Savi

Dopo gli studi artistici, Carlo Savi lavora dapprima come scenografo realizzatore; nel 1968, inizia una carriera indipendente, sviluppando uno stile analitico che predilige i significati più che la ricostruzione ambientale. I suoi interessi, sebbene comprendano il teatro di prosa (I nuovi pagani di N. Saponaro, regia di R. Bernardi, Roma, Teatro Quirino, 1970; Interrogatorio all’Avana di Henzesberger, regia di A. Negrin, Milano, Piccolo Teatro, 1972), si orientano in particolare verso quello d’opera: numerosissimi gli allestimenti di rilievo, tra i quali quelli per la Piccola Scala di Milano (La morte dell’aria di G. Petrassi, regia di A. Diaz, 1971; Andata e ritorno di P. Hindemith, regia di V. Bertinetti, 1973; La favola di Orfeo di A. Casella, regia di F. Crivelli, 1975; L’opera del mendicante di Britten, regia di F. Crivelli, 1977). Fortunati anche l’ Arcadia in Brenta di Galuppi (regia di G. Belledi, Parma, Teatro Regio, 1980), giocata in uno spazio quasi metafisico, con un malinconico orizzonte disseminato di obelischi, sedie ed altalene; Il barbiere di Siviglia di Rossini (regia di G. Belledi, Parma, Teatro Regio, 1983), dove burattineschi personaggi dai candidi costumi si aggirano sul palco in disarmo tra vecchie cassapanche e antiche macchinerie come in un cantiere di memorie; la Semiramide di Rossini (regia di F. Ambrosini, Parma, Teatro Regio, 1985), dai costumi statuari e simbolici che si stagliano con accesi controluci sul rosso della scena; e la più recente Giovanna d’Arco di Verdi (regia di F. Crivelli, Verona, Teatro Filarmonico, 1988).