Tarantino

Quello di Antonio Tarantino è un caso più unico che raro nel teatro italiano. Bolzanino di nascita ma torinese d’adozione, Tarantino sin dall’infanzia si dedica alla pittura. Il suo nome appare di prepotenza all’attenzione del mondo teatrale quando nel 1993 conquista, con verdetto unanime, il premio Riccione Ater per il teatro con i suoi due testi Stabat mater e La passione secondo Giovanni. La stagione seguente il monologo Stabat mater viene messo in scena da Chérif e interpretato da un’ispirata Piera Degli Esposti. Lo spettacolo, le cui scene sono curate da A. Pomodoro, diventa un caso nazionale: la scrittura del cinquantaseienne `esordiente’ drammaturgo viene paragonata a quella di Testori e suscita un entusiasmo raramente riscontrato nella critica italiana.

L’anno seguente, Chérif allestisce anche La passione secondo Giovanni ; questa volta gli interpreti sono E. Bonucci e A. Piovanelli. Il giudizio è ancora una volta più che lusinghiero. Questi lavori sono le prime due parti di quella che l’autore definisce la sua «tetralogia della cura», un progetto che, partendo dalla suggestione evangelica, arriva alla rivisitazione dei grandi miti tragici di Antigone e Medea, miti che l’autore considera sommersi nelle oscure profondità di quel subconscio collettivo che per gli europei è il mondo antico. Nel 1995, sempre Chérif cura la regia di un terzo testo di Tarantino, Vespro della Beata Vergine, interpretato da un inedito Lino Banfi che conquista critica e pubblico con un’interpretazione magistrale. L’ultimo lavoro andato in scena è Lustrini (1997) con Paolo Bonacelli e Massimo Foschi, con l’immancabile regia di Chérif: storia di due anime perse (Lustrini e Cavagna) che instaurano un soffocante e rozzo rapporto amoroso che, più che basato sul godimento dei corpi, si nutre solo di impetuose e impronunciabili esclamazioni.