Mejerchol’d

Terminata la scuola teatrale diretta da V. Nemirovic-Dancenko, Vsevolod Emil’evic Mejerchol’d viene da lui chiamato a far parte della compagnia del Teatro d’Arte appena fondato con K. Stanislavskij, dove rimane dal 1898 al 1902, interpretando fra gli altri alcuni personaggi cechoviani (Treplev nella prima edizione del Gabbiano e Tuzenbach in quella di Tre sorelle), Vasilij Suiskij (Lo zar Fedor Ioannovic ) e Ivan il Terribile (La morte di Ivan il Terribile) entrambi di Tolstoj, Malvoglio ne La dodicesima notte e il principe d’Aragona ne Il mercante di Venezia . Lascia il Teatro d’Arte per fondare una propria compagnia dove per la prima volta si cimenta nel ruolo di regista: per tre anni lavora in provincia, con un repertorio che riprende molti titoli già affrontati sotto la direzione di Stanilavskij e Nemirovic (Cechov, Gor’kij). Nel 1905 Stanislavskij lo richiama: vuole fondare uno Studio per avviare una libera sperimentazione nel campo della regia e della recitazione al di fuori dei modelli realistici consolidati all’interno del Teatro d’Arte. Il repertorio orientato in senso simbolista (Hauptmann, Maeterlinck), il sistema di recitazione e l’impostazione registica estremamente stilizzati lasciano perplesso Stanislavskij che decide di chiudere l’esperimento prima di affrontare il pubblico. Nel 1906 Mejerchol’d viene chiamato a Pietroburgo da Vera Komissarzevskaja: la grande attrice gli affida la sua compagnia.

Le scelte di repertorio proseguono nella stessa linea dello Studio: Hedda Gabler di Ibsen, Suor Beatrice di Maeterlinck, La vita dell’uomo di Léonid Andreev e La baracca dei saltimbanchi di Aleksandr Blok, spettacolo, quest’ultimo, che diventa manifesto del teatro ‘convenzionale’ per la perfetta stilizzazione di recitazione, scene, costumi e soluzioni sceniche. L’intesa con la primattrice si rompe presto: la Komissaerzvskaja accusa il regista di privilegiare le nuove ricerche a scapito del proprio talento. Dal 1908 al 1917 Mejerchol’d lavora stabilmente nei due teatri imperiali di Pietroburgo: allestisce, con messinscene fastose e accuratissime, spesso in collaborazione col grande scenografo A. Golovin, all’Aleksandrinskij grandi classici russi e europei (Don Giovanni di Molière, L’uragano di Ostrovskij, Un ballo in maschera di Lermontov), al Marijinskij opere liriche (Tristano e Isotta di Wagner, Orfeo e Euridice di Gluck, Elettra di Strauss). Non abbandona comunque la ricerca: a partire dal 1914 fonda una rivista di studi teatrali (“L’amore delle tre melarance”) e un proprio Studio (chiamato `di via Borodinskaja’ dal nome della via dove ha sede) dove sperimenta con giovani allievi nuove forme di gestualità, rifacendosi alla tradizione di improvvisazione della commedia dell’arte e alla stilizzazione del teatro orientale; per le esercitazioni utilizza canovacci di comici italiani, scene da grandi tragedie shakespeariane, testi di autori simbolisti ( La sconosciuta di A. Blok). È tra i primi ad aderire con entusiasmo alla Rivoluzione del 1917: abbandona i teatri imperiali e lavora nella sezione teatrale del Commissariato per l’Istruzione prima a Pietrogrado poi a Mosca, dove nel 1921 fonda un proprio teatro chiamandolo Teatr RSFSR I. Primi spettacoli: Albe di Verhaeren (1921), con una radicale rielaborazione del testo in senso rivoluzionario e scene cubiste di Dmitriev, e una riedizione di Mistero-Buffo di Majakovskij (già messo in scena nel primo anniversario della Rivoluzione a Pietrogrado).

Mejerchol’d assume negli anni immediatamente postrivoluzionari un ruolo di guida in ogni forma di sperimentazione: accoglie nel suo teatro e stimola alla scrittura i giovani drammaturghi, di cui poi mette in scena con entusiasmo i lavori, contribuendo così coraggiosamente alla formazione di un fino allora inesistente repertorio sovietico (Fajko con Il lago Ljul’ , 1922; Sel’vinskij con Komandarm 2 , 1929; Visnevskij con L’ultimo decisivo , 1931; Olesa con L’elenco delle benemerenze, 1931; German con Introduzione , 1933; oltre ai due ultimi lavori del già celebre Majakovskij, La cimice, 1929 e Il bagno , 1930); continua le sue ricerche nel campo della formazione dell’attore, lanciando una nuova formula, la ‘biomeccanica‘, dove accanto al tradizionale allenamento ginnico-espressivo tenta l’utilizzazione dei `gesti di lavoro’, rielaborazione della teoria tayloriana (sperimenta la formula in alcuni spettacoli, poi, trovandola troppo schematica, la limita al training); infine affronta, con riletture rivoluzionarie, i grandi classici del teatro russo ed europeo ottocentesco, riuscendo a metterne in luce con sconcertante audacia l’attualità, troppo spesso soffocata da messinscene tradizionali (La morte di Tarelkin di Suchovo-Kobylin, 1922; Un posto lucrativo e La foresta di Ostrovskij, rispettivamente 1923 e 1924; soprattutto Il revisore di Gogol’, 1926 e Che disgrazia l’ingegno di Griboedov, 1928, due spettacoli storici a cui ancor oggi si ricorre per l’intelligenza delle eversive soluzioni interpretative; poi La dama delle camelie di Dumas, 1934; 33 svenimenti da atti unici di Cechov, 1935). A partire dalla metà degli anni ’30 la posizione di Mejerchol’d si fa sempre più difficile, a causa degli attacchi continui della critica ufficiale, che lo accusa di `formalismo’ ossia di tendenze contrarie al realismo socialista, corrente ormai ritenuta ufficiale in tutte le arti. Molti suoi spettacoli in preparazione vengono vietati, i lavori già iniziati dell’edificio teatrale da lui progettato vengono sospesi, la stampa lo denigra in ogni senso: nel 1939 viene arrestato con l’accusa di attività antisovietiche e, dopo mesi di interrogatori e torture, fucilato. Solo all’inizio degli anni ’60 si ricomincia a parlare di lui in Unione Sovietica: la tardiva riabilitazione permette di pubblicare i ricchi materiali preparatori per le regie (appunti, stenogrammi di prove) e i suoi non copiosi scritti teorici.