Vidal

Noto soprattutto come romanziere, Gore Vidal diede alle scene alcune commedie blandamente satiriche che poco aggiunsero alla sua fama. La prima, Visita a un piccolo pianeta (Visit to a Small Planet, 1957), scritta in origine per la tv, era una una farsa sulle tribolazioni di un alieno venuto a studiare gli usi e costumi della Terra; le altre due, L’uomo migliore (The Best Man, 1960) e Weekend (1968), si occupavano dei retroscena della politica statunitense e raccontavano rispettivamente lo scontro, durante una convention, fra due candidati alla presidenza e gli sforzi di un senatore liberal per convincere il figlio a sposare una nera.

Carpentieri

Renato Carpentieri studia architettura a Napoli, dove dal 1965 al 1974 svolge attività di organizzazione e promozione culturale, teatrale e cinematografica (con il gruppo Nuova Cultura e di ricerca sull’espressione artistica popolare. Si occupa di teatro dal 1975, anno in cui è socio fondatore, insieme con R. Ferrante, M. Lanzetta, L. Serao, O. Costa del Teatro dei Mutamenti di Napoli, di cui fa parte fino al 1980. Qui debutta come attore nel 1976 in Serata futurista , regia R. Ferrante, al quale segue nel 1977 BerlinDada , regia A. Neiwiller. Nello stesso anna firma le regie di Maestri cercando: Elio Vittorini da Vittorini e Lieto fine da Brecht (compagnia Ipocriti). Seguono gli allestimenti e le drammaturgie di Il nipote di Rameau da Diderot (1978), Kabarett di K. Valentin (1979), Le petit abbé napolitain, ovvero Storie di Ferdinando Galiani (Biennale Venezia 1981), Negli spazi oltre la luna – stramberie di Gustavo Modena (di R. Carpentieri e C. Meldolesi, 1983) e Teatrino Scientifico , Resurrezione da Zhuang Zi e Lu Hsün (1989), nel 1990 di La nave nel deserto (di R. Carpentieri e G. Longone) e L’acquisto dell’ottone da Brecht. Dal 1995 è direttore artistico dello storico gruppo di ricerca napoletano Libera Scena Ensemble. Regista promotore di un teatro `popolare-filosofico’ attento a conenuti alti (Diderot ad esempio) ma fruibile da un pubblico vasto ed eterogeneo, dà vita con il gruppo a numerosi progetti laboratoriali, rappresentati nelle strade e mercati di Napoli come sulle falde del Vesuvio. Come Il giardino del teatro e lo spettacolo-evento La nascita del teatro (1996-97) in cui cinquanta attori raccontano, quasi sempre in napoletano, la nascita `divina’ del teatro secondo un antico testo indù. Allestisce inoltre Sale di Museo (di R. Carpentieri, L. Serao, O. Costa, E. Salomone, G. Longone, rappresentato in gallerie d’arte, 1996-98), Jacques e il suo padrone di M. Kundera (1996), Medea di C. Wolf. Attore poliedrico, di sempre intensa espressività, C. ha recitato tra l’altro per R. Bacci in Zeitnot (1984) e La grande sera (1985), per G. Salvatores in Comedians (1986), in Morte accidentale di un anarchico di e con D. Fo (1987), in Riccardo II di Shakespeare con la regia di M. Martone (1993), Histoire du soldat (regia di M. Martone, G. Barberio Corsetti, G. Dall’Aglio); è Polonio per C. Cecchi in Amleto di Shakespeare (1998). Numerose le partecipazioni e i successi cinematografici: Porte aperte (1990, Premio Sacher come migliore attore non protagonista) e Ladro di bambini di G. Amelio, Puerto Escondido di G. Salvatores , Fiorile di P. e V. Taviani, Ottantametriquadri di I. Agosta, Caro diario di N. Moretti, Il giudice ragazzino di A. di Robilant, Nemici d’infanzia di L. Magni, Il verificatore di S. Incerti, La casa bruciata di M. Spano.

Falconi

Armando Falconi cominciò la carriera di attore dopo essere stato impiegato e ufficiale. Si affermò nella compagnia Andò-Leigheb, per poi passare nella Andò-Di Lorenzo dove, tra il 1897 e il ’99, ricoprì il ruolo di primattore. Con Tina Di Lorenzo, che divenne sua moglie, recitò fino al ritiro dalle scene dell’attrice, nel 1920. In quell’anno assunse la direzione, assieme a L. Chiarelli, della compagnia Comoedia diventata l’anno successivo una seguitissima compagnia di successo diviso con la prima attrice P. Borboni fino al 1930. In seguito guidò altre compagnie e divise il palcoscenico con (tra gli altri) D. Menichelli-Migliari, S. Ferrati, E. Maltagliati. Fu attore di estro geniale, brillante, e seppe esaltare con eleganza la comicità dei suoi personaggi, senza mai andare sopra le righe, attento ai caratteri e al trucco. Vanno ricordate le sue interpretazioni nel Re burlone di Rovetta, Addio giovinezza! di Camasio e Oxilia, Le allegre comari di Windsor di Shakespeare, Don Pietro Caruso di Bracco, La moglie ideale di Praga, Il centenario dei fratelli Àlvarez Quintero e Joe il rosso , scritto dal figlio Dino. Con S. Zambaldi scrisse La canzone di Rolando, commedia che andò in scena nel 1918. Al cinema si affermò con Rubacuori (1931).

Connelly

A Marc Connelly si devono soprattutto due testi, Il povero a cavallo (Beggar on Horseback, 1924, con G.S. Kaufman) e Verdi pascoli (Green Pastures, 1930). Il primo, valendosi di tecniche mutuate dal teatro espressionista ma voltate in commedia, mostrava un artista alle prese con il mondo commercializzato che tentava di assorbirlo; il secondo raccontava nei termini del folclore religioso nero le vicende del Vecchio Testamento, con un anziano pastore di colore nella parte di Dio (e di colore erano anche, per la prima volta in una commedia di Broadway, tutti gli interpreti, che contribuirono al grande e inatteso successo: 640 repliche e il premio Pulitzer).

Bertolucci

Fratello del regista Bernardo, Giuseppe Bertolucci per il teatro scrive con Roberto Benigni il monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia di cui cura anche la regia nel 1975: lo spettacolo rappresenta il trampolino di lancio di Benigni che ne è l’interprete. Nel 1983 è regista di un altro suo monologo Raccionepeccui portato sulla scena da M. Confalone. Cura le regie di Il pratone del Casilino tratto da Petrolio di Pasolini (1994) e O patria mia di cui collabora anche al testo (con S. Guzzanti, D. Riondino, A. Catania, P. Bessegato; 1994). Si occupa della regia e dell’adattamento televisivi di Il pratone del Casilino (1995, da Petrolio di Pasolini); Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana (1997, regia di L. Ronconi); Ferdinando (1998, di A. Ruccello). Nel 1991 realizza il video teatrale Il congedo del viaggiatore cerimonioso dal corpus poetico di G. Caproni con gli allievi della Scuola d’arte drammatica `P. Grassi’. Delle sue regie cinematografiche si ricordano Berlinguer ti voglio bene in cui Bertolucci riprende lo spettacolo teatrale interpretato da Benigni (1977), Segreti segreti (1984), Tuttobenigni (1986), I cammelli (1988).

Handke

Dopo gli studi di legge a Graz, dal 1966 Peter Handke vive e lavora come scrittore indipendente a Düsseldorf, Berlino e Parigi e, dal 1979, a Salisburgo. Ha vinto diversi premi letterari, tra cui il premio Büchner nel 1973 e il Grillparzer nel ’91. Sin dai primi lavori H. propone una critica del linguaggio che è allo stesso tempo un’analisi critica della società. Scrive per il teatro senza interruzione fino al 1973: fra i primi testi Insulti al pubblico (Publikumsbeschimpfung, 1966). Quindi abbandona la scrittura drammatica, per tornarvi solo nel 1982 con Attraverso i villaggi (Über die Dörfer), per W. Wenders; nel 1986 viene presentata una sua traduzione del Prometeo incatenato al festival di Salisburgo. Nel suo testo teorico, Sono un abitante della torre d’avorio , Peter Handke dichiara di non aver mai voluto scrivere per un teatro che, così come è comunemente inteso (anche nel caso dell’opera di Brecht e di Beckett), resta una reliquia del passato.

Se la letteratura, anche quella teatrale, è fatta con la lingua e non con gli oggetti che questa descrive, la lingua del realismo non serve a svelare la realtà, bensì a occultarla. Pertanto, reinventare il teatro significa anzitutto partire dalla funzione del linguaggio: rifiutare cioè di raccontare una storia, di mettere in scena la favola. La pupilla vuol essere tutore (Das Mündel will Vormund sein, 1969) è una pièce muta, un atto privo di dialoghi e parole, che ha come intento quello di provocare una riflessione su cosa significhi veramente parlare di fronte a un pubblico. Gli attori fanno del teatro perché parlano su di una scena: è questo il gioco illusionistico del teatro? Cosa significa parlare? Il teatro di H. pone tali domande e tenta di trovare delle risposte. In Kaspar (1967) H. racconta la sofferenza che comporta il dover reinventare la parola: la lingua è una tortura, l’atto del parlare è legato alla condizione di colpa, poiché non esiste la parola innocente. Con Cavalcata sul lago di Costanza (1970) l’autore si spinge ancora oltre: gli attori non interpretano dei personaggi, ma sono coinvolti in una lunga conversazione, alla ricerca, attraverso lo strumento della lingua, di quello che sono e di ciò di cui è fatta la loro vita. Il loro sforzo risulterà vano: di fronte a una donna muta comprenderanno di essere tutti morti.

In Esseri irragionevoli in via di estinzione (Die Unvernünftigen sterben aus, 1973) la ricerca continua, ma questa volta nessuno, parlando, riesce a concentrarsi su di un tema, su di un soggetto che sempre sfugge, sempre svanisce; e la parola, nello spazio teatrale, deve rendere visibile ciò che si è perduto, riportare ciò che è stato dimenticato nel quotidiano. Tale idea viene approfondita in Attraverso i villaggi , in cui il testo teatrale è inteso come `poema drammatico’: voltando le spalle a tutto il teatro del quotidiano, H. dà agli operai del cantiere di un villaggio la luce di una parola poetica che inventa un altro modo di dire e di sentire, un altro modo di vivere. Tra i testi più recenti è da ricordare Il gioco delle domande o il viaggio verso laTerra Sonora (Das Spiel vom Fragen oder die Reise zum Sonoren Land, 1989).

Lassalle

Inizialmente studente del conservatorio, Jacques Lassalle fonda nel 1967 lo Studio-Théâtre Vitry, dove si occupa della rivisitazione di alcuni classici ancora poco conosciuti in Francia (Goldoni con Le baruffe chiozzotte , Bilora e Il parlamento di Ruzante) e, parallelamente, della diffusione dell’opera di autori contemporanei come Kundera, Vinaver, Anna Seghers, Henkel. Dopo qualche anno si dedica in prima persona alla scrittura per il teatro – che egli designa con l’espressione «teatro al presente e non del quotidiano» – con Jonathan des années trente , Un couple pour l’été , Le soleil entre les arbres , Un dimanche indécis dans la vie d’Anna , Avis de recherche. Parallelamente L. porta avanti l’attività di docente all’università Sorbonne-Paris III (fino al 1971) e al Conservatorio nazionale delle arti drammatiche (1969-’71). Gli anni tra il 1981 e il 1983 sono particolarmente fertili: realizza, per la Comédie-Française, La locandiera di Goldoni e I villeggianti di Gor’kij e, per l’Opéra di Parigi, Lohengrin di Wagner e Lear di Aribert Reimann. Nel 1983 gli viene inoltre affidata la carica di direttore del Teatro nazionale di Strasburgo (Tns) e della Scuola delle arti drammatiche. Al Tns realizza, tra le altre opere, un memorabile Tartuffe con Dépardieu e Périer. Nel suo repertorio Goldoni continua ad avere un’importanza fondamentale, accanto a Marivaux, Lessing, Ibsen e Molière. Tra i suoi collaboratori più assidui, gli attori Hubert Gignoux, Maurice Garrel e Emmanuelle Riva, Vinaver per la scrittura, Kokkos e Sire per la scenografia e i costumi. Nel 1990 viene nominato amministratore generale della Comédie-Française. Ultimato il suo incarico, torna alla libera professione di regista.

Viola

Sceneggiatore, giornalista e narratore, dopo aver scritto il romanzo Pricò (1924), che V. De Sica utilizzò come soggetto del film I bambini ci guardano ,  Cesare Giulio Viola si dedicò al teatro. Fedele custode della tradizione borghese ottocentesca, rimase quasi del tutto estraneo ai movimenti innovatori, salvo interiorizzare alcuni temi pirandelliani, rielaborati in un generico moralismo, ne Il cuore in due (1925). Altri titoli: Giro del mondo (1932), Poveri davanti a Dio (1947), Il romanzo dei giovani poveri (1947) e Nora seconda (1954).

Cappelli

Indagatore attento dell’animo umano, Salvato Cappelli ricostruisce nelle sue opere gli enigmi e le tensioni della realtà, con l’intento di darne una spiegazione razionale. Il tema della morte, considerata soprattutto nella chiave del suicidio, fa da sfondo costante alla sua produzione. Scrittore elegante nello stile, filosofico nell’impostazione generale e complesso nell’elaborazione teorica degli argomenti, si avvale di un linguaggio capace di chiarificarsi con il procedere dell’azione scenica. Per il teatro ha scritto e fatto rappresentare sei commedie: Il diavolo Peter (1957), Incontro a Babele (1962), L’ora vuota (1963), Duecentomila e uno (1966), Morte di Flavia e delle sue bambole (1968) e La signorina Celeste (1976).

Wesker

Ebreo (il padre emigrato russo, la madre ungherese), di estrazione operaia, Arnold Wesker ha raggiunto grande notorietà con la trilogia composta da Brodo di pollo con l’orzo (Chicken Soup with Barley, 1958), Radici (Roots, 1959) e Parlo di Gerusalemme (I’m Talking about Jerusalem, 1960), parabola di una famiglia ebraica di comunisti, i Kahn, dal più acceso impegno politico a un disilluso e apatico conformismo. Nella prima commedia le vicende familiari si intrecciano con tre momenti cruciali della storia del movimento operaio, nell’arco di un ventennio: la marcia dei fascisti sull’East End (1936), la fine della guerra e la vittoria dei laburisti (1946) e i tragici fatti d’Ungheria (1956). In Radici Ada Kahn decide di trasferirsi in campagna col marito e vivere di lavoro artigianale, sottraendosi al sistema produttivo capitalistico e all’impegno sociale diretto. L’esito di questa scelta sarà scontato, ma ancora in Parlo di Gerusalemme e nel successivo Patatine di contorno (Chips with Everything, 1962) è viva la fiducia nella funzione maieutica dell’intellettuale, capace di dare una coscienza politica alla classe operaia; proprio in questa ottica Wesker fonda, insieme a Doris Lessing e Shelagh Delaney, il Center 42, organo per lo sviluppo culturale dei lavoratori.

Dopo questa prima fase Wesker non ha più ritrovato la capacità d’impatto e la forza espressiva con cui questi lavori sapevano rendere il conflitto uomo-società; opere come Le quattro stagioni (The Four Seasons, 1965) e Una città dorata tutta per loro (Their Very Own and Golden City, 1965) scadono spesso nella retorica, nella ricerca dell’effetto poetico. Negli ultimi vent’anni l’esperienza drammaturgica di W. ha tentato strade diverse, dalla ricerca della comicità con La festa di matrimonio (The Wedding Feast, 1974) al montaggio di tipo cinematografico in I giornalisti (The Journalists, 1981), Lady Othello (1987) e Quando Dio voleva un figlio (When God Wanted a Son, 1989). Un felice esperimento sono stati gli Atti unici per donne sole (One-Woman-Plays), monologhi drammatici per un’attrice raccolti in volume nel 1989.

Jacobbi

Giovanissimo collaboratore di riviste d’avanguardia, legate in particolare all’ermetismo (“Campo di Marte”, “Corrente”, “Letteratura”, “Circoli”), Ruggero Jacobbi divide la sua vita tra Italia e Brasile (dove vive dal 1946 al 1960 svolgendo attività di regista e studioso). Intellettuale eclettico e appassionato, debutta nella regia teatrale nel 1940 allestendo, tra l’altro, Minnie la candida di M. Bontempelli, con l’esordiente Anna Proclemer. Attivo non solo nella critica letteraria e teatrale, ma anche in televisione e nel cinema, è autore di numerosissime opere, antologie poetiche e letterarie, traduzioni, articoli: sul teatro si segnalano A espressão dramàtica (1956), O espectador apaixonado (1960), Teatro in Brasile (1961), Teatro da ieri a domani (1972), Ibsen (1972), Guida per lo spettatore di teatro (1973), Le rondini di Spoleto (1977) e l’edizione in tre volumi delle opere teatrali di Rosso di San Secondo. Collaboratore del Piccolo Teatro di Milano, dirige “Ridotto” e scrive su “Rivista italiana di drammaturgia”, “l’Avanti” e “Sipario”; è autore di O outro lado do rio (1959), Il porto degli addii (1965), Il cobra alle caviglie (1969), Edipo senza sfinge (1973). La sua intensa attività di docente (cattedra di Letteratura brasiliana all’università di Roma) lo porta alla direzione della Scuola d’arte drammatica del Piccolo di Milano e, negli anni ’70, dell’Accademia d’arte drammatica di Roma.

Manfredini

Danio Manfredini si forma negli anni ’70 partecipando al lavoro di Cesar Brie, Dominic De Fazio e Iben Rasmussen dell’Odin Teatret, presso il Laboratorio del centro sociale Isola di Milano e poi al centro Leoncavallo. Con La crociata dei bambini di Brecht (1984), Notturno (1985) e soprattutto con Miracolo della rosa (1988) definisce un’immagine solitaria di attore estraneo a percorsi codificati, autore di un teatro personale e anarchico, interessato a situazioni di marginalità sociale ed estraneo ai compromessi con il mercato. Seguono il recital Misty (1989), La vergogna (1990) e i Tre studi per una crocifissione, nei quali viene ancora più approfondito il rapporto con la realtà psichiatrica (M. è anche operatore dei servizi territoriali) e con la pittura, quella di Francis Bacon in particolare, come visione interna da riportare all’attenzione emotiva dello spettatore. Nel 1996 collabora alla drammaturgia degli spettacoli di danza di Raffaella Giordano, cui fa seguire la lunga elaborazione di Al presente (1998).

Sardou

Victorien Sardou deve il suo grande successo in tutta Europa all’indovinata tecnica patetica che fa leva sul sentimentalismo del pubblico, indotto a simpatizzare con i protagonisti dei suoi drammi e commedie. Ha offerto ruoli alle più grandi attrici del secolo (Sarah Bernhardt in Francia, Eleonora Duse e Virginia Reiter in Italia), continuando a scrivere fino alla morte; i suoi ultimi lavori risalgono ai primi anni del nuovo secolo: La sorcière (1903) e L’affaire des poisons (1905). Oggi è ricordato soprattutto per le opere tratte da alcuni dei suoi drammi: Fedora (1882), da cui l’omonima opera di Giordano (1898); Tosca (1887), ripresa da Puccini (1900); Madame Sans-Gêne (1893), che offrì il soggetto all’opera di Giordano (1915).

Rocca

Pur tradizionalista nel tratto – a tal punto da rifiutare Pirandello e il grottesco – Gino Rocca testimoniò con efficacia nelle sue opere la `crisi delle coscienze’ di inizio secolo, che l’angosciosa esperienza della grande guerra contribuì ad acuire. Il primo amore (1920), Le farfalle (1921), I canestri azzurri (1921), allestite nei principali teatri di Milano, città in cui ha lavorato come giornalista, fecero da preludio alla sua stagione più fortunata, collocabile tra il 1924 e il 1930. Gli amanti impossibili (1925) e Il terzo amante (1929) portarono a compimento il tema a lui caro dell’inesistenza del vero amore e dell’impossibilità di essere pienamente felici. Sul versante della produzione dialettale – in cui si è avvalso delle straordinarie performance di G. Giachetti che gli assicurarono ampio successo di pubblico e critica – si collocano Se no i xe mati no li volemo (1926), Sior Tita paron (1928) e La scorzeta de limon (1928), accomunate dalla tragicomica presentazione di una provincia arrogante e cupa, dominata dalla smaniosa corsa al denaro e dal grado zero degli affetti.

Martoglio

Nino Martoglio si impegnò affinché il teatro siciliano avesse uguale dignità degli altri teatri dialettali d’Italia. Nel 1903, insieme agli attori Grasso e Musco, fondò una compagnia, che mise in scena con successo al Teatro Manzoni di Milano La zolfara di Giusti Sinopoli. Sempre per questa formazione scrisse le sue opere più riuscite: Nica (1903), San Giuvanni decullatu (1908, che Musco ogni sera colorì di battute nuove e improvvisate), L’aria del continente (1915, in cui emergono in modo forte le tematiche pirandelliane essendo stata scritta in collaborazione con l’amico siciliano), Il marchese di Ruvolito (1920). Sono questi lavori nei quali a una comicità travolgente fa da sfondo una desolante tristezza, in un contesto dove a trame colorite non corrisponde un adeguato approfondimento dei personaggi. Nel 1910 al Metastasio di Roma fondò il Teatro Minimo, dove gruppi di attori mettevano in scena una serie di atti unici, tra i quali si segnalarono le prime produzioni di Rosso di San Secondo e alcuni testi di Pirandello. Proprio con quest’ultimo Martoglio scrisse ‘A vilanza (1917) e Capiddazzu paga tuttu (1922).

Duhamel

Laureato in medicina, Georges Duhamel si dedicò principalmente all’attività di romanziere e saggista. Sposato con Blanche Albane, attrice del Vieux-Colombier, frequentò ambienti teatrali e per il teatro produsse alcuni drammi: La lumière (Odéon, 1911), Dans l’ombre des statues (Odéon, 1912), Le combat (Théâtre des Arts, 1913) e L’oeuvre des athlètes , una commedia messa in scena da Copeau (Vieux-Colombier, 1920) ebbero in Francia un certo successo, benché la fama di D. sia essenzialmente legata ai suoi romanzi `a ciclo’, raccolti successivamente in Vie et aventures de Salavin (1920-32) e La chronique des Pasquier (1933-45) e per la sua attività di direttore della rivista letteraria “Mercure de France”. Nel 1936 è stato eletto membro dell’Académie Française. Georges Duhamel drammaturgo fu soprattutto influenzato da Claudel, di cui i primi titoli appaiono una sorta di raffinata imitazione. Antoine, che incoraggiò Georges Duhamel a produrre per il teatro e mise in scena i suoi lavori, soleva piuttosto accostare il suo lavoro all’opera di De Curel. Generalmente la critica considera il suo miglior esito L’oeuvre des athlètes, lucida satira degli ambienti intellettuali parigini. D. si allontanò polemicamente dal teatro dopo il 1924 (data della sua ultima opera, la commedia La journée des aveaux, messa in scena dai Pitoëff), dichiarando nelle Lettres au Patagon (1926) che questo genere di attività, troppo legata a elementi quali la realizzazione scenica e la regia, era lontana dalla sua sensibilità artistica. Al teatro Georges Duhamel dedicò anche alcuni scritti teorici, tra cui un saggio sul Vieux-Colombier pubblicato dal “Mercure de France” nel 1913 e Pour la renaissance du théâtre , scritto programmatico per un teatro `del futuro’, pubblicato nel 1920.

Wood

Tutta l’opera di Charles Wood è fortemente influenzata dall’esperienza militare, a cominciare da Prigioniero e scorta (Prisoner And Escort, 1963). In Dingo (1967), ambientato in Africa durante la seconda guerra mondiale, si intrecciano due visioni: quella di un ufficiale che vive il conflitto come una partita di tennis, e quella dei soldati che non combattono per avanzare di grado ma unicamente per sopravvivere. Ancora in H: monologhi di fronte a città incendiate (H: Being Monologues at Front of Burning Cities, 1969) la guerra appare solo come un mezzo al servizio del potere, e tutto il resto è un autoinganno. Il mondo degli anziani è il tema di Pasti a rotelle (Meals on Wheels, 1965), lo show-business di Riempi il palcoscenico di ore felici (Fill the Stage with Happy Hours, 1967): temi che, insieme a quello consueto della guerra, sono riuniti in Veterani (Veterans, 1972), senza però raggiungere la forza delle pièces precedenti. Seguono Il giardino (The Garden, 1982), Stella rossa (Red Star, 1984) e Di fronte al giardino di Allah (Across From the Garden of Allah, 1986).

Beccati

Lorenzo Beccati inizia nel cabaret al Teatro Instabile di Genova nei primi anni ’70, con il gruppo I Cospirattori. È autore di molti programmi televisivi in coppia con Antonio Ricci: Drive in, Paperissima, Lupo solitario, Matrioska, Striscia la notizia. È inoltre la voce del Gabibbo. Ha al suo attivo anche due film e un libro.

Van Druten

John Van Druten si rivelò nel 1925 con un dramma, Il giovane Woodley (Young Woodley), vietato in patria dalla censura per la relativa franchezza con cui era presentato l’ambiente dei college. Ottenne però i maggiori successi negli anni ’40, grazie ad alcune brillanti commediole applaudite a Broadway e altrove: La mia migliore amica (Old Acquaintance, 1940); La voce della tortora (The Voice of the Turtle, 1943); C’era una volta una piccola strega (Bell, Book and Candle, 1950). Scrisse un drammetto sentimentale, Ricordo la mamma (I Remember Mama, 1944) e Io sono una macchina fotografica (I am a Camera, 1951), tratto da un racconto di C. Isherwood e punto di partenza per il musical Cabaret.

Barrie

La sua enorme popolarità è legata a Peter Pan o Il ragazzo che non voleva crescere , eroe di numerosi libri di James Matthew Barrie scritti prima e dopo la commedia (1904). Le avventure di Peter Pan, fuggito di casa una settimana dopo la nascita, che riunisce i bambini smarriti nei giardini di Kensington e li guida nella Never-Never-Land, rimangono tra le favole più avvincenti del nostro secolo. Nel 1991 è stata rappresentata al Teatro Franco Parenti di Milano per la regia di A. R. Shammah e nel 1993 al Teatro S. Matteo di Piacenza come Peter tra il qua e il là: storia per ombre di P. Pan con la regia di F. Montecchi. Della produzione teatrale precedente vanno almeno ricordati Strada di qualità (Quality Street, 1902) e L’incomparabile Crichton (The Admirable Crichton, 1902), gustosa parabola sulla reversibilità dei valori e dei ruoli sociali. Tuttavia la sua critica non va mai oltre le convenzioni del ‘society-drama’. Un altro suo limite ricorrente è la caduta nel sentimentalismo, peraltro temperato dal suo sense of humor scozzese. Del 1916 è Un bacio per Cenerentola (A Kiss for Cinderella), favola moderna come Caro Bruto (Dear Brutus, 1917). Del 1917 sono Le medaglie della vecchia signora (The Old Lady Shows Her Medals), che fu un cavallo di battaglia di Emma Gramatica. Sempre accompagnate da successo, Ciò che ogni donna sa (What Every Woman Knows, 1918) e Mary Rose (1920), la cui eroina, una Peter Pan al femminile, rifiuta le regole del mondo adulto.

Sansone

Gaetano Sansone esordisce giovanissimo nella narrativa con lo pseudonimo di Rosso di San Gae. Negli anni ’70 e ’80, si interessa al teatro sperimentale, sia come regista che come attore. Scrive: nel 1974 La famosa presa del potere dei cristiani; nel 1975 Lo sfizio, nel 1977 Tutta notte spettro e morte. Nel 1980 cura la regia, per conto della Biennale di Venezia, di Aspettando che l’inferno inizi a funzionare, dai racconti di Manganelli; lo spettacolo sarà ripreso al castello Sforzesco di Milano, prodotto dal Salone Pier Lombardo. Nel 1980 va in scena Bosco di notte con la regia di Andrée Ruth Shammah, a cui segue, La locanda di Norma Maccanna. Altri suoi titoli sono Valigie bagnate (1990) e Il secondo viaggio della Golden mind (1993). Il teatro di Sansone si caratterizza per la creazione di atmosfere surreali, paradossali e anche metafisiche. Ha formato una scuola teatrale che opera a Milano sotto il nome di ‘Noleggio cammelli’.

Bruckner

Dopo aver studiato medicina, filosofia e musica a Vienna e a Parigi, Ferdinand Bruckner nel 1923 fonda a Berlino il Renassiance Theater, che dirige fino al 1928. Nel 1933 emigra attraverso l’Austria e la Germania, giungendo infine negli Usa nel 1936. Nel 1951 rientra a Berlino ove lavora sino alla fine allo Schiller Theater. Dopo gli esordi, in cui è ancora vicino all’espressionismo, Ferdinand Bruckner diviene, con la sua opera poetica e drammatica, un rappresentante della nuova oggettività e consegue con testi teatrali quali Gioventù malata (Krankheit der Jugend, 1926) e I delinquenti (Der Verbrecher, 1928) un grande successo. Nelle sue opere più tarde, come Der Kampf mit dem Engel (1957), Ferdinand Bruckner si rivolge verso tematiche basate soprattutto su materiali storici, nella convinzione – come egli stesso sostiene – che il vero autore drammatico sia il più attento e intelligente osservatore della storia; ma non consegue più il successo che aveva cominciato a conoscere nel periodo prebellico. Opere quali L’istinto (Die Kreatur, 1930), Die Rassen (1933), Heroische Komödie (1945) sono scritte con la forza di un uomo che fa la cronaca del proprio tempo e al quale neanche l’orrore può strappare la penna di mano.

Wedekind

Figlio di un medico e di un’attrice, Frank Wedekind trascorre l’infanzia in Svizzera; studia germanistica e letteratura francese a Losanna, quindi, per desiderio del padre, legge a Monaco. Nel 1886-87 è responsabile dell’ufficio stampa e pubblicità della ditta Maggi a Zurigo; dopo la morte del padre sceglie di dedicarsi all’attività letteraria. Nel 1890 inizia la stesura di Risveglio di primavera (Frühlings Erwachen), che verrà rappresentato per la prima volta nel 1906 con la regia di Max Reinhardt. Vive a Berlino, Monaco, Parigi e Londra, frequentando gli ambienti della bohème artistica, la gente del circo e del varietà; si interessa alle figure eccentriche o marginali, agli asociali che gettano una luce critica su quella buona società che pone il denaro al vertice della propria scala di valori.

Ben presto in rapporto con l’avanguardia naturalista, nei suoi lavori ne prende decisamente le distanze, esprimendo uno spirito satirico che si nutre di ribellione e di anarchia; i temi ruotano essenzialmente attorno alla liberazione della sensualità dell’amore naturale, e alla lotta contro il comportamento inibito e falsamente moralista della borghesia. Collabora al giornale umoristico “Simplicissimus”, ridicolizzando il militarismo, il clericalismo e ogni genere di autorità; si esibisce, accompagnandosi alla chitarra, al cabaret di Monaco `Die elf Scharfrichter’ (Gli undici boia), in canzoni dallo stile amaro e corrosivo. Compone una quindicina di opere per il teatro, che mette in scena e in cui recita personalmente; a partire dal 1909 effettua numerose tournée.

Risveglio di primavera, a cui soprattutto deve (almeno in un primo tempo) la sua notorietà, è una tragedia dell’adolescenza, in cui gli slanci erotici dei giovani protagonisti si scontrano con la cecità della famiglia e il dispotismo della scuola. La sua struttura infrange il modello di concatenazione lineare della drammaturgia classica, con una successione di quadri che stanno tra loro in rapporto più o meno diretto e in cui la caricatura violenta coesiste con toni di carattere più lirico e melanconico. Lo spirito della terra (Erdgeist, 1895) e Il vaso di Pandora (Die Büchse der Pandora, 1904), in seguito fusi sotto il titolo Lulu , oppongono il demonismo femminile alla brutalità calcolatrice e dominatrice del maschio; Lulu spiazza le norme della fedeltà e della gratitudine, i riferimenti stabiliti del bene e del male. La morte dell’eroina per mano di Jack lo Squartatore ha la funzione di preservare l’utopia di un’emancipazione futura attraverso la piena conoscenza di una realtà che ancora la nega.

Il marchese di Keith (Der Marquis von Keith, 1901) tratta il tema dell’arte in rapporto al denaro e del desiderio in rapporto alla morale: una satira che oscilla tra didatticismo e grottesco. Altre opere sono Il cantante da camera (Der Kammers&aulm;nger, 1899), Re Nicolò, o Così va la vita (König Nicolo oder So ist das Leben, 1902), Hidalla (1904), Danza di morte (Totentanz, 1906), Musica (Musik, 1908) e Franziska (1912). L’importanza dell’opera di W., punto di riferimento per la generazione dell’espressionismo, è stata riconosciuta da spiriti tra loro diversi come Karl Kraus, Heinrich Mann e Bertolt Brecht.

Scabia

Preceduto dal testo poetico scritto per La fabbrica illuminata di Luigi Nono (1964) e da altri, raccolti in Servo & Padrone (1965), l’esordio come autore teatrale di Giuliano Scabia con Zip Lap Lip Vap Mam Crep Scap Plip Trip Scrap & la Grande Mam alle prese con la società contemporanea alla Biennale di Venezia (1967) rappresenta uno degli episodi che inaugurano la controversa stagione dell’avanguardia teatrale italiana (Scabia ha fatto anche parte del Gruppo 63 e a lavorato in coppia con Quartucci). Nella sua formulazione ‘acentrica’, aperta alla partecipazione collettiva, Zip anticipa i temi politici e antistituzionali del Sessantotto teatrale e prepara la serie dei testi `aperti’ che Scabia va componendo ( All’improvviso, 1967; Visita alla prova de l’isola Purpurea di Michail Bulgakov, 1968; Scontri generali, 1969-71), mentre amplia il proprio intervento attraverso le formule militanti e sperimentali dell’`animazione’ (laboratori nei quartieri operai di Torino, interventi in una scuola della campagna emiliana, ‘azioni’ teatrali con ragazzi in dodici centri dell’Abruzzo).

Nasce nel corso di quest’ultima esperienza, con Forse un drago nascerà (1972), l’immagine di un ‘teatro vagante’ che caratterizzerà per molto tempo la poetica di Scabia, sia come stimolo profondo sia come pratica di lavoro: un teatro pellegrino che si muove su percorsi estranei alle direttrici di maggioranza, modellato secondo l’antica consuetudine dei trovatori e intessuto di momenti rappresentativi e narrativi, che lo stesso autore si incaricherà di realizzare nelle sue ‘camminate’ (vere e proprie passeggiate a piedi, anche di più chilometri, trasformate, a seconda delle esigenze e del contesto, in apparizioni, evocazioni, visite, visioni, lettere). Questo lavoro acquista notorietà e risonanza, anche internazionale, lungo tutto l’arco degli anni ’70, quando Scabia è ideatore e anima di esperienze come Marco Cavallo (con i ricoverati e gli operatori dell’ospedale psichiatrico di Trieste, diretto allora da Franco Basaglia, 1972-73), Il gorilla quadrumàno (con gli studenti del Dams bolognese, presso cui è docente di drammaturgia, stimolati alla ricerca di un ‘teatro di stalla’ sulle montagne dell’Appennino emiliano, 1974-75), Il Diavolo e il suo angelo (con l’invenzione, nella Venezia del Carnevale, di una `nuova Commedia dell’Arte’, 1979).

Durante gli anni ’80, Scabia intensifica l’attività di teatrante-viandante e dà forma di ciclo alla sua scrittura. Riassorbendo Commedia armoniosa del cielo e dell’inferno (1971) e Fantastica visione (1973), il ciclo del `Teatro vagante‘ comincia a comporsi nei suoi diciannove testi, tra i quali Lettera a Dorothea (1980), Commedia del poeta d’oro con bestie (1982-87), Ma io insistetti per stare volando ancora un poco (seconda lettera a Dorothea, 1983), Lettere a un lupo (1983) , Cinghiali al limite del bosco (1983), Tragedia di Roncisvalle con bestie (1985), Gli spaventapasseri sposi (1985), Apparizione di un teatro vagante sopra le selve (1986-87). Vanno così scoprendosi, dentro una scrittura che l’autore stesso definisce ‘amorosa’, le costanti del suo immaginario narrativo: radici che affondano in un paesaggio italiano di boschi e di cieli, ma soprattutto nelle aie contadine della pianura padana, dalla cui tradizione orale, innestata al piacere della poesia e dell’affabulazione, si sviluppa nel corso degli anni ’90 la stagione letteraria di Scabia, segnata dai romanzi In capo al mondo (1990) , Nane Oca (1992) e dal libro di poesia e disegni Il poeta albero (1995), oltre che dal riallestimento di testi teatrali precedenti a cui si aggiungono, nel 1997, Gloria del teatro immaginario e Visioni di Gesù con Afrodite.

 

 

 

Lodovici

Carlo Lodovici fu uno dei principali esponenti del teatro veneto, che dimostrò di preferire a quello in italiano. Debuttò come attore nella compagnia di C. Baseggio, dove restò dal 1927 al 1936, frequentando soprattutto il repertorio goldoniano. Successivamente recitò con la compagnia del Teatro di Venezia e con S. Tofano. Nel dopoguerra esordì nella regia e riscosse notevoli consensi con gli spettacoli diretti per il festival di Venezia. Come autore vanno ricordate le sue commedie E Giuditta aprì gli occhi! (1949) e Gente alla finestra (1952).

Squarzina

Considerato fra i maggiori esponenti del teatro di regia italiano, Luigi Squarzina nel 1945 si laurea in legge e nello stesso anno si diploma all’Accademia nazionale d’arte drammatica di Roma, dove aveva seguito il corso di regia. Il suo saggio di fine corso del secondo anno (1943), una riduzione di Uomini e topi di Steinbeck, è il primo spettacolo teatrale rappresentato nella Roma liberata. Fra i suoi compagni d’Accademia divenuti celebri ricordiamo, oltre a Vittorio Gassman – con il quale Squarzina firma il primo Amleto apparso in Italia in edizione integrale (1952) – anche Adolfo Celi e Luciano Salce. Squarzina fa sua la cifra dell’Accademia damichiana: offrire testi fondamentali della drammaturgia in versione integrale e seguire con cura ogni fase della messinscena: “Il teatro che ci apprestavamo a costruire presentava forme simili a quelle del teatro di oggi, ma allora era una modalità nuova e poco frequentata, spesso temuta dal mondo teatrale dell’epoca che intendeva mantenere le sue antiche abitudini. Avviammo anche un processo di svecchiamento del repertorio ormai degenerato da decenni di censura fascista. Introducemmo numerosi testi stranieri, francesi, inglesi, americani che permisero un allargamento dell’orizzonte culturale e stimolarono nuove e più libere concezioni teatrali dopo tanti anni di dittatura. In Italia la regia nasce, dunque, come emblema di libertà, di indipendenza, di superamento delle costrizioni del passato”.

La personalità di Squarzina è caratterizzata – come egli stesso dice di sé nella voce dell’ Enciclopedia dello spettacolo – dall’eclettismo e dalla versatilità: studi giuridici, attività registica, impegno drammaturgico e universitario, produzione teorica con celebri saggi e studi (per esempio Da Dioniso a Brecht ), direzione di importanti teatri stabili (Genova, Roma); un impegno vario e multiforme, che in lui trova un rigoroso e coerente equilibrio. Il primo periodo registico – dopo la collaborazione iniziale con Orazio Costa (Giorni senza fine di O’Neill, 1946, compagnia Borboni-Randone-Carnabucci-Cei) – è segnato da uno spiccato interesse per la drammaturgia americana, pressoché sconosciuta in Italia: Erano tutti miei figli di Miller (1947), Un cappello pieno di pioggia di Vincent Gazo (1956), Anna dei miracoli di Gibson (1960) in cui debutta una Ottavia Piccolo ancora bambina. Contemporaneamente affronta opere difficili e originali; pensiamo a Tieste di Seneca (1953), interpretato da Gassman, testo solitamente ritenuto irrappresentabile che Squarzina invece allestisce con grande successo.

Gli anni ’50 segnano anche il passaggio alla scrittura drammaturgica: Tre quarti di luna, interpretato da Gassman e da un giovanissimo Luca Ronconi (1953), La sua parte di storia (1955), Romagnola (1957). Sono testi che mettono già in luce le intenzioni di Squarzina drammaturgo: promuovere l’impegno sociale e di denuncia, indagando la verità del rapporto tra l’uomo e la Storia. Il picco dell’attività registica di Squarzina è senz’altro rappresentato dalla lunga permanenza allo Stabile di Genova, una collaborazione nata da un avvicinamento graduale: come regista esterno allestisce Misura per misura di Shakespeare (1957) e Uomo e superuomo di Shaw (1961), spettacoli memorabili che portano S. a dirigere lo Stabile accanto a Ivo Chiesa dal 1962 al ’76. In questo lungo lasso di tempo, grazie anche alla soppressione della censura, S. compie scelte di repertorio prima impraticabili, come Il diavolo e il buon dio di Sartre (1962), allestimento che suscita reazioni e scandali. La struttura stabile consente di operare in libertà e disponibilità di mezzi, permettendo inoltre a Squarzina di avvalersi di uno strepitoso team di attori quali Alberto Lionello, Omero Antonutti, Franco Parenti, Lucilla Morlacchi, Lina Volonghi.

Nell’ambito dello Stabile di Genova Squarzina ha modo di approfondire la ricerca su Goldoni (“Avevo una gran paura di mettere in scena Goldoni, nonostante avessi già allestito I due gemelli veneziani (1963) che venne accolto molto favorevolmente dal pubblico, anche per merito di Lionello, e che fece il giro del mondo: ma per me era uno spettacolo poco impegnativo a livello di significato. Esitai, dunque, moltissimo quando venne dalla Biennale di Venezia la proposta di fare Una delle ultime sere di carnovale . Dopo averci pensato per mesi, accettai e da questo spettacolo, non prima, nacquero il mio amore sfrenato per Goldoni e il desiderio e la necessità di continuare con I rusteghi , La casa nova , Il ventaglio : spero di non abbandonare la ricerca su Goldoni perché non voglio estrarre il dito dalla piaga”), che proseguirà anche una volta lasciata Genova. Tale ricerca culmina con l’allestimento di Una delle ultime sere di carnovale (1968), che S. traduce in una suggestiva riflessione sul ruolo dell’intellettuale. S. inizia, inoltre, un lungo scavo nella drammaturgia pirandelliana ( Non si sa come , 1966; Questa sera si recita a soggetto , 1972; Il fu Mattia Pascal, 1974) e rivela un’attenzione vivissima verso la drammaturgia italiana moderna di Betti, Praga, Rosso di San Secondo, Banti.

Sempre negli anni genovesi si data un primo accostamento a Brecht – non scevro di una certa polemica verso Strehler, in quegli anni considerato il detentore dell’ortodossia brechtiana – con allestimenti di grande spessore: Madre Coraggio (1970) interpretato da Lina Volonghi, Il cerchio di gesso del Caucaso (1974). Infine, il rilancio in grande stile della tragedia classica con Le baccanti di Euripide (1968) che, realizzato alle soglie della contestazione, coglie l’eccezionalità del momento storico: il coro è, infatti, costituito da un gruppo di hippies e Dioniso incarna le nuove e perturbanti istanze del cambiamento. Nel 1975 S. diviene ordinario di Istituzioni di regia al Dams di Bologna, per passare in seguito alla romana Sapienza. Nel 1976 lascia lo Stabile di Genova per quello di Roma; qui lavora, in particolare, sulla drammaturgia elisabettiana (Volpone di Jonson e Timone d’Atene di Shakespeare) e su Brecht (Terrore e miseria del Terzo Reich). Dal 1983 sceglie la libera professione, continuando tuttavia a coltivare i propri interessi drammaturgici: Pirandello (Il berretto a sonagli; L’uomo, la bestia e la virtù; Tutto per bene; Come prima, meglio di prima; La vita che ti diedi), Goldoni (La locandiera e Il ventaglio), Shakespeare (Il mercante di Venezia), la drammaturgia classica (Oreste di Euripide, I sette contro Tebe di Eschilo).

Pur a contatto con differenti realtà teatrali, Squarzina mantiene la propria cifra stilistica, orientata al realismo e attraversata da tensioni storiche, sociologiche e psicoanalitiche. L’attività drammaturgica di Squarzina ha sempre affiancato l’impegno registico, ponendosi in diretta relazione con il proprio tempo, analizzandone le conflittualità, le crisi, i miti, le tensioni profonde, con uno stile che può mutare anche drasticamente da una pièce all’altra, per garantire una autentica aderenza alla realtà da narrare e per valutare criticamente gli strumenti espressivi prodotti dalla propria epoca. Il suo primo lavoro, L’esposizione universale (1948), che segue le vicissitudini di un gruppo di senzatetto, propone una narrazione corale, un affresco di storia contemporanea senza facili concessioni al patetismo. Il più celebre Tre quarti di luna (1952) discute la posizione dell’intellettuale nella società attraverso la vicenda di due studenti che indagano sul misterioso suicidio di un loro compagno. Il linguaggio dell’opera evita una funzione meramente illustrativa del reale, mescolando sapientemente squarci lirici a serrati dibattiti di idee. La sua parte di storia (1955) e Romagnola (1957) drammatizzano, invece, il mondo popolare e contadino. Il primo narra un fatto di cronaca nello scenario di uno sperduto paesino sardo; il secondo – definito dall’autore una `kermesse’ – illustra la partecipazione collettiva alla ricostruzione dopo il fascismo, attraverso la vicenda personale di Michele e Cecilia. L’opera, ritmata come una grande ballata popolare, è strutturata in dieci giornate e trenta quadri, rifiutando così la scansione convenzionale degli atti, in favore di una successione di quadri di sapore brechtiano.

A partire dagli anni ’60 emerge una duplice tendenza nella drammaturgia squarziniana e nella sua indagine critica sulla nostra identità storica e morale. Da un lato il dramma d’invenzione che, pur non estraneo al realismo, può attingere, anche in forma parodica, alle istanze dell’avanguardia (Emmetì , 1963), oppure giocare con le forme del grottesco per una satira di costume sociale (I cinque sensi, 1987), o anche miscelare a sorpresa l’elemento metafisico e il tono brillante di una commedia di costume (Siamo momentaneamente assenti, 1992). Dall’altro lato, il dramma-documento che risponde a finalità didattiche e affonda direttamente nella storia mediante la scrupolosa ricostruzione di eventi realmente accaduti (Cinque giorni al porto, 1969 e Rosa Luxemburg, 1974, scritti con Vico Faggi; 8 settembre, 1971, scritto con De Bernart e Zangrandi).

García Màrquez

Figura notissima della narrativa contemporanea (ricordiamo almeno Cent’anni di solitudine , 1967; Cronaca di una morte annunciata , 1981), tra i protagonisti del boom del romanzo latinoamericano degli anni ’60, premio Nobel per la letteratura nel 1982. Di professione giornalista, Gabriel García Màrquez ha soggiornato in Italia – dove ha frequentato il Centro sperimentale di cinematografia di Roma – in Messico, in Spagna, a Cuba – dove dirige corsi di cinematografia. In Colombia ha recentemente fondato una scuola di giornalismo. Lontano dal mondo del teatro, è autore di un unico testo drammatico, Diatriba di un uomo seduto (Diatriba de un hombre sentado), un monologo in cui una moglie in procinto di abbandonare il marito rivive le umiliazioni e le delusioni che l’hanno spinta a prendere quella decisione.

Kipphardt

Figlio di un’attivista della resistenza internato in campo di concentramento, Heinar Kipphardt deve interrompere gli studi (filosofia, medicina, teatro) a causa della guerra; quindi lavora come medico assistente a Düsseldorf e Berlino. Stabilitosi a Berlino est, dal 1950 al ’59 è attivo come `dramaturg’ al Deutsches Theater: con Decisioni (Entscheidungen, 1952) e Shakespeare cercasi con urgenza (Shakespeare dringend gesucht, 1953) vince il premio nazionale della Rdt. In seguito, accusato di revisionismo, si trasferisce a Monaco dove, a partire dal 1960, lavora come scrittore indipendente, ottenendo fra l’altro il premio Hauptmann. Nel 1970-71 è primo drammaturgo ai Kammerspiele, dove fa rappresentare autori come M. Fleisser e Horváth, influenzando la generazione di Kroetz e Fassbinder; per contrasti di natura politica non gli viene però rinnovato il contratto. È considerato il principale rappresentante in Germania del teatro documentario impegnato; a volte, come nel caso di Il cane del generale (Der Hund des Generals, 1962), ha riscritto i propri racconti in forma drammatica. Marxista, sostenitore della funzione politica del teatro, Heinar Kipphardt si definisce un figlio del nazionalsocialismo e della guerra; questo è anche l’orizzonte storico della maggior parte dei suoi lavori. L’ascesa di Alois Piontek (Der Aufsteig des Alois Piontek, 1954) è a un tempo satira del miracolo economico tedesco e ritratto di una generazione che accetta la barbarie senza combattere. Nel 1955 K. entra in relazione con Piscator, ritornato dal suo esilio, sentendosi a lui affine sia dal punto di vista estetico che politico; comunque, in diversi dei suoi lavori migliori, da Sul caso Oppenheimer (In der Sache J. Robert Oppenheimer), messo in scena da Piscator alla Volksbühne nel 1964, sino a Fratello Eichmann (Bruder Eichmann), che nel 1982 solleva forti polemiche, è sensibile l’influenza di Brecht. Muore lavorando al manoscritto finale di quest’ultima opera.

Porta

Per il teatro Antonio Porta ha scritto testi originali e adattamenti ( La stangata persiana ) portati sulla scena da registi quali Paolo Bessegato e Michele Perriera. Tra le sue creazioni, nutrite di quell’ironia spesso surreale che ne è cifra costituiva e sorrette da una particolare sensibilità nei confronti del linguaggio, si devono ricordare Stark (rappresentato a Roma, Teatro di via Belsiana 1968); Come se fosse un ritmo (dalla sua raccolta di versi “Cara”, portato in scena a Roma, Beat 72 1972); La presa di potere di Ivan lo sciocco (allestito a Milano, Teatro Uomo, 1974), L’elogio del cannibalismo (1977), Fuochi incrociati (Milano, Centro Internazionale di Brera 1982), Pigmei, piccoli giganti d’Africa (Palermo 1985), La festa del cavallo (1986) e Salomé, le ultime parole , recentemente allestita a Salerno per la regia di Valeria Patera (1994).

Fugard

Athol Fugard studia a Port Elizabeth e a Città del Capo (filosofia). Viaggia a lungo per il mondo facendo i più svariati lavori. Nel 1956 sposa Sheila Meiring, attrice e scrittrice, con cui comincia a recitare e a scrivere per il teatro fondando la compagnia Circle Players. Nel 1959 produce No-Good Friday , scritto per un gruppo interraziale nel quale vengono adottate le tecniche recitative dell’Actors Studio di New York. Lavora anche in Europa (1960-61) interagendo col teatro underground e il teatro povero di Grotowski. Come regista mette in scena drammi di Beckett, Brecht, Büchner, Camus, Genet, Machiavelli, Sofocle e Soyinka con la sua nuova compagnia, i Serpent Players. Tra i suoi lavori drammatici, Il nodo di sangue realizzato nel 1961, Ciao e arrivederci nel 1965 e Boesman e Lena nel 1968, costituiscono la `trilogia di Port Elizabeth’. Successivamente sono state rappresentate: The Coat , nel 1966, e People Are Living There nel 1968, stesso anno in cui la Bbc mandò in onda il radiodramma Millemiglia dedicato alla mitica corsa automobilistica italiana. Nel 1972 F. realizza la sua seconda e più importante trilogia: Sizwe Bansi è morto , che definì «il più efficace atto d’accusa contro l’apartheid» (storia di uno scambio d’identità); L’isola , sui dialoghi di due detenuti che discutono della messa in scena di Antigone intrecciandola alle storie dei film che hanno visto; e Statements after an Arrest under the Immorality Act sulla vita di una coppia mista che fa dell’incontro affettivo e sessuale un luogo di riflessione sulla segregazione razziale. Dimetos (1975) è il suo primo testo che esce dai temi legati alla sua terra per affrontare l’incesto. Seguono: The Guest (1977), sull’artista sudafricano Eugene Marais e la sua dipendenza dall’eroina; A Lesson from Aloes (1978) in cui fa esplodere i conflitti di coppia di una famiglia della media borghesia inglese e l’autobiografico `Master Harold’ and the Boys (1982). Gli ultimi lavori sono The Road to Mecca (1984) e A Place with the Pigs (1988). F. ha coltivato anche interessi cinematografici girando anche alcuni film, fra gli altri: Boesman and Lena (1974) e Marigolds in August (1979) e ha recitato in film altrui, fra cui: Gandhi di Attemborough (1982).

Mann

Thomas Mann nasce da una famiglia agiata, fratello di Heinrich con il quale intrattiene per tutta la vita un rapporto intenso e conflittuale; riceve nel 1929 il premio Nobel per la letteratura. Dal 1933 costretto all’esilio, si rifugia negli Stati Uniti. Per il teatro scrisse una sola opera, il dramma Fiorenza, pubblicato nel 1905. Fu portato sulle scene in ritardo e raramente: nel 1907 per la prima volta a Francoforte, nel 1908 a Monaco, nel 1913 a Berlino da Reinhardt, nel 1918 a Vienna. Ambientato nella Firenze di Savonarola, sviluppa il tema della lotta tra spirito e arte, del valore etico della concezione etica. Stroncata dal critico teatrale Alfred Kerr, nel complesso ebbe un limitato successo. M. scrisse inoltre numerosi saggi critici sul teatro, pronunciò un discorso sul teatro in occasione del festival di Heidelberg (1929) e fu autore di studi dedicati ad autori teatrali, specialmente a Schiller e a Wagner.

Sartre

Insignito nel 1964 del premio Nobel (che rifiuterà), propugnatore dei grandi temi dell’esistenzialismo (fortunata corrente di pensiero che in Francia permea non solo la filosofia e la letteratura, ma tutte le arti), Jean-Paul Sartre ha sempre posto al centro della sua riflessione il tema dell’uomo e della sua ricerca di libertà: un `libero arbitrio’ individuale, una misura fondamentale dell’esistenza alla quale rapportarsi. Il suo primo dramma, Le mosche (Les mouches), messo in scena da C. Dullin nel 1943, in piena occupazione nazista – in cui riprende il grande tema dell’Orestea secondo l’ottica di una saga familiare segnata dal delitto e dalla colpa -, è scritto negli stessi anni in cui S. compone un importante saggio filosofico, L’essere e il nulla (L’être et le néant, 1943), e dopo il romanzo-manifesto La nausea (La nausée, 1938).

Come i due testi citati, anche Le mosche è un testo-manifesto: vi si dibattono i temi di una guerra non solo familiare ma civile, che giustifica il matricidio di Oreste, il quale si assume responsabilmente il compito di vendicare l’uccisione del padre assassinando – contro ogni legge, che non sia quella di una superiore spinta morale – la madre traditrice. Fra il 1945 e il 1946 Sartre scrive altri drammi, da A porte chiuse (Huis clos, 1945), dove la situazione claustrofobica mette a nudo come la vita dei protagonisti – un uomo e una donna che cercano di accaparrarsi l’amore di una giovane – subisca dei condizionamenti reciproci, a La sgualdrina timorata (La putain respectueuse) e Morti senza sepoltura (Morts sans sépulture), entrambi del 1946.

Con Le mani sporche (Les mains sales, 1948) S. analizza ancora una volta, nella figura del giovane Hugo, il contrasto fra le leggi della politica e l’idealismo personale. In Il diavolo e il buon Dio (Le diable et le bon Dieu, 1951), attraverso il personaggio goethiano di Goetz von Berlichingen, che percorre le scelte opposte della santità e della perversione, S. mostra come tutto, anche la scelta del proprio destino, sia condannato al relativo. Nekrassov (1955), invece, è una violenta satira contro l’anticomunismo dilagante al tempo della guerra fredda, mentre in I sequestrati di Altona (Les séquestrés d’Altona, 1959) – attraverso la vicenda di un ex ufficiale nazista che, dopo essersi nascosto per anni nella soffitta della casa del padre ad Altona, sceglie di suicidarsi non appena si rende conto che il mondo seguito al conflitto rifiuta la responsabilità degli eventi, scegliendo di essere senza memoria – mette ancora una volta in scena il contrasto fra responsabilità collettiva e responsabilità del singolo.

Importante – oltre a quello di sceneggiatore per il cinema – è il lavoro di riscrittura operato da Sartre su alcuni classici: in particolare sulle Troiane di Euripide (1965) e su Kean, dall’opera di Dumas padre, che ha per protagonista il grande attore ottocentesco inglese Edmund Kean, rappresentato nella basilare contraddizione di genio e sregolatezza.

Claudel

L’incontro con Rimbaud e con la fede cattolica nello stesso anno 1886 illumina la strada del giovane Paul Claudel, un uomo che, sul finire del XIX secolo, si dice disperato dal clima intellettuale in cui trionfa il positivismo materialista. Paul Claudel comincia a frequentare i martedì di Mallarmé, a trasporre Eschilo (l’Agamennone) e Shakespeare, ad apprezzare – pur prendendone le distanze – il dramma simbolista di Villiers de l’Isle-Adam e poi di Maeterlinck. Negli anni Novanta pubblica le sue prime pièces teatrali, Testa d’oro (Tête d’or), dramma di un conquistatore che muore per essersi ingannato sulla terra promessa (il testo troverà il suo primo e migliore allestimento nel 1959, al Théâtre de France, per la regia di Jean-Louis Barrault; nel 1980 la rappresentazione, voluta dal regista Daniel Mesguich, è ostacolata dagli eredi di Paul Claudel) e La città (La ville), ambientata nella Parigi della Comune, la cui minaccia di distruzione diviene simbolo della minaccia di distruzione dell’uomo che non vuole conoscere Dio (La città sarà portata in scena per la prima volta nel 1955, con la regia di Jean Vilar). Ai primi due drammi seguono, fra il 1892 e il ’96, Lo scambio (L’échange; rappresentata nel 1914 da Jacques Copeau al Vieux-Colombier), La jeune fille Violaine – versione iniziale di L’annuncio a Maria (L’annonce faite à Marie), il primo testo teatrale di C. messo in scena (1912, Théâtre de l’Oeuvre, regia di Lugné-Poe) – e Il riposo del settimo giorno (Le repos du septième jour). Nel 1890 ha anche inizio la carriera diplomatica di Paul Claudel: dapprima console negli Stati Uniti, in Cina e in Brasile, sarà anche ambasciatore a Tokyo (1921-26).

In Cina incontra Rose Vetch, la donna sempre amata e vagheggiata, che troverà una trasposizione letteraria nel personaggio di Ysé in Partage de midi (1906). Quest’opera, che ha al centro il doppio nucleo tematico dell’adulterio e della lotta fra la vocazione religiosa e il richiamo della carne, inaugura l’entrata in scena del solo, vero personaggio drammatico secondo Paul Claudel: Dio (nel 1927, al Théâtre Alfred Jarry, A. Artaud, R. Aron e R. Vitrac proporranno, scandalizzando i surrealisti, il terzo atto del Partage de midi , senza l’autorizzazione di Paul Claudel). Intanto il lavoro sulla trilogia di Eschilo prosegue e si precisa: nasce il progetto di musicare il testo poetico tradotto, in collaborazione con Darius Milhaud, già autore delle musiche di scena per Agamemnon (1914) e Les Choéphores (1915) e segretario di Paul Claudel durante il soggiorno a Rio de Janeiro (1917-18); frutto di una gestazione decennale, arricchita da altre esperienze comuni (l’opera-oratorio Christophe Colomb , Berlino 1930), L’Orestiade sarà rappresentata, nelle sue tre parti, soltanto dopo la morte del poeta (Berlino 1963).

A partire dal 1908 Paul Claudel elabora il disegno di un dramma ambientato nel XIX secolo, non più simbolico – ossia immagine della sofferenza interiore – ma `tipico’, che diventi cioè «illustrazione rigorosamente concepita della vasta Azione esteriore». Nasce così la trilogia costituita da L’ostaggio (L’otage; rappresentata nel 1914, regia di Lugné-Poe, con Eve Francis nel ruolo di Sygne de Coûfontaine), narrazione immaginaria dei rapporti fra papa Pio VII e Napoleone; Il pane duro (Le pain dur), ambientata trent’anni dopo, sotto il regno di Luigi Filippo (da segnalare l’allestimento di Gildas Bourdet al Centre dramatique national di Lilla, 1984); infine, Il padre umiliato (Le père humilié): la protagonista – una giovane cieca, figlia del parricida Luigi-Napoleone Turelure, alla ricerca della fede, la trova infine nella rinuncia di sé. Il tema annuncia quello che sarà il cuore dell’opera monumentale di Paul Claudel, Lo scarpino di raso (Le soulier de satin, 1919-24). Qui la scena si allarga all’universale, in tutte le sue dimensioni; i protagonisti, Rodrigue e Prouhèze, troveranno un senso alla loro ricerca nel sacrificio dell’amore in nome della fede. Pièce che si vuole totalmente estranea alla convenzione realista, Lo scarpino di raso presenta – anche a livello scenico – grandi innovazioni: l’improvvisazione svolge un ruolo preminente e le scene si susseguono a vista. Il primo allestimento (in versione ridotta) è del 1943, alla Comédie-Française, per la regia di Barrault (che la riprenderà nel 1949, 1958, 1963 e nel 1980 al Théâtre d’Orsay). La prima rappresentazione integrale dell’opera non è teatrale, ma cinematografica e si deve a Manoel de Oliveira (1982); risale invece al 1987 l’integrale teatrale – prima ad Avignone, poi al Théâtre national de Chaillot – firmata da Antoine Vitez (scene e costumi di Yannis Kokkos), il quale tenta, nel suo allestimento, di mettere in pratica la massima di Paul Claudel: «il dramma è un sogno diretto».

Infine Ida Rubinstein, nel 1934, commissiona al drammaturgo francese e al compositore Arthur Honegger un’opera vicina ai Misteri medioevali, tratta dagli atti del processo a Giovanna d’Arco; ne nasce, dopo molte esitazioni da parte di Paul Claudel, l’oratorio drammatico Giovanna d’Arco al rogo (Jeanne d’Arc au bûcher), rappresentato – dopo una prima esecuzione in forma di concerto, Basilea 1938 – nel 1942 a Zurigo. Due sono i tributi postumi offerti a Paul Claudel, degni di nota per la loro estraneità ai circuiti del teatro recitato: il 27 marzo 1989, durante il periodo pasquale, la televisione francese programma a mezzogiorno lo spettacolo integrale di Vitez; nel 1985 il compositore Pierre Boulez tributa un omaggio all’opera claudeliana con Le dialogue de l’ombre double.

Antonelli

Luigi Antonelli fu considerato, assieme a Rosso di San Secondo, Luigi Chiarelli, Enrico Cavacchioli, il fondatore del ‘teatro del grottesco’, una formula che venne applicata, quasi indistintamente, e che coinvolse anche Pirandello. In verità, ciascuno svolse una propria strada, cercando di stravolgere, dal di dentro, certi risultati della commedia borghese. Luigi Antonelli lo fece con L’uomo che incontrò se stesso (1918), un testo, a dire il vero, assai bizzarro, un’avventura fantastica, come un’avventura colorata era stata quella di La bella addormentata di Rosso di San Secondo. Al centro c’è un quarantenne che, grazie a delle arti magiche, può vedere se stesso ventenne e quindi ripercorrere, a ritroso, vent’anni della sua vita. Protagonista fu Antonio Gandusio, un attore certamente adatto a creare forme diverse di comicità. Seguirono La fiaba dei tre maghi (1919), protagonista sempre Gandusio; I diavoli nella foresta (1920), Compagnia Talli; L’isola delle scimmie (1922), Compagnia Borelli-Ruggeri-Talli; Il basso in fa (1924), Compagnia Gandusio; La casa a tre piani (1924), Compagnia Gramatica. Fu un autore prolifico, rappresentato fin negli anni ’40, ed ha lasciato testi inediti per la scena. La sua fortuna si è interrotta nel secondo Novecento, se ne ricordano più gli studiosi che i teatranti. Fu anche critico drammatico sul “Giornale d’Italia” per il quale collaborò per circa un decennio.

Manganelli

Autore di saggi, di romanzi, di racconti, di trattati e di commenti, con il suo sperimentalismo letterario sorretto da una profonda cultura e inventiva stilistica, Giorgio Manganelli è figura di grande rilievo del secondo Novecento italiano. Il suo primo testo è scritto direttamente per il teatro: si tratta di Hyperipotesi, rappresentato a Palermo per il convegno di fondazione del Gruppo ’63, di cui egli fu uno degli artefici. Successivamente, oltre a una serie di traduzioni per la scena, la sua attenzione per il teatro si affievolisce. Nel 1966, a Genova, presso il Teatro di piazza Marsala, viene allestito Teo o l’acceleratore della storia. Dell’anno successivo è la stesura di Monodialogo. Il funerale del padre – grottesco colloquio tra due uomini che, seguendo il funerale dei rispettivi padri, ammettono di esserne stati gli assassini – viene messo in scena a Napoli, al Teatro Esse, nel 1972, per la regia di Gennaro Vitiello. Cassio governa Cipro, rilettura capovolta – all’insegna dell’ironia destabilizzante – dell’ Otello scespiriano, allestito al Petrolchimico di Marghera in occasione della Biennale di Venezia nel 1975, è probabilmente l’opera che ha ottenuto maggiori riscontri. Nel corso dello stesso anno è stato trasmesso anche l’originale radiofonico In un luogo imprecisato . Non rare sono state le operazioni di adattamento per le scene di opere narrative di Manganelli, quale il monologo curato da Cherif a Firenze e a Todi tratto da Rumori e voci e la recente riduzione di Centuria proposta da Gioele Dix a Milano (1997) .

Burian

Dopo gli studi musicali presso il conservatorio di Praga, nel 1928-29 Emil František Burian fece parte del gruppo Devetsil e del Teatro Liberato. Esordì nella regia con le `riviste di vagabondi’ (trampské revue) per il teatrino Dada na Slupi. Regista e drammaturgo per i principali teatri praghesi, nel 1934 fonda un proprio teatro a Praga, il Divadlo 34, in cui vennero realizzati testi dei principali autori dell’avanguardia poetica ceca e adattamenti dei classici della drammaturgia europea. Nel 1941 Emil František Burian venne deportato dai nazisti e il teatro chiuso, per riaprire nel 1945. Scopritore dell’antico teatro popolare ceco, attento studioso del linguaggio teatrale secondo i canoni del `poetismo’, Burian fu uno dei registi più importanti dell’avanguardia ceca. Fra gli elementi fondamentali della sua poetica sono l’articolazione della partitura verbale con modalità musicali (regia come orchestrazione) e l’uso lirico delle luci, con cui veniva costruito lo spazio della scena e dell’azione (particolarmente significativa in questo senso la regia di Romeo e Giulietta, nell’adattamento Il sogno di un prigioniero, 1946, in cui la luce creava le scene come inquadrature delimitate da dissolvenze).

Canetti

Nato da genitori ebrei sefarditi, Elias Canetti trascorre la sua adolescenza e prima maturità in Svizzera, Germania e soprattutto in Austria; dal 1938 si trasferisce a Londra. La produzione di Canetti è varia e comprende un romanzo (Auto da fé), un’autobiografia intellettuale, numerosi saggi (tra cui Massa e potere ), raccolte di aforismi e tre opere teatrali: Nozze (Hochzeit, 1932), La commedia della vanità (Komödie der Eitelkeit, 1934), Vite a scadenza (Die Befristeten, 1952). Nel 1978 viene rappresentata con successo a Basilea La commedia della vanità , allestita da Hans Hallmann, lo stesso regista che successivamente mette in scena gli altri drammi, a Vienna e a Stoccarda. Nel 1981 gli viene conferito il Premio Nobel per la letteratura. In tutte e tre le opere teatrali viene rappresentato un soggetto che, costruendo difese contro tutto ciò che può minacciare la propria precaria esistenza, si vota però all’autodistruzione. In Nozze il crollo per terremoto di una casa rappresenta l’apparente liberazione dai divieti, ma tale situazione spinge i personaggi ad abbandonarsi a un distruttivo e anonimo furore erotico. In La commedia della vanità, al decreto che mette al bando specchi e fotografie, che proibisce ogni compiacimento della vanità, segue il mortifero intreccio tra rabbia autopunitiva, rigore puritano e narcisismo e amore di sé ingigantito e pervertito dalla proibizione. In Vite a scadenza l’angoscia prodotta dalla minaccia della morte viene eliminata facendo credere a ciascuno che la data della propria morte sia già scritta in una capsula che ciascuno porta al collo; tuttavia essa si rivela vuota, e tale certezza effimera.

Horváth

Proveniente da una famiglia della piccola nobiltà ungherese, figlio di un diplomatico, Ödön von Horváth studiò filosofia, teatro e germanistica a Monaco. Pubblicò le prime poesie nel 1919 sulle riviste “Simplicissimus” e “Jugend” e, a partire dal 1923, visse come scrittore indipendente a Murnau. Il suo primo lavoro teatrale fu Belvedere (Zur schönen Aussicht, 1926); nel 1927 esordì sulle scene col dramma Revolte auf Côte 3018 . Nel 1929 la prima rappresentazione di Sladek (Sladek oder Der schwarze Reichswehrmann), che trattava dell’assassinio di un socialista a Weimar, provocò forti contrasti tra il pubblico. Nel 1931 gli venne conferito il premio Kleist, a conferma di una vasta popolarità e di un largo riconoscimento. Le sue commedie, in cui si può riconoscere l’influenza di Nestroy, sono animate da una raffinata ironia: il sentimentalismo è usato con un certo compiacimento, un certo gusto del kitsch, allo scopo di creare un contrasto tra le aspirazioni ideali della gente comune e la brutale realtà di una società in fase di disgregazione. La corruzione dei valori culturali viene rappresentata attraverso i cliché del linguaggio e i luoghi comuni che caratterizzavano l’epoca, come i valzer di Strauss e l’Oktoberfest. Horváth è considerato il primo esponente della commedia popolare (Volksstück) moderna. Opere come Notte all’italiana (Italienische Nacht, 1930), Storie del bosco viennese (Geschichten aus dem Wiener Wald, 1931), Kasimir e Karoline (Kasimir und Karoline, 1932) prefigurarono, a un tempo condannandolo, l’avvento ormai prossimo del regime dittatoriale, attirando su H. l’odio dei nazionalsocialisti. Nel 1934 fu costretto a emigrare a Vienna e nel 1938 in Svizzera. A Parigi, dove si trovava per la riduzione cinematografica del suo romanzo Gioventù senza Dio (Jugend ohne Gott), ultimato l’anno precedente, morì colpito dal ramo di un albero schiantatosi durante un temporale. La sua produzione drammatica, a lungo dimenticata, è stata poi riscoperta con numerosi allestimenti, soprattutto a partire dalla fine degli anni ’70.

Tzara

Insiema a Huelsenbeck e Arp, Tristan Tzara fonda nel 1916 a Zurigo il movimento dada. Con le sue creazioni ispirate all’irrazionale caoticità dell’esistere, Tzara propone un nuovo linguaggio libero dai vincoli delle sue strutture logiche che sappia manifestare l’essenza della poesia che è gioco e divertimento. Ne La premiére e poi La deuxiéme aventure céléste de M. Antipyrine presenta una serie di collages verbali sovrapposti senza una coerente logica interna; ne Le coeur à gaz (1921) fa un uso iterato dei luoghi comuni e delle banalità attaccando in maniera palese le basi della scrittura drammatica. Tra gli altri suoi scritti dada: Venticinque poesie (1918), Sette manifesti dada (1924), Mouchoir de nuages (1924). Trasferitosi a Parigi collabora al movimento surrealista dal 1929 al 1934. Scrive L’uomo approssimativo (1930), Mezzogiorni guadagnati (1939), Il surrealismo e il dopoguerra (1947, pubblicazione di una serie di conferenze).

Vargas

Dal 1955 al 1960 Enrique Vargas studia drammaturgia, regia e recitazione alla Scuola nazionale d’arte drammatica di Bogotà. Dal 1960 al 1966 studia antropologia teatrale al Kalamazoo College nel Michigan. Dal 1966 lavora come regista al Cafe La Mama di New York realizzando le opere New York attraverso il naso e Cuchifrito, che portano il segno della ricerca di un linguaggio del corpo forte. Nel 1967 riceve il primo premio del Festival di teatro dell’Expo in Canada. Dal ’68 al ’72 lavora come direttore e drammaturgo per il Gut Theatre ad East-Harlem a New York. Dal 1972 al ’75 si occupa di drammaturgia di animazione dell’oggetto presso il Teatro centrale di Praga.

Dal 1975 al 1996 è professore del Taller de investigacion de la imagen dramatica di Santafè di Bogotà centrando il suo lavoro sulle relazioni tra gioco infantile, il rituale e i miti delle comunità indigene della regione amazzonica colombiana. Ha ricevuto altri importanti premi durante gli ultimi anni: premio nazionale di Drammaturgia in Colombia nel 1988, primo premio Salon nacional de artes plasticas in Colombia nel 1992, il premio Tucan de Oro al Festival di teatro di Cadice nel 1993, il premio Unesco 1995 per la ricerca teatrale. Ha collaborato con il quotidiano “El Espectador”, ha pubblicato i saggi: Rito, Mito y Juego, Tiempos de Metafora, Imagen sensorial e Investigacion y la busqueda de lo no dicho.

Svolge da molti anni un’attività permanente di ricerca, creazione e formazione che comprende laboratori, seminari e messe in scena sulla drammaturgia dell’immagine sensoriale. Le sue ricerche si sono concentrate principalmente sulla relazione tra mito, gioco e rito in contesti basati sul linguaggio dell’oscurità, del silenzio e della solitudine. Negli ultimi anni Vargas ha realizzato una trilogia, Sotto il segno del labirinto , che comprende: Il filo di Arianna, La fiera del tempo vivo e Oracoli, tutti realizzati fra il 1990 e il 1996. Lo spettatore viene invitato a entrare in percorso in cui – oltre a seguire un testo – è costretto a esplorare forti suggestioni che rimandano a archetipi dionisiaci.

Moscato

Capofila della ‘nuova drammaturgia napoletana’ degli anni ’80, Enzo Moscato ha segnato questa stagione con prove come Embargos (premio Ubu 1994), Rasoi (premio della Critica italiana, Biglietto d’oro Agis) e con drammi, commedie, monologhi che da Festa al celeste e nubile santuario , a Pièce Noire , Occhi gettati , Cartesiana , Partitura , fino ai recenti Mal-d’-Hamlé (1994), Recidiva (Biennale di Venezia, 1995), e Lingua, carne, soffio (Santarcangelo, 1996), esplorano con audacia e sensibilità una pluralità di registri linguistici e idiomatici arcaici e contemporanei. Partendo dalla contraddittoria e complessa realtà sociale partenopea, e cercando nella contaminazione la forma di una modernità espressiva, aspira a un `teatro di poesia’ di ascendenza pasoliniana, con rimandi a Genet, Artaud e ai `maledetti’ (tra cui Rimbaud, `musa’ del recente Acquarium Ardent e oggetto di studio in un saggio di carattere semiotico pubblicato in precedenza). Premio Riccione-Ater, premio Ubu nell’88 come nuovo autore, Oscar della radio italiana e primo premio al Festival internazionale di Radio Ostankino (Russia), ha tradotto Ubu re di Alfred Jarry, e ha lavorato anche nel cinema con Mario Martone in Morte di un matematico napoletano (1992), con Pappi Corsicato in Libera (1993), e con Raul Ruiz in Il viaggio clandestino (1993) .

Wilcock

Argentino di origine anglosassone come J.L. Borges, al quale lo accomunano diversi tratti caratteristici, nei suoi lavori per il teatro Rodolfo Wilcock riuscì a fondere la vena fantastica, lirica e barocca con quella neoilluminista. Alta scrittura e osservazione critica della realtà vanno di pari passo nella sua produzione, dove i fatti appaiono spesso trasfigurati in dati assoluti. Tradusse, tra l’altro, l’opera completa di Marlowe e il Riccardo III di Shakespeare (per il celebre allestimento di L. Ronconi, Torino 1968), lasciando un’impronta fondamentale nell’uso della metrica. Alla sua fortuna come autore non sempre corrisposero allestimenti adeguati. Critico teatrale, collaborò con “Sipario” e “Il Mondo”. I titoli: Il Brasile (1960), Persone (1961), Contro-happening (1964), La donna aggiornata, madre Laura (1964), La famiglia (1965), La caduta di un impero (1967), L’agonia di Luisa (1967), Giulia Donna (1971), L’abominevole donna delle nevi (1975).

Turrini

Fino al 1971 Peter Turrini si dedica a lavori occasionali, tra cui la direzione di un hotel in Italia. Infine si stabilisce a Vienna dove lavora come scrittore indipendente e vince numerosi premi, tra cui il premio Gerhart-Hauptmann nel 1981. Con un un taglio popolare e contemporaneo e l’impiego del dialetto, T. scrive opere di critica sociale dura e provocante. Autore oltremodo audace, nei suoi testi, spesso autobiografici, narra con molta arte, o anche senza, storie che chiunque altro preferirebbe tenere per sé, passando dal simbolismo più rarefatto a un realismo di livello quasi pornografico. È un teatro dell’orrore e del sentimento scritto da un inquietante poeta austriaco sulla sua patria e sulla sua gente che odia e che ama. Opere come Rozznjogd (1968), Kindsmord (1973), Campiello (1982), Tod und Teufel (1990), Grillparzer im Pornoladen (1993), con il loro radicale pessimismo, hanno offerto alla nuova scena europea un raro esempio di intelligenza e di senso del teatro.

Koltès

A ventidue anni Bernard-Marie Koltès interpreta con alcuni amici un suo testo, Les amertumes, ispirato a Infanzia di Gor’kij. Nei primi anni ’70 studia alla scuola di regia del Teatro nazionale di Strasburgo e mette in scena La marche , Procès ivre e Récits morts . Subito dopo, grazie all’interessamento di Lucien Attoun che ne intuisce il talento, vengono trasmessi alla radio L’heritage (1972) e Voix sourdes (1974). Nel 1977 a Lione va in scena Salinger, ispirato ai romanzi dello scrittore americano; nello stesso anno Bernard-Marie Koltès presenta al festival off di Avignone il monologo La nuit juste avant les fôrets, notato da Richard Fontana, che quattro anni dopo lo interpreterà al Petit Odéon di Parigi. Nel 1979 scrive Combat de nègre et de chien, di cui viene effettuata una lettura scenica. Con questo testo inizia la fondamentale collaborazione con il regista Patrice Chéreau, che mette in scena lo spettacolo al Théâtre des Amandiers di Nanterre nel 1983. Sempre Chéreau cura la regia delle pièce successive di Bernard-Marie Koltès: Quai Ouest (1986); Dans la solitude des champs de coton (1987), in cui lo stesso Chéreau interpreta la parte del `dealer’ (questo spettacolo è stato ospitato nel 1995 al Teatro Franco Parenti di Milano); Le retour au désert (1988), messo in scena al Théâtre Renaud-Barrault di Parigi. Nel frattempo viene pubblicato il suo unico romanzo, La fuite à cheval très loin dans la ville (1984), scritto nel 1976. Sono degli anni seguenti un atto unico, Tabataba (1986), e la traduzione di Racconto d’inverno di Shakespeare (1988, messo in scena da Luc Bondy). Poco prima della prematura scomparsa scrive la sua ultima opera, Roberto Zucco, rappresentata alla Schaubühne di Berlino nel 1990 con la regia di Peter Stein. La localizzazione imprecisata delle pièce di Bernard-Marie Koltès allude a una dimensione diacronica, in cui i personaggi accedono allo spazio del mito, popolato da figure simboliche che, pur trovandosi al di fuori del tempo storico, hanno molto da dire sul mondo contemporaneo. Bernard-Marie Koltès affronta direttamente il dramma dell’emarginazione, della solitudine, della perdita d’identità (emblematica è a tale proposito l’impossibilità di comprendere, in Dans la solitude des champs de coton, chi sia la vittima e chi il carnefice, in una sfida in cui le parti si invertono in continuazione).

Il suo teatro vive della straordinaria potenza della parola, cifra paradossale dell’incomunicabilità, che allontana irrimediabilmente gli uomini; ma è sempre attraverso il linguaggio che Koltès opera la trasformazione della violenza in poesia (come avviene nei quindici quadri che scandiscono Roberto Zucco, dove l’assassino protagonista di un fatto di cronaca si eleva a eroe tragico).Tra i suoi testi portati in scena in Italia ricordiamo: nel 1984 Quai Ouest, spettacolo-laboratorio di Cherif, presentato alla Biennale di Venezia, presso i cantieri navali della Giudecca; Negro contro cane , messo in scena a Torino dal Gruppo della Rocca, per la regia di M. Missiroli; Fuga – dal romanzo Fuga a cavallo lontano dalla città (La fuite à cheval très loin dans la ville) – e L’ultima notte, due studi presentati come omaggio all’autore a Santarcangelo nel 1991, con la regia di A. Adriatico; Tabataba, messo in scena nel 1992 allo Spaziouno di Roma (regia di M. Gagliardo); Nella solitudine dei campi di cotone, nella traduzione italiana di Ferdinando Bruni in due diverse edizioni, entrambe nel 1992: a Milano al Teatro dell’Elfo (regia di Enzo G. Cecchi) e a Roma al Teatro dei Satiri, con la regia di Cherif e le scene di Arnaldo Pomodoro (spettacolo ripreso nel 1998 a Benevento, protagonisti E. Fantastichini e A. Iuorio); e ancora Roberto Zucco , allestito nel 1992 al Teatro di Genova (regia di M. Sciaccaluga e F. Branciaroli, quest’ultimo anche interprete principale) e nel 1995 al Teatro dell’Elfo (regia di E. De Capitani).

Bordon

Laureato in Legge, Furio Bordon ha lasciato la professione forense a 25 anni per dedicarsi all’attività di narratore (quattro romanzi), drammaturgo (ha vinto il Premio Idi nel ’94), sceneggiatore (al cinema ha lavorato con V. Zurlini) e regista teatrale: Tradimenti di H. Pinter con Bonacelli-Bacci; Lo zoo di vetro di T. Williams con P. Degli Esposti, Oblomov da Goncarov con G. Mauri e T. Schirinzi, La vita xe fiama di Marin con G. Moschin, Amici, devo dirvi da D. M. Turoldo con R. Sturno. Dal 1988 al 1992 ha diretto il Teatro stabile del Friuli Venezia Giulia (che gli aveva allestito la prima commedia). Tra le opere, Giochi di mano (1974), Il canto dell’orco (1985), Il favorito degli dei (1988), La città scura (1994), Le ultime lune , addio al palcoscenico di M. Mastroianni, prodotto nella stagione 1996-97 dal Teatro stabile del Veneto con la regia di G. Bosetti.

Testoni

Nel suo primo periodo Alfredo Testoni si dedicò a lavori di tipo sperimentale. Scrisse anche per il teatro in dialetto, riscuotendo notevoli consensi nell’ambiente bolognese, di cui mise in scena i costumi. Vanno ricordati i lavori: El trop è trop (1878), Insteriari (Stregonerie, 1881), Scuffiareini (1882, dove si riscontra una forte influenza di Giacosa e Gallina), I Pisuneint (Gli inquilini, 1883, commedia dichiaratamente comica), Acqua e ciaccher (1899), El noster prossum (1910), Quand a j era i franzis (1926), El fnester davanti (1927). Dopo i primi segnali nella stesura di Quel certo non so che (1902), la sua vena comico-pochadistica emerse appieno con Il cardinale Lambertini (1905 nella versione italiana e 1931 nella versione dialettale, il suo vero successo, che fornì anche tre soggetti per il cinema), dove viene esaltata l’arte della mediazione, su uno sfondo fatto di moralità e malizia, di tipico ambiente bolognese. La commedia venne interpretata da grandi attori, tra i quali Zacconi e Cervi.

Moretti

Mario Moretti è stato ordinario di lingua francese in Italia e lettore d’italiano all’Università di Stoccolma. Ha ricoperto ruoli dirigenziali in vari enti teatrali ed è tra i più attenti ed entusiasti valorizzatori della drammaturgia italiana, di cui si è fatto promotore anche all’estero. Ha fondato e diretto alcuni teatri romani, tra cui quello dell’Orologio. Fonti per la sua vasta produzione sono state la storia, la cronaca, la letteratura e il mito, trasposte sulla scena attraverso i più svariati generi, tra cui la prediletta commedia musicale. Tra i suoi testi si ricordano: Stivali sulla Grecia (1967), Processo a Giordano Bruno (1969), La rivoluzione di fra Tommaso Campanella (1972), Il testamento di Allende (1973), I terroristi (1982), Raccontare Nannarella (1986), Viktor e Viktoria, Una donna in Vaticano , Isola di nessuno (1986-1987), Amerika (1996). Ha collaborato alla sceneggiatura del film Giordano Bruno di G. Montaldo.

Genet

Jean Genet divenne famoso, in Francia e nel mondo, grazie agli epiteti di santo e martire con cui lo definì Sartre, nel titolo del suo voluminoso e provocatorio saggio. Scrittore ‘maledetto’ per vocazione e vita vissuta, attraverso i suoi romanzi in parte autobiografici in parte opere di sfrenato simbolismo, ha raccontato l’esperienza della casa di correzione, del carcere e della legione straniera, tutta un’esistenza di dure lotte e espedienti da cui ne uscì con il successo e la fama. Giunse alla drammaturgia (e alla sceneggiatura di soggetti cinematografici, quali Madamoiselle e La nuit venue) dopo alcune prove narrativo-poetiche: Nostra signora dei fiori (1944), Miracolo della rosa (1946) e Diario del ladro , nel 1949, che fu un successo di scandalo, ma anche di riconoscimento; la sceneggiatura di un balletto, Adame Miroir (1946). Il teatro di Genet – in sintonia con la linea Sade-Baudelaire-Artaud e sulla base di una serie di esperienze di vita estreme – sviluppa i temi della positività del male, dell’elogio della solitudine dell’uomo d’eccezione («il poeta emana attorno a sé un odore così nauseante»), dell’esaltazione del carcere e della violenza, della considerazione del furto e dell’assassinio come di opere d’arte. Sorveglianza speciale tradotto anche come Alta sorveglianza (Haute surveillance, 1945) è un atto unico, portato sulla scena con regia di Jean Marchat a Parigi nel 1949. Si svolge in una cella e ha come protagonisti tre delinquenti omosessuali. Il primo allestimento in Italia si ebbe nel 1971, a Milano, con la regia di Anna Gruber. Nella traduzione di G. Caproni, la pièce è stata riproposta da M. Gagliardo al Teatro Colosseo di Roma nel 1994. Le serve (Les Bonnes, 1947) mette a punto per la prima volta la dialettica realtà-finzione, sviluppando la concezione del teatro come `luogo dell’odio’. La storia delle due cameriere che detestano la propria padrona – simbolo dell’eterno conflitto che divide l’umanità in sommersi e salvati – venne rappresentata a Parigi nel 1947 (a cura di Louis Jouvet) e nel 1954 (regia di Tania Balachova). Inclusa nel repertorio del Living Theatre, fu allestita a Berlino nel 1965, affidando le parti a tre interpreti maschili, così come era originaria intenzione di Genet.

Il primo allestimento italiano, con la regia di L. Chiavarelli, avvenne a Roma nel 1956. Un’edizione di rilievo fu quella diretta da M. Scaparro, sempre a Roma, nel 1968, con P. Degli Esposti, Anna Maria Gherardi e Miranda Martino. Negli ultimi anni, si sono succedute diverse messeinscena, tra cui quella proposta da Massimo Castri con la Morlacchi Mannoni e Anita Bartolucci nel 1994. Il balcone (Le Balcon) venne pubblicato da Genet nel 1956. La rappresentazione venne proibita in Francia fino al 1960 (anno dell’allestimento di P. Brook). La prima si tenne così a Londra, ma non piacque all’autore. Opera più complessa delle precedenti, di carattere polifonico, venne proposta per la prima volta in Italia nel 1971 in una edizione poco riuscita, con la regia di A. Calenda e la presenza di F. Valeri nella parte di Irma. Nel 1976 lo spettacolo fu realizzato al Piccolo da Strehler con le interpretazioni di A. Proclemer, G. Lazzarini, T. Carraro e R. De Carmine. Nel 1963 il regista americano Joseph Strick ne aveva curato una versione cinematografica, con musiche di Stravinskij. I negri (Les Nègres), realizzata nel 1958, allestita a Parigi l’anno dopo da Roger Blin, arrivò in Italia (nella versione americana) alla rassegna di Venezia nel 1964. La commedia torna a insistere sul tema politico e sul complesso gioco di specchi tra realtà e irrealtà, esasperando lo scontro tra gli uomini. I paraventi (Les Paravents), opera pubblicata nel 1961, venne portata sulla scena a Berlino nel corso dello stesso anno con la regia di Hans Lietzau. Nel 1966 fu a Parigi per la regia di Roger Blin. Sullo sfondo della questione algerina e dei problemi della colonizzazione, Genet costruisce il lavoro più complesso, in cui si ritrovano tutti gli ingredienti tipici dei suoi lavori: l’eroe solitario e sventurato (il protagonista Said, il malvagio alla fine vincente), la prigione e il furto, il cimitero, il bordello, la fortezza. In Italia, a Bologna, nel 1990, Chérif ne ha effettuato un complesso allestimento della durata di sei ore con l’impiego di novantanove attori. Molto intessante l’allestimento ‘povero’ di Santo Genet, commediante e martire con la regia di Pippo Di Marca al Teatro Uomo di Milano nel 1978. Splendid’s , infine, scritta nel 1948, è stata pubblicata in Francia solo nel 1993 e l’anno dopo, a Berlino, con regia di K.M. Gruber, è stata trasposta sulla scena. La versione italiana è sempre del 1994, con la regia di Adriana Martino. Nel 1995 lo stesso Gruber, al Piccolo, ne ha promosso un ulteriore allestimento. Incentrata sull’azione criminosa della banda La Rafale, costituita da eleganti delinquenti in frac, la pièce fa del nevrotico e violento gioco delle parti all’interno di un gruppo chiuso il suo più profondo nucleo costitutivo.Si ricordano i ripetuti allestimenti di Flower’s da parte di L. Kemp.

Soldati

Nonostante il suo forte interesse per il teatro, pochissime sono le scritture sceniche di Mario Soldati. La sua prima opera (mai allestita) fu proprio un dramma in tre atti, Pilato (1924): premiato dalla federazione cattolica di Torino, il testo – punto di approdo di un giovane nutrito di educazione religiosa – è incentrato sulla figura di Pilato che, dopo il ripudio, arriva quasi alla conversione. In tempi più recenti, nel 1977, si colloca invece l’adattamento di Il vero Silvestri (Milano, Teatro Filodrammatici), un lungo racconto pubblicato nel 1957. Soldati è stato anche autore di numerose sceneggiature, spesso frutto di personali ed efficaci riletture dei classici della nostra letteratura. Significativa fu la collaborazione con Pirandello ed Emilio Cecchi nella stesura del soggetto di Acciaio, film del regista tedesco Walter Ruttmann (1933).

Shepard

Sam Shepard fece rappresentare il suo primo copione a diciannove anni, vinse il suo primo premio a ventitre, scrisse la sua prima sceneggiatura a venticinque, iniziò una fortunata carriera di attore cinematografico a trentacinque. Diede alle scene una quarantina di opere, quasi tutte allestite off-off Broadway o al Magic Theatre di San Francisco, dove lavorò stabilmente per alcuni anni. Rifacendosi spesso a vari aspetti della mitologia popolare statunitense, dal film western alla musica rock, fu in teatro l’autore che seppe meglio esprimere le tematiche e i valori della controcultura della seconda metà del secolo, in un linguaggio di notevole suggestione e in strutture drammaturgiche innovative e sconcertanti, che divisero radicalmente il pubblico e la critica. Si potevano riconoscere nella sua opera tre differenti fasi, accomunate da temi come la ricerca delle proprie radici e la fine del cosiddetto sogno americano. Per definire i testi della prima, iniziata con Cowboy (1964), si è usato il termine `collage’, in quanto composti di soliloqui insieme lirici e grotteschi con vaghe connessioni fra loro.

Carattere sperimentale avevano anche le cosiddette `fantasie’ della seconda fase – esemplificata soprattutto da La Turista (1966) e Il dente del delitto (The Tooth of Crime, 1972), ma i personaggi e i loro sfoghi s’inserivano in trame più compatte e sovraccariche di incidenti. Alla terza fase, infine, appartenevano le opere più significative e più conosciute di questo autore Il bambino sepolto (Buried Child, 1978), Pazzo d’amore (Fool for Love, 1979), Vero West (True West, 1980), Una menzogna della mente (A Lie of the Mind, 1985) e Stati di shock (The States of Shock, 1991), che segnarono una svolta in senso realistico, sviluppando coerentemente gli intrecci e dando maggiore consistenza ai personaggi. Per questi testi, che sviluppavano soprattutto il tema della famiglia e dei suoi orrori con evidenti ambizioni tragiche, si fece da più parti il nome di O’Neill.