Smorfia, La

Massimo Troisi, Enzo Purcaro (di lì a poco avrebbe assunto il cognome d’arte Decaro) e Lello Arena: tre amici che facevano cabaret in un piccolo spazio di San Giorgio a Cremano, una cittadina-dormitorio alle porte di Napoli. Poi, armati di qualche articolo assai elogiativo che avevano ottenuto sulla stampa locale, un bel giorno trovarono il coraggio di presentarsi dinanzi a Marcello Casco, patron del locale romano La Chanson, che del cabaret costituiva uno dei templi indiscutibili. Scritturato in prova per una settimana, il trio – che s’era chiamato L.S. in onore del leggendario manuale che fornisce ai napoletani i numero per giocare al lotto – rimase a La Chanson addirittura per tre mesi, riscuotendo un successo via via più strepitoso. Un successo che ben presto dilagò su scala nazionale, grazie al regista Enzo Trapani e alla sua fortunata trasmissione televisiva Non stop , dedicata, per l’appunto, ai giovani talenti della comicità. La consacrazione in patria avvenne la sera del 27 novembre 1977, sul minuscolo palcoscenico del Sancarluccio. Non ci volle molto per capire che il loro – s’intitolava Così è (se vi piace) – non era il solito spettacolo di cabaret, quello, fatto di battutine qualunquistiche e soporifere, a cui ci avevano da gran tempo abituato i cultori del genere, a Napoli in particolare. Si trattava, invece, di un meticoloso processo – venato di una rabbia tanto più gelida quanto meno appariva esibita – che vedeva sul banco degli imputati le parole, quelle che imprigionano nella demagogia delle definizioni di comodo (e perciò condannano all’immutabilità) i dati reali delle condizioni di vita delle classi subalterne. Esemplare, al riguardo, si rivelava il celebre sketch in cui la moglie di un pescatore, vestita come la Madonna (la interpretava Troisi), non riusciva a raccontare la storia del marito, che andava alla ricerca inutile di un lavoro meno rischioso e più redditizio, perché veniva di continuo interrotta dall’ingresso nella sua casa dell’arcangelo Gabriele e di cherubini e re magi vari. E si scopriva, alla fine, che essi avevano sbagliato casa, scambiando il pescatore per il Falegname. Ebbene, ciò che colpiva era l’aggettivo `umile’ che, immancabilmente e ossessivamente, la moglie del pescatore accoppiava alla sua casa: giacché – nei giornali, alla radio e in televisione – la casa di un pescatore è, appunto per definizione, `umile’: tanto `umile’ che, naturalmente, resta un’`umile casa di pescatore’. E basti quest’esempio, allora, a dire che L.S. faceva, più che cabaret, teatro tout court, e a un livello come raramente capita di riscontrare. E si trattava, per giunta, di un teatro che batteva in breccia tutti gli stereotipi della `napoletanità’. Massimo Troisi, Enzo Decaro e Lello Arena sciolsero il gruppo quando erano al culmine della popolarità: per non diventare a loro volta, lo dichiararono esplicitamente, un semplice stereotipo di consumo.