Macario

Interprete di una comicità dal candore surreale, Eminio Macario fu la maschera italiana che più si avvicinò all’ingenuità e ai modi di Charlot ma dotata, per il palcoscenico, della parola funambolica dei fratelli Marx. In realtà ogni definizione risulta riduttiva ed incompleta, sebbene lusinghiera, per l’uomo la cui testa, a detta di Petrolini, valeva un milione; e tanto valeva quella testa con il famoso ricciolino sulla fronte, da far erigere in onore di Macario quel monumento in vita che furono le vignette a lui ispirate pubblicate dal “Corriere dei piccoli”. Cominciò a recitare fin da bambino nella filodrammatica della scuola e a diciotto anni entrò a far parte della prima compagnia di `scavalcamontagne’ (così erano chiamate le formazioni di paese che recitavano drammi e farse nei giorni di fiera). A ventidue anni venne scritturato nella compagnia di `balli e pantomime’ di Giovanni Molasso col ruolo di secondo comico e debuttò al Teatro Romano di Torino con le riviste Sei solo stasera e Senza complimenti. Dal settembre 1924 fu a Milano con Il pupo giallo e Vengo con questa mia di Piero Mazzuccato, Tam-Tam di Carlo Rota e Arcobaleno di Mazzuccato e Veneziani. Nel 1925 compie il primo grande salto entrando nella compagnia di Isa Bluette col ruolo di comico grottesco debuttando a Torino con la rivista Valigia delle Indie di Ripp e Bel-Ami.

Macario rimase con la Bluette per quattro anni acquistando via via sempre maggior notorietà finché, ottenuto il nome in ditta, e avendo firmato nel 1929 la prima rivista come autore ( Paese che vai , in collaborazione con Chiappo), il comico torinese formò una sua compagnia di avanspettacolo con cui girò l’Italia dal 1930 al ’35. Nel 1937 scritturò Wanda Osiris e mise in scena una delle prime commedie musicali italiane, Piroscafo giallo , di Bel-Ami, Macario e Ripp, debuttando al Teatro Valle di Roma. A partire da questa data si ripresentò ogni anno con una nuova rivista dai cui palcoscenici fece conoscere i volti e le qualità di molte attrici brillanti tra cui Lily Granado, Marisa Maresca, Isa Barzizza, Lauretta Masiero, Dorian Gray e Sandra Mondaini. Parallelamente, ad una prima e sfortunata esperienza cinematografica con Aria di paese (1933), fece seguito nel 1939 il grande successo di Imputato alzatevi! per la regia di Mario Mattoli, recante nella sceneggiatura le firme della redazione del “Marc’Aurelio”, il bisettimanale umoristico che schierava nomi dal futuro luminoso quali Maccari, Mosca, Metz, Steno, Marchesi e Guareschi. Con questo film per la prima volta nella storia del cinema italiano si può parlare di comicità surreale.

«Mi dicono – dichiarò a tal proposito l’attore nel 1974 – che io facevo Ionesco quando Ionesco quasi non era nato, e d’altronde io lo so… sono sempre stato un po’ lunare». Seguirono poi in un’ideale trilogia dei tempi di tirannide: Lo vedi come sei… lo vedi come sei? (1939), Il pirata sono io (1940) e Non me lo dire! (1940). Ma la sua formula spettacolare, al di là del successo sul grande schermo che continuò ad arridergli con nuovi picchi, come nel campione d’incassi Come persi la guerra (1946), fu sempre più adatta al teatro di rivista e alla commedia musicale, là dove le prepotenze della sua spalla Carlo Rizzo esaltavano la sua candida genialità, e là dove il contrasto fra l’innocenza della propria maschera e il sottinteso erotico delle sue famose `donnine’, mostrava tutta la propria efficacia. Si ricordano fra le altre Amleto, che ne dici? (1944) di Amendola e Macario, Oklabama (1949) di Maccari e Amendola, La bisbetica sognata (1950) di Bassano con musiche di Frustaci, Made in Italy (1954) di Garinei e Giovannini, Non sparate alla cicogna (1957) di Maccari e Amendola, Chiamate Arturo 777 – (1958) di Corbucci e Grimaldi. Macario ha incarnato la maschera di una comicità innocente quanto lieve, poeticamente sospesa fra le pause, lo sbarrarsi stupito degli occhi e la salacità dissimulata delle battute, un caso pressoché irripetibile, per ragioni storico-geografiche, di humour piemontese assurto con meritato clamore a dimensioni nazionali.