Melato

Attrice di temperamento versatile, in grado di interpretare la tragedia di Euripide e il musical di Garinei e Giovannini, il dramma psicanalitico di T. Williams e O’Neill e la commedia di Pirandello, la farsa di Fo e la barocca poesia in versi di Racine, la Parigi di Feydeau e la Milano di Bertolazzi, Mariangela Melato è nata a Milano in via Montebello, epicentro di Brera, dove avrà da giovane, complice il bar Giamaica, significativi incontri col mondo dell’arte. Di provenienza borghese, destinata all’attivo mondo del lavoro, la Melato inizia come vetrinista alla Rinascente, ma dentro coltiva un altro sogno, esprimersi con l’arte, recitare. Dapprima studia a Brera, poi si esibisce in allarmanti cambi di look, disegna manifesti, infine si iscrive alla scuola di recitazione della Sperani al Filodrammatici, dove viene scambiata, a sua insaputa, per una parente dell’altra Melato (Maria). Viene fuori subito un gran temperamento, soprattutto la voglia di tentare ogni strada espressiva. Laureata attrice, è scritturata per Piccola città di Wilder col Carrozzone di Fantasio Piccoli, un gruppo stabile ma girovago di Bolzano: è la gavetta, la classica battuta del `pranzo è servito’. Ma fa in fretta passi da gigante: la ragazza ha un tipo di comunicativa un po’ brutale, diversa, che dal palcoscenico `passa’ al pubblico. Ed eccola con Dario Fo e Franca Rame, nel settembre del 1965 all’Odeon di Milano, in Settimo ruba un po’ meno , che anticipava Tangentopoli; ma l’anno dopo non deve stupire trovarla con Ricci in Enrico IV e la stagione dopo ancora è vista e presa da Visconti per La monaca di Monza di Testori con la Brignone, poi per L’inserzione della Ginzburg. Se questi sono debutti ufficiosi, una gavetta ricca di talenti complementari, il primo successo personale la Melato lo ottiene come Olimpia nel mitico, rivoluzionario Orlando furioso di L. Ronconi, che prende il via nel 1969 al Festival di Spoleto e poi gira l’Italia e il mondo con entusiasmo garibaldino e un’accoglienza di pubblico trionfale. Spettacolo di rottura, che lo stesso regista traduce poi in bellissime immagini per la tv, l’ Orlando getta le basi del più proficuo rapporto di lavoro della Melato, quello appunto con Ronconi che la dirigerà in spettacoli memorabili: l’elisabettiama Tragedia del vendicatore di Tourner nel ’70 in una compagnia di sole donne, l’ Orestea , in cui è una prepotente Cassandra, nel ’72 a Venezia e poi in giro fino a Parigi; in L’affare Makropulos nel 1993 e una `dark lady’ hitchcockiana che visse due volte in Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill, versione kolossal del ’97.

L’altro regista con cui la Melato ha lavorato in modo stabile è G. Sepe, che dal 1985 al ’92 ha realizzato con lei tre successi di segno molto diverso, sfidando gli stereotipi: il verismo sentimentale di Vestire gli ignudi di Pirandello; la forza barbara della Medea di Euripide e il dramma americano di Anna dei miracoli in cui la professoressa Melato insegna il palpito della vita a una bambina cieca e sordomuta. Importante, atteso, scritto nel `destino’ milanese, il suo debutto con Strehler nel ’79, nella terza, poetica edizione di El nost Milan di Bertolazzi: purtroppo, una prova unica. Ma la sua biografia non sarebbe completa se non si citasse il suo amore per la rivista (adorava il gusto camp lombardo dei Legnanesi): nel film Basta guardarla di Salce è un’irresistibile soubrette spagnola d’avanspettacolo. E in tv, prima di affrontare la sociologia della Vita in gioco, il ruolo di Avvocato delle donne e le malinconie milanesi della Lulu di Bolchi, apparve dapprima come ballerina scatenata, perfino, al fianco di Baudo, chiusa dinoccolata in una valigia. Furono Garinei e Giovannini a intuire il suo ramo di `follia’ teatrale, portandola in scena con Rascel e Proietti nella parte della prostituta dell’anno Mille in Alleluja, brava gente nel 1971, mentre con Giorgio Gaber reciterà La storia di Alessandro e Maria nell’82, teatro sentimentale a due voci. Naturalmente è il cinema l’ambito nel quale la Melato ha ottenuto, negli anni ’70, il vasto successo. Adoperando la vena grottesca lanciata dalla Wertmüller, l’attrice, da poco entrata nella “Treccanina”, lancia una coppia nazional-popolare con Giannini in Mimì metallurgico , Film d’amore e d’anarchia e Travolti da un insolito destino nel ’74. Ma, amante delle sfide impossibili, recita anche con Petri, Chabrol, De Sica, Steno, Vancini, Corbucci (un gustoso sketch con Celentano in Di che segno sei? ).

I risultati migliori, e molti premi, li ottiene con Monicelli in Caro Michele (1976), e con Brusati, che le offre un grande personaggio legato alla poetica della memoria dell’amore perduto in Dimenticare Venezia (1979), oltre alla occasione mancata del Buon soldato. Decisamente in sintonia la Melato si trova con G. Bertolucci, detective sotterraneo di un nuovo tipo di donna per il cinema italiano: ne fanno fede i due film bellissimi, Oggetti smarriti e Segreti segreti , mentre con Pupi Avati si diverte in un quasi musical, Aiutami a sognare . Nell’81 accetta una trasferta americana per la commedia Jeans dagli occhi d’oro con Ryan O’Neal, ma si rivela un’esperienza modesta. L’ultima parte della sua carriera è legata a una intensa, prepotente edizione teatrale di Un tram che si chiama desiderio di Williams diretta a spirale nell’inconscio da De Capitani, con le scene di Bruni, lo stesso `team’ con cui affronta nel ’95 il gusto iper-grottesco un po’ datato di Tango barbaro di Copi, addirittura en travesti. Legata ormai da molti anni allo Stabile di Genova, nel 1997-98 ha accettato di tornare al teatro di divertimento puro, in La Dame di Chez Maxim’s di Feydeau diretta da Arias, di cui è festeggiata mattatrice insieme a Pagni; ma per la legge del contrappasso decide, nel 1999, di interpretare con la regia di Sciaccaluga Fedra di Racine.