Thimig

Formatasi alla scuola del padre, l’intendente, regista e attore teatrale Hugo e di H. Bleibtreu, Helene Thimig diviene una delle attrici più importanti del teatro di lingua tedesca. Dal 1917 al 1933 lavora a Berlino al Deutsches Theater con Max Reinhardt, che più tardi sposa. Tra i ruoli più celebri vanno ricordati: Ofelia nell’ Amleto (1919), Margherita nell’ Urfaust e protagonista in Stella di Goethe (1920). Nel 1933 torna a recitare a Vienna. Nel 1937 emigra negli Usa, dove Reinhardt muore nel 1943; dirige anche una scuola di recitazione a Hollywood. Nel 1946 torna in Austria dove, per i Festspiele di Salisburgo, mette in scena e interpreta Ognuno di Hofmannsthal. Poi, sino alla sua morte, fa parte della compagnia del Burgtheater di Vienna. Vi interpreta il ruolo di Christine ne Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill nel 1946, della madre in Nozze di sangue di García Lorca nel 1951, della signora Alving in Spettri di Ibsen nel 1955. Dal 1948 al 1959 ha diretto il Max Reinhardt-Seminar e insegnato recitazione e regia all’accademia di Vienna, insignita di diverse onorificenze.

Vergani

Nipote del marionettista Vittorio Podrecca e sorella del giornalista e autore teatrale Orio, Vera Vergani debuttò nel 1912 con la compagnia Benini. Due anni dopo entrò a far parte della Talli-Melato-Giovannini e nel 1916 diventò primattrice della compagnia di R. Ruggeri. Trascorse gli anni fondamentali della sua carriera nella compagnia di D. Niccodemi, dove dal 1921 fu primattrice per nove stagioni, affiancando L. Cimara. Di questo periodo va ricordato il suo contributo a due prime assolute pirandelliane, quelle dei Sei personaggi in cerca d’autore (1921) e di Ciascuno a suo modo (1924). Attrice affascinante ed elegante, si ritirò a soli trentacinque anni, dopo aver interpretato per l’ultima volta al Teatro Manzoni di Milano (gennaio 1930) uno dei testi a cui è legata la sua fortuna, La figlia di Iorio di D’Annunzio.

Gravina

Dopo un precoce esordio con la partecipazione nel film di Lattuada Guendalina (1957), Carla Gravina interpreta come protagonista Esterina (1959) di Lizzani, che ne mette in risalto le doti di attrice dallo sguardo inquieto e dal fascino personale e aggressivo. Altre buone prove cinematografiche in Jovanka e le altre (1959), Un giorno da leoni (1961), I sette fratelli Cervi (1968), Cuore di mamma (1969) e nel film francese Senza movente (1971). Intensa anche la sua attività teatrale a partire da un’edizione di Romeo e Giulietta di Shakespeare a Verona nel 1960. Recita in seguito allo Stabile di Napoli, allo Stabile di Torino e al Piccolo Teatro di Milano nelle Baruffe chiozzotte di Goldoni (1964) e nel Marat-Sade di P. Weiss (1967). Da ricordare anche le sue partecipazioni al Teatro greco di Siracusa ( Elettra di Sofocle, 1970) e al Teatro di Roma ( Giochi nella notte di F. Gilroy, 1975). In seguito lavora in Sei personaggi in cerca d’autore (1980), La gatta sul tetto che scotta (1983), con la regia di G. Sbragia. Nel 1984 recita ne La governante di Vitaliano Brancati con la regia di Squarzina, nel 1987 in Santa Giovanna dei macelli di Bertolt Brecht e l’anno dopo è al festival Taormina Arte nel Faust diretto da G. Sbragia. Ultimamente ha recitato in La marchesa di O… (1990) per la regia di E. Marcucci e Nostra Dea (1992) di M. Bontempelli (regia di M. Missiroli). In televisione appare per la prima volta come valletta nello storico programma Il musichiere a fianco di Mario Riva, per interpretare in seguito tormentate figure femminili, in numerosi sceneggiati: Katia in Padri e figli (1958), Polina Alexandrova ne Il giocatore di Dostoevskij (1965).

Tandy

Jessica Tandy debutta sulle scene londinesi in The Manderson Girls di B.N. Graham (1927), e successivamente interpreta Rumour di C.K. Munro (1929). Negli anni ’30 divide la sua attività tra l’Inghilterra – prende parte a Amleto (1934), Re Lear , La dodicesima notte (1937) e La tempesta negli allestimenti di John Gielgud – e gli Usa, dove si trasferisce stabilmente negli anni ’40. Nel 1946 interpreta Portrait of a Madonna di T. Williams, ma il successo lo ottiene impersonando Blanche Dubois (al fianco di Marlon Brando) in Un tram chiamato desiderio ancora di Williams, nel 1947. Accanto al marito, il regista e attore Hume Cronyn, ha interpretato diversi spettacoli a Broadway: The Fourposter di J. De Hartog (1951); Madam, Will You Walk di S. Howard (1953); Triple Play , scelta di tre atti unici di T. Williams e S. O’Casey (1959); The Physicist (1964); Un equilibrio delicato di E. Albee (1966); Noël Coward in Two Keys (1974); The Gin Game (1977); Foxfire (1982). In Italia raggiunge la popolarità solo al termine della sua carriera per l’interpretazione del film A spasso con Daisy , per cui nel 1990 vince il premio Oscar.

Vitti

Dopo il liceo, Monica Vitti (Maria Luisa Ceciarelli) si iscrive all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’, diplomandosi nel 1953. Se è il cinema ad averla resa famosa, prima con la trilogia di Antonioni (L’avventura, 1959; La notte, 1961; L’eclisse, 1962, alla quale si aggiunge Deserto rosso, 1964), poi con una carrellata di personaggi comici, ma di spessore (diretta da Scola, Monicelli, Risi, Sordi), è dal teatro che ha cominciato la sua carriera di attrice duttile, affermandosi tanto nei ruoli drammatici quanto in quelli comici. Il suo esordio fu all’interno della compagnia di Sergio Tofano nello spettacolo Il signor Bonaventura , dove interpretava il fedele cane bassotto del protagonista. Dopo aver preso parte a La mandragola di Machiavelli per la regia di Pagliero e Lucignani (1953) ed essere apparsa nella rivista Senza rete di Bonucci e Panelli (1954-55), nel 1956 interpreta Bella nella commedia omonima di C. Meano e Ofelia nell’ Amleto di R. Bacchelli; quindi partecipa insieme a A. Bonucci, G. Tedeschi e B. Valori a Sei storie da ridere per la regia di Mondolfo. Nel 1957 è interprete, con la compagnia Sbragia-Lisi-Ronconi, di Io sono una macchina fotografica di J. Van Druten, diretto da Antonioni, Scandali segreti di Antonioni e E. Bartolini e Ricorda con rabbia di Osborne. Contemporaneamente, sempre con Antonioni – che a Milano dirigeva anche la Compagnia del Nuovo, di cui la Vitti era primattrice – interpreta numerosi personaggi umoristici e patetici in pièce di Courteline, Feydeau e Ionesco. L’anno seguente, per la regia di Mondolfo, interpreta I capricci di Marianna di De Musset. Nella stagione 1964-65, nel pieno della sua prolifica carriera cinematografica, recita in Dopo la caduta di Miller, diretta da F. Zeffirelli. Più recentemente è tornata al teatro con un ruolo brillante nella riuscita edizione al femminile di La strana coppia di N. Simon (1986), affiancata da R. Falk e con la regia di Franca Valeri.

Baker

Sembra che dalla sua più tenera infanzia Joséphine Baker intrattenesse cantando, ballando e facendo il pagliaccio i suoi fratellini e gli amichetti, possibilmente facendo loro pagare un simulacro di biglietto. Fatto sta che questo gioco si rivelò per la giovane mulatta una seria ispirazione e a quindici anni Joséphine si presentò per un provino a Noble Sissle e Eubie Blake autori di quella rivista `all negro’ Shuffle Along (1921) che doveva restare nelle memorie di Broadway come il più grande spettacolo di varietà messo in scena da gente di colore. La prima audizione fu negativa: Sissle e Blake e i due produttori rifiutarono la ragazzina che però, – quando Shuffle Along all’inizio di un gigantesco successo partorì una seconda troupe che percorreva la provincia meno importante – riuscì a entrare come aiuto sarta in questa seconda troupe e, consigliata da un’amica, imparò tutti i numeri e tutte le canzoni in vista di una sostituzione. Così avvenne.

Abbastanza in fretta Joséphine si fece notare fino al punto che Sissle si dedicò seriamente a insegnarle il mestiere. Nel 1924 il gruppo di Shuffle Along si divise in due: i produttori crearono un nuovo spettacolo, Running Wild , che lanciò il charleston; Sissle e Blake crearono The Chocolate Dandies e B. era una delle vedettes. Lo spettacolo risultò troppo sofisticato per il palato dei critici bianchi e non ebbe lo stesso successo del precedente Shuffle Along . Ed è così che nel 1925 troviamo la B. nel corpo di ballo del Plantation Club (un succedaneo, sempre nero, del Cotton Club) con la possibilità di un piccolo assolo all’ombra delle grandi Florence Mills e Ethel Waters ed è qui che viene scritturata per fare parte di un gruppo di colore che si esibirà a Parigi nell’autunno di quell’anno, al Théâtre des Champs-Élysées, in quello spettacolo che diventerà fondamentale per la cultura francese negli anni Venti: La Revie Nègre .

Joséphine conquista il pubblico con le sue orrende smorfie, il suo corpo di miele scuro che esibisce generosamente e la sua straordinaria vitalità di interprete. Negli anni seguenti, sempre a Parigi, inventa quel suo famoso costume composto di orecchini collana e braccialetti in pietre barbare e un gonnellino di più che allusive banane: resterà la sua immagine più famosa. Diventa la `vedette negra’ (lei che è una mezzo sangue) delle Folies Bergère, impara a cantare davvero, arriva al Casino de Paris come attrazione principale e finalmente, nel 1930, crea quella canzone “J’ai deux amours” che resterà per sempre collegata alla sua immagine. Compie infinite tournée e, nel ’35, è addirittura a New York partecipando alle Ziegfeld Follies di quell’anno. Durante la Seconda guerra mondiale si arruola (è ormai da tempo cittadina francese) nelle truppe ausiliarie e verrà più volte decorata per meriti di guerra. Tenta una comunità interrazziale modello, adottando dodici orfani di nazioni e continenti diversi; per mantenerla tornerà in spettacolo per qualche memorabile rivista all’Olympia e a Bobigny, sempre circondata dalla stima e dall’amore del pubblico che la onorerà per un’ultima volta il 15 aprile del 1975 in occasione del suo clamoroso funerale di stato.

Bernhardt

Personalità istrionica, donna appassionata, capace di slanci generosi e di ardenti furori, il nome di Sarah Bernhardt riempì le cronache di oltre mezzo secolo e appartenne subito al mito. Capace di mille eccentricità, più di ogni altra attrice al mondo – e con largo anticipo sulle star di Hollywood – fu la prima a dover essere considerata `diva’. Eccellente promotrice di se stessa, a suo modo fu genio della pubblicità e dell’immaginazione, capace di farsi fotografare in un catafalco tutto di seta, così come di stupire salendo in pallone aerostatico. Vaste platee di tutto il mondo subirono il suo fascino e le sue pose ancor prima della Belle Époque, e quando già si era consumata la Prima guerra mondiale. Nata da madre ebrea olandese, fu soprattutto l’incontro con i testi di Dumas padre ad aprirle le porte incantate del teatro (aveva frequentato il Conservatorio parigino e debuttato in varie sale: Comédie-Française, Odéon, Gymnase); si innamorò di Racine – sempre rimasto suo autore preferito – che la salvò dalla dissipazione nelle alcove parigine. Ora milionaria, ora indebitata fino al collo (aprì e chiuse teatri; nel 1893 acquistò il Renaissance e sei anni dopo un’altra sala, cui diede il suo nome), trascorse l’esistenza ammaliando con il fascino indiscreto che la sua vitalità le dava. Nemmeno l’amputazione di una gamba in seguito a un incidente (1914) le impedì di lasciare le scene. Osannata dai critici e amata dal pubblico (ma forse senza vero entusiasmo), il suo repertorio – il primo successo fu in Il viandante di F. Coppée, 1869 – andò dai classici (Racine, Voltaire, Beaumarchais, De Musset) a Scribe e Sardou, il quale scrisse per lei drammi ( Fedora , Tosca , Cleopatra ) ricchi di `scene madri’, che furono il suo forte. Affrontò anche D’Annunzio ( La città morta ); lei stessa, oltre a un libro di memorie ( La mia doppia vita ), scrisse tre drammi di notevole fattura. Se poco rilevanti furono le sue interpretazioni shakespeariane (Ofelia, Lady Macbeth), andò incontro a grandi e popolari successi quando, anche in numerose tournée, indossò gli abiti maschili in Amleto ; più ancora, poi, ebbe trionfi quando, a cinquantasei anni, tornò a indossarli per l’ Aiglon di E. Rostand. Si accostò anche al cinema, ma con risultati insoddisfacenti; si trovava su un set (quello di La veggente , su soggetto di S. Guitry) quando, come Molière, si accasciò a terra: di lì a qualche giorno sarebbe morta, il suo nome entrando nella leggenda.

Lattuada

Diplomata all’Accademia Filodrammatici, Laura Lattuada si mette in luce con uno sceneggiato televisivo centrato sulla figura di una ragazza tossicodipendente ( Storia di Anna , 1981, regia di S. Nocita); in seguito è Rossana nel Cirano di Dumas con G. Proietti, poi nel primo film di C. Delle Piane, Ti amo, Maria . Dopo una Pamela di Goldoni diretta da B. Navello e un monologo di B. Strauss ( Lettera allo sposo ), nel 1995 recita in Io e mia figlia di F. Dorin con M. Placido. Nella stagione 1997-98 è in Uscirò dalla tua vita in taxi di Waterhouse e Hall, con G. Zanetti e la regia di P. Rossi Gastaldi.

Pavlova

Appena quindicenne, Tatiana Pavlova abbandona la casa paterna per recitare nella compagnia di P. Orlenov con il quale compie lunghe tournée. La rivoluzione la spinge ad abbandonare Mosca per Odessa e Costantinopoli, seguendo la grande ondata dell’emigrazione antibolscevica, per poi approdare in Italia dove studia dizione per tre anni con Cecè Dondini e Carlo Rosaspina. Nel 1923 debutta al Teatro Filodrammatici in Sogno d’amore di Kossorotov accolta con diffidenza e sarcasmo non solo per la dizione non perfetta ma anche per la novità del suo repertorio e per un modo nuovo di concepire lo spettacolo non più centrato sull’individualità ma su di un lavoro d’insieme.

Il ‘fenomeno russo’, come viene chiamata, interpreta, spesso firmando lei stessa la regia, autori come Molnár, Kaiser, Andreiev e Rosso di San Secondo ( Una cosa di carne , Fra vestiti che ballano ) e per la prima volta in Italia L’albergo dei poveri di Gor’kij. Sono personaggi in grado di offrirle la possibiltà di una recitazione ricca di impeti, di sensualità, attenta alla psicologia. E se talvolta chiama accanto a sé registi del suo paese come Nemirovic-Dancenko al quale affida nel 1933 la messinscena de Il giardino dei ciliegi di Cechov, anche a lei – alle sue lunghe letture a tavolino, alla ferrea disciplina che sa imporre alla sua compagnia all’interno della quale si mette in luce Renato Cialente, e alle idee innovatrici che distinguono il suo repertorio – si deve la nascita della regia in Italia.

«Io sono nata collaboratrice del poeta – afferma in una sua celebre intervista su “Comoedia”, nel 1934 -: non lo diminuisco mai, lo esalto, lo completo, lo limo, lo affino». Giustamente è a lei che Silvio D’Amico affiderà l’insegnamento di regia non appena fondata l’Accademia d’arte drammatica a Roma nel 1935. La fine della guerra la vede sempre più raramente in scena. Ma nel 1946 L. Visconti le fa interpretare il ruolo della madre in Zoo di vetro di Tennessee Williams di cui darà un’interpretazione strepitosa. Fra il 1949 e il 1951 dirige ancora una sua compagnia interpretando il ruolo principale di La lunga notte di Medea di Corrado Alvaro, e firmandone, fra l’altro, anche la regia.

Gramatica

Sorella maggiore di Emma, Irma Gramatica fu già a tre anni in palcoscenico per poi studiare alle Dorotee di Firenze. Scritturata dalla Duse-Rossi, fu primattrice giovane con la Vitaliani, con Emanuel-Reiter e con la Marchi-Maggi, affermandosi in un frizzante repertorio francese (Beaumarchais, Dumas, Sardou, Meilhac, Halévy) ma trovando consacrazione definitiva sull’opposto versante drammatico, a cominciare dalla Teresa Raquin di Zola, accanto alla Pezzana nel ruolo della suocera paralitica. Donna tormentata e inquieta, segnata per sempre dalla morte del figlioletto avuto dal breve matrimonio (1887) con l’attore A. Cottin, fu talvolta criticata per un’essenza interpretativa scambiata per scarso coinvolgimento, mentre era sempre ricerca di profondità interiore nel voluto contrasto tra la dizione tagliente e l’economia gestuale. Suoi grandi maestri furono Emanuel, la Reiter, Zacconi, soprattutto Talli con cui fu la prima Nennele in Come le foglie di Giacosa, Paolina-Lidia in Sperduti nel buio di Bracco, Lisa in Dal tuo al mio di Verga. Nel 1904 tenne a battesimo La figlia di Iorio di D’Annunzio nel ruolo di Mila di Codra che sembrava destinato alla Duse. Fu poi con Andò, con Garavaglia, con la Benelliana, con la Stabile del Manzoni di Milano e ripetutamente in coppia con la sorella Emma, protagonista di commedie e drammi di Niccodemi, Praga, Zorzi, Rosso di San Secondo, Pirandello. Angosciata da suggestioni masochistiche e da reiterate delusioni sentimentali, si ritirò inaspettatamente dalle scene nel 1938, dopo essere stata Lady Macbeth accanto a Ruggeri. Il suo isolamento fiorentino e per qualche anno veneziano, fu interrotto soltanto da alcune interpretazioni cinematografiche, tra cui Le sorelle Materassi (1943) di Poggioli e Il fu Mattia Pascal di Chénal (1937).

Pozzi

Elisabetta Pozzi è una delle attrici più versatili e interessanti della nuova generazione, con uno stile di recitazione personale che le fa dar vita con vivace, capricciosa e morbida duttilità a ogni tipo di personaggio. Recita in un vasto repertorio: da autori classici a contemporanei, con registi di fama ed esordienti. Debutta a diciassette anni ne Il fu Mattia Pascal diretta da L. Squarzina (1974), con G. Albertazzi allo Stabile di Genova. Al fianco di quest’ultimo lavora in numerosi spettacoli, tra cui Memorie dal sottosuolo da Dostoevskij, Peer Gynt di Ibsen. Dal 1979 lavora con lo Stabile di Genova (tra gli altri Re Nicolò ovvero così è la vita di Wedekind, Tre sorelle di Cechov, La putta onorata di Goldoni e Arden of Feversham di anonimo elisabettiano, per la cui interpretazione vince il premio Ubu). È diretta da Siciliano ne La parola tagliata in bocca , al Festival di Spoleto 1985, e da G. Lavia in Miele selvatico di M. Frayn. Recita in Francesca da Rimini di D’Annunzio per la regia di A. Trionfo e in Piccoli equivoci di Claudio Bigagli. Come interprete di nuovi autori offre una grande prova in Giacomo il prepotente di G. Manfridi (1988). Dal 1989 inizia la sua collaborazione con il Teatro Stabile di Parma, con Il gabbiano di Cechov (1989). Partecipa al Progetto Ritsos, con l’Apa (Attori Produttori Associati), con il poemetto Elena . Fonda con De Rossi e Maccarinelli Tea (Teatro e Autori). Vince nel 1990 il premio Ubu con I serpenti della pioggia di Enquist. Ha una assidua collaborazione con Cristina Pezzoli, allo Stabile di Parma; recita in diversi spettacoli, tra i quali anche L’attesa di R. Binosi, in cui alterna il ruolo di protagonista con Maddalena Crippa. È diretta da G. Dall’Aglio in Molto rumore per nulla di Shakespeare. Offre una grande interpretazione di Sonia nello Zio Vanja di Cechov diretta da P. Stein. Debutta con la regia di L. Ronconi ne Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill, con cui vince il premio Ubu 1996, e in Ruy Blas di V. Hugo (1997). È con Carmelo Bene nell’ Adelchi (1997). Offre una delle migliori prove da attrice nel monologo Max Gericke di Manfred Karge (1997), diretta da Le Moli. Il suo debutto cinematografico è nel Mistero di Oberwald di G. Antonioni (1979), nel 1992 si aggiudica il premio Donatello come attrice non protagonista nel film Maledetto il giorno che t’ho incontrata di C. Verdone.

Luce

Angela Luce «non fa parte del facile mondo piccolo-borghese di certi artisti napoletani. Angela è attrice e cantante verace, autentica figlia del popolo, aggressiva e imbarazzante come la faccia vera di Napoli». Sono parole di Giuseppe Patroni Griffi. E, in effetti, proprio sotto la guida di Patroni Griffi la Luce dà le prove più importanti e persuasive della sua carriera teatrale. Aveva cominciato giovanissima con Eduardo De Filippo (da citare, per esempio, una sua comparsa, a appena sedici anni, in un memorabile allestimento di `Na santarella di Scarpetta, al fianco di attori del calibro di Pupella Maggio, Ugo D’Alessio, Franco Sportelli, Pietro Carloni, Pietro De Vico, Enzo Cannavale e Antonio Casagrande), ma ad imporla sono, rispettivamente nel ’67 e nel ’70, i due grandi allestimenti vivianei diretti per l’appunto da Patroni Griffi: Napoli: notte e giorno e Napoli: chi resta e chi parte . E i suoi ritratti delle due prostitute Ines (colei che canta la celeberrima “So’ Bammenella `e copp’ ‘e Quartiere”) e Celeste sono, senza alcun dubbio, da collocare in un’ideale antologia del grande teatro napoletano.

Sperani

Esperia Sperani debutta giovanissima con Irma Gramatica e in seguito è con Ermete Novelli, da cui ha i primi rudimenti. Inizia a lavorare con Alfredo Sainati, e divenne al suo fianco – al posto di Bella Starace Sainati – la prim’attrice del Granguignol, una sorta di teatro dell’orrore importato dalla Francia. Ha fatto parte e diretto diverse compagnie con attori come Carini e Marcacci. Nel primo dopoguerra con Ettore Paladini fa parte della compagnia del Teatro del Popolo, prima esperienza di decentramento (la sede era in via Campo Lodigiano), dove si recitava un repertorio di autori collaudati italiani (da Giacosa a Nicodemi, a Ferrari ai drammi francesi dell’Ottocento. Dal 1924 è al primo Teatro del Convegno con Enzo Ferrieri interpretando autori contemporanei ( All’uscita diretto da Pirandello, Esuli di Joyce). È tra le prime interpreti agli studi dell’Eiar, poi Radio Milano, apprezzata interprete di celebri sketch in lombardo. Partecipa ad alcuni spettacoli del Piccolo Teatro, (1947-48): rilevante è la sua interpretazione della Sgricia nella prima edizione de I giganti della montagna . Ha insegnato recitazione all’Accademia dei Filodrammatici dal 1954 al 1974 allevando molti attori delle ultime generazioni.

Morante

Nipote della scrittrice Elsa Morante, Laura Morante muove i primi passi nella danza (è ballerina nella Compagnia degli Scalzi) per poi allontanarsene con l’esordio nel Sade di Carmelo Bene (1977) a Parigi, dove appare nuda sulla scena. Sempre a Parigi continua a fare teatro, ma è il cinema a darle notorietà con Sogni d’oro e soprattutto Bianca , entrambi di N. Moretti. Nel 1995-96 recita in Ordine d’arrivo di V. Franceschi con E. Pagni per lo Stabile di Genova; il quale la conferma nella stagione successiva dopo i due atti unici di N. Serraute, È bello e Lei c’è , con la regia di M. Lucchesi a Spoleto; segue Io (Moi) di Labiche-Martin, con la regia di B. Besson. Appassionata della tragedia, in particolare scespiriana, il suo sogno è mettere in scena Pentesilea di Kleist come regista.

Marinoni

Laura Marinoni studia danza classica e moderna da professionista Milano, quindi frequenta a Roma l’Accademia d’arte drammatica `Silvio D’Amico’ sotto la guida di M. Ferrero, che nel 1983 la dirige nell’esordio televisivo nelle commedie L’invito al castello e Quando la luna è blu . Il debutto teatrale è nel 1984 a fianco e diretta da Albertazzi in El Cid di Corneille e nel recital Il giro del teatro in 120 minuti . Nello stesso anno inizia a lavorare con il regista Patroni Griffi e la sua compagnia, dove come prima attrice giovane è protagonista della trilogia pirandelliana Sei personaggi in cerca d’autore (premio Duse 1988 per l’interpretazione della Figliastra), Questa sera si recita a soggetto (1986), Ciascuno a suo modo (1987), di Zio Vanja di Cechov (1986). Chiamata precocemente a ruoli drammatici di rilevante impegno espressivo, le commedie brillanti sono quindi occasione per affiancare alla verve la danza ed il canto: nei testi di C. Bigagli Notte di nozze (regia dell’autore, 1987) e Mario e Luisa si sono lasciati (regia M. Sciaccaluga, Festival di Spoleto 1988), in Una volta nella vita di Kaupfmann e Hart, Fior di pisello di E. Bourdet, Le false confidenze di Marivaux (1989-90, regia Patroni Griffi). Nel 1990 è Antigone di Sofocle per la regia di C. Quartucci; Strehler la dirige in Il campiello di Goldoni (1991-92) e L’isola degli schiavi di Marivaux (1993-94), G. Lavia in L’uomo, la bestia e la virtù (1992) e Il gioco delle parti (1996-97) di Pirandello, M. Castri in Orgia di Pasolini (1997-98), dove è una sensibilissima e applaudita protagonista femminile. Ha girato nel 1998 il giallo per la tv “Morte di una ragazza perbene”, regia L. Perelli. Ha partecipato ai film Cominciò tutto per caso di U. Marino, Le hussard sur le toit di J. P. Rappeneau, Le affinità elettive dei fratelli Taviani.

Santella

Dopo aver seguito da vicino, sul finire degli anni ’60, le esperienze di Grotowski e del Living, Maria Luisa Abbate Santella fonda con il fratello Mario la compagnia Teatro Alfred Jarry. Tra le principali creazioni sceniche e drammaturgiche si ricordano: Faust da Marlowe, Peccato che fosse una sgualdrina, Medea di Portamedina, Storia di Dora, La gnoccolara, Delirio a due di Ionesco. Nel 1976 partecipa come attrice non protagonista al film Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola; sarà poi in Oggetti smarriti (1980) di Giuseppe Bertolucci, Don Chisciotte (1984) di Maurizio Scaparro e Maccheroni (1985) ancora di Scola. Nel 1985 è tra i fondatori del gruppo Marcido Marcidoris. Per la televisione, diretta soprattutto da Ugo Gregoretti, lavora in molte produzioni, tra le quali si ricorda “Ma cos’é quest’amore” di P. Festa Campanile. Insieme al compagno Michele Gentile guadagna la cittadinanza australiana per meriti artistici e si distingue per l’attenzione rivolta alla cultura aborigena che sarà materia del libro La terra parallela/Teoria del sogno.

Milly

Il padre di Milly (Carla Mignone) se ne va di casa, lasciandola a cinque anni con la madre, un fratello (Totò) e una sorella (Mitì) con i quali, dopo aver fatto la cassiera al Fiandra e aver debuttato come cantante nello stesso teatro, forma un trio da avanspettacolo (Mitì balla e Totò suona): un inizio durissimo, ma che la porta in pochi anni al Trianon di Torino, applauditissima. È poi con Ottavio Spadaro, Isa Bluette, i De Filippo, Umberto Melnati, con la Compagnia dei fratelli Schwarz nelle riviste Wunderbar , Al Cavallino bianco e in Broadway con Camillo Pilotto, Mitì e Totò. Arriva all’Excelsior di Milano e diventa la soubrette della compagnia Za Bum, regista Mario Mattoli che poi sposerà Mitì. Con Mattoli gira il film Tempo massimo , con De Sica Amo te sola e Idillio (1948). Intanto era stata in Francia e negli Usa, dove a New York (al Blue Angel) i cronisti narrano di corbeilles che le portano, celati fra i gladioli, gioielli favolosi; mitici anche gli amori (Pavese, Soldati), fra i quali spicca Umberto di Savoia. Il suo nome evoca i grandi successi al Lirico di Milano, con in testa Stramilano esseti-errea-emmei-ellea-enneo ; ed ecco, nell’Italia che rinasce dal grigiore del dopoguerra, la consacrazione intellettuale al Piccolo Teatro nell’ Opera da tre soldi di Brecht. Milly è un’inimitabile Jenny delle Spelonche; la sua figura, i suoi gesti controllati da quel demiurgo che è Strehler ne fanno un’attrice-diva indimenticabile, sensibilissima, piena di charme, mentre dalla sua voce passa tutto un mondo di ricordi e di suggestioni. Aiutata dal regista Filippo Crivelli e dal pianista Roberto Negri, diventa la star di Milanin Milanon e di recital trionfali. Nel 1965 è a Studio Uno con Mina, Panelli e le Kessler, in un repertorio di canzoni della sua giovinezza che piace ai vecchi e ammalia i giovani. Perfezionista, riservata, minuta, con una grinta di ferro, in chiffon nero, femminilmente sobrio, passa da L’istruttoria di Peter Weiss al Piccolo Teatro (regista Puecher, 1966-67) a L’amore e la guerra , un recital di poesie e canzoni in coppia con Achille Millo; è al Derby milanese e a Berlino (1979: settanta canzoni in circa due ore di spettacolo, sempre con i fedelissimi Crivelli e Negri). L’ultimo suo recital è a Palermo, il 3 agosto 1980; l’aspetta un impegno per Berlino il 9 settembre, ma presentita e inevitabile arriva la morte nella notte fra il 22 e il 23 settembre.

Steni

Antonella Steni esordisce bambina sul palcoscenico di rivista e si afferma successivamente come una delle più dotate e versatili interpreti del teatro leggero con lo spettacolo di varietà I saltimbanchi (1954) diretto da F. Zeffirelli. Il successo è confermato dalla rivista da camera Tre e simpatia (1957) dove è al fianco di Raffaele Pisu e Franca Rame. La notorietà le arriva dalle esibizioni televisive degli anni ’60 in coppia con Elio Pandolfi, col quale aveva cominciato a lavorare alla radio e con cui aveva fatto rapide comparse nella tv dei primordi in I cinque sensi sono sei (1954); insieme sono anche in teatro in Scanzonatissimo (1963) e in Che brutta époque (1969). Sul grande schermo esordisce giovanissima in Scipione l’Africano (1937) per poi interpretare, in ruoli da caratterista, commedie rivistaiole come Rascel fifì (1956) o comunque minori come Obiettivo ragazze (1963) e Il ragazzo che sorride (1969). Dalla metà degli anni ’70 dirige una propria compagnia di commedie leggere. Sul teleschermo continua a comparire in veste di ospite in trasmissioni come Maurizio Costanzo Show e Ci vediamo in tv.

Piccolo

Ottavia Piccolo esordisce in teatro a undici anni nel ruolo della bambina sorda e muta di Anna dei miracoli (1960, con A. Proclemer e la regia di L. Squarzina). Nel 1963 è Caterina nel Gattopardo di L. Visconti. A quindici anni, approda al Piccolo Teatro di Milano in Le baruffe chiozzotte di Goldoni, regia di Strehler (1964). Lavora con i maggiori registi del teatro italiano: ancora Visconti (Il giardino dei ciliegi di Cechov nel 1965, Egmont di Goethe nel 1968), G. De Lullo (La Calandria di Bibbiena nel 1968), O. Costa (Ivanov di Cechov nel 1969), L. Ronconi (Orlando furioso nel 1970 e nel 1972, per la versione televisiva). Nel 1972 torna al Piccolo Teatro con Strehler nel doppio ruolo del Fool e di Cordelia per il Re Lear di Shakespeare. Seguono tra gli altri lavori Amleto di Shakespeare, Anfitrione di Kleist, Il gabbiano di Cechov con la regia G. Lavia, Barnum , spettacolo musicale con M. Ranieri, e ancora Mirra di Alfieri, regia di L. Ronconi, Il berretto a sonagli di Pirandello, regia di M. Castri, La dodicesima notte di Shakespeare, regia di J. Savary. Nel 1996 è protagonista accanto a P. Villaggio in L’avaro di Molière ancora al Piccolo Teatro, con la regia di L. Puggelli. Tra le sue interpretazioni cinematografiche, si ricordano Serafino di P. Germi (1968) e Metello di M. Bolognini (1970), La famiglia di E. Scola (1987). In tv tra i tantissimi sceneggiati e tv-movie è stata interprete di Il Mulino del Po (1963), La coscienza di Zeno (1966), Vita di Leonardo (1971), La Certosa di Parma (1982), e più di recente Chiara e gli altri (1989), e Donna.

Crotti

Nel 1956 Miriam Crotti è all’Accademia dei Filodrammatici dove studia con Esperia Sperani. Al Teatro dei Filodrammatici svolgerà la maggior parte del suo lavoro di attrice interpretando testi di autori moderni e contemporanei italiani da Pirandello, (Ginevra in Non si sa come) a Giuditta di C. Terron, a Ugo Betti, (Una bella domenica di settembre). Ha una breve parentesi lavorativa nel 1977-78, allo Stabile di Genova in Equus e L’anitra selvatica di Ibsen con Luca Ronconi. Nel 1981 lavora con Giancarlo Sbragia in La bella addormentata di Rosso di San Secondo nella doppio ruolo di Guanceblù e della Vecchia e al Filodrammatici e Il senatore Fox di L. Lunari. Recita ne Le piccoli volpi, a fianco di Gigi Pistilli e Anna Proclemer con la regia di Sbragia. Lavora con L. Squarzina ne Il berretto a sonagli con Stoppa, e La rigenerazione di Svevo. Con Volonghi e Caprioli (anche regia) interpreta Bussando alla porta accanto, riduzione di Manfridi (1986). Diretta da G. Mauri nel Don Giovanni è Donna Elvira, Carlotta e la governante di casa e ne L’ idiota (1988). Con G. Lavia è la Balia in Il padre di Strindberg. Interpreta con gusto anche pièce di genere brillante: è con Valeria Valeri ne Il clan delle vedove di G. Beauvais Garcin.

Rossini

Dopo gli studi all’Accademia `S. D’Amico’, Anna Teresa Rossini debutta nell’ Orlando furioso di Ronconi (1969). Da allora prosegue un’intensa attività teatrale alternando ruoli comici e drammatici, sempre in parti da protagonista o coprotagonista. Dal 1970 al 1985 collabora con A. Pugliese, con il quale è stata sposata, realizzando otto spettacoli di testi contemporanei e classici fra cui Il barone rampante da Calvino, Molto rumore per nulla di Shakespeare, nel ruolo di Beatrice. Recita anche con altri registi quali Cobelli, Sbragia, Squarzina, Missiroli, Calenda e Trionfo. Nella parte di Regana nel Re Lear con la regia di Strehler vince il premio A. Restori (1985). È diretta in molti spettacoli da R. Guicciardini con il Teatro Insieme: si ricordano: Troilo e Cressida di Shakespeare, come protagonista, La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht, Le Troiane di Euripide (1996) nella parte di un’intensa Ecuba. Tartufo di Molière come Elmira e, nel 1997, La figlia dell’aria di Calderón nel ruolo di Semiramide

Mastrella

Flavia Mastrella inizia la sua attività artistica nel 1977, occupandosi di pittura. Dieci anni più tardi inizia a collaborare con A. Rezza per la realizzazione delle `scenografie da indossare’, una serie di quadri dai quali Rezza fa uscire i suoi innumerevoli personaggi, sia in produzioni teatrali che cinematografiche. Nel 1990 la M. firma la mostra fotografica I visi… goti e nel ’91 realizza insieme a Rezza il video Suppietij , a cui seguiranno moltri altri lavori su supporto magnetico e su pellicola, che porteranno al lungometraggio Escoriandoli (1997). Sempre con Rezza, a teatro ricordiamo: Seppellitemi ai fornetti (1992) e Pitecus (1994).

Scarpitta

Dopo aver rinunciato alla carriera diplomatica, Carmen Scarpitta studia all’Accademia d’arte drammatica di Roma e debutta, nel 1960, nell’Adelchi di Manzoni e nel Marziano a Roma di Flaiano, entrambi diretti da V. Gassman. Interprete versatile e di notevole eleganza, alterna ruoli drammatici e brillanti e esperienze di teatro tradizionale e sperimentale. Dopo un soggiorno a Parigi alla scuola di Etienne Decroux lavora con il Living Theatre e fonda poco dopo `The A.C.T.’, un gruppo formato da ballerini, attori e musicisti. Lavora, alla fine degli anni ’60, con C. Bene al Teatro di Trastevere. È diretta da B. Besson, con F. Parenti nel Don Giovanni di Molière, a Palermo (1964). Recita nella compagnia Morelli-Stoppa, con G. Cervi, in Bouvard e Pecuchet di T. Kezich da Flaubert, diretti da Squarzina allo Stabile di Genova (1968) e al Piccolo Teatro, con la regia di P. Chéreau in Splendore e morte di Joaquín Murieta di Pablo Neruda (1970). Prende parte a Ciao Rudy di Garinei e Giovannini, con M. Mastroianni e ad altri numerosi musical. È diretta da Strehler in L’anima buona di Sezuan (1981). Ha interpretato anche vari film: Casanova di F. Fellini, In nome del papa re di L. Magni e in Al di là del bene e del male di L. Cavani.

Bonfigli

Marina Bonfigli si diploma appena diciottenne all’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’amico’ e inizia la sua carriera lavorando in compagnia. Mentre recita nel gruppo Gioi-Cimara conosce l’attore Paolo Ferrari con il quale si sposa nel 1956. Nel 1955 è Polly nell’ Opera da tre soldi diretta da Strehler e nel ’70 si lega alla compagnia Teatro Mobile di Giulio Bosetti che dopo la separazione da Ferrari sarà il suo compagno. Sempre nel ’70 partecipa a La battaglia di Lobositz di Peter Hacks con la regia di Guy Rétoré. Con Bosetti ha recitato in un’edizione del Don Giovanni di Molière (1975), in Tutto per bene di Pirandello, Assassinio nella Cattedrale di T.S. Eliot (1984) e in Enrico IV (1990). Ha lavorato anche con Dario Fo e Franca Rame e con Walter Chiari nella compagnia Senza Rete. In televisione è apparsa nella trasmissione Il Mattatore . Sono da ricordare, tra le tante altre interpretazioni: La coscienza di Zeno (1987) e La bottega del caffè (1991), sempre con la compagnia di Bosetti e L’avaro di Molière (1990, regia di Gianfranco De Bosio), La voce umana di J. Cocteau, La lezione di E. Ionesco (1991, regia dello stesso Bosetti). Ultimamente ha lavorato al Teatro stabile del Veneto recitando in Spettri di H. Ibsen (1993), Una delle ultime sere di Carnovale di Goldoni (1995, regia di Giuseppe Emiliani), La famiglia dell’antiquario (1994), Zeno e la cura del fumo (1994) di T. Kezich da I. Svevo e Il malato immaginario di Molière (1995).

Chelli

Figlia del musicista Carlo Rustichelli, Alida Chelli scelse lo pseudonimo Chelli quando interpretò, con schietta intensità, una bella canzone del padre, “Sinnò me moro”, colonna sonora del film Un maledetto imbroglio di Pietro Germi (1959). D’una bellezza vistosa e aggressiva, in teatro (e nella vita: ebbero anche un figlio) fu compagna di Walter Chiari. Fu nella ripresa, per due stagioni (1962-63 e 1963-64), di Buonanotte Bettina, commedia musicale di Garinei e Giovannini che nella prima edizione, con Delia Scala, aveva avuto un buon successo. Prima commedia musicale a struttura chiusa, narrava le vicende della mogliettina di un impiegato timido, la quale scrive un romanzo erotico, illustrando le performance di Joe Mandrillo. Gran clamore tra parenti, amici e conoscenti, perché tutti identificano il Mandrillo letterario nel timido impiegato, ispiratore delle fantasie sexy della moglie. In questa ripresa, lo spettacolo ebbe maggior successo anche grazie agli inevitabili rimandi tra personaggi e interpreti.

Nella stagione 1964-65 la Chelli fu primadonna in uno spettacolo di scarsa circolazione ma di buon spessore artistico: La manfrina, testo di Ghigo De Chiara (dai sonetti del Belli), con Riccardo Billi e Fiorenzo Fiorentini e, debuttanti, Luisa De Santis e Gabriella Ferri. Ragguardevole il cast dei realizzatori: Franco Enriquez regista, Emanuele Luzzati scenografo, Ennio Morricone musicista. Altra sostituzione di prestigio: nella stagione 1978-79 Garinei e Giovannini ripresero un loro storico successo, Rugantino , e alla C. toccò il ruolo di protagonista femminile, che in precedenti edizioni era stato, nell’ordine, di Lea Massari e Ornella Vanoni. Nelle successive stagioni rivista e commedia musicale (ad eccezione delle produzioni di Garinei e Giovannini) lasciano il palcoscenico al cabaret e allo strip-tease. Chelli partecipa a trasmissioni televisive (Ci pensiamo lunedì, regia di Romolo Siena, 1983-84).

Arletty

Emblema della parigina non raffinata, ma spregiudicata, dotata di spirito e fascino, Arletty, operaia e poi indossatrice, debutta sul palcoscenico dei Capucines nel 1920. Specializzata in ruoli brillanti, eccelle nell’operetta, la rivista e la commedia (Fric Frac di Bourdet, 1936), grazie anche alla sua indiscussa bellezza. Tenta il dramma, ottenendo grande successo nel 1949 con Un tram che si chiama desiderio di T. Williams, nella celebre riduzione francese di J. Cocteau. Il cinema immortala il suo volto, simbolo di un’avvenenza sicura e aggressiva; le migliori prove nascono dalla collaborazione con Marcel Carné, che la dirige in Alba tragica (Le jour se lève, 1939), L’amore e il diavolo (Les visiteurs du soir, 1942) e soprattutto in Amanti perduti ( Les enfants du paradis , 1945), dove interpreta la sensuale Garance accanto a Jean-Louis Barrault.

Valori

Bice Valori è stata fra le attrici italiane quella che ha praticato più di chiunque ogni genere di spettacolo. Laureata in lettere, diplomata all’Accademia nazionale d’arte drammatica, moglie di Paolo Panelli, con il quale ha spesso diviso la scena lo schermo e i microfoni, ha praticato con uguale brio e identico entusiasmo la radio, la televisione, il cinema, il teatro, la rivista, il teatro da camera, il doppiaggio, e, infine il musical. Al cinema, in venti anni, a cominciare dal 1950, ha interpretato circa quaranta film, affrontando una miriade di piccoli personaggi divertentissimi. Nella rivista è stata molto presente, con un paio di classici: come Controcorrente (1953) e Senza rete (1955). In radio ha lavorato spesso con la regia di Luciano Mondolfo e con la regia di quest’ultimo ha partecipato a uno straordinario spettacolo comico, Sei storie da ridere (1956), insieme a Monica Vitti, Gianrico Tedeschi e Alberto Bonucci. In tv ha preso parte al varietà di Antonella Falqui Eva ed io (1961), allo sceneggiato Il giornalino di Gian Burrasca (1964-65), al varietà Doppia coppia (1969) e, più in là, a un altro varietà televisivo, Ma che sera (1978) con Raffaella Carrà. È stata poi interprete principale in tre commedie musicali di Garinei e Giovannini: Rugantino , con Nino Manfredi, Aldo Fabrizi e Lea Massari (1962); Aggiungi un posto a tavola con Johnny Dorelli, Daniela Goggi e Paolo Panelli (1974); Accendiamo la lampada con Dorelli, Gloria Guida e Paolo Panelli (1979), che fu il suo ultimo spettacolo.

Milillo

Valeria Milillo esordisce nel 1988 ne Le relazioni pericolose di Hampton, sotto la direzione di A. Calenda e l’anno dopo è in Come prima, meglio di prima di Pirandello con la regia di L. Squarzina. Nel 1992 recita ne La scuola delle mogli di Molière, regia di M. Scaccia e nel 1993 partecipa a L’aquila bambina di A. Syxty con la regia di L. Ronconi. Al cinema ha lavorato in Americano rosso (1990) di A. D’Alatri e Non siamo soli (1991) di P. Poeti.

Asti

Di talento versatile, Adriana Asti debutta nel Miles gloriosus di Plauto (1951), per la regia di Fantasio Piccoli, ma diventa presto famosa grazie a Visconti che la vuole in Il crogiolo di A. Miller (1955), nel capolavoro Rocco e i suoi fratelli (1960) e in Altri tempi di H. Pinter (1973). Nella intensa attività di attrice ha interpretato molteplici ruoli, da Goldoni – è nella edizione del 1952 di Arlecchino servitore di due padroni , regia di Giorgio Strehler -, a Pirandello (Questa sera si recita a soggetto, regia di Vittorio Gassman, 1961; Vestire gli ignudi , regia di G. Patroni Griffi, 1966; Come tu mi vuoi , regia di Susan Sontag, 1979). Si ricorda la sua presenza in Noi moriamo sotto la pioggia , di Enzo Biagi, regia di Fantasio Piccoli, con Romolo Valli (1951); Veglia la mia casa, angelo , da T. Wolfe, regia di L. Visconti (1958), Ti ho sposato per allegria , di N. Ginzburg, regia di Luciano Salce (1966), Orlando furioso , regia di Luca Ronconi (1969), Rosa Luxemburg , di L. Squarzina e V. Faggi (1976); Santa Giovanna , di G.B. Shaw, regia di Luca Ronconi (1982), Giorni felici di Beckett, regia di Mario Missiroli (1983), L’inserzione di N. Ginzburg, regia di G. Ferrara (1969 e 1989), La Maria Brasca di A. Testori (1992, premio Eleonora Duse) e Tre uomini per Amalia di Cesare Musatti (1994). Adriana Asti divide la sua vita tra Roma e Parigi, dove lavora frequentemente come attrice, recitando in francese diretta, tra gli altri, da Pier Luigi Pizzi e Alfredo Arias. Nel corso della sua lunga e ricca carriera ha girato oltre quaranta film, diretta, fra gli altri, da B. Bertolucci, De Sica, Pasolini e Bolognini.

Nicolodi

Formatasi a teatro, Daria Nicolodi raggiunge una certa notorietà al cinema, interpretando l’intrepida quanto pasticciona giornalista di Profondo rosso (1975) di D. Argento, suo futuro marito. Insieme ad Argento lavorerà anche in Inferno (1980), Tenebre (1983), Phenomena (1984) e Opera (1987). Il cinema comunque non l’ha distolta dalla passione per il teatro: negli anni ’80 collabora con la compagnia del Teatro Eliseo di Roma, con la quale recita in A porte chiuse di Sartre (1980) e Birdbath di Leonard Melfi (1981), con la regia di G. Patroni Griffi. Nel 1983, sempre con la compagnia dell’Eliseo, partecipa all’allestimento di Delitto e delitto di Strindberg, per la regia di G. Lavia. Dopo alcune parentesi cinematografiche torna al teatro a Firenze nel 1991, per partecipare, la notte di San Silvestro, a una `maratona teatrale’ per festeggiare l’anno nuovo, insieme a una ventina di attori accomunati da origini o esperienze fiorentine. Nel 1992 lavora come protagonista in Partage de midi di Claudel (regia di F. Però), presentato dallo Stabile di Parma al festival `Città spettacolo’ di Benevento. Più di recente ha partecipato alla `mise en espace’ di Dinner Party di P.V. Tondelli (1994), testo vincitore del premio speciale Paolo Bignami ’85, con la regia di P. Maccarinelli.

Ninchi

Ave Ninchi esordisce a soli 5 anni nel Glauco di Morselli con Annibale Ninchi, suo cugino. La recitazione è infatti una tradizione nella famiglia Ninchi. Nel 1935 Ave è ammessa all’Accademia d’arte drammatica di Roma, fondata quell’anno da Silvio D’Amico. La sua carriera è costellata da ruoli di caratterista, in: Tre sorelle di Cechov (1941); Questa sera si recita a soggetto di Pirandello (1948); Medea di Euripide (regia di G. Salvini, 1949); Dialoghi delle Carmelitane di G. Bernanos (1952); La contessina Giulia di Strindberg (regia di L. Visconti, 1957). Ma è la commedia che riesce a sfruttare a pieno la sua `ingombrante’ presenza scenica: Il campiello di Goldoni (regia di C. Ludovici, 1957); Le nuvole di Aristofane (1964); Liolà di Pirandello (1968); Clizia di Macchiavelli (1984) ; Il campiello di Goldoni (regia di S. Sequi, 1984).

Verdon

Figlia di un elettricista e di una direttrice scolastica, Gwen Verdon dopo gli studi di danza con E. Belcher e alcuni ruoli del tutto marginali sul palcoscenico, ottiene la prima scrittura dagli studi di Hollywood per doppiare il sonoro del tip-tap dei film musicali e per fare la controfigura della protagonista durante le prove dei numeri danzati. Compare come anonima ballerina nei film Divertiamoci stanotte (1951), Aspettami stasera (1951) e La vedova allegra (1952) e come attrice in Davide e Betsabea (1951) e L’avventuriero della Louisiana (1953). L’occasione di mettere in mostra appieno le sue doti le viene offerta a Broadway con il musical Can-Can dove riveste un ruolo di secondo piano (1953). Le è sufficiente un numero (la `danza degli Apaches’) per offuscare la star dello spettacolo ed entrare di prepotenza nella leggenda della 42ª Strada. Nel frattempo, sul set di Baciami, Kate! (1953), conosce B. Fosse che è alle sue prime prove come coreografo e ne diventa la terza moglie. Il marito la dirige in teatro in Damn Yenkees (1955), in New Girl in Town (1957) e in Redhead (1959), ma sono i successi creati dalla coppia con Sweet Charity (1966) e Chicago (1975) ad assegnarle un posto perenne nell’olimpo del musical. È protagonista anche della versione cinematografica di Damn Yenkees nel 1958 e splendida caratterista in Cocoon-Il ritorno (1988). Il matrimonio dura una decina d’anni, ma anche dopo il divorzio il sodalizio artistico tra i due continua. B. Fosse le rende esplicito omaggio nel film autobiografico All That Jazz (1979).

Marinelli

Diplomata alla scuola del Piccolo Teatro, Ida Marinelli entra a far parte della compagnia del Teatro dell’Elfo, nel 1975, come interprete in Pulcinella nel giardino delle meraviglie diretto da Gabriele Salvatores, lavorando poi in quasi tutti gli spettacoli della sala milanese. Tra i più importanti: 1789: scene della rivoluzione francese (1976), Pinocchio Bazar (1977), Le mille e una notte (1978), Satyricon (1979), Sogno di una notte d’estate (1982). Dal 1982 lavora continuativamente sempre all’Elfo, ma in stretta collaborazione con i registi Elio De Capitani e Ferdinando Bruni, ottenendo le maggiori soddisfazioni professionali con spettacoli come Le lacrime amare di Petra von Kant di Fassbinder (più volte ripreso e diventato un vero e proprio best-seller dal 1988), Quartetto di Heiner Müller (1989), La bottega del caffè di Goldoni-Fassbinder (1991), Resti umani non identificati e la vera natura dell’amore di Brad Fraser (1992), Decadenze di Steven Berkoff (1993), Amleto (1993 e versioni seguenti) in cui copre il ruolo di Gertrude, Capodanno di Copi (1995), Madame de Sade di Mishima (1996). Sempre con Teatridithalia (nuovo nome del Teatro dell’Elfo) recita in spettacoli diretti da registi esterni: Gloria (1993) e Zozos (1994), entrambi scritti e diretti da Andrea Taddei e La dolce ala della giovinezza (1998) di T. Williams, con la regia di Lorenzo Loris.

Cortese

Valentina Cortese debutta a 17 anni nel cinema in Orizzonte dipinto accanto a Ermete Zacconi, poi è nel Bravo di Venezia accanto a Rossano Brazzi; con lui, diretta da E. Giannini debutta in teatro ne La signorina, cui seguono Canadà di C. G.Viola e Il padrone delle ferriere di Onhet. Ben presto la sua delicata figura da diva dei telefoni bianchi scopre un temperamento teatrale ferreo e assoluto; si afferma in Donne di C. B. Luce, 1944, e Il tempo e la famiglia Conway di Priestley (regia di A. Blasetti, 1945). Nei quadri di un’inchiesta del settimanale “Platee”, nel ’46, Grassi e Strehler la indicano come l’attrice del momento per la sua interpretazione di Amarsi male di Mauriac (regia O. Costa) portata a Milano dalla Compagnia Pagnani-Ninchi-Brazzi che presenta anche Strano interludio di O’ Neill (regia E. Giannini). Per un momento la Cortese sembra allontanarsi dal teatro, rapita dal cinema americano: è il ’49, ha girato con Dassin I corsari della strada e a Hollywood, dove è arrivata con un contratto della 20 Fox sul set di Ho paura di lui di R. Wise ha incontrato Richard Basehart (che sarà Il Matto nella Strada di Fellini) e l’ha sposato (1951).

Dopo qualche anno torna in Italia e vince la Grolla d’oro a Saint-Vincent per la sua interpretazione in Le amiche di Antonioni, tratto da un racconto di Pavese (1956). Separatasi dal marito e stabilitasi definitivamente in Italia con il figlio Jack, si lega a Giorgio Strehler e al Piccolo in un rapporto previlegiato che sfocia in una serie di interpretazioni di altissimo livello: è Sonia in Platonov e altri accanto a Sarah Ferrati, Tino Buazzelli e Tino Carraro (1959), passa a L’ereditàa del Felìs di Illica accanto a un grande Piero Mazzarella, dove nella capitolazione della Lena di fronte alla potenza corruttrice dei sciori porta una drammaticità semplice e commossa; ancora con Mazzarella è un’indimenticabile Nina nella seconda edizione di El nost Milan (1961); nel giugno ’63 è la voce recitante di Pierino e il lupo , ridotto da Strehler per il teatro alla Scala (direttore Nino Sanzogno, pianista Van Cliburn) e nel luglio è Beatrice nella nuova edizione dell’ Arlecchino a Villa Litta ad Affori. La sua recitazione si fa robusta e fortemente drammatica per la regina Margherita in Il gioco dei potenti (trilogia dell’ Enrico VI di Strehler da Shakespeare), recitato in due giornate nel ’65 prima al Lirico di Milano, poi al Comunale di Firenze per la Ia rassegna degli Stabili (l’altro Stabile italiano invitato alla rassegna era quello di Torino con il Ruzante di Parlamento e Bilora diretto da G. De Bosio).

Sono di questi anni le interpretazioni più mature che fissano la sua cifra recitativa personalissima dove il personaggio nel quale si cala corpo e anima è sempre controllato e restituito anche nei suoi risvolti critici: dalla Ilse di I giganti della montagna nella memorabile edizione del ’66 portata dal Piccolo in tournée in Italia e all’estero a Santa Giovanna dei macelli di Brecht per il Maggio musicale fiorentino (1970), preceduta dal Processo di Giovanna d’Arco a Rouen 1431 di Anna Seghers nella riduzione di Brecht (regia K.M. Grüber), alla straordinaria Lulu di Wedekind diretta da Chéreau (1971) e dal ’74 al ’77 alla personale, zingaresca Rawneskaja del Il giardino dei ciliegi chiuso nel bozzolo bianco dei sogni infantili, ma anche nel sudario di morte di una società che trascina con sé storia e vita. Fuori dal Piccolo è l’Anna vivace, leziosa e spettrale di Old Times (con A. Asti e U. Orsini, regia Visconti, 1973) e la Maria Stuarda del dramma omonimo di Schiller diretto da F. Zeffirelli (con R. Falk nel ruolo di Elisabetta). Dei numerosissimi film basterà ricordare Giulietta degli spiriti di Fellini , Fratello Sole e sorella Luna e Gesù di Zeffirelli, L’assassinio di Trotskij di Losey (con R. Burton e A. Delon) e Effetto notte di Truffaut per il quale riceve la nomination per l’Oscar. Fra le tante partecipazioni alla radio è Gina di Sanseverino nella Certosa di Parma di Stendhal e alla tv, la Gerda dei Buddenbrook diretto da E. Fenoglio nel ’71, la grande Sarah Bernhardt in un confronto con la Duse (Piera Degli Esposti) e un po’ se stessa nella performance nella Granduchessa e i camerieri rivisitata da Garinei e Giovannini , con la coppia Franchi e Ingrassia. Le nozze con Carlo de Angeli hanno diradato sempre più gli appuntamenti teatrali, ma è comparsa più volte accanto a Carla Fracci in spettacoli di danza e poesia, uno per tutti, Bilityse .

Sanda

Dominique Sanda esordisce al cinema in Così bella, così dolce di R. Bresson (1969), per poi raggiungere la notorietà, lavorando in Italia in Il giardino dei Finzi Contini di V. De Sica (1970) e Il conformista di B. Bertolucci (1972). A teatro ha lavorato in Madame Klein di N. Wright, per la regia di B. Jacques, Le relazioni pericolose (1994) di C. Hampton, da Laclos, per la regia di M. Monicelli. Recita da protagonista nella `mise en espace’ Carte blanche à Dominique Sanda , scritta per lei da Michel De Maulne e in Oedipus rex di Stravinskij, allestito da Bob Wilson. Recentemente, sempre con Wilson, ha recitato in Donna del mare (1998) di S. Sontag da Ibsen, accanto a P. Leroy.

Scala

Coltivando la sua vocazione per lo spettacolo, Delia Scala si iscrisse a otto anni alla scuola di danza della Scala di Milano, dove si era trasferita con la famiglia. Il primo tempo della sua carriera, col volto di ragazzina acqua e sapone che contrastava con il prototipo della maggiorata di allora, appartiene al cinema. Partecipò a moltissimi film d’epoca, da Anni difficili del 1947, di L. Zampa, che ebbe il merito di scoprirla, a I teddy boys della canzone del 1960: in mezzo ci sono titoli come Napoli milionaria, Come scopersi l’America con Macario, Bellezze in bicicletta con la Pampanini, con un esempio drammatico in Roma ore undici e un giallo in Grisb. Ma naturalmente la sua affermazione appartiene al teatro, quando, apparendo una sera del settembre del 1954 al Lirico di Milano, in Giove in doppiopetto e trionfando subito accanto a Dapporto, rivoluzionò l’immagine classica della soubrette dal fastoso guardaroba e dal rimmel in camerino.

Furono Garinei e Giovannini a lanciarla dopo un’accanita gara sulla paga con Paone, in quel fortunato spettacolo ispirato a Plauto, il primo che vantava una vera trama, pur ancora in mix con la rivista (vedi il personaggio di Agostino, presente nel secondo tempo) e si replicò per due anni. Nello spettacolo la ragazzina era una giovane sposina (“Ho il cuore in Paradiso”) sedotta niente meno che da Giove. La Scala, show girl e non più soubrette, alle doti di attrice, aggiungeva la preparazione atletica come ballerina, che le permetteva exploit acrobatici come nel “Mambo dei grappoli” (sempre in Giove in doppiopetto), in cui saltava su un tamburo-tinozza elastico decorato con grappoli d’uva per decine di volte consecutive, provocando l’entusiasmo del pubblico. La maliziosa, moderna, la simpatica Scala avrà una carriera breve, per sua volontà (non sopportava più, dopo un attacco di appendicite, la fatica e la disciplina delle tournée), ma intensa e redditizia. Pochi titoli dunque, tutti di casa Garinei e Giovannini, che sono rimasti nella storia della rivista e del musical.

Si va da Buonanotte Bettina (1956) con Walter Chiari con cui formò un’indovinata coppia giovane per satireggiare i best seller scandalistici alla Sagan al musical liberty L’adorabile Giulio (1957), con l’edipico ‘padre’ teatrale Dapporto, nel consolidato ruolo dell’attore viveur, e Teddy Reno (che, non a caso, le dedicava l’orecchiabile refrain di Kramer Simpatica). Nel 1958 in Un trapezio per Lisistrata, uno degli spettacoli più riusciti e originali della `ditta’, coreografato da Donald Saddler, vestito da Coltellacci, l’attrice fa la volitiva, combattiva, moglie che sciopera e fa scioperare contro i mariti, saltellando sulla popolare colonna sonora di Kramer, che comprende Donna e Raggio di sole, che resteranno best seller del Quartetto Cetra.

Dopo una storica edizione di “Canzonissima” nel 1960 a fianco di Panelli e Manfredi, la Scala affronta nel 1964 un musical coniugale da camera, con soli due protagonisti che cambiano identità e parentela, intorno al balletto che interviene solo se evocato: lei e Rascel, impegnati in una schermaglia di marito e moglie a zig zag nel tempo. Ma prima la coraggiosa Scala – che ha avuto, nel corso del tempo, tempestose, tragiche, sfortunate, vicissitudini sentimentali e anche di salute – era stata nel 1960 la star di uno show monografico a lei dedicato, Delia Scala Show , allestito, per uno di quei fortunati casi del teatro, con la complicità del trio comico Ucci-Garinei-Sposito. Seguì lo storico kolossal Rinaldo in campo, con le camice rosse garibaldine, celebrazione risorgimentale ad alto tasso spettacolare, un musical scritto come una commedia drammatica, il primo con un personaggio che muore in scena.

E per la prima volta è assente la passerella, con gran delusione dei fans che, per il finale, occupavano per tradizione, festosamente, i corridoi del teatro arrivando alle prime file dai posti in piedi del fondo. L’ultimo spettacolo della soubrette fu, nel 1964, un musical di fama e gradimento internazionale, My Fair Lady, allestito dalla produzione di Lars Schmidt con Remigio Paone e tratto dalla commedia di Shaw Pigmalione. In contemporanea con il trionfo del film di Cukor interpretato da Audrey Hepburn e Rex Harrison, il My Fair Lady italiano non ha nulla da invidiare alle celebrate edizioni straniere: fu uno spettacolo elegante, di grande stile, amatissimo, provvisto di una colonna sonora che tutti canticchiano; e in cui Delia Scala dimostrava come e quanto aveva raffinato le sue doti, accanto a un gruppo di magistrali attori di prosa come Gianrico Tedeschi (Higgins), Mario Carotenuto, la doppiatrice del birignao suadente Tina Lattanzi. Oltre alla sua esemplare carriera teatrale (da cui si ritirò a soli trentacinque anni), l’attrice vanta un curriculum televisivo intenso, che comprende una rivista a schema coniugale con Nino Taranto (“Lui e lei” nel 1956 di Marchesi e Metz), “Signore e signora” con Buzzanca, il serial di “Casa Cecilia” seguito da un altro impegno di tipo familiare sulle reti Fininvest, “Io e la mamma” con Scotti e altre partecipazioni che l’hanno sempre confermata come uno dei volti più cari al pubblico.

Bonaiuto

Friulana di nascita, Anna Bonaiuto si è però formata come attrice a Napoli, città natale del padre, lavorando nel gruppo Teatri Uniti di M. Martone e T. Servillo. Attrice di grande forza espressiva ma priva di tratti popolareschi, nervosa e tenace, nel cinema ha lavorato con P. Avati, L. Cavani, M. Troisi (ne Il postino era la moglie di Neruda-Noiret); in teatro ha esordito con L. Ronconi, quindi è stata più volte diretta da C. Cecchi (L’amante di Pinter, 1985-86), Martone (Woyzeck di Büchner, 1988-89 e i film Morte di un matematico napoletano e L’amore molesto). Tra le altre interpretazioni, Inferno (1997) al Festival di Borgio Verezzi, Le false confidenze di Marivaux nella stagione 1997-98, con A. Renzi e T. Servillo, sempre per il gruppo Teatri Uniti, e I sette contro Tebe di Eschilo con la regia di Martone (poi trasposto al cinema con il titolo Teatro di guerra).

Valeri

Valeria Valeri esordisce nel 1948 nella compagnia di L. Carli in Caldo e freddo; quindi, dopo aver lavorato come annunciatrice alla radio, entra nella compagnia Pagnani-Cervi-Calindri, con cui interpreta Ondine di Giraudoux e Porzia nel Mercante di Venezia . Dal 1953 al ’65 è legata a E.M. Salerno, con il quale interpreta la fortunata serie tv La famiglia Benvenuti . Nel 1963 recita in La vita è sogno di Calderón e lavora con A. Lupo e con G. Tedeschi. In seguito si unisce in compagnia con Paolo Ferrari, interpretando numerosi lavori di successo come Fiore di cactus di P. Barillet e J.-P. Grédy (1981), Vuoti a rendere di M. Costanzo (1986), Sinceramente bugiardi (1987) e Senti chi parla (1989), entrambi con la regia di G. Lombardo Radice. Seguono, negli anni ’90, Gin game (1990), Diario di una cameriera (1991), Et moi… et moi! (1991), La cicogna si diverte (1992); più di recente, Colpo di sole (1995) e Il clan delle vedove (1996). Nella stagione 1997-98 interpreta la ladra Céline nella commedia brillante Madame Lupin.

Gheraldi

Cesarina Gheraldi muove i primi passi sulla scena in Sesso debole di Bourdet (1931) e Quella vecchia canaglia di Nozière (1932) diretta dal grande Ruggeri . Dopo aver recitato a lungo nella compagnia di Gandusio, è negli anni ’50 che le sue interpretazioni assumono particolare rilievo drammatico: Il lutto si addice ad Elettra di `O Neill con Memo Benassi e Diana Torrieri, regia di Strehler, 1945, La casa nova (1951) e la Vedova scaltra (1953) di Goldoni, entrambi inscenati al Teatro La Fenice di Venezia. Ritorna poi in Il lutto si addice a Elettra di E. O’Neill (1951-1952) a cui seguono Non giurare su niente di De Musset (1953) e una memorabile Madre Coraggio e i suoi figli di Brecht, presentato per la prima volta in Italia al Teatro dei Satiri di Roma (1953); Così è (se vi pare) e Il berretto a sonagli di Pirandello (1954); Santa Giovanna dei macelli di Brecht (1970) diretto da Strehler.

Valli

Il cinema ha prevalso nella carriera di Alida Valli, che l’ha vista osannata come bellissima diva dei `telefoni bianchi’; ma dagli anni ’80 le apparizioni in scena sono state più continue, con interpretazioni di testi di Camus, Sartre, D’Annunzio, Miller, Cocteau. Nel 1956 fonda, con T. Buazzelli e R. Grassilli, una compagnia che mette in scena Pirandello ( L’uomo, la bestia e la virtù ) e Ibsen ( Rosmersholm ). Dopo una sfortunata sortita americana ( Enrico IV di Pirandello recitato in inglese, con la regia di B. Meredith) è protagonista nel 1969, a Venezia, di Il sole e la luna di G. Biraghi; nel 1969 è la volta del Dio Kurt di A. Moravia con la regia di A. Calenda, e di una intensa interpretazione dell’ambigua contessa nella Lulu di Wedekind al Piccolo Teatro (regia di P. Chéreau).

Alla fine degli anni ’80 porta in scena un ciclo dannunziano con La città morta e La nave (entrambi nel 1988) per la regia di A. Trionfo. Fondamentale per le ultime prove della V. è stato l’incontro con il regista Chérif. Nel 1990 interpreta una straordinaria edizione dei Paraventi di Genet, in cui è una madre che esalta il potere dell’allucinazione e del mistero delle favole. Il felice incontro con Chérif sfocia l’anno seguente in Improvvisamente l’estate scorsa di T. Williams (1991-92) e prelude alla creazione di una nuova compagnia: da una battuta dei Paraventi nasce `La famiglia delle ortiche’, che sancisce il sodalizio con Chérif e lo scenografo Arnaldo Pomodoro. Il primo titolo è Più grandiose dimore di O’Neill (1993) in cui è una grandissima Deborah, capace di esaltare i conflitti del triangolo moglie-marito-figlia, accanto a Anna Maria Gherardi e Sandro Palmieri.

Gassman

Figlia d’arte, la madre e stata Nora Ricci, prima moglie di Gassman, Paola Gassman si diploma all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ di Roma nel 1968 e subito dopo debutta con lo Stabile dell’Aquila, recitando in un testo di Osborne tratto da Lope De Vega. Per tre anni lavora con L. Ronconi (1968-70), poi, il sodalizio artistico e umano (divengono marito e moglie) con Ugo Pagliai, che in quegli anni era in ditta con Lilla Brignone. Nel 1981 si forma la compagnia Pagliai-Gassman-De Santis, con cui nello stesso anno allestisce Il gatto in tasca , adattamento del testo di Feydeau di R. Lerici, con la regia di Proietti e l’anno dopo Il bugiardo di Goldoni, per la regia di A. Piccardi. Sempre con il marito recita nella compagnia Teatro e Società in Il piaceredell’onestà (1984) di Pirandello, regia di M. Castri, Giobbe (1985) di Karol Wojtyla, diretto da K. Zanussi e Domino (1987) di Marcel Achard, regia di L. Squarzina. Nell ’87 partecipa all’allestimento de Il mercante di Venezia , diretto da O. Costa e presentato a Taormina Arte. L’anno dopo si forma l’inossidabile compagnia Pagliai-Gassman che produce numerosi spettacoli tra i quali: Scene di matrimonio (1988) di I. Svevo, Sogno di una notte di mezz’estate (1991) di Shakespeare con la regia di Mauro Bolognini e Ifigenia in Aulide (1992) di Euripide, presentati entrambi al festival di Borgio Verezzi. E ancora, Giù dal monte Morgan (1993) di A. Miller, regia di M. Sciaccaluga, Vita col padre (1994) di H. Lindsay e R. Crouse e Federico e la luna (1995), omaggio a García Lorca ideato e interpretato dalla G. e Pagliai. Nel ’98 recita nel testo del padre O Cesare o nessuno, sulla vita e il mito di Edmund Kean, regia dello stesso Vittorio Gassman.

Leigh

Dedita al teatro e fin da principio al cinema, Vivien Leigh affronta le due carriere con uguale successo, facendosi apprezzare per il suo fascino e per la sensibilità e precisione della sua recitazione. Nel 1935 si fa notare in La maschera della virtù di A. Dukes e successivamente, insieme al celebre marito (1940-60) Laurence Olivier, dà corpo ad alcune tra le sue più notevoli interpretazioni, per la maggior parte shakespeariane: Amleto a Elsinore (1937), Romeo e Giulietta a New York (1940), Antonio e Cleopatra a Londra (1951), e nel 1955 La dodicesima notte , Macbeth e Tito Andronico al festival di Stratford-Upon-Avon. Nel 1948-49 insieme a Olivier contribuisce a dar lustro alla stagione dell’Old Vic, in particolare in Riccardo III , ne La scuola della maldicenza di Sheridan e nell’ Antigone di Anouilh. Tra i successi personali si ricordano Blanche in Un tram che si chiama desiderio (1949); Cleopatra in Cesare e Cleopatra di Shaw (1951) e Mary in Il principe e la ballerina di Rattigan (1953). Tra le sue interpretazioni cinematografiche la ricordiamo indimenticabile protagonista in Via col vento di Fleming (1939) e in Un tram che si chiama desiderio di Kazan (1951).

Giacobbe

A soli vent’anni Gabriella Giacobbe entra a far parte della compagnia del Piccolo di Milano dove lavorerà per quasi tutta la carriera, a parte due piccole parentesi professionali: una in cui lavora con Visconti al Teatro stabile di Torino e l’altra che la vede impegnata al fianco di Eduardo De Filippo fino al 1966. Il debutto con Strehler è in La sei giorni (1953), seguito immediatamente nella stessa stagione da La folle di Chaillot e La mascherata. Tra i tanti allestimenti tutti importanti ricordiamo L’anima buona di Sezuan (1957-58), Vita di Galileo (1962-63), Platonov e altri (1958-59), La visita della vecchia signora (1959-60), Ricordo di due lunedì (1961-62), Il gioco dei potenti (1964-65), Enrico IV (1961-62), L’anitra selvatica (1962-63), Mercadet l’affarista (1958-59), Come nasce un soggetto cinematografico (1959-60), La storia di Pablo (1960-61) e La Maria Brasca (1959-60), diretta anche da M. Missiroli, V. Puecher, O. Costa, G. Sbragia. Nel 1968 porta ancora sulla scena Mercadet l’affarista allo Stabile di Catania e nel 1969 è con T. Buazzelli in Tutto per bene di Pirandello. Infine torna al Piccolo durante la stagione 1971-72 per il raffinato e particolare allestimento de La passione del regista polacco Kazimiers Dejmek. Nel 1972 inoltre è al Vittoriale per La figlia di Iorio con la regia di G. Cobelli. Nel 1975 interpreta a Roma per la regia di G. Guerrieri Morte di un commesso viaggiatore di Miller.

Zareschi

Elena Zareschi nasce in Argentina ma è di origine italiana da parte del padre. Frequenta il Centro studi cinematografici di Roma e nel 1937 debutta sullo schermo con L’ultima nemica di Umberto Barbaro. Nel 1939 fa la sua prima comparsa sulle scene teatrali con la compagnia di A. G. Bragaglia in Nozze di sangue di Federico García Lorca. Successivamente passa nella compagnia Grandi Spettacoli diretta da Forzano; nel 1941 interpreta accanto a Memo Benassi Il cadavere vivente di Tolstoj e Sperduti nel buio di R. Bracco. Nel 1942 è nella formazione di Paola Borboni, quindi nel 1944 recita nuovamente al fianco di Benassi ne La fiaccola sotto il moggio di D’Annunzio e in Amleto di Shakespeare, presentati entrambi al Festival di Venezia.

Nel 1947 è chiamata da Strehler per la stagione inaugurale del Piccolo Teatro di Milano (L’albergo dei poveri di Gor’kij, Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, Il mago dei prodigi di Calderòn). Dopo aver recitato in Corruzione al Palazzo di Giustizia di U. Betti per la regia di Spadaro e in Questa sera si recita a soggetto di Pirandello diretto da Brissoni, nel 1949 interpreta il ruolo di Cassandra in Troilo e Cressida di Shakespeare regista di Visconti. La sua carriera è costellata da grandi, personali affermazioni (Delitto all’isola delle capre di Betti, regista di C. Pavolini, 1950 con S. Randone e L. Alfonsi; Sofonisba di Trissino diretta da Strehler all’Olimpico di Vicenza; Oreste di Alfieri, Tieste di Seneca, Peer Gynt di Ibsen, Edipo re di Sofocle e Amleto tutti in coppia con V; Gassman).

Nel 1955-56 è primattrice del Teatro Regionale Emiliano (Vestire gli ignudi e Enrico IV di Pirandello), poi ancora con Gassman interprete nell’Oreste di Alfieri a Parigi. Negli anni Sessanta si conferma ottima attrice tragica è Ecuba nella traduzione di Quasimodo, Elettra diretta da Fenoglio (1961), Medea per la regia di Minotis (1964), Atossa ne I persiani allestito da Rondiris (1966). Fra le ultime interpretazioni è Donna Allegrina ne La fiaccola sotto il moggio di D’Annunzio per la regia di P. Maccarinelli. Intensa è l’attività cinematografica e televisiva.

Moreau

Dopo gli studi all’Accademia d’arte drammatica, Jeanne Moreau debutta nel ruolo di Madeleine ne La Terrasse de Midi di Clavel diretta da J. Vilar in occasione del primo Festival di Avignone nel 1947. In seguito viene scritturata dalla Comédie-Française, che lascia tuttavia nel 1952 per seguire Vilar nel progetto del TNP-Théâtre National Populaire. Per il grande regista appare nuovamente al festival di Avignone nel ruolo di Chimene accanto a Gérard Philipe in quella che è stata una delle più acclamate messinscena del Cid di Corneille, e ne Il principe di Homburg di Kleist. A metà degli anni ’50, lascia il TNP per altre esperienze sceniche: è la sfinge de La Machine Infernale di Cocteau (1954) e Margaret ne La gatta sul tetto che scotta (1956) diretta da P. Brook. La sua bellezza sensuale e melanconica, unita a una notevole carica espressiva, la rendono anche celebre attrice cinematografica: il primo film importante è Ascensore per il patibolo di L. Malle (1957), cui segue Les amants (1958). Lavora in seguito con i più affermati registi quali Antonioni ( La notte ), Truffaut (Jules e Jim, La sposa in ner), Welles ( Il processo ), Buñuel ( Diario di una cameriera ), Fassbinder ( Querelle de Brest ), Anghelopoulos ( Il passo sospeso della cicogna ), Besson (Nikita). Nel 1960 ottiene la Palma d’oro a Cannes come migliore attrice per Moderato cantabile di P. Brook. Nel 1975 si cimenta con la regia cinematografica dirigendo il film Lumière . Durante gli anni ’80 ottiene due veri e propri trionfi teatrali con Le récit de la servante Zerline diretto da K. M. Gruber e con La Celestina firmato da A. Vitez, che la confermano attrice intensa e moderna, dalle scelte coraggiose e sempre di qualità.

Pica

Figlia d’arte Annunziata Pica esordisce al teatro S. Ferdinando di Napoli, nella compagnia di Federico Stella come attrice giovane, recitando anche parti maschili. Una lunga gavetta nelle compagnie partenopee, una voce profonda in un corpo minuto e un acuto senzo del ritmo comico la spingono a specializzarsi nel ruolo di caratterista. Negli anni d’oro della rivista fa compagnia con V. Scarpetta, con E. Turco e A. Salvietti e partecipa anche ad alcune produzioni di M. Galdieri. Negli anni ’40 inizia il sodalizio con i fratelli De Filippo. Eduardo scrive per lei alcuni personaggi in Filumena Marturano , Questi fantasmi e Napoli Milionaria . Nel 1953 è a Napoli, di nuovo con Eduardo, per partecipare alla serata inaugurale del Teatro S. Ferdinando con Palommella zompa e vola di Petito. La sua attività cinematografica inizia nel 1934 con Il cappello a tre punte e ha carattere saltuario fino agli anni ’50. Dopo il successo di Pane, amore e fantasia (1953) e Pane, amore e gelosia (1954), che le vale un Nastro d’argento, il cinema diventa la sua principale occupazione. Ha girato anche alcuni film da protagonista tra cui Nonna Sabella (1957) e L a zia d’America (1957).

Rossellini

Raffaella Rossellini partecipa nel 1978 alla fondazione del Teatro dell’Iraa (Istituto di Ricerca sull’Arte dell’Attore) diretto da Renato Cuocolo e concentrato sull’analisi e la fusione di diverse culture teatrali – con spiccata predilezione verso quelle orientali e sudamericane – e diversi codici espressivi, attraverso lavori come Lontano da dove (1981), Atacama (1982), Nowhere to hide (1984). In seguito con la compagnia Silvestremente ha proseguito il suo lavoro di ricerca etnologica. Ha partecipato al film di Marco Bellocchio La Visione del Sabba ed è autrice del saggio La liquidazione del corpo (1989).

Plowright

Joan Anne Plowright inizia la propria formazione alla fine degli anni ’40 presso la scuola di recitazione della compagnia Old Vic, dove incontra George Devine, il futuro fondatore (1956) nonché direttore della English Stage Company. Interpreta con successo Le sedie di Ionesco (1957) e La moglie campagnola di William Wycherley, ma sarà il ruolo di Beatie in Radici di Arnold Wesker (1959) a valerle la consacrazione quale primattrice della sua generazione. Lavora quindi, sotto la direzione di Orson Wells in Rinoceronte di Eugène Ionesco (1960), una produzione della English Stage Company a cui partecipa anche Laurence Olivier, che diventerà poi, nel 1961, suo marito. Altro incontro importante è quello con il National Theatre, per il quale, a partire dal 1963, interpreta una serie di ruoli principali, tra gli altri, Il mercante di Venezia (1970) , Santa Giovanna di G.B. Shaw, e Sabato Domenica e Lunedì (1973) e Filumena Marturano (1977) di Eduardo De Filippo. Lavora anche nell’ultima commedia di Ben Travers The Bed Before Yesterday (1975) e in Enjoy di Alan Bennett. Le sue qualità attorali sono riconducibili principalmente ad una istintiva spontaneità carica di forza emotiva e del tutto priva di ricercati manierismi.

Ardant

Il suo debutto sulle scene avviene nel 1974 anche se è il cinema a darle la notorietà – la ricordiamo splendida protagonista di La signora della porta accanto di François Truffaut, nel 1981 – Fanny Ardant non abbandona mai il teatro. Ricordiamo fra gli spettacoli che ha interpretato: Tête d’or di Claudel; Les bons bourgeois di R. de Obaldia (1980; nella parte di Philomène); è stata voce recitante in Perséphone di Gide-Stravinskij (Scala 1982); La Musica deuxième di Marguerite Duras (1995); ha impersonato Maria Callas in un testo di Terence McNally, Master Class (1997); Phèdre di Racine (1998).

Campori

Figlia d’arte, quando la compagnia paterna incontra quella dei De Vico, Anna Campori conosce l’attore Pietro, dal 1937 suo marito e compagno nella vita e sulla scena. Nel 1940 P. De Vico, insieme ad Anna e ai fratelli, forma una sua compagnia che si dedica prevalentemente alla rivista. Nel 1950 Anna lascia la compagnia del marito per lavorare con Macario ( La bisbetica sognata , parodia della commedia di Shakespeare), con Umberto Melnati (genere giallo comico), al Festival dell’operetta di Trieste, con la compagnia Giusti-Tognazzi, con N. Taranto ( B come Babele ). In seguito fonda una compagnia con A. Semprini, C. Ranieri e A. Togliani, dedicandosi prevalentemente allo spettacolo musicale. Recita in numerose produzioni televisive e cinematografiche: ricordiamo Giovanna, la nonna del Corsaro nero , lo storico sceneggiato di Vittorio Metz e i film con Totò (tra gli altri Totò, un turco napoletano , Il medico napoletano , Gli onorevoli , I tartassati ). Negli anni ’80 inizia la lunga collaborazione con il regista A. Calenda ( L’inventore del cavallo di A. Campanile, il revival Cinecittà , Miles gloriosus di Plauto, Le rose del lago di F. Brusati).