erede di George Balanchine, William Forsythe è il coreografo formalista di fine millennio: impegnato in una minuziosa opera di decostruzione e ricostruzione della tecnica del balletto, ha davvero dimostrato che non sono i linguaggi del corpo – anche i più abusati e antichi, come appunto il balletto – a invecchiare, bensì il loro uso. Nelle sue opere più riuscite, come In the Middle, Somewhat Elevated (1987), Enemy in the Figure (1989) o Quintett (1993), la danza evoca paesaggi interiori o mentali, diviene atmosfera e racconto drammatico di puri corpi in movimento. E lo spazio scenico, in genere imbandito di pochi, studiati elementi è compartecipe suggestivo e teatrale di una coreografia totale che ha il suo punto di forza nel corpo, con un imput diametralmente opposto a quello del teatrodanza deflagrato e verbale di Pina Bausch. Al pari della coreografa di Wuppertal, anche l’americano F. è però un artista che ha messo radici nella vecchia Europa. Dopo aver terminato gli studi di danza alla Joffrey Ballet School e all’American Ballet Theatre School (1967-1973) ed essere entrato a far parte del Joffrey Ballet I e II (1970-73), accetta l’invito di John Cranko a Stoccarda e diviene ballerino della sua compagnia, esibendovisi dal 1973 all’ ’80.

Ma Cranko, che aveva scommesso su di lui come interprete, non fa in tempo ad avvedersi del suo talento coreografico. Muore tre anni prima del debutto di Urlicht , passo a due su musiche di Mahler, presentato nel 1976 dalla Noverre Society insieme alle opere di altri due allora solo promettenti coreografi, Jirí Kylián e John Neumeier. Seguono Daphne, Bach Violin Concerto in A Minor e Flore Subsimplici , su musica di H&aulm;ndel, che gli valgono la nomina, nel ’77, a coreografo indipendente del Ballett Stuttgart. L’anno successivo crea due balletti su musica di Ligeti ( From the Most Distant Time ) e Penderecki ( Dream of Galilei ) , ma debutta anche in Italia, al Festival di Montepulciano, in Folia , su musica di Hans Werner Henze. Per lo stesso festival toscano allestirà, nel 1980, Tis Pity She’s a Whore (musica Thomas Jahn), un balletto che lascia una profonda impressione negli spettatori ma non anticipa il suo ritorno in Italia prima del 1984, data d’incontro con la compagnia Aterballetto per la quale rimonta l’effervescente e agrodolce Love Songs (1979): una serie di scottanti passi a due su canzoni di successo in cui l’amore di coppia si tramuta in una ossessiva rivalsa tra i sessi. Se il 1984 è l’anno di svolta nella sua carriera di free-lance – accetta infatti l’incarico di direttore del Balletto di Francoforte – non meno importanti sono le sue precedenti stagioni teatrali che da Stoccarda (Time Cycle , 1979; Whisper Moon e Tancredi and Clorinda, 1981) lo sbalzano a Berlino (Die Nacht aus Blei , 1981), Parigi (France/Dance, del 1983, è uno scorcio balanchiniano farcito di latrati di cani e spezzato da improvvise e inattese calate del sipario di ferro) e Vienna, dove ancora suscita scandali e polemiche per aver allestito un film (Berg Ab), nei sotterranei della Wiener Staatsopern anzichè un balletto dal vivo su musiche di Alban Berg. Artifact (1984) è il primo allestimento a Francoforte; come G&aulm;nge 1 – ein Stück über Ballett , nato per il Nederland Dans Theater e il successivo G&aulm;nge (1983) è un’opera di genere `semiotico’, in cui viene annunciata la necessità di trovare un nuovo ordine coreutico e un nuovo respiro per la danza classica, che il coreografo intende liberare da costrizioni e sovrastrutture letterarie e psicologiche. Proprio in Artifact (riallestito dal Ballett Frankfurt al Théâtre du Chatelet di Parigi nel ’95) egli inaugura una gioiosa `matematica spaziale’ composta di fughe, variazioni a canone e contrappunto. Sono gli stessi principi musicali indagati da George Balanchine, di cui si avvale in seguito, con rinnovato estro e inesauribile fantasia, in altre opere di chiaro impianto ballettistico come Behind the China Dogs , creato per il New York City Ballet nel 1988, Hermann Schmerman (1994) o The Vertiginous Thrill of Exactitude (1996).

Al ‘manifesto’ Artifact , si affiancano però, verso la fine degli anni Ottanta, creazioni eccitate: coreografie-scheggia dall’atmosfera pregnante di misteri come In the Middle, Somewhat Elevated (1987) o Enemy in the Figure , sul quale incombe una suspence da thriller folle e urbano, senza che nessuna delle sue componenti si conceda a alcun appiglio narrativo. Da queste opere brevi e intense nascono ulteriori spettacoli di serata, come l’affresco postmoderno in cinque parti Impressing the Czar del 1988 (la sua seconda parte è appunto In the Middle, Somewhat Elevated ) o Limb’s Theorem (1990), severa estensione in bianco e nero di Enemy in the Figure in cui si inaugura una liaison intellettuale con l’architetto Daniel Libeskind. L’unità del corpo danzante, assunto di partenza del balletto storico, la sua linearità ordinata e razionale, si dimostrano ingannevoli e illusorie: F. ha ereditato dal teorico della danza libera Rudolf von Laban l’idea di movimento come `archiettura vivente’ ma ha reso esplosivo il modello della cosiddetta cinesfera labaniana, assicurandoci che la fonte del movimento non è più rintracciabile in un unico punto del corpo, ma nelle sue zone più insospettabili: il tallone, il gomito, un orecchio, l’alluce del piede. Nel Cd Rom Improvisation Technologies -Self Meant to Govern (1994) divulga le tecniche di analisi del movimento adottate dai suoi ballerini e mostra una propensione teorica e didattica, non comune ai coreografi della sua generazione. L’allestimento di spettacoli di impegno per quanto concerne l’apparato scenico e tecnologico ( LDC , 1985; The Loss of Small Detail I e II , 1987-1991; Slingerland I,II, III e IV, 1989- 90) conferma la vicinanza a demiurghi della scena americana come Robert Wilson, ma la sua centralità operativa (Forsythe firma spesso luci, scene e persino la musica dei suoi balletti) è sostenuta da una fedele cerchia di collaboratori. Al musicista Thom Willems, che dal 1985 ha firmato buona parte dei suoi balletti, si affiancano, con crescente insistenza, gli interpreti della sua compagnia, diventati assistenti, costumisti ma soprattutto creatori (come Dana Caspersen, Anthony Rizzi e Jacopo Godani) e spesso coautori delle sue coreografie. È il caso di Sleeper Guts , opera collettiva del 1996, in cui riaffiorano interrogativi sul destino dell’arte nell’era tecnologica o dell’intenso Hyphotethical Stream 2 (1997), elaborato quasi scientificamente a partire dai gruppi e dalle figure di un quadro del Tiepolo. In queste ed altre coreografie della fine degli anni Novanta emerge una danza assai più morbida e complessa rispetto a quello dello stile puntuto, pericoloso e `arrogante’ degli anni Ottanta. È un segno disossato, quasi cadente per quanto i ballerini sono attirati al suolo, ben in sintonia con la crisi del postmoderno che attraversa tutte le arti, e che insinua nella `coreografia del corpo-architettura vivente’ di William Forsythe l’idea di una sopraggiunta spossatezza esistenziale da fine millennio.

Il viaggio agli Inferi di Eidos: Telos (1995), in cui si assiste allo sfogo furente e fiammeggiante di una Persefone a seno nudo, ma anche al dramma dei ballerini che vivono con apatia il rapporto con la loro ‘armatura corporea’, la struggente malinconia del precedente Quintett sul canto di un clochard raccolto nelle vie di Londra (Jesus Blood Never Failed Me Yet , partitura di Gavin Bryars) sono le tappe più eclatanti di un periodo compositivo che si arricchisce con la creazione di installazioni e videocoreografie ( Solo , 1995; From a classical position , 1997) e allestimenti per compagnie diverse da quella di Francoforte. Al Teatro alla Scala, che acquisisce nel suo repertorio In the Middle, Somewhat Elevated e Approximate Sonata (1996), Forsythe crea Quartett (1998) per Alessandra Ferri (ma la sua étoile d’elezione resta la francese Sylvie Guillem, adatta al suo stile e alle difficoltà tecniche della sua danza comunque neoclassica). Al debutto la coreografia è ancora un bozzetto, d’altra parte l’atto della creazione per questo coreografo – sempre richiesto dalle maggiori compagnie di balletto internazionali, prima tra tutte quella dell’Opéra di Parigi – non si esaurisce certo nell’andata in scena di uno spettacolo, ma si identifica con il processo di lavoro, in una sperimentazione continua sul movimento che tiene conto della rivoluzione copernicana introdotta da Merce Cunningham. Con Op.31 (musica di Schönberg, Variazioni per Orchestra op.31) del ’98 il coreografo che da sovrintendente del Ballett Frankfurt (incarico assunto già nel 1989) ha acquisito anche la gestione artistica del Theater am Turm di Francoforte, torna ad avvicinarsi ai grandi compositori contemporanei (tra i quali predilige Luciano Berio e conferma che la coreografia non si esaurisce affatto con l’invenzione di singoli passi; è piuttosto l’organizzazione di strutture e forme `significanti’ nello spazio.

Appaix

Diplomatosi all’École national supèrieure d’arts et métiers, Georges Appaix intraprende studi musicali come sassofonista al Conservato d’Aix-en-Provence e di danza con O. Duboc. Con la stessa collabora dal 1978 al 1981 per l’allestimento di diverse creazioni in cui figura anche come musicista. In questo stesso ruolo partecipa agli spettacoli di D. Larrieu, J. Baiz e S. Aubin. Artista assai estroso, con Nouvelles antiquittés vince, nel 1986, il secondo premio al Concorso di Parigi. Tra i suoi lavori sono da segnalare Jeux de stages (1978), il `progetto di strada’ Allons voir (1982-83), La bel été (dal romanzo di Pavese, 1984), Agathe (1985). E ancora, il raffinato e poetico Gauche-Droite (1994) e, in collaborazione con il compositore J. Rebotier, Clic (1996).

Vescovo

Bruno Vescovo studia alla Scuola di ballo della Scala entrando a far parte della omonima compagnia nel 1968. Nominato solista nel 1971 e primo ballerino nel 1975 si distingue per brio, comunicativa e brillantezza tecnica in ruoli di mezzocarattere del repertorio ottocentesco, come il passo a due dei contadini (Giselle), Franz in Coppélia, Uccellino azzurro in La bella addormentata , nonchè come Mercuzio in Romeo e Giulietta (coreografia Nureyev, 1982) e nel ruolo en travesti di Mamma Simone in La fille mal gardée (coreografia H. Spoerli, 1983). Ritiratosi nel 1994, è maitre de ballet in diverse compagnie italiane tra cui il Balletto della Scala e dell’Arena di Verona.

Walter

Dopo aver studiato a Norimberga, Eric Walter venne scritturato nel corpo di ballo del Teatro dell’Opera della stessa città. Successivamente la sua carriera si svolse a Wiesbaden e a Wüppertal. Dal 1964 fino alla morte fu direttore del Ballet Opera am Rhein. Ampia la sua attività di coreografo; da segnalare, fra i vari titoli, La morte e la fanciulla su musica si Schubert, Terza Sinfonia sull’omonimo lavoro sinfonico di Scriabin e Cajcovskij Fantaisies.

Roman

Gil Roman ha iniziato a studiare danza a sette anni a Montpellier e successivamente a Cannes con la Besobrasova. Nel 1979 è entrato al Ballet du XXème siècle. Tra le sue prime importanti interpretazioni Histoire du soldat (1982), Messe pour le temps futur (1983), Dionysos (1984), Le Concours (1985). Il suo naturale talento ha poi avuto occasione di affinarsi in molti altri lavori béjartiani tra le fila del Béjart Ballet Lausanne quali La Tour , Il mandarino meraviglioso e Le presbythère… . Grande forza espressiva ha dimostrato anche nel duo Juan y Teresa (1997) danzato con la Pietragalla e sempre creato da Béjart. Del 1992 è il suo film Le paradoxe du comédien e del 1995 la sua coreografia (con G. Metzer) L’abito non fa il monaco . Dal 1993 è direttore aggiunto del Béjart Ballet Lausanne.

Touron

Patrice Touron ha studiato presso il Conservatorio di Bordeaux e poi con R. Hightower a Cannes. Dotato di grande fascino e forte personalità, nel 1972 venne scritturato nel Ballet du XXème siècle. Qui è stato primo ballerino e interprete di gran rilievo di molti lavori di Béjart. In particolare ha brillato ne I Trionfi, Notre Faust, Héliogabale, Le Molière imaginaire e nell’assolo Clair de lune. In Dyonisos (1988) ha interpretato il doppio ruolo di Wagner e dell’attore. Successivamente ha avuto esperienze diverse in altre compagnie, anche quale comédien.

Pan

Il nome di Hermes Pan è strettamente legato a quello di Fred Astaire per il quale realizza le coreografie di ben ciciassette film, compresi tutti quelli della RKO (1933-1939) in cui il ballerino danza in coppia con Ginger Rogers. È lui a suggerire ad Astaire di inserire nel contratto la clausula in base alla quale le riprese delle sequenze di balletto devono essere realizzate senza soluzione di continuità e proiettate senza stacchi di montaggio. Il suo metodo di lavoro si basa su una ferrea precisione geometrica che richiede una lunga fase di sperimentazione per ottenere un movimento tanto fluido quanto elegante. Con Astaire prova personalmente ogni numero, assumendo per sè il ruolo della ballerina, fino a dedicare diciotto ore al giorno per tre settimane in funzione di una sequenza di quattro minuti; al termine mostrano all’attrice l’esatta sequenza dei movimenti. Metodico ed esigente pretende dai suoi esecutori la sua stessa esattezza assoluta, costringendoli a ripetere, fino al raggiungimento del risultato. In tal senso è emblematica l’imposizione a rifare per quarantasette volte l’intera sequenza conclusiva di Follie d’inverno. Con la Rogers ha un rapporto definito «una guerriglia durata sei anni», ancora tormentato sul set di Condannatemi se potete (1942), mentre si trova a pieno agio con Betty Grable per la quale realizza i balletti di ben dieci film tra cui Maia, la sirena delle Hawai (1942) e In montagna sarò tua (1942). Segue Astaire prima alla Fox (1941-1948) e poi alla Metro (1949-1956). Compare come ballerino in alcune pellicole come Follie di New Yok (1942) e La fidanzata di tutti (1944). Firma le corografie di molti capolavori dell’epoca d’oro del musical hollywoodiano, da Tre piccole parole (1950) a Baciami, Kate! (1953), da La bella di Mosca (1956) a Pal Joey (1957), da Can-Can (1960) a My Fair Lady (1964). Svolge la sua attività anche in Italia dove crea i balletti della commedia musicale di Garinei e Giovannini Un paio d’ali (1959) e di una edizione del varietà televisivo Studio Uno (1965).

Manen

Hans van Manen studia danza classica con Sonia Gaskell e nel 1951 entra a far parte del Ballet Recital, dal quale nel 1952 passa al Nederlands Opera Ballet e nel 1959 nella compagnia di Roland Petit. Nel 1960 è tra i membri fondatori del Nederlands Dans Theater* che dirige dal 1961 al 1971 e per il quale firma numerose importanti coreografie. Dal 1973 al 1988 è coreografo principale e regisseur dell’Het Nationale Ballet*, successivamente ritorna al Nederlands Dans Theater come coreografo residente. È autore di oltre sessanta balletti, per la maggior parte creati per il Nederlands Dans Theater e l’Het Nationale Ballet e riproposti da molte compagnie internazionali (in Italia il Balletto del Teatro alla Scala* e il Balletto di Toscana*), tra i quali si ricordano Symphony in Three Movements (1963), Metaphors (1965), Mutations (in collaborazione con Glen Tetley, 1970), il suo capolavoro Grosse Fuge (musica di Beethoven, 1971), Songs without words (1977), Twilight (1972), Adagio Hammerklavier (1973), Four Schumann Pieces (Royal Ballet, Londra 1975), 5 Tangos (1977), Korps (1987) Andante (1990), Compositie (1994), Deja Vu (1995) Kleines Requiem (1997). Considerato uno dei capiscuola del balletto contemporaneo europeo, ha saputo rinnovare il vocabolario della danza accademica come linguaggio asciutto, energico e autosignificante e ha ideato lavori apparentemente astratti in cui i movimenti sono sviluppati con grande rigore formale secondo dinamiche geometriche e morbide plasticità, ma dai quali traspare sempre un vibrante erotismo e l’acuto, lieve e ironico commento sull’eterna conflittualità tra i sessi.

Amboise

Allievo dell’American Ballet, Jacques d’Amboise ha debuttato nel 1947 in Pastorella di Christensen con il Ballet Society. Subito dopo passava al New York City Ballet, diventandone uno dei più prestigiosi danzatori. Dotato di una tecnica senza eguali, capace di straordinari virtuosismi, ha brillato soprattutto nei lavori di Balanchine (The Four Temperaments , Fanfare , Interplay); particolarmente apprezzato per la sua foga sicura e tranquilla in Western Symphony , dove è riuscito a evocare i movimenti indiavolati di un cowboy senza spezzare i delicati equilibri della danza classica. Fece sensazione anche la sua interpretazione, accanto a T. Leclercq, ne L’après-midi d’un faune (versione Robbins), celebrata per l’intensità drammatica e lo charme, a un tempo moderno e primitivo, conferito al personaggio.

Skibine

Figlio d’arte (il padre era nel Corpo di ballo della compagnia di Diaghilev), George Borisovic Skibine studia con la Preobrajenska e con Lifar mentre lavora con il Bal Tabarin. Nel 1937 debutta come ballerino classico nel Ballet de la Jeunesse e successivamente entra a far parte del Ballet de Monte-Carlo diretto da Massine (1938-39) e della compagnia di De Basil (1939-41). Nel 1941 lavora con Fokine in Petrushka , Barbe Bleue e Sylphides (dove danza con la Markova). Dopo aver svolto servizio nell’esercito torna a danzare nel 1946 nella compagnia di Markova-Dolin ( Sylphides , Casse-noisette, Giselle), quindi entra come primo ballerino nel Grand Ballet de Monte-Carlo del Marchese de Cuevas dove rimarrà fino al 1956. Con la moglie Marjorie Tallchief, conosciuta nella compagnia di de Cuevas, è ospite del Chicago Ballet (1956) ed étoile all’Opéra di Parigi (1957). Dal 1950 inizia a svolgere attività di coreografo: Tragédie à Verone (1950), Annabel Lee (1951), Idylle (1954), Romeo e Giulietta (1955) sono tra le sue coreografie di maggiore ispirazione romantica, cui seguono Concerto (1958), Les noces (1962), L’uccello di fuoco (1967), Carmina burana (1970). È stato direttore di balletto e coreografo dell’Opéra di Parigi (1958-62), e direttore artistico dell’Harkness Ballet (1964-66) e del Civic Ballet di Dallas (dal 1969).

Lifar

I primi rudimenti della danza Serge Lifar li apprese a Kiev da Bronislava Nijinska. All’epoca in cui faceva parte dei Balletti Russi di Diaghilev ebbe l’opportunità, nei primi anni ’20, di studiare con il grande Enrico Cecchetti ed anche con Pierre Vladimirov. In seno a quella compagnia fu il primo interprete dei balletti Les Pâcheux e Le Train bleu di B. Nijinska (1924); Zéphire et Flore e Les Matelots (1925), Pas d’acier (1927) e Ode (1928), tutti di L. Massine; Barabau (1925), La Chatte (1927), Apollon Musagète (1928), Le Bal e Le Fils prodigue (1929) di Balanchine. Il suo debutto come coreografo avvenne con una nuova coreografia del Renard di Stravinskij (1929). Proprio nel 1929, per una defezione di Balanchine, ammalatosi, all’Opéra di Parigi, L. si trovò ad assumere il ruolo protagonista e la coreografia del balletto Le creature di Prometeo di Beethoven. Da quel momento iniziò la carriera di L. al quale furono affidate le sorti della danza al Palais Garnier con una lunga successione di creazioni, quale più, quale meno riuscita. Icare (1935) colpì per l’originalità dell’impianto coreografico composto su ritmi appositamente creati per lui dal musicista su richiesta del coreografo. Fra i numerosi balletti doveva avere lunga vita Les Mirages (musica di Herni Sauguet, 1944) ma anche Suite en blanc (musica di E. Lalo, 1943) entrava subito nel repertorio e vi rimaneva (ancora recenti le riprese), chiaro esempio di balletto d’alta scuola affidato a quella che è sempre stata la netta preferenza del coreografo: la `danse d’école’ secondo uno schema di balletto concertante che doveva poi essere sublimato da Balanchine.

Accusato di collaborazionismo al termine della seconda guerra mondiale, L. fondò il Nouveau Ballet de Monte-Carlo per il quale metteva in scena molte nuove creazioni, tra il 1946 e il ’47. Tornava all’Opéra di Parigi dal 1947 al ’58 come coreografo ospite in Francia e all’estero. Il più importante lavoro di quel periodo è stato Phèdre (1950), libretto di Jean Cocteau, musica di Georges Auric. Molti i lavori collaterali e densa l’attività di scrittore con un lungo elenco di opere storico-critiche. Purtroppo, in generale, le sue coreografie non suscitano più l’interesse del pubblico come un tempo ma il ruolo di L. è importante nel balletto di questo secolo. Notevole la qualità del ballerino dovuta, in particolare, alla bellezza della figura e delle linee che sfruttò soprattutto in tutti i ruoli di danseur noble, principale fra i quali è stato quello dell’ Apollon Musagète creato sulla sua personale misura da Balanchine. Fra le sue pubblicazioni, circa una trentina, è da ricordare Le Manifeste du Chorégraphe (1935). Numerosi i riconoscimenti. Per la bibliografia si veda l’omaggio dedicatogli dalla rivista “Les Saisons de la Danse” con l’elenco completo dei ruoli e delle attività sul numero del febbraio 1970. Nel 1990 uscita, postumo, l’ultimo suo libro Les Mémoires d’Icare , testimonianza di una vita tumultuosa e celebratissima.

Taras

John Taras studia con Fokine, Anatole Vilzak, Ludmila Schollar e alla School of American Ballet, per entrare poi nel Ballet Caravan (1940), nel Littlefield Ballet (1941) e nel Ballet Theatre (1942-1946), dove coreografa Graziana (1945). Crea Camille per l’Original Ballet Russe (1946), The Minotaur per il Ballet Theatre (1947) e Design with Strings per il Metropolitan Ballet (1948). Danza nella compagnia del Marquis de Cuevas (1948-1959), dove crea Piège de lumière (1952) e La fôret romantique (1957). Collabora inoltre a Le rendez-vous manqué di Françoise Sagan (Montecarlo 1958). È maître de ballet al New York City Ballet, all’Opéra di Parigi, all’Opera di Berlino. Dal 1984 al 1990 è direttore associato dell’American Ballet Theatre. Tra i suoi lavori: Ebony Concerto (1960), Arcade (1963), Jeux (1966), Danses concertantes (1971), Le sacre du printemps (1972), Daphnis et Chloé (1975), Souvenir de Florence (1981).