Petrolini

Figlio di un fabbro e nipote di un falegname, era stato destinato dalla famiglia alla pialla o al mantice. Invece, fin da ragazzo, Ettore Petrolini improvvisava per sé scenette e monologhi, sia lavorando nella bottega del nonno, sia per strada, seguendo un funerale con un’aria così afflitta che lo faceva apparire per un parente del morto, oppure trasformandosi in turista, con la giacca rivoltata, un libro utilizzato come baedeker e inventandosi una lingua astrusa. Anticipava così il carattere derisorio e empio di un’arte che non sarebbe esplosa subito, ma avrebbe avuto la sua incubazione nel café chantant e nelle più sgangherate compagnie di prosa romane. Scuola dura in quei locali pieni di fumo, sorvegliati dalla polizia e con un pubblico sguaiato ma esigentissimo, difficile da domare. Recitando e `guitteggiando’, Petrolini cominciava a uscire dalla convenzionalità della vecchia macchietta; cavava, soprattutto dal varietà minore napoletano, gli spunti per i primi numeri del suo repertorio: Canzone guappa, La caccavella, Fortunello e soprattutto Il bell’Arturo, parodia buffonesca del decadente dannunziano dal quale sarebbe nato Gastone.

A Roma l’attore imparò a domare il pubblico, a Milano conquistò la critica. Tuttavia la vera scoperta di Petrolini avvenne all’estero, nella tournée del 1907 in Uruguay, Argentina, Brasile. Tornato in Italia, era un idolo. Tutta la critica si occupava di lui, ma lui, pur solido nella sua posizione, non smetteva di lavorare al repertorio, approfondiva i numeri ( Fortunello , I salamini ). Allo scoppio della guerra (1915) si sentì maturo per lo spettacolo organico, basato su un copione. Costituì una compagnia che debuttò al Teatro Cines (l’attuale Eliseo) con la rivista Venite a sentire . Ma la rivista non gli bastava, né era congeniale al suo talento. Arrivarono i primi bozzetti (47, morto che parla ; Nerone ; Amori di notte ); i più acclamati autori del momento (A. Testoni, L. Chiarelli, R. Simoni) scrissero per lui; ma fu con le proprie commedie che P. mostrò di essere un grande attore: Gastone, Benedetto fra le donne e soprattutto Chicchignola, il suo capolavoro, nel quale si avverte l’influsso del Berretto a sonagli .

Pirandello e Petrolini: è curioso che l’uno non abbia mai scritto per l’altro, e che l’altro non lo abbia mai interpretato. Furono i due più importanti artisti fra le due guerre, entrambi specchio di una `sgradevolezza’ e di una `crisi’ che non sempre venivano ben tollerate. P. fece un adattamento di Lumie di Sicilia, a cui cambiò il titolo (Agro di limone) e le caratteristiche del personaggio, facendolo arrivare non dalla Sicilia, ma dell’Abruzzo. Ma furono gli unici contatti. L’ultima fase della carriera fu segnata dalle trionfali tournée a Londra e a Parigi. Alla Comédie Francaise portò uno dei suoi capolavori interpretativi, Il medico per forza di Molière: pur violentando il testo, conquistò il pubblico. Da tempo Petrolini aveva trasformato la violenza, la derisione e l’assurdità in stile. Con la sua andatura dinoccolata, il naso che spioveva a becco sulla bocca, la voce in falsetto, era diventato il `disconsacratore’ (A. Cecchi), i futuristi lo avevano aggregato al teatro `meccanico e motorico’ e P. Pancrazi era diventato l’esegeta della sua `scemenza’ («ha avuto il coraggio di essere idiota»). P. era minato dal male. L’angina pectoris gli consumava le forze. Dopo avere `salaminizzato’ l’Italia, ci lasciò alcuni documenti filmati della sua arte, fra cui Nerone (1930) con i numeri più celebri del suo repertorio. Preziosi i due volumi della sua autobiografia: Modestia a parte e Un po’ per celia e un po’ per non morire.