sceneggiata

La sceneggiata è un genere teatrale fiorito a Napoli tra le due guerre, che alterna il canto con la recitazione e il melologo drammatico. Gli intrecci sono ricavati dalle canzoni di successo del repertorio partenopeo, e articolati nel rispetto di un certo numero di ruoli fissi: Isso, detto anche `tenore’, è l’eroe positivo; Essa, detta anche `prima donna di canto’, è l’eroina; `O malamente è l’antagonista; `a mamma è la seconda donna; `o nennillo è un fanciullo generalmente figlio della coppia principale; `o comico e `a comica sono le parti buffe, alle quali è affidato il repertorio comico. Uno dei primi esempi di sceneggiata si deve alla compagnia di G. D’Alessio, che nel 1918 rappresenta Pupatella, tratta dall’omonima canzone di Bovio. Da allora il genere diventa uno degli spettacoli preferiti del pubblico popolare napoletano, incarnandone valori e aspirazioni.

Molte compagnie vi si dedicano quasi esclusivamente, tra le più celebri la Marchetello-Diaz, la Maggio-Coruzzolo-Ciaramella che trionfa ripetutamente tra gli emigrati napoletani di New York, e la più importante, la Cafiero-Fumo che agisce ininterrottamente dal 1921 sino agli anni ’40. Un nutrito manipolo di `poeti di compagnia’ foraggia di novità gli attori; tra i più prolifici, E.L. Murolo (Surriento gentile, `A santa notte, Fiocca la neve), Oscar di Majo (Core furestiero, Napoli canta, Cicerinella teneva, teneva), Gaspare di Majo (O sole mio, Torna al paesello, Te lasso, Lacreme napulitane), Raffaele Chiurazzi (‘O zappatore, Tarantella scugnizza).

La sceneggiata è adottata anche dalla nascente industria cinematografica: tra il 1919 e il 1927 la Miramare film di Emanuele Rotonno, grazie al successo di Lucia Lucì (1919, regia di U.M. Del Colle), realizza circa un centinaio di film, tutti molto apprezzati dal pubblico napoletano e dagli emigrati nelle Americhe. Negli anni ’40 il genere entra in crisi; l’inesorabile decadenza è contrastata da poche e occasionali compagnie, tanto che nel 1969 a Napoli rimane solo il Teatro Duemila, gestito da Giovanni Fiorenza, a conservare la tradizione. Negli anni ’70 la s. vive i suoi ultimi fasti, attualmente non ancora del tutto spenti, per opera di Mario Merola e Pino Mauro.