Mrozek

Debutta come giornalista nel 1950, nel 1957 pubblica la raccolta di racconti L’elefante (Slon), nel 1958 esordisce in teatro con La polizia (Policja), un apologo ambientato nell’Ottocento sotto cui non è difficile scorgere una pesante satira del mito marxista dell’`estinzione dello stato’ a seguito del raggiungimento del comunismo. A La polizia seguono Il martirio di Piotr Ohey (Meczenstwo Piotra Oheya, 1959), Il tacchino (Indyk, 1960), feroce satira della società polacca della `piccola stabilizzazione’ e allo stesso tempo denuncia dell’inadeguatezza e del corrompersi dei luoghi comuni del `romanticismo nazionale’, la trilogia di atti unici In alto mare (Na pelnym morzu), Strip-tease e Karol (1961), dove con l’aiuto di situazioni parodistiche M. riproduce sulla scena i processi di mitologizzazione e mistificazione della quotidianità elaborati per mascherare l’aggressività, l’intolleranza, il conformismo. La festa (Zabawa, 1961) contamina l’attesa metafisica di Aspettando Godot , con una ripresa ironica di tematiche sviluppate dal drammaturgo modernista Stanislaw Wyspianski in Le nozze (Wesele). La prima fase della produzione scenica di M. prosegue con Moniza Clavier (1963), Morte di un colonnello (Smierc porucznika, 1963), dove viene nuovamente posto ad analisi critica il mito romantico dell’eroismo obbligatorio, ed è coronata da Tango (1968), dramma satirico composto in Italia, amaramente irridente gli inevitabili esiti terroristici e autoritari dei movimenti di protesta giovanile. Analogo scetticismo nei confronti della rivolta dei giovani occidentali è espresso in Il sarto (Krawiec, scritto nel 1964, pubblicato nel 1977), dove la cultura viene paragonata alle mode nell’abbigliamento, e in Un caso fortunato (Szczesliwe wydarzenie, 1973). Il radiodramma Il macello (Rzeznia, 1973) testimonia un nuovo stile, un teatro delle crudeltà in cui non mancano i riferimenti alle opere di Stanislaw Ignacy Witkiewicz. M. testimonia qui il suo rifiuto di ogni scelta estremista e irreversibile in cui le contraddizioni dell’esistere siano ridotte a falsi dilemmi, tra natura e cultura, arte e vita, convenzione e invenzione, ordine e ribellione. In Gli emigranti (Emigranci, 1974) M. ricostruisce il dramma personalmente sperimentato (è esule, dapprima in Italia, poi in Francia) di chi è lontano dalla propria terra, riuscendo a evitare il vittimismo emigré nella sottolineatura dell’`uso masochistico’ che del libero arbitrio fanno gli esiliati polacchi, «abitatori senza speranza e dignità dei sottoscala delle metropoli opulente» (L. Gambacorta). Con Il gobbo (Garbus, 1975) M. ritorna alla satira delle velleità sovversive dell’ intelligencja europea fin de siécle , vezzeggiate e coltivate da una borghesia e un’aristocrazia inconsapevoli della catastrofe imminente. Momentaneamente accantonato il teatro (eccezion fatta per Vatzlav , una commedia del 1979 sull’utopistica ricerca di valori fondamentali in una situazione di assoluto relativismo morale e gnoseologico) a favore della stesura di sceneggiature cinematografiche da lui stesso trasferite su pellicola ( L’isola delle rose , Wyspa roz, 1975; Amor , 1979) e di brevi scritti critici ( Piccole lettere , Male listy, 1982), M. ritorna al dramma sotto la spinta dei drammatici eventi del 1981 (lo scioglimento di Solidarnosc e l’introduzione della legge marziale da parte del generale Jaruzelski) con la pièce a chiave Alfa (1984), nel cui protagonista è facile identificare Lech Walesa, e con Il ritratto (Portret, 1987), dove per la prima volta il drammaturgo evoca apertamente sulla scena il fantasma di Stalin, in una resa dei conti con la propria giovanile adesione all’ideologia totalitaria. Tra gli ultimi lavori sono da menzionare Le vedove (Wdowy , 1992), rappresentato per la prima volta in Italia, a Siena, e Un amore in Crimea (Milosc na Krymie, 1993).