Scotti

Tino Scotti recitava in milanese. Si sottolinea che recitava in milanese per indicare la differenza che correva tra lui e gli altri attori che, pur nati a Milano, non sono stati mai, o solamente in saltuarie occasioni, attori dialettali, in quanto, morto Ferravilla, che era stato maestro della Galli, il teatro dialettale milanese era andato inevitabilmente declinando nella piatta imitazione dei tipi ferravilliani o tra le musichette del vaudeville rivistaiolo. L’attore fu scoperto dal talent-scout del cinema italiano Mario Mattoli che, nel 1940, lo volle accanto a Macario nel quarto film girato con il comico piemontese Non me lo dire. Era diventato attore poco alla volta. Prima le trovate del caricaturista, le battute ispirate da giornali umoristici come il “Marc’Aurelio”, poi la maniera di porgerle, studiata per necessità. Aveva onorato tutto l’itinerario del teatro minore di rivista prima della guerra, ai tempi delle compagnie di Rip e Bel Ami, del padre di Marisa Maresca, di Gondrano Tucci, Dedé Di Landa e della compagnia di Erszl Paal.

Prima di avere l’agognata scrittura cinematografica e la gloria, aveva calcato un’infinità di palcoscenici, ma il vero successo l’aveva raggiunto solo nel 1950 con il primo film tutto per sé È arrivato il Cavaliere di Metz, Marchesi, Steno e Monicelli, tratto dalla rivista Ghe pensi mi! E proprio questo personaggio, il Cavaliere, con l’altro, quello del Bauscia, fu la caratterizzazione più riuscita di un attore che non affinò mai a fondo le proprie doti naturali alternandosi tra le due facce perennemente agitate della stessa maschera: da una parte il lestofante, il truffaldino, lo spaccone vigliacco e millantatore, dall’altra l’industriale ciarliero, due poco di buono squassati da una recitazione epilettica.

Il grande successo, legato soprattutto alle interpretazioni cinematografiche, durò poco, meno di un decennio, ma nel contempo l’attività di Scotti si arricchì di alcune valide esperienze nel teatro di prosa affermandosi, a partire dal 1960, con esperienze shakespeariane: Pene d’amor perdute per la regia di Enriquez, Sogno di una notte di mezza estate (1963); quindi Le baruffe chiozzotte di Goldoni (1964) con Strehler e Donna amata dolcissima (1969) di Arpino, allo Stabile di Torino. Da ricordare poi nel 1970 una parte nel film di Bertolucci La strategia del ragno e, sul finire della carriera, nel 1977 il varietà televisivo “Bambole non c’è una lira”. S. fu attore dalla loquela frenetica, dal baffetto inquieto e dall’energia irrefrenabile degli occhi perennemente in movimento, e quindi, in sintesi, fu, secondo i suoi amati giochi verbali, come il titolo di una sua famosa rivista del 1953, Agitatissimo , e, ancora, come recitava in un proverbiale carosello andato in onda dal 1958 al ’74, soprattutto in questo caso, «Basta la parola».