Santuccio

Diplomatosi all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’, Gianni Santuccio esordì con Donadio (1942) per poi formarsi al fianco di R. Ruggeri, L. Cimara, S. Ferrati, rivelando la conquistata pienezza dei mezzi espressivi durante il proficuo – anche se non sempre idilliaco – rapporto con il Piccolo Teatro di Strehler-Grassi, fin dall’inaugurale Albergo dei poveri di Gor’kij (1947). Alla fervida stagione milanese di via Rovello appartengono le sue interpretazioni di Le notti dell’ira di Salacrou, L’uragano di Ostrovskij, I giganti della montagna di Pirandello (con cui si sarebbe riconfrontato quarant’anni dopo). Con crescente autorità trascorse dal frequentatissimo Shakespeare (Riccardo II, Romeo e Giulietta, La bisbetica domata , Riccardo III, La dodicesima notte, Macbeth) all’amato Cechov (Il gabbiano), a Goethe e Ibsen, da Alfieri a Pirandello, da Betti a Sartre. Parimenti decisivo fu il suo sodalizio umano e artistico con L. Brignone, assieme alla quale entrò a far parte (con Benassi) della compagnia del Teatro Manzoni di Milano, interpretando, fra l’altro, I fratelli Karamazov di Copeau-Dostoevskij, Tartufo di Molière, L’allodola di Anouilh.

Formata la compagnia con la Brignone-Randone-Volonghi, prese parte a Come le foglie di Giacosa (regia di Visconti), a La parigina di Becque e a Casa di bambola di Ibsen. Attore di razza, capace di momenti sublimi alternati a impuntature capricciose, pervaso da una frenesia esistenziale bruciata senza risparmio, andò progressivamente affinando gli impeti giovanili, ostentati soprattutto nei classici greci (Elettra di Sofocle, Ippolito di Euripide, Tiresia nell’ Edipo re con Mauri-Moriconi) e nell’ Antigone di Alfieri, per passare con pari esiti da D’Annunzio a Claudel, da Rattigan a Greene, con un occhio di riguardo ancora per Shakespeare (Pene d’amor perdute, Antonio e Cleopatra, Il mercante di Venezia ). Prestò voce inconfondibile, volto intenso, gesto misurato a drammi di Betti, Madariaga, Kleist, ricomponendo il binomio con la Brignone per La parigina di Becque e Danza di morte di Strindberg.

Ritornò al Piccolo di Milano per Marat/Sade di P. Weiss e per l’indimenticabile riallestimento strehleriano del Giardino dei ciliegi di Cechov. Tra le sue ultime interpretazioni significative figurano quella del grande attore Sir Randolph in Servo di scena di Harwood, l’antologia pirandelliana proposta assieme a Foà, l’inquietante apparizione in Finale di partita di Beckett, la sconvolgente personificazione del mago Cotrone nei Giganti della montagna di Pirandello a Erice, poche settimane prima dell’estremo addio. Campione di genio e sregolatezza ‘alla Benassi’ (se non proprio alla Kean), assurse alla più alta poesia di palcoscenico possedendo le stesse virtù magiche che, come ultimo gesto, prestò a Cotrone. Molto meno significative le sue interpretazioni cinematografiche e televisive.