Scarpetta

Eduardo Scarpetta si forma nel celebre Teatro San Carlino, a contatto con la grande tradizione popolare napoletana incarnata da Antonio Petito. Una volta impadronitosi dei meccanismi drammaturgici della farsa e della recitazione a soggetto, nel ruolo del `mamo’ Felice Sciosciammocca che non abbandona più, lavora con compagnie proprie. Ben presto ottiene grandi successi sia a Napoli sia in Italia, grazie al suo genio imprenditoriale e alle sue capacità drammaturgiche. Scarpetta realizza infatti una vera e propria riforma, innestando sulla tradizione farsesca partenopea il teatro del boulevard parigino.

Il suo teatro non si rivolge più al popolare pubblico del San Carlino di Petito; le messe in scena sono attentamente curate sia nella recitazione degli attori sia nella studiata eleganza delle scene, mentre le commedie satireggiano la borghesia umbertina di Napoli: «La plebe – scrive Scarpetta- è troppo misera per poter comparire ai lumi della ribalta». È precisamente questo che gli rimproverano intellettuali come S. Di Giacomo, L. Bovio, R. Bracco, F. Russo, i quali polemizzano più volte con l’autore, in nome di un teatro d’arte in cui il verismo è tradotto in bozzettismo di ispirazione sentimental-popolare. Le commedie di Scarpetta contaminano pièce di Hennequin, Labiche, Feydeau, Meilhac e Halévy, ma adattandole a tal punto al ‘milieu’ napoletano da diventarne immagini esemplari, come Lo scarfalietto (1881), `E nepute d”o sinnaco (1885), `Nu turco napulitano (1888), `Na santarella (1889), ‘O balcone `e Rusinella (1902), `O miedeco d”e pazze (1909); felice eccezione il suo capolavoro Miseria e nobiltà (1888).

Sempre attento alle novità del mercato teatrale, tenta con alterno successo anche la rivista, con Allegrezza e guaie (1895, con E. Bartolin) e L’ommo che vola (1909, con R. Galdieri); e il genere delle parodie, con un memorabile Figlio di Jorio (1904) che scatena una chiassosa polemica, conclusasi con la vittoria in un processo per plagio intentatogli dalla società degli autori. Si ritira dalle scene nel 1909, ma continua a dirigere la compagnia del figlio Vincenzo, erede del suo teatro in cui si sono formati attori come i fratelli De Filippo, A. Salvietti, E. Passarelli, M. Gioia e F. Sportelli.