Pinter

Harold Pinter nasce e si forma nel quartiere di Hackney nel nord-est di Londra. Fallito il tentativo di inserirsi nelle file del RADA (Royal Academy of Dramatic Art), debutta nel teatro come attore di repertorio per la compagnia itinerante dell’irlandese A. McMaster, con lo pseudonimo di David Baron. Nel 1957 su richiesta di un amico attore, scrive il suo primo dramma, The Room, e l’anno successivo assiste all’infausta seppur curata messa in scena del suo secondo pezzo Il compleanno (The Birthday Party, 1959), uno dei suoi lavori migliori, eppure a suo tempo uno dei suoi più famosi insuccessi. In questi primi drammi e in quelli successivi (Il calapranzi, The Dumb Waiter, 1960; Il guardiano, The Caretaker, 1960; Un leggero malessere, A Slight Ache, 1961; Il ritorno a casa, The Homecoming, 1965), Pinter elabora il suo stile scarno ed essenziale, capace di portare sulla scena concreti stralci di conversazione quotidiana catturati in tutta la loro intensità ma anche nella loro vacuità e incoerenza. Gestisce con grande destrezza l’apparato didascalico, in particolare pause e silenzi, che carica di significato rendendoli più eloquenti della parola, il cui uso è volutamente inappropriato, limitato al piacere della sua pronuncia, mero gioco d’intrattenimento, o più spesso maschera per celare il sé di fronte all’altro. Il linguaggio acquista sempre più spazio nell’opera pinteriana, fino a rivestire il ruolo di strumento di `guerra’ per spiazzare e combattere l’altro che rappresenta l’esterno, l’intruso o la minaccia.

Definito con varie etichette (teatro dell’assurdo, teatro di minaccia, teatro della memoria), il suo teatro è progressivamente svuotato dell’azione e si incentra (fra gli ultimi anni ’60 e i primi anni ’70) su tematiche quali il tempo e la memoria, mentre il dialogo tende a scomparire, quasi annullato in battute monologanti. I suoi personaggi vagano mentalmente smarriti in uno spazio temporale dove passato e presente, persi i loro contorni, si confondono l’uno nell’altro ( Il seminterrato , The Basement, 1967; Paesaggio, Landscape, 1968; Silenzio , Silence, 1969). Nel corso degli anni ’70 ( Vecchi tempi , Old Times, 1971; Terra di nessuno , No Man’s Land, 1975; Tradimenti , Betrayal, 1978) l’interesse per il tempo e la memoria si fa più impellente e porta Pinter a recuperare il dialogo e a creare personaggi meno statici. Confrontando un passato comune essi impongono a turno la propria versione, rappresentando così la relatività del ricordo e il meccanismo fallace della memoria, inficiato da sogni, fantasie e immaginazione.

Nel 1980 Pinter rivede, corregge e mette in scena La serra (The Hothouse), dramma scritto nel 1958, e subito accantonato perché inadeguato. Dopo alcuni atti unici (Voci di famiglia, Family Voices, 1981; Victoria Station e Una specie di Alaska , A Kind of Alaska, 1982), la sua scrittura si fa più esplicita e le tematiche della minaccia, della violenza e della sopraffazione dell’uomo sull’uomo, già ampiamente indagate fin dai primi lavori, vengono ora trattate in modo diretto (Precisamente, Precisely, 1983; Il bicchiere della staffa, One for the Road, 1984; Il nuovo ordine del mondo, The New World Order, 1991; Il linguaggio della montagna, Mountain Language, 1988; Regime di festa, Party Time, 1991), segnando una fase dichiaratamente politica del suo teatro. Manifesta pubblicamente il suo impegno politico e sociale entrando a far parte di associazioni come PEN e Amnesty International; dà vita al gruppo di intellettuali ’20th June Group’, con i quali organizza incontri sul tema della censura e delle libertà civili. Nel 1993 interrompe la produzione impegnata con Chiaro di luna (Moonlight), riproponendo atmosfere e tematiche degli anni ’70. Il suo lavoro più recente è Ceneri alle ceneri (Ashes To Ashes, 1997), di cui ha curato la regia sia nella versione londinese (Lindsay Duncan e Stephen Rea), sia in quella italiana (Adriana Asti e Jerzy Stuhr). È autore anche di un romanzo, I nani , giovanile (1952), ma pubblicato solo nel 1990.