Rocca

Pur tradizionalista nel tratto – a tal punto da rifiutare Pirandello e il grottesco – Gino Rocca testimoniò con efficacia nelle sue opere la `crisi delle coscienze’ di inizio secolo, che l’angosciosa esperienza della grande guerra contribuì ad acuire. Il primo amore (1920), Le farfalle (1921), I canestri azzurri (1921), allestite nei principali teatri di Milano, città in cui ha lavorato come giornalista, fecero da preludio alla sua stagione più fortunata, collocabile tra il 1924 e il 1930. Gli amanti impossibili (1925) e Il terzo amante (1929) portarono a compimento il tema a lui caro dell’inesistenza del vero amore e dell’impossibilità di essere pienamente felici. Sul versante della produzione dialettale – in cui si è avvalso delle straordinarie performance di G. Giachetti che gli assicurarono ampio successo di pubblico e critica – si collocano Se no i xe mati no li volemo (1926), Sior Tita paron (1928) e La scorzeta de limon (1928), accomunate dalla tragicomica presentazione di una provincia arrogante e cupa, dominata dalla smaniosa corsa al denaro e dal grado zero degli affetti.