Mnouchkine

Mentre studia psicologia all’università fonda un’Associazione teatrale degli studenti di Parigi con i quali, nel 1961, mette in scena il suo primo spettacolo Gengis Khan . Segue i corsi di Jacques Lecoq e viaggia in America Latina, India e Giappone, Paesi dove tornerà di frequente dai quali ricaverà molte idee per gli spettacoli futuri. Nel 1964 fonda il Théâtre du Soleil con un gruppo di attori e di tecnici con cui mette in scena Les petites bourgeois di Gor’kij, su adattamento di Adamov e, l’anno dopo, un Capitan Fracassa dal romanzo di Gautier. Il successo internazionale arriva nel 1965 con La cucina di Arnold Wesker, dove il microcosmo anche etnico della cucina di un grande ristorante viene evocato con grande intensità. Seguiranno poi Sogno di una notte di mezza estate (1968) primo Shakespeare firmato dalla regista cui seguiranno spettacoli nati, al contrario, dall’improvvisazione degli attori. Si comincia con I clowns (1969) dove sono proprio gli interpreti a sperimentare sulla propria pelle le radici della commedia dell’arte. Con I clowns si chiarifica una delle direttrici della sua ricerca che – accanto ai classici, comunque rivisitati, da Shakespeare a Eschilo – concentra l’attenzione su di un teatro d’attore e d’improvvisazione. Fra i risultati più importanti e poeticamente riusciti di questo filone ricerca c’è, senza dubbio, 1789, la révolution doit s’arreter à la perfection du bonheur , dedicato alla Rivoluzione francese, presentato, in prima mondiale, su invito di Paolo Grassi, al Palazzetto dello Sport di Milano nel 1970; e nato, come dichiarerà la stessa M., dalla suggestione dell’ Orlando ronconiano, nel suo distribuirsi itinerante a stazioni. Nel 1975 è la volta del magico L’age d’or dove la tradizione della commedia dell’arte serve per raccontare vita, patimenti, asservimento e morte, nei cantieri francesi, di un Arlecchino algerino che si chiama Abdallah. Se la seconda puntata dedicata alla storia patria 1793, La cité révolutionnaire est de ce monde non convince del tutto, M. non si lascia certo sfuggire l’incontro con l’amatissimo Molière, assunto a icona di un teatro alla ricerca di una nuova identità. E Molière appunto si intitola il lavoro che a lui si ispira. Si tratta di un film, stavolta, girato nel 1978 per la televisione che trova in Philippe Chaubert il suo interprete d’elezione. Poi la svolta, l’incontro con la storia con Mephisto (1979), ispirato al romanzo che Klaus Mann (1979) scrisse sulla resistibile ascesa di Henrik Höfgen nel quale rappresentava in realtà il grandissimo Gustav Gründgens, il Mefistofele per eccellenza, alla ricerca del rapporto fra arte e potere. L’oriente con i suoi richiami segna profondamente il lavoro teatrale di M. negli anni ’80. Ecco infatti le `regie orientali’: testi scespiriani come Riccardo II (1984) e La notte dei re (Avignone, 1984) dove gli stilemi del teatro giapponese e indiano si sposano a una corporeità rituale molto forte. Ed ecco, quasi a ribadire l’esigenza del confronto con i classici, sia pure affrontati con grande libertà, che M. incontra per la prima volta il mondo greco con Gli Atridi una personale rilettura dell’ Ifigenia in Aulide di Euripide e dell’ Orestea di Eschilo. Gli anni che stiamo vivendo vedono la M. sempre fedele a se stessa e confrontarsi con uno dei capolavori di Molière, Tartufo (1995), rappresentato come un fondamentalista islamico, annunciato a ogni suo apparire dalle urla della folla. Mentre con la collaborazione di Helen Cixous mette in scena addirittura lo `scandalo Tibet’ con la stessa pervicacia con cui ha denunciato lo scandalo del sangue infetto. Lo spettacolo E all’improvviso delle notti di veglia (1998), racconta l’incontro fra una delegazione tibetana, un gruppo di attori e il loro pubblico, la pacifica occupazione del teatro per denunciare all’opinione pubblica francese un fatto realmente accaduto: la vendita, con l’avvallo del governo, di aeroplani da guerra ai cinesi e il modo in cui il Lama e i suoi seguaci trovano l’appoggio dell’opinione pubblica. In uno spazio arredato con semplici tende e cuscini, fra canti e danze e dialoghi che sembrano rubati alla vita, M. racconta magistralmente, politicamente, una pagina di storia quotidiana e l’eroismo di un popolo.