Ricci

Dopo le adolescenziali esperienze filodrammatiche incoraggiate dal padre, insegnante di recitazione all’Accademia dei Fidenti, Renzo Ricci ottenne la prima scrittura nella compagnia Borelli-Piperno, quando non aveva ancora 17 anni, per poi passare con Gandusio, che non metteva in scena solo pochade ma novità rischiose, come L’uomo che incontrò se stesso di Antonelli e Acidalia di Niccodemi, che al giovanissimo fiorentino valse l’incoraggiante `bravo Ricci’ dell’autorevole M. Praga. In seguito fu con Betrone, con E. Gramatica-Pilotto, con Talli, Zacconi, per formare poi compagnia con la moglie Margherita Bagni (1925-1928), allestendo testi di Paolieri, Ferrigni, Bernstein, Sardou, Deval. Passò quindi con le sorelle Gramatica e, dopo una parentesi nella mitica Za-Bum, capeggiò la Nuova compagnia della commedia (1933) che allineava i nomi di Cervi, Melnati, L. Adani, N. Gorini, E. Magni, cimentandosi in Pirandello, Coward, Guitry, Birabeau, Bourdet.

Più che della lezione verista di Zacconi aveva fatto tesoro della spiritualità di Ruggeri e di estrosi guizzi alla Benassi, costantemente alla ricerca di una modernità interpretativa, espressa appieno negli anni della maturità. Apprezzato per il disincanto che prestava ai protagonisti della commedia borghese, conseguì i vertici interpretativi nel frequentatissimo Shakespeare e sull’opposto versante nelle `maschere nude’ di Pirandello. Nel secondo dopoguerra ha dato vita con l’inseparabile E. Magni a una compagnia che, quasi sempre con le sue regie, ha allestito testi di O’Neill, Shaw, Anouilh, de Hartog, Rattigan, Odets, Maulnier. Ha partecipato inoltre agli spettacoli classici estivi di Boboli, Fiesole, Venezia, Vicenza, Verona, Siracusa con le regie di Reinhardt, Salvini, Simoni, Visconti. Memorabili restano le sue interpretazioni nel torbido Sottoscala di Dyer (accanto a Stoppa), nella Lulù di Wedekind (accanto a Carraro-Cortese) e infine nel Giardino dei ciliegi di Cechov (il vecchio Firs) e nel Balcon di Genet (il Plenipotenziario), entrambi con la regia di Strehler che tanti anni prima lo aveva voluto protagonista di Riccardo III al Piccolo Teatro. Fino all’ultimo restò fedele alla religione del `teatro di parola’, praticamente ignorando il cinema che lo ripagò di pari moneta.