nô, teatro

A Zeami risalgono cinquanta 50 dei circa 240 testi che rappresentano il repertorio tutt’ora in uso del n., nonché diversi trattati in cui sono sanciti il canone, rimasto immutato, e basi teoriche. La materia narrativa deriva dall’antico patrimonio eroico e feudale giapponese. Canto, recitazione, danza e musica si mescolano nella rappresentazione del dramma, che dura circa 45 minuti e che prevede uno shite (protagonista) e un waki (deuteragonista), affiancati da comprimari ( tsuri ) e da un coro ( ji ). Lo shite è spesso un sogno o visione del waki , che entra in scena per primo e, dopo un breve preludio orchestrale, descrive il luogo in cui si trova. Avanza lo shite , il waki lo accoglie e lo interroga, lo shite narra, generalmente in terza persona, la propria vicenda ed esce. In genere, si tratta dello spirito di un personaggio celebre per le sue gesta, che ha incontrato una fine dolorosa e che non è ancora del tutto purificato del ricordo della vita terrena e delle sue passioni; può essere un samurai ucciso per fedeltà o una donna che ha perso amore o figlio, come è sottolineato dalla varietà dei costumi. Segue solitamente un intermezzo fra waki e kyogen (buffone; il termine è poi passato ad indicare gli intermezzi stessi e in seguito farse a sé stanti). Lo shite riappare ora in nuove vesti, con l’aspetto di quando visse e soffrì. Il waki, che sempre sogna o ha una visione, lo invita a parlare ancora e lo shite rivive, dialogando con il coro la propria storia. La struttura drammaturgica è fissa, come i luoghi scenici (la colonna destra è del waki, quella sinistra dello shite) e il modo di muoversi, unidirezionale e ondeggiante. I gesti sono pochi e selezionati, spesso con valore convenzionalmente metaforico (le mani agli occhi per il pianto, alzare il viso consolazione o chiarore della luna). Il ji , coro formato da otto-dieci persone, allineate su due file, commenta e accompagna ed evoca il paesaggio; il gruppo strumentale che accompagna è composto da tre diversi tipi di tamburi e un flauto. Gli attori sono solo uomini, che interpretano anche i personaggi femminili. La scenografia è essenziale, lineare nella funzionalità drammatica e spoglia: secondo il canone fissato da Zeami, il palcoscenico, comunemente eretto all’aperto, comprende un’area per l’azione, un quadrato di sei per sei metri, contiguo ad un ponte, sul fondo, che collega il palco con lo spogliatoio; quattro colonne sostengono un tetto a pagoda, a destra sta una veranda per il coro, di fronte una scaletta collega il palco alla platea, ma è solo simbolica (non viene mai usata). Sul fondo, dove è dipinto l’unico elemento scenico del nô, un vecchio pino nodoso, siede l’orchestra. I costumi sono sontuosi e si usano maschere elaborate, una settantina di tipi, che posseggono autonomo valore artistico. In genere vengono rappresentati cinque N. (in passato, solitamente sette) in serie, intercalati da kyogen . Il N., nato come genere elitario, rimasto per secoli patrimonio dell’aristocrazia militare (era ritenuto essenziale per la formazione dei samurai, ai quale erano vietati invece alri generi, come il kabuki ), è tramandato ancor oggi per tradizione familiare, a memoria, di padre in figlio (che può essere adottivo, come spesso diviene l’allievo prediletto).