Ophüls

Dopo l’esordio come attore nel 1919, Max Ophüls si orienta verso la regia teatrale. Lavora a Dortmund, Vienna e dal 1927 a Francoforte, dove allestisce testi di Jonson, Gogol’, Büchner, Schnitzler, Bourdet e diverse operette. Nel biennio 1928-29 lavora a Breslavia, mettendo in scena Molière ( Il malato immaginario ), Shakespeare ( Il mercante di Venezia , Come vi piace ), Kleist, Shaw, Pagnol ( Marius , Fanny ), Achard ( Jean de la lune ). Nel 1930 si trasferisce a Berlino ed entra in contatto con il mondo del cinema, diradando gli impegni teatrali. Esordisce lo stesso anno con il cortometraggio È meglio l’olio di fegato di merluzzo . Dopo La sposa venduta (Die verkaufte Braut, 1932), che già rivela un sicuro dominio del mezzo cinematografico, lo splendido Amanti folli (Liebelei, 1932) gli dà notorietà internazionale. Di origini ebraiche, Ophüls deve lasciare la Germania nazista ed emigrare in Francia, dalla quale, dopo aver girato La signora di tutti (1934), Werther (1938), Tutto finisce all’alba (Sans lendemain, 1939) e Da Mayerling a Sarajevo (1940), deve nuovamente fuggire a causa dell’occupazione tedesca. Ripara negli Usa, dove rimane per un certo tempo inattivo dal punto di vista cinematografico e si dedica alla stesura delle sue memorie ( Spiel im Dasein, pubblicate postume nel 1959) finché, nel 1947, firma Re in esilio (The Exile) e l’eccellente Lettera da una sconosciuta (Letter from an Unknown Woman, 1948), tratto da un racconto di Stefan Zweig.

Tornato in Francia, Ophüls dirige tre capolavori: La Ronde (1950), Il piacere (1952), I gioielli di madame de… (1953). Prima di morire realizza Lola Montès (1955), interpretato da Martine Carol e Peter Ustinov, opera ricca di spunti stilistici originali, ma poco apprezzata al suo apparire; si riaccosta così alla regia teatrale con un’acclamata e rutilante edizione di Il matrimonio di Figaro di Beaumarchais (Amburgo 1957). Finissimo interprete della psicologia femminile, Ophüls pone al centro della sua opera la donna, mostrando «la crudeltà del piacere, i drammi dell’amore, le trappole del desiderio» (Truffaut). Ammirato da Kubrick («Ho sempre adorato i suoi stravaganti movimenti di una cinepresa che possedeva il segreto di avanzare senza posa in quelle scenografie da labirinto, accompagnata da una musica meravigliosa») e dalla nouvelle vague francese, Ophüls è un artista elegante e raffinato, ma la sua grazia è stata spesso scambiata per superficialità. Pochi, invece, hanno saputo fondere così felicemente malinconia e sorriso, dramma e buffoneria, tragedia e levità e far emergere, dietro un’apparenza frivola, un fondo tragico e dolente. La sua predilezione per gli amori infelici, i conflitti del cuore, le disillusioni si sposa a un linguaggio cinematografico di straordinaria originalità. Con i suoi magistrali e spettacolari movimenti di macchina, l’attenzione al ritmo, la cura della colonna musicale e la passione per la danza, la verità delle ambientazioni, la predilezione per le linee diagonali e oblique, il decorativismo dell’immagine, la ricerca e la sperimentazione continua sugli spazi, il gioco degli specchi e dei riflessi, Ophüls incontra quell’«arte del miraggio che è il barocco» (E. Decaux), barocco non come gusto del superfluo e dell’orpello, ma inteso come ricerca di nuove, ardite e seducenti possibilità dello sguardo.