Saramago

Narratore tra i più rilevanti del Novecento portoghese, José Saramago si dedica alla scrittura scenica a partire dal 1979, quando, su richiesta della direttrice di un teatro di Lisbona, realizza La notte, opera ambientata nella redazione di un quotidiano della capitale allineato al regime. Il testo si gioca sul contrasto – destinato a diventare rovente quando si diffonde la notizia del golpe democratico – tra il puro Torres ed il corrotto caporedattore Valadares, mediocramente asservito al potere dei più forti. Nel 1980, nel quarto centenario della morte di Luis de Camoes, Saramago scrive Cosa ne farò di questo libro?, pièce in cui l’autore de I Lusiadi, stanco e sofferente, cerca di far pubblicare la sua opera in un “Paese oscuramente assorto nel gusto dell’avidità”. Solo dopo una lunga serie di umiliazioni riuscirà a raggiungere l’obiettivo, ma, a quel punto, nella può cancellare la sua profonda, irredimibile delusione.

Con La seconda vita di San Francesco (1987) Saramago va alla carica del pilastro dell’etica francescana, la povertà. Il ritorno del santo assisiate al cospetto del Capitolo dell’Ordine – ormai del tutto identico ad un Consiglio d’amministrazione – produce effetti inaspettati su Francesco, che abbandona la scena pronto a lottare contro la miseria, perché “è un errore contro la carne e contro lo spirito fare della povertà la condizione per accedere al Cielo”. Fortemente polemica nei confronti di “qualsiasi dottrina” che faccia degli esseri umani “dei nemici di se stessi” è il quarto (e per ora ultimo) lavoro di Saramago, In Nomine Dei, (1993). La tragedia di Münster e degli anabattisti del XVI secolo serve dunque all’autore per ribadire quanto profonda sia l’identità degli uomini, nonostante le divisioni che religioni ed ideologie hanno voluto surrettiziamente programmare. Col titolo Divara è stata allestita una versione lirica della pièce, con musiche di Azio Corghi e scenografia di Dietrich Hilsedorf.