rivista

La rivista è una sorta di spettacolo d’arte varia, in cui una trama spesso pretestuosa lega il susseguirsi di numeri musicali o di prosa o d’altro genere. È uno dei due spettacoli in cui sostanzialmente si articola il varietà italiano: l’avanspettacolo, come esito povero, la rivista invece come variante ricca. Il primo era il figlio povero, la seconda quella ricca. Ciò accadde, intorno al 1930, quando il fascismo decise di affidare al cinematografo la diffusione di massa delle proprie verità e della propria ideologia. La via dell’avanspettacolo fu presa, allora, dagli attori meno fortunati o meno organizzati, i quali furono costretti a scendere a patti con il cinema. La via della rivista fu scelta invece dagli artisti più ricchi e comunque in grado di sopportare in prima persona costi di produzione elevati (prima di allora erano a carico diretto dei gestori dei teatri) per mettere in scena spettacoli in grado di fare concorrenza al cinema. Bisognava essere, come il cinema, esotici ed eroici, altisonanti e falsi. Tutto il contrario dell’avanspettacolo, dunque, che fu povero e provinciale, basso e vero. In buona sostanza la rivista offriva attrazioni di arte varia proprio come il varietà (comici, ballerine, cantanti, maghi) ognuna della quali basata su tematiche e tecniche autonome; tuttavia, parte degli sketch e i balletti si richiamavano a un tema specifico enunciano dal titolo. In altre parole, non c’era sviluppo narrativo interno alle rappresentazioni: gli elementi unificanti erano quindi esteriori (le scenografie, le musiche).

La rivista conobbe grande fortuna negli anni ’30 e fino alla fine della guerra. Via via, le rappresentazioni si arricchirono di macchinerie scenografiche e paradossi esotici: il tutto a favore di una crescita verticale dei costi di produzione. Ciò rese centrale il ruolo dell’impresario, colui che investiva denaro, curava tutti gli aspetti organizzativi, produttivi e distributivi dello spettacolo. Spesso, poi gli impresari finivano per essere anche autori o talvolta coreografi delle rivista È il caso, per esempio, degli austriaci Fratelli Schwartz, autori e produttori delle riviste più famose e di maggior successo degli anni ’30. Forti della loro esperienza nell’ambito dell’operetta, i due allestirono rappresentazioni ricche fantasiose, talvolta complesse anche dal punto di vita drammaturgico. Ma sempre privilegiando la matrice originaria del varietà: non si preoccuparono, all’occasione, di scritturare artisti celebri e popolarissimi del vecchio varietà o dell’avanspettacolo, consentendo loro di esibirsi nel proprio repertorio, del tutto svincolati dal tema centrale della rivista Un altro impresario celebre dell’epoca fu Remigio Paone che con il marchio “Errepi” produsse alcuni degli spettacoli che più fecero sognare una generazione intera di italiani ricchi, vogliosi e provinciali.

Il nome di Remigio Paone è legato fondamentalmente all’invenzione di Wanda Osiris, delle sue scalinate, dei suoi strascichi e dei suoi boys (tra essi, come è noto, debuttò Alberto Sordi). Ma la vera genialità di Paone fu quella di antevedere la trasformazione radicale della società italiana da prima a dopo la guerra, intuendo la necessità della creazione di un immaginario meno autarchico, guerresco e conflittuale di quello propugnato dal cinema fascista: l’esotismo si trasformò in vaga esterofilia, la beatificazione dell’eroe lasciò il posto alla mancata dannazione dell’antieroe. Spostamenti lievi, come si vede, che però trovarono campo fertilissimo nell’Italia che di lì a poco sarebbe diventata gaiamente democristiana. In questa commistione di meraviglie spettacolari e accomodamenti sociali sta il successo vastissimo della rivista, prima grande creazione artistica della borghesia italiana del secolo XX, portata a livelli di assoluta perfezione dal genio teatrale e imprenditoriale di Sandro Garinei e Pietro Giovannini che, all’indomani della Liberazione di Roma inventarono la commedia musicale.