Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa

Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa sono una compagnia fondata nel 1986 da Marco Isidori (regista drammatico) e Daniela Dal Cin (scenografa e costumista) con Maria Luisa Abate (attrice), la Compagnia Marcido è tra le più interessanti nel panorama del teatro italiano. Debutta nello stesso anno al Festival Premio Narni Opere Prima, con uno studio su Les Bonnes di Jean Genet che si evolverà successivamente nello spettacolo Le serve , imponendosi subito all’attenzione della critica e vincendo il premio Giovin Italia. La compagnia si dedica poi a un lavoro sul classicismo e sulla tragedia attica che porta a una serie di elaborazioni e riscritture dei testi classici: In una giostra: l’Agamennone da Eschilo che ottiene il premio Opera d’attore nell’88; Musica per una Fedra moderna (1982) e Spettacolo (1993), parti di un unico progetto che chiude l’esperienza sulla tragedia classica. Con Palcoscenico e Innio nel 1991 la Marcido vince il premio Speciale Ubu. Con Il cielo in una stanza (1994) si apre una fase decisiva per lo sviluppo della potenzialità drammaturgica della compagnia che la vedrà impegnata con una scrittura testuale autarchica nella messa in scena di Gengis Khan poema drammatico di Marco Isidori. Produzioni successive sono state L’Isi fa Pinocchio ma sfar lo mondo desierebbe in ver (1996) e il particolarissimo esperimento realizzato con gli allievi del suo laboratorio Happy Days in Marcido’s Field (1997). Vissuti a lungo isolati in una comunità artistica e familiare i Marcido, ritenuti da alcuni quasi un gruppo settario, hanno come nucleo essenziale del loro lavoro l’eliminazione dello spazio tra pubblico e attori, tra platea e palcoscenico, tra scena e costumi. Per il loro Agamennone avevano costruito una giostra rutilante di ferro e legno che conteneva Atridi e spettatori, mentre il costume per la Fedra di Seneca era invece una diabolica macchina scenica che costringeva l’attore in posture sadomaso tra mostruosità e magia, orrore e caricatura.

I cardini della loro ricerca sono sempre stati la Parola, il Significato, la Significazione. Prendendo spunto dalla via favolistica, ridotta esclusivamente a schema esteriore, assume importanza fondamentale il suono della parola stessa e la figura dell’attore passa in secondo piano, segnando così la distruzione di un teatro tradizionale. Elaborati come partiture musicali, tutti gli spettacoli della Marcido ricercano dunque la teatralità insita nella parola stessa e attraverso la sua sonorità si scopre l’intento del loro autore. Nella loro ultima produzione, Happy Days in Marcido’s Field , spettacolo fortemente rituale, si assiste a una riformulazione del teatro moderno. I corpi nudi degli attori, appesi come carne di fronte al pubblico a fare da sipario, simulacri solo di se stessi, raccontano il mondo quale noi lo vediamo, come noi lo subiamo. Un lavoro assolutamente sui generis quello di questa compagnia, impegnata a contrastare l’omologazione e a rifiutare ogni subordinazione culturale, nel negare e insieme fare teatro, fuori dal `semplice teatro’. La loro ultima produzione, Una canzone d’amore (1998), presentata in anteprima nazionale al festival di Santarcangelo, si ispira al mito di Prometeo. Incatenato in una sfera-gabbia d’acciaio, Marco Isidori mette in scena la tragedia dell’eroe come `necessità del teatro’, un’ossessione costituita dal bisogno estremo di trovare musicalità all’interno della struttura semantica della parola. Uno spettacolo di forte impatto visivo e sonoro, come del resto tutti i lavori della compagnia.