Poli

Dopo essersi laureato in letteratura francese con una tesi su Henry Beque, Paolo Poli insegna e lavora per la radio, oltre che recitare in compagnie vernacolari. Nel 1959 entra a far parte de La Borsa di Arlecchino, il piccolo teatro d’avanguardia che nasce a Genova grazie a A. Trionfo. Ma suo primo vero spettacolo è nel 1961, Il Novellino , che va in scena alla Cometa di Roma. A cui fanno seguito una serie di spettacoli divertentissimi, costituiti in gran parte da montaggi di testi letterari commisti ad altre fonti di varia cultura o di cronaca popolare; è un vero e proprio teatro da camera, che rimarrà la cifra distintiva del suo modo di fare spettacolo. Ed è l’inizio di una dirompente carriera: Il diavolo , 1964; Rita da Cascia , 1967 – con cui scandalizza: la rappresentazione viene sospesa a Milano per oltraggio alla religione e verrà riproposta molti anni dopo); La rappresentazione di Giovanni e Paolo , 1969; Carolina Invernizio , 1969; La vispa Teresa , 1970; L’uomo nero , 1971; Giallo , 1972. A testi più suoi, come i suddetti, alterna classici ( Il mondo d’acqua di A. Nicolajs, Il suggeritore nudo di F.T. Marinetti) e parodie di commedie celebri, come l’esilarante sua interpretazione, nel ruolo della protagonista, de La nemica di D. Niccodemi (1969). In questo periodo gli si affianca come fedele collaboratrice Ida Omboni, e, agli inizi degli anni ’70, per un breve periodo, si unisce a lui, la sorella Lucia, come coautrice e attrice ( Apocalisse , 1973; Femminilità , 1975). Questa personalissima strada di rivisitazione di testi letterari, montati in scena con siparietti comici da avanspettacolo trova un valido sostegno in divertenti colonne sonore: brani musicali e canzonette d’epoca da lui cantate in falsetto (altra valida collaboratrice per queste ricerche musicale è Jacqueline Perrotin). Altri spettacoli: Mezzacoda (1979), curioso itinerario di mezzo secolo di cultura kitsch attraverso i salotti buoni di Gozzano e altri luoghi; Paradosso (1980), proposto a Venezia, per il Carnevale della Ragione, uno spettacolo ispirato a Diderot. Negli anni ’90 il bricolage parodistico-letterario dei suoi spettacoli si accentua, e inizia la grande saga dei miti. Il coturno e la ciabatta (1990), tratto da Alberto Savinio e scritto da Ida Omboni, con le scene di Luzzati. Poi la divertente rilettura de L’asino d’oro di Apuleio (1996).

Nel 1997-98 da vita ai mitici Viaggi di Gulliver, da Swift, ancora con le scene di Luzzati, tenendo sempre alta la propria abilità di artigiano teatrale. Se scarse sono le sue esperienze cinematografiche, notevoli sono invece quelle televisive, da “Tutto da rifare pover’uomo” con Laura Betti (1960) a una ricordata “Canzonissima” (1961), dalle produzioni per ragazzi alla riduzione de “I tre moschettieri” (1976), dal programma “Tra i libri dei nonni” a “Viaggio a Goldonia” di Gregoretti (1982). Legato alla cultura grande e piccola dell’Italia fine secolo e di quella del Novecento tra le due guerre, la cultura cioè dei nonni e dei padri – e anche della madre che era maestra – arricchita da una raffinata educazione letteraria, soprattutto francese, P. esercita i suoi bersagli affabilmente ma puntualmente satirici contro la retorica e l’ipocrisia di una società ancora connotata sostanzialmente da mentalità piccolo-borghesi; ma lo fa a modo suo, coniugando alla satira di costume, la parodia e il funambolismo, la malinconia e il guizzo farsesco, il travestismo e il divertissement cabarettistico. Le generazioni cambiano, ma P. mantiene i suoi spettatori, affascinati dalla sua grazia; variando appena i materiali di partenza. Il che non è un limite, ma il segno di un’originalità e unicità di fare spettacolo abbastanza atipica in Italia.