Pirandello, Luigi

Luigi Pirandello, la vita e le opere

Drammaturgo, romanziere e poeta, Luigi Pirandello è uno dei massimi esponenti della letteratura italiana del Novecento.

Drammaturgo, romanziere e poeta, Luigi Pirandello è uno dei massimi esponenti della letteratura italiana del Novecento. Con Henrik Ibsen e August Strindberg ha rivoluzionato il dramma moderno in tutti i suoi aspetti, divenendo uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi.

Il teatro di Luigi Pirandello

Sin dai primi scritti, Luigi Pirandello affianca alla propria produzione narrativa l’attività per le scene, che contribuisce a consacrare la sua fama fino al premio Nobel del 1934. La vocazione per la scrittura teatrale è assai precoce in lui: l’atto unico L’epilogo è del 1892 (poi in scena come La morsa) e Il nibbio del 1895, ripresa poi nel 1916 dalla compagnia milanese di Marco Praga, con il nuovo titolo Se non così. Ed è proprio in questi anni che Pirandello si orienta in maniera decisa verso l’attività di drammaturgo.

La fase del teatro siciliano: Liolà, Il berretto a sonagli e La giara

Nel 1916 l’incontro con Nino Martoglio e Angelo Musco sarà determinante per la sua carriera di drammaturgo. All’invito del catanese Nino Martoglio corrisponde, infatti, la riduzione teatrale della novella Lumìe di Sicilia. Cui fanno seguito Pensaci, Giacomino!, Liolà, Il berretto a sonagli e La giara. Queste opere, appartenenti alla fase del “teatro siciliano”, vedono Pirandello lavorare a stretto contatto con l’attore Angelo Musco, e in costante interscambio con novelle e capitoli di romanzo, che spesso costituiscono la base per l’invenzione drammaturgica vera e propria.

La collaborazione con Musco fu molto sofferta, ma fondamentale per far capire a Pirandello cosa volesse dire scrivere per un attore. La lezione gli serve quando comincia a scrivere per capocomici come Virgilio Talli o per attori come Ruggero Ruggeri. A loro si deve la messinscena e l’interpretazione di Così è (se vi pare), al Teatro Olympia di Milano, e di Il piacere dell’onestà, al Teatro Carignano di Torino.

La fase umoristica: La patente, Ma non è una cosa seria e Il giuoco delle parti

Nel 1917 Pirandello inaugura con Così è (se vi pare) e Il piacere dell’onestà la fase “umoristica” della propria produzione. Attraverso una scrittura che si richiama al teatro da salotto di Ibsen, Pirandello innesta il suo tema centrale, quello del conflitto vita e forma. All’interno delle trame consuete inserisce delle riflessioni che finiscono per corrodere dall’interno la vicenda drammatica e per far prevalere il ragionamento e la visione paradossale di alcuni personaggi.

All’interno di questi drammi assume un’importanza fondamentale la figura del raisonneur, il personaggio che guarda dall’esterno la vicenda. Si fa portavoce della voce dell’autore, osservando la realtà che lo circonda spesso con una sottigliezza eccessiva, fino a diventare esasperante e a suscitare inquietudini negli altri personaggi.

Tra il 1918 e il 1919, troveranno la via del palcoscenico: La patente, Ma non è una cosa seria, Il giuoco delle parti. Sono opere in cui troviamo una prospettiva fortemente critica nei confronti delle convenzioni borghesi, che poggia su alcuni elementi ricorrenti che l’autore porta al massimo livello espressivo nell’unica opera da lui stesso definita “tragedia”, ovvero l’Enrico IV del 1922.

Una svolta nel teatro di Luigi Pirandello: Sei personaggi in cerca d’autore e il metateatro

L’anno dopo è quello dei Sei personaggi in cerca d’autore, al Teatro Valle di Roma (clamorosa caduta) e al Teatro Manzoni di Milano (clamoroso successo).

Assistiamo alla terza svolta significativa nel teatro pirandelliano, quella del metateatro. Come si vede nella trilogia che ai Sei personaggi in cerca d’autore fa seguire Ciascuno a suo modo nel 1924 e Questa sera si recita a soggetto nel 1930, il conflitto tra forma e vita viene trasposto oltre la “quarta parete” scenica, analizzando la possibilità stessa di una finzione separata dalla vita, nella distanza incolmabile tra ciò che i personaggi sono e ciò che sono chiamati ad essere in scena.

Nel 1922, Ruggeri interpreta Enrico IV, mentre a Londra, in versione inglese, qualche mese prima erano stati recitati i Sei personaggi. È l’inizio della rapida diffusione all’estero del teatro pirandelliano. Nel 1923, Crémieux traduce i Sei personaggi per la celebre messinscena di Pitoëff. Nel medesimo anno, la direzione del Fulton Theater di New York invita Pirandello per una serie di rappresentazioni del suo repertorio e intitola la stagione: Pirandello’s Theater. 

Il teatro dei miti: La nuova colonia, Lazzaro e I giganti della montagna

Dopo la trilogia del teatro nel teatro la radicale innovazione che Luigi Pirandello ha apportato a tutto il linguaggio teatrale del tempo, si chiude nella quarta fase, quella dei “miti”. Qui Pirandello, scegliendo esplicitamente ambientazioni mitico-favolistiche, pare proiettare la propria riflessione in una dimensione “altra”, utopica ed immaginifica. Il motivo profondo dei tre miti pirandelliani è l’evasione: evasione nell’utopia politica (La nuova colonia), nella fede religiosa (Lazzaro), nell’arte (I giganti della montagna). In nessuno dei tre lavori l’evasione ha successo, ma ciò che conta, per il drammaturgo, è il tendersi a una dimensione alternativa, verso quell’oltre a cui guardano tante sue pagine.

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