Roussel

Personalità complessa e ardito sperimentatore, Raymond Roussel si pone, con grande anticipo sui tempi, il problema di ciò che, nel linguaggio, consente di pensare e di produrre la letteratura; elabora così un’opera che, come ha acutamente osservato Michel Foucault, pone al centro la questione della parola e del silenzio. Per comprendere i suoi romanzi (La doublure, 1897; La vue , 1902; Impressions d’Afrique, 1910; Locus solus , 1914; Nouvelles impressions d’Afrique , 1932) e i suoi lavori teatrali (L’étoile au front , 1925 e La poussière des soleils, 1927) occorre tuttavia partire dal suo ultimo testo, pubblicato postumo: Comment j’ai écrit certains de mes livres (1935). In esso è svelato il `procedimento’ – come lo chiama lo stesso Roussel – della creazione letteraria: un testo si costruisce inserendolo fra due frammenti di discorso, i più vicini possibile quanto al significante, i più distanti possibile quanto al significato. Una volta trovate le due frasi, la narrazione si incaricherà di riempire lo spazio tra la prima e l’ultima. Il risultato è un’apparenza di grande verosimiglianza, inserita, tuttavia, in un quadro di estrema complessità e artificialità in cui il contenuto duplica, per metafora, i processi che hanno contribuito a produrlo. Il linguaggio è, come si comprende facilmente, il cuore del dispositivo fantastico narrativo di R. Ed è proprio l’interesse verso la libera associazione di immagini, verso la loro oniricità che ha condotto Perlini, con il teatro La maschera, ad allestire a Roma, nel 1976, Locus solus , avvalendosi della collaborazione dello scenografo Antonello Aglioti.