Salisburgo,

L’idea originaria di fondare un festival a Salisburgo venne, nel 1917, a due illustri personaggi della cultura tedesca: Max Reinhardt e Bernhard Paumgartner, a quel tempo direttore del Mozarteum. Nel 1921 si interessano alla gestione della manifestazione altri due giganti della cultura austro-tedesca, cioè la formidabile coppia Richard Strauss-Hugo von Hofmannsthal, che – assieme a Reinhardt – hanno propositi molto diversi da quelli di Paumgartner. L’idea, come si evince dalla lettura dell’interessantissimo epistolario Strauss-Hofmannsthal, era di instaurare nella cittadina austriaca una manifestazione dedicata sostanzialmente al teatro e alla musica contemporanea. Nei primi progetti concreti si discute di mettere in scena, con la regia di Reinhardt, Jedermann (Ognuno, la leggenda della morte del ricco) di Hofmannsthal, anche se la realizzazione fonale di tale proposito delude molto i due illustri maestri; citiamo dalla lettera di Strauss a Hofmannsthal del 19 agosto 1921: «Caro amico! È andata come temevo: il signor Paumgartner e il Mozarteum sono i responsabili della Salisburgo `festiva’, e poi, come aggiunta, anche il signor Reinhardt ha allestito Jedermann nella piazza del Duomo. Di questa vergogna non ci sbarazzeremo più – agli occhi del pubblico -, l’idea del festival è screditata per l’eternità». Invece, contrariamente a quanto profetizzato da Strauss, Jedermann – rappresentato proprio nella piazza del Duomo – è uno degli appuntamenti tradizionali della kermesse estiva. Assieme a Paumgartner – che nel 1929 fondò pure l’Orchestra del Mozarteum, oggi ospite fissa della manifestazione – e a Strauss, un altro interprete di eccezionale statura sempre presente nelle prime edizioni (in qualità di direttore d’orchestra) fu Franz Schalk, allievo di Anton Bruckner, eccezionale interprete wagneriano e cofondatore della manifestazione.

Con l’andar degli anni, però, il Festival perdette l’impulso `avanguardista’ che tentarono di imprimergli Strauss e Hofmannsthal (in parte anche Reinhardt), diventando una sorta di santuario intoccabile della tradizione. Salisburgo, così, abbandonò la musica nuova per dedicarsi unicamente (o quasi) al grande repertorio, in particolare a quello mozartiano. Tutte le maggiori figure di direttori d’orchestra austro-tedeschi sono transitate da Salisburgo: da Wilhelm Furtwaengler a Karl Böhm, da Hans Rosbaud a Herbert von Karajan. Proprio quest’ultimo fondò, nel 1967, il festival di Pasqua, sontuosa anticipazione dell’edizione estiva, della quale alla fine lo stesso Karajan assunse – fino alla morte, avvenuta nel 1989 – la responsabilità artistica. Il successivo direttore artistico – attualmente in carica – Gerard Mortier impresse alla pigra vita festivaliera una scossa radicale, con conseguenze che non sono state – per il tradizionalissimo pubblico salisburghese – ancora oggi assorbite completamente: sostanziale apertura (o meglio `riapertura’, come abbiamo visto) alla musica contemporanea, allargamento del repertorio operistico verso autori meno noti, maggiore attenzione alla qualità delle messe in scena. Così, se da un lato il festival ha perduto una considerevole fetta del suo consueto pubblico, ne sta acquistando un’altra non meno rilevante, composta però da giovani.

Se i grandi direttori non hanno mai latitato dalle sale salisburghesi, diverso è il discorso per i registi: oggi sono ospiti consueti a Salisburgo Bob Wilson, Peter Stein, Peter Sellars, Peter Mussbach, Herbert Wernicke, Luca Ronconi, Robert Lepage, Patrice Chéreau. Nonostante le fortissime contestazione, Mortier pare destinato a rimanere in sella anche per i prossimi anni, continuando nella sua opera di rinnovamento nel repertorio (sue sono le commissioni di opera ad autori quali Luciano Berio, Kaja Saariaho, Giacomo Manzoni, György Ligeti, ecc.) e nelle messe in scena. Della fortuna di Jedermann a Salisburgo (rappresentato in Italia da A. Moissi con W. Capodaglio nel 1934 e a Bergamo in piazza Vecchia da E. D’Alessandro nel 1952 con M. Benassi e P. Borboni) non c’è da dire se non che lo spettacolo, sul sagrato della piazza del Duomo si replica ancora inserendo attori tedeschi da Curd Jürgens a Karl Maria Brandauer e, qualche volta stranieri (è il caso di Maddalena Crippa inserita dalla regia di Peter Stein) con un successo che rispetta una tradizione ormai superata e logora: è diventato un appuntamento ormai irrinunciabile per quel pubblico che sfila alle 5 del pomeriggio in smoking e abito da sera e che assiste al dramma come si assiste alla sagra paesana.

Pure, per la prosa qualche spettacolo che ha lasciato il segno c’è stato, dall’ Arlecchino di Max Reinhardt (1925) a quello di Strehler (1973) che ha allestito nel grande spazio della Felsenreitschule in quello stesso anno la nuova edizione in lingua tedesca del Gioco dei potenti da Shakespeare in due giornate (oltre 100 interpreti, 9 ore di spettacolo) con i migliori attori di Berlino, Amburgo e Vienna a cominciare da Andrea Jonasson a Michael Heltau, da Maria Emo a Siegfried Lowitz a Rolf Boysen, Will Quadfrieg, Wolfgang Reichmann, Karl Paryla e Adolph Spalinger, replicato l’anno successivo. In quell’anno protagonista di Jedermann era C. Jürgens. Il festival di prevalenza musicale (celeberrimo per le varie edizioni delle opere di Mozart) registrerà nel 1974 il preparato insuccesso del Flauto magico firmato da Strehler e da Damiani (per le scene e i costumi). Intorno a Jedermann messe in scena di teatro classico, da Molière a Shakespeare a Pirandello: da ricordare almeno il Giulio Cesare di Stein e I giganti della montagna di Ronconi.